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giovedì 27 gennaio 2011

IL DOVERE DI RICORDARE

di Laura Tussi

Dalla Shoah all’attualità dell’intercultura

Oltre agli ebrei, il sistema nazifascista ha schiavizzato e assassinato milioni di persone tra cui zingari, disabili fisici e mentali, polacchi, prigionieri di guerra, sovietici, sindacalisti, avversari politici, obiettore di coscienza, omosessuali e ancora altre tipologie di persone diverse e colpevoli solo di esistere in quanto tali. È importante trasmettere la conoscenza degli eventi alle nuove generazioni partendo dal dialogo e da percorsi di memoria individuale e collettiva a partire dalla conoscenza di sé e degli altri, dei propri compagni di classe, degli insegnanti nell'ambito della comunità educante. Come sostiene Moni Ovadia, “La bella utopia” è un mondo dove non esistano patrie e nazioni, frontiere e burocrazie, limiti e confini, ma comunità educanti aperte all’accoglienza, al dialogo, al cambiamento rivoluzionario, al progresso costruttivo, senza stereotipi e pregiudizi, nel rispetto delle culture altre, nella coesistenza pacifica, che agevola il confronto tra diversità interculturali e differenze di genere ed intergenerazionali.
Dall'intolleranza al razzismo - I meccanismi sociali del razzismo
 Dall'intolleranza al razzismo
L'intolleranza consiste nell'atteggiamento abituale di chi avversa le opinioni altrui, specialmente in materia politica e religiosa. È un atteggiamento improntato ad una rigida e risentita chiusura dogmatica nei confronti degli altri, che si manifesta dalle origini dell'uomo, con la sottomissione degli schiavi, le persecuzioni degli eretici, l'antisemitismo e con fatti di violenza verso i migranti e i non comunitari.  L'intolleranza si manifesta anche contro i Sinti e i Rom perché gli abitanti delle nazioni che li ospitano si considerano appartenenti ad una patria costituita da una sola razza, poiché lo spirito nazionalistico li rende ostili a razze diverse.
Attualmente l'intolleranza ha raggiunto livelli non più sopportabili a causa della convivenza tra popoli differenti ed è motivata da un'ignoranza diffusa rispetto alle persone che la società reputa diverse, perché la gente ha sempre paura dell'ignoto e di tutto ciò che è estraneo e sconosciuto.  Un motivo che alimenta l'intolleranza è la mancanza di valori da parte delle persone che maltrattano i migranti e i non comunitari. […]
Anche in politica è diffusa l'ostilità. Infatti, in modo frequente, in televisione, nei dibattiti e nei telegiornali si può assistere a discussioni molto animate tra uomini politici e anche queste sono forme di intolleranza.
Sembra impossibile che dalle scoperte di Mendel, il mondo debba ancora essere turbato dal prolungato uso del concetto di razza, reso insostenibile dallo sviluppo della genetica moderna.

“La complessa opera di educazione e istruzione dello Stato popolare deve trovare il proprio coronamento nel riuscire a far diventare istintivo il sentimento di razza nel cuore e nel cervello della gioventù. Nessun fanciullo e nessuna fanciulla deve lasciare la scuola senza essersi reso conto fino in fondo dell'essenza della necessità della purezza del sangue”.


