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mercoledì 30 novembre 2011

LUCIO MAGRI: SE NE E' ANDATO CON DIGNITA', COME AVEVA VISSUTO

Traggo dal blog Vento Largo dell'amico Giorgio, il bel articolo di Franco Astengo sul suicidio di Lucio Magri




mercoledì 10 febbraio 2010

Lucio Magri, Il sarto di Ulm


Quasi alle soglie degli ottant'anni Lucio Magri prova a confrontarsi con una realtà complessa e contradditoria come è stata la storia di quello che fu il più grande partito comunista dell'Occidente. Bilancio dell'agire politico di un'intera generazione, ripensamento critico di un lunga militanza e al contempo riflessione impietosa sullo stato della sinistra oggi: tutto questo è "Il sarto di Ulm", di cui Franco Astengo ci offre una stimolante lettura.


Franco Astengo


Un confronto di analisi politica


Molto banalmente si può indicare nel "Sarto di Ulm: una possibile storia del PCI" (edizione "Il Saggiatore), il testo attraverso il quale Lucio Magri torna dopo qualche tempo a far sentire la sua voce rivolgendosi ai militanti della sinistra italiana, un lavoro di ricostruzione storica condotto sul piano dell'analisi politica: si può facilmente intuire, affermando ciò, come si tratti di una operazione del tutto controcorrente, rispetto ai canoni ormai imperanti oggi.


La "politica" (questa "brutta bestia") è tratta infatti, ormai, soltanto in funzione strumentale cercando di semplificare al massimo i ragionamenti al puro e semplice scopo di avvalorare una tesi piuttosto che un'altra, usando il linguaggio massimamente semplificatorio dei mezzi di comunicazione di massa ed adeguandosi, quindi, ad un livellamento analitico che, molte volte, fa pensare alla semplice propaganda, quando non all'improvvisazione pura e semplice: non parliamo, poi, della memorialistica, usata quasi sempre ai fini del filtrare "l'io" dei protagonisti in confronto ai fatti accaduti e quasi mai interpretata come strumento per verificare, attraverso la memoria, i momenti di intervento collettivo, di soggettività condivisa, di costruzione dei grandi dibattiti e di assunzione di responsabilità rispetto alle scelte.


L'eretico Lucio Magri (radiato con il "Manifesto" nel 1969, poi segretario del PdUP fino alla metà degli anni'80, alla fine organizzatore, tra gli altri, del fronte del "no" che si oppose, all'inizio dell'ultimo decennio del XX secolo, alla liquidazione del partito) si misura, quindi, ancora una volta controcorrente proprio sul piano più delicato, quello del metodo analitico, ed affronta tutti i passaggi di questa lunga e complessa storia seguendo l'antico schema che partiva, ogni volta, dall'esame del quadro internazionale, dai suoi risvolti sulla situazione interna, fino al ruolo del partito, alla sue proposte da declinare, attraverso l'intervento attivo dei militanti, giù, giù, fino alla politica locale, se non addirittura di quartiere; uno schema che era usato a tutti i livelli, dal Comitato Centrale alla sezione e che costituiva, nel suo procedere, l'essenza stessa della vita di un grande partito ad integrazione di massa, ne formava il riscontro concreto del suo essere "comunità militante".


Naturalmente il testo di Magri è ricco di una articolata "pars destruens", laddove (con "il senno di poi" come ammette l'autore, con largo spazio ad accenni autocritici sollevati anche, a propositi, di alcuni passaggi che furono dirimenti nello svilupparsi delle diverse fasi della prospettiva politica) non mancano gli accenti fortemente critici sulle scelte compiute (fin dal ruolo assunto dal PCI nei governi di solidarietà nazionale dell'immediato dopoguerra, fino al giudizio e all'atteggiamento tenuto verso il primo centrosinistra, e alla valutazione del compromesso storico) ed una analisi molto raffinata sulle origini del PCI negli anni'20, dal rapporto con l'Ottobre sovietico, alla particolarità del lascito gramsciano.


L'economia del discorso di oggi non mi permette di entrare al meglio nel merito di questa parte, preferendo invece soffermarsi su quella che può essere definita come "pars costruens": prima di tutto, davvero sotto l'aspetto della realtà del partito così come questa si è modificata con il passaggio da "partito di massa" a partito, prima "professionale elettorale" e poi a "partito leggero" (pensiamo all'adozione delle primarie nel PD e alla formula specifica, adottata in questa direzione, dell'intreccio tra voto degli iscritti e voto dei potenziali elettorali per determinare gli equilibri interni al partito).