Queste parole di Adolfo Hitler nel Mein Kampf inducevano alle incredibili crudeltà dei campi di concentramento e di sterminio. La biologia moderna ha dimostrato che il concetto di razza e di sangue sono infondati. La genetica ha mostrato come non esiste una purezza di caratteri ereditari entro popolazioni umane. Nonostante questi fondamentali principi scientifici, si manifestano attualmente forme di razzismo nei confronti degli ebrei e di tutti i “meridionali” e i diversi del mondo.
Il termine razzismo indica l'ideologia che distingue la razza umana divisa in razze superiori ed inferiori e che prevede la supremazia della razza forte su quella più debole. […]  Attualmente e in passato, le vittime di questa ideologia razzista sono state la razza nera e quella ebrea. Il razzismo comporta pregiudizi, stereotipi mentali, presenti nella società, che se anche non necessariamente si esprimono in discriminazioni, possono essere sfruttati da movimenti politici radicali, che tentano di mobilitare in lotte assurde e incivili, in nome della supremazia del più forte sul più debole.
In Germania avvengono ancora manifestazioni neonaziste, dove, da una parte, si distinguono i nostalgici, i veterani di guerra, e dall'altra stanno invece giovani estremisti per cui il nazismo è un elemento di aggregazione. Questi ultimi, detti naziskin, hanno bisogno dell'autorità di un capo che li guidi e abbia capacità di scelta e dia loro l'impressione di essere forti e non avere paura di niente. L'intolleranza è diffusa e radicata nella nostra società, come violenza morale e fisica manifestata contro le persone portatrici di una diversità, tra cui gli ebrei, gli immigrati, le persone di colore, gli omosessuali.  L'intolleranza si manifesta in forma violenta e pericolosa. I naziskin si rifanno agli ideali nazisti di violenza e intolleranza contro una vasta gamma di tipologie di persone considerate inferiori e diverse.  In Italia, oltre al problema naziskin, esiste il razzismo che rappresenta l'intolleranza per eccellenza. Cosa è possibile fare per escludere questo problema dalla società? Risulta necessario eliminare le discriminazioni anche all'interno di uno stesso popolo, per esempio in Italia, tra settentrionali e meridionali, perché prima di giudicare occorre conoscere.
Il razzismo, che per anni è rimasto sotterraneo, tenuto a bada perché combattuto dai partiti di sinistra, dall'associazionismo cattolico, trova adesso legittimità, in un momento di crisi economica, politica e culturale, nei fenomeni di violenza di gruppo, nei gruppi di tifosi intolleranti, nelle ronde organizzate, che fomentano raduni per eliminare lo straniero, l'immigrato, il diverso. La crisi economica, morale e culturale che colpisce il nostro Paese rischia di travolgere anche le ultime trincee della solidarietà e dell'aiuto reciproco, dove il vero problema è quella sorta di indifferenza e di silenzio che ottenebra le persone.
Ciò che più meraviglia è che proprio l'Italia, un Paese risorto sulle ceneri del regime fascista, trova difficoltà a reagire al problema del razzismo e non riesce a trovare nella propria storia e nella sua memoria gli anticorpi per risolverlo. Stiamo perdendo la memoria storica e un popolo senza memoria non ha futuro. Cresce sempre il rischio che si diffondano maggiormente atteggiamenti razzisti come conseguenza dell'insicurezza generale che si vive con la crisi economica, morale e culturale. In un periodo di profonda incertezza politica, le paure vengono amplificate e cresce così la necessità di difesa. […] Tutti in un certo senso siamo razzisti, almeno implicitamente nei fatti, nel silenzio, nella debolezza delle reazioni, nella scarsa volontà di capire, nell'esibire striscioni razzisti allo stadio.
Il paradosso di questo nostro Paese è che la parola solidarietà appare vuota e inutile anche se viene costantemente ripetuta e gridata. Il razzismo si deve affrontare non solo sul piano politico e psicosociale, ma anche sul piano globale, a livello culturale.
L'oscuramento della ragione si deve all'aver accolto, forse all'inizio inconsapevolmente, per una scarsa coscienza morale, i miti dell'intolleranza fanatica, della disuguaglianza tra gli uomini e della conseguente riduzione dell'avversario a una condizione subumana e della convinzione della sovrumana qualità del proprio gruppo perennemente costretto a difendersi dall'oscura congiura dei sottouomini corruttori della propria razza primigenia e perfetta. L'ignoranza degli avvenimenti della nostra storia recente è causata non soltanto dai programmi scolastici e nemmeno dal poco tempo che rimane all'insegnante di storia, oppresso dalla vastità della materia, ma dalla coscienza civica di ogni singolo individuo nella scelta di trasmettere quanto è avvenuto con il dovere di ricordare. […]
Il contatto diretto con i protagonisti dei lager è l'aspetto più affascinante, ma anche pericoloso della storia orale perché inevitabilmente soggetto all'emotività. Quello che manca delle testimonianze è un quadro complessivo, una serie di narrazioni che permettano un paragone, un confronto tra diverse storie ed una racconto del quotidiano, delle giornate sempre uguali e spossanti, nell'obiettivo e nel fine ultimi del deportato: arrivare a sera, rimanendo vivo.
La resistenza alla spersonalizzazione e all'annientamento era costituita da piccoli episodi, che si presentavano ogni giorno e dovevano essere superati se si voleva, e poteva, evitare di essere sommersi. È possibile essere nazisti, in maniera praticamente inconsapevole, anche in un paese democratico, attraverso quella promozione istituzionale dell'aggressività che consiste nel far parte delle forze armate e di sicurezza, le quali sono considerate indispensabili anche in un paese che voglia mantenersi neutrale.  Forze di polizia ed eserciti rappresentano una riserva di aggressività istituzionalizzata e autorizzata, con il fine di conservare il sistema, generando dimestichezza e abitudine all'aggressività, confermando una cultura della violenza suffragata e dimostrata dai mass media.
Un altro esempio di promozione istituzionale è l'emarginazione. In ogni paese considerato civile sussistono organizzazioni pubbliche e private che si occupano istituzionalmente del controllo della devianza, che viene così messa sotto controllo per non nuocere e non creare problemi. Dunque occorrono dei devianti per attribuire al resto dei cittadini la patente di normalità. Questo accade nel nostro mondo equilibrato e civile come ha assunto connotazioni drammatiche nell'Europa nazista e attualmente ancora negli Stati in cui i diritti umani vengono sistematicamente negati e violati.
Il disimpegno è un altro esempio di promozione istituzionale che privilegia lo status quo, il noto, il già collaudato, le mode e la non partecipazione attiva, la stasi e la non consapevolezza. In questa mentalità sono inserite anche la scuola, le istituzioni politiche, culturali e religiose quasi a sottolineare che il pensiero sociale, progressista e lungimirante non paga, sia a livello individuale, sia collettivo.  Questo atteggiamento molto diffuso ha vantaggi in termini di governabilità, perché la banalizzazione dell'esistenza, la minaccia dell'emarginazione, se non si seguono le leggi della subcultura del proprio gruppo di appartenenza, l'aggressività e la violenza vissute come valore accettabile in determinati contesti, sono la risoluzione per governi mediocri, in lotta per la supremazia e per garantire a chi detiene il potere la minore opposizione possibile, dove i mass media sono in grado di pubblicizzare rapidamente il nemico e il capro espiatorio, come la minoranza etnica, l'atto terroristico, la catastrofe ecologica, fino al più banale dei fatti di cronaca. […] (pagg 19-21)