Una trasformazione tanto più negativa perché avvenuta sull'onda di un un mutamento profondo nello stato delle relazioni complessive tra società civile e sistema politico, comune in tutto l'Occidente ma particolarmente acuto nel "caso italiano", che ha aperto - sostanzialmente - la strada al populismo imperante.


Nel testo elaborato da Magri l'esposizione dell'itinerario attraverso il quale si è realizzata, in breve tempo, questa trasformazione e la dispersione di forze, intelligenze, capacità di militanza che ne è derivata sono sottolineate con grande forza (si parla, al momento dello scioglimento del PCI, di tre scissioni: quella relativa al PDS, quella relativa a Rifondazione Comunista e quella, la più importante, relativa all'abbandono della vita di politica di centinaia di migliaia di militanti: una defezione che riguardò, principalmente, la gran parte della realtà di quei quadri intermedi che rappresentavano l'asse portante dello sviluppo del dibattito e dell'azione del partito).


Ebbene: scrivere di questo fenomeno (del tutto decisivo, nei futuri sviluppi della vicenda politica della sinistra italiana) significa già avanzare una richiesta ed una proposta di nuova riflessione su questo terreno, ponendosi - appunto - come interlocutore diretto sul piano della stretta attualità politica, verso chi davvero sta ripensando alla necessità di una nuova presenza nella soggettività della sinistra italiana.


In egual modo, forse anche in una dimensione maggiormente pregnante, vanno lette le pagine che Magri dedica alla "svolta" di Berlinguer, all'inizio degli anni'80, quelli della proposta di "alternativa democratica".


Forse, in questo caso, non è superato del tutto il rischio di una certa enfatizzazione: ma vale la pena di ricordare come i tre pilastri sui quali, sul piano teorico, quella svolta si realizzò sono individuati come il recupero del conflitto di classe (dalla vicenda Fiat dell'80, alla emblematica battaglia sulla scala mobile); la questione morale, l'autonomia dallo schema dominante di relazioni internazionali sulla linea della pace e di una originalità nella costruzione europea (pensiamo alla battaglia contro i missili a Comiso).


Ebbene, senza dilungarci ulteriormente, una domanda conclusiva: soltanto rievocazioni finalizzate a sostenere la tesi di un PCI fatto morire prematuramente e al di fuori da un contesto di possibile modificazione e innovazione positiva del suo portato politico, oppure indicazioni, sommarie ma preziose, per una prospettiva futura?


Il dibattito, se qualcuno ha interesse, è aperto.

lunedì 28 novembre 2011

CIAO, SAVERIO. OGGI E' MANCATO SAVERIO TUTINO



archivio dei diari di pieve santo stefano



28 novembre 2011 - newsletter n. 230




Caro Saverio,


la tua scomparsa, oggi, lunedi’ 28 novembre 2011 lascia tutti noi appesi, perplessi, pieni di insicurezze. Abbiamo ricordi condivisi con te, dalla prima edizione del Premio Pieve ad oggi, da riempirci un intero archivio. Una volta hai voluto scrivere sul libro delle firme “Saverio eredita piu’ di quello che ha creato. Grazie a tutti voi”.

Ma siamo noi a doverti dire grazie per un’infinita’ di cose che non troverei mai le parole e il tempo per elencarle tutte.


Credo sia giusto che tutte le persone che ti hanno stimato, voluto bene, e che sono in debito di riconoscenza con te per la tua straordinaria, folle, geniale idea di creare un archivio di memorie del quale continueremo a prenderci cura con ancora maggiore responsabilita’, sappiano che non ci sei piu’ ma che rimarrai sempre nei nostri cuori e nella nostra mente.


Consegneremo a tua moglie Gloria e a tutta la tua famiglia i messaggi che arriveranno in tuo ricordo, insieme con l’abbraccio piu’ affettuoso di tutto l’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano


Loretta Veri

NOI SIAMO CHIESA A PROPOSITO DELLA LEGGE SUL TESTAMENTO BIOLOGICO

NOI SIAMO CHIESA
Via N. Benino 3 00122 Roma
Via Soperga 36 20127 Milano
Tel. 3331309765 --+39-022664753
E-mail vi.bel@iol.it


Il progetto di legge sul testamento biologico è in stand-by. Ma allora i vescovi abbiano l’intelligenza e le prudenza di fare subito e finalmente un passo indietro perché sia possibile nel tempo scrivere un testo ampiamente condiviso, accettando le mediazioni necessarie. La posizione di “Noi Siamo Chiesa”


La nuova situazione politica ha modificato le prospettive relative all’iter del disegno di legge sul testamento biologico (che noi avevamo chiamato “ddl Bagnasco-Calabrò” attribuendo così al Presidente della Conferenza Episcopale un ruolo da primo protagonista di questo testo). Dopo le audizioni in ottobre degli operatori sanitari e di altri esperti in Commissione Igiene e Sanità del Senato, in gran parte critici anche in conseguenza dei peggioramenti introdotti dalla Camera in luglio, il testo era in calendario per l’aula a fine ottobre (e poi a metà novembre) per essere definitivamente approvato e promulgato. Il testo era considerato “blindato”, cioè senza possibilità di emendamenti per evitare di dover ritornare alla Camera con tempi che sarebbero diventati imprevedibili e, quindi, a rischio. Era nel conto sia la ripetizione di uno scontro duro ma anche, alla fine, la sua definitiva approvazione, a soddisfazione di tutta quell’area del mondo cattolico che aveva condotto la campagna sul caso Englaro con alla testa gran parte dei vescovi e, in particolare, tutto l’associazionismo che aveva dato vita al Family Day nel maggio 2007. Era data per scontata in tal modo la “rivincita” sull’esito del caso Englaro e si otteneva così un risultato importante, come conseguenza diretta dell’alleanza con il centrodestra. Si può infatti dire, con ragione di causa, che uno dei principali motivi dei troppo prolungati silenzi nell’ultimo anno delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti delle politiche della maggioranza sia stata proprio il desiderio che niente (crisi di governo od elezioni anticipate) potesse disturbare il varo definitivo di questa legge.


In modo abbastanza imprevisto, le cose sono andate diversamente e le posizioni non sono più monolitiche nell’area di chi aveva appoggiato, con grande accanimento e senza vera volontà di dialogo, la legge. Infatti da una parte c’è il Movimento per la vita, Scienza e Vita, il Forum delle associazioni famigliari, altri movimenti e alcuni parlamentari con la ex-sottosegretaria Eugenia Roccella che si appellano alla maggioranza parlamentare di prima per ottenere il varo immediato e definitivo del ddl, sostenendo che il nuovo governo non ha alcun programma nè alcuna autorità in materia di bioetica; dall’altra c’è il neoministro per la Salute Renato Belluzzi che si affida al Parlamento ma auspicando che “queste tematiche perdano il carattere divisivo avuto fino ad ora”. Posizione simile è quella di Pierferdinando Casini che spera in un anno e mezzo di decantazione, da oggi alle elezioni del 2013, per avvicinare le diverse posizioni; egli sostanzialmente pensa che il ddl debba finire su un binario morto per questa legislatura. Il leader dell’UDC fa capire che abbandona questa battaglia in conseguenza di una prospettiva generale, quella della tregua politica e dell’affermazione di un terzo polo equilibratore in una situazione di emergenza economica e sociale. Si andrebbe così nella direzione del superamento del bipolarismo etico, che, da molti e da tanto tempo, è stato auspicato, sia da parte cattolica che da parte “laica”.


In questa situazione , ancora del tutto aperta e in presenza delle divisioni descritte, ci sembra che sia del tutto determinante la posizione che prenderà la Presidenza della CEI e, personalmente, il Card. Bagnasco o in forme esplicite o di semplice desistenza silenziosa dalla “campagna” portata avanti fino ad ora. Ci permettiamo di esprimere alcune considerazioni ed alcuni punti di vista:


--Il testo attuale, se approvato in via definitiva dal Senato, porterebbe, con certezza, a un contenzioso interminabile davanti alla magistratura e alla stessa Corte Costituzionale e, forse, a un referendum abrogativo. La legge sarebbe progressivamente svuotata e sarebbe fonte per un lungo periodo di animosità nei confronti della Chiesa, contribuendo in tal modo ad oscurare anche gli aspetti positivi del suo intervento sociale e soprattutto la sua primaria funzione evangelizzatrice;


--si aprirebbe una profonda spaccatura all’interno del mondo cattolico perché verrebbe in luce, più di quanto non sia avvenuto fino ad oggi, la inconsistenza, anche dal punto di vista teologico, delle posizioni sostenute in materia di fine vita dalla CEI, in contraddizione sia con affermazioni dello stesso Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 sia con la linea di altri episcopati. In caso di referendum si costituirebbe sicuramente un’area di “cattolici per il SI all’abrogazione”;


--si mortificherebbe il nuovo protagonismo di cattolici in politica proposto (in modo, a nostro giudizio, discutibile) nell’incontro di Todi di metà ottobre. Quale compito di dialogo e di mediazione potrebbero avere laici tenuti a dare esecuzione a vincolate “campagne” di tipo legislativo su questa e su altre questioni ?

Nell’ambito di queste riflessioni “Noi Siamo Chiesa” ripete ancora, nella nuova situazione, quanto ha lungamente argomentato nei suoi testi : i vescovi abbiano