I meccanismi sociali del razzismo
In Europa, sono fattore di enorme preoccupazione le politiche repressive, così come gli atteggiamenti xenofobi e intolleranti, nei confronti dell'immigrazione clandestina e delle minoranze. Esempio di queste politiche e di questi atteggiamenti è la decisione del governo italiano di rendere reato l'immigrazione clandestina.
Le istituzioni hanno elaborato un sistema normativo contro i comportamenti intolleranti e razzisti. L'articolo 3 della Costituzione della Repubblica, in Italia, prevede che tutti cittadini abbiano pari dignità sociale e siano uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali. Rispetto a questi principi, si vieta di ricostituire il partito fascista e di diffondere idee razziste e l'incitazione alla discriminazione razziale.
Le indagini della scuola psicanalitica di Francoforte hanno cercato di individuare i tratti e le caratteristiche di una personalità orientata al razzismo, alla xenofobia e all'antisemitismo, considerando il pensiero rigido e la personalità autoritaria, come una sorta di ricettacolo per l'insorgenza del pregiudizio antisemita e razzista quali elementi di un pensiero standardizzato e conformista. […] I ragazzi allevati secondo lo stile educativo autoritario tendono a reprimere i sentimenti negativi nei confronti di genitori severi e a sviluppare un atteggiamento di sottomissione verso l'autorità, ma anche a proiettare contro persone più deboli le loro frustrazioni. La personalità autoritaria è caratterizzata da rigidità, stereotipi, incapacità di tollerare l'ambivalenza e il cambiamento.
Secondo Adorno, lo stereotipo antisemita e razzista è un potere completamente antiilluministico, naturalista, irrazionale e superstizioso che si afferma anche in una società razionale e tecnologica. Questo aspetto dell'analisi pone l'accento sulla personalità dell'individuo intollerante, mentre gli studi di psicologia sociale degli ultimi decenni accentuano e pongono in evidenza le dimensioni sociali del pensiero e del contesto che agevolano il formarsi dello stereotipo e del pregiudizio etnico e di genere. Palmonari sostiene che il naturale sviluppo di un'interazione fra l'attività cognitiva dei bambini e delle bambine, la risonanza emotiva e l'ambiente socio-culturale determinano l'insorgere delle categorie concettuali dello stereotipo e del pregiudizio. Le caratteristiche personali, quali la rigidità ed economicità di pensiero, le frustrazioni e la conseguente dimensione relazionale intraindividuale, determinano l'insorgere della concezione intollerante nella relazione. Dunque, quali sono i principali elementi che spiegano la nascita e l'evoluzione del pregiudizio, dell'intolleranza e dell'odio razzista e antisemita?
Gli studi sul pregiudizio sono riconducibili alle relazioni sociali e ai processi di categorizzazione che tendono ad amplificare le differenze tra i gruppi e rafforzare le somiglianze all'interno degli stessi. […] Alla base del pensiero prevenuto e preconcettuale, sussistono meccanismi di categorizzazione che permettono di inserire gli “altri”, automaticamente, in predefinite tipologie distinte per caratteristiche di genere, età, ceto sociale, etnia, e altro ancora. I pregiudizi che sorgono nei gruppi e fra i gruppi sono riconducibili alla teoria realistica del conflitto che evidenzia le contese sociali per l'utilizzo delle risorse e la competitività sul piano economico e politico. Il concetto di identità sociale è costituito dagli aspetti dell'immagine di sé che derivano dalle categorie sociali, di cui l'individuo percepisce l'appartenenza.
La teoria di Bandura, relativa al disimpegno morale, evidenzia i meccanismi tramite cui l'individuo arriva a compiere azioni immorali, giustificando il proprio comportamento, usando eufemismi, distorcendo le conseguenze, dislocando le responsabilità.  Inoltre, nella società autoritaria, monolitica e ideologica, strutturata in senso gerarchico, sono abituali i meccanismi di discriminazione. (…)
In tali contesti, come nella Germania nazista, è possibile osservare una progressione di azioni che muovono critica e dissenso contro il gruppo bersaglio, discreditandolo e autorizzando ripercussioni violente e brutali, giustificando il discredito stesso, perché tali atteggiamenti sfociano nella considerazione che il capro espiatorio costituisce una categoria sociale inferiore e degenerata. Fromm aveva evidenziato come nei regimi totalitari la vita e la sorte dei cittadini viene riposta nelle azioni politiche e nelle decisioni di un capo assoluto, dove la mancanza di condivisione democratica e di autonomia critica costituisce elemento di rischio per la possibile comparsa di meccanismi di distruzione. In situazioni di insicurezza sociale e di difficili condizioni di vita, le circostanze possono attivare sentimenti di ostilità e rivalsa nei confronti di persone percepite come responsabili di simili problemi.
Infatti, colpevolizzare gli altri, trasformarli in capri espiatori, diminuisce le proprie responsabilità.
Questi processi possono rappresentare motivo di conflitto e fomentare i fenomeni di antisemitismo, razzismo e xenofobia. […]
In ogni programma politico di contrasto del pregiudizio, assumono importanza la tipologia di struttura sociale, le disposizioni culturali, le condizioni economiche e sociali, la presenza di conflitto, i rapporti tra gruppi, la storia collettiva e le predisposizioni individuali.
In una società democratica, dove sono in atto meccanismi di condivisione e partecipazione alle decisioni, tramite la considerazione della cittadinanza attiva, nell'autonomia critica, soprattutto tramite il rilievo posto all'istruzione scolastica e alla libertà degli ambiti di stampa, risulta possibile considerare la presenza di anticorpi atti a prevenire gli elementi che ingenerano lo stereotipo, il pregiudizio e la discriminazione che, inevitabilmente innescano meccanismi di distruzione e atrocità collettive.
Attualmente tutto questo non appare così scontato, a causa delle degenerazioni del gioco democratico, rischio sempre presente in caso di affidamento totale delle istituzioni al capo carismatico e anche perché il meccanismo del capro espiatorio agisce in condizioni di crisi sociale, morale e politica e di insicurezza e di incertezza istituzionale. […] (pagg. 50-52)
 Laura Tussi
 Indice del volume
Capitolo I. Il dovere di ricordare - Capitolo II. Educare alla cittadinanza contemporanea - Capitolo III. La pedagogia del dialogo – Bibliografia - Sitografia.
Laura Tussi
Il dovere di ricordare.
Dalla Shoah all’attualità dell’intercultura
EDIZIONI ARACNE
2010

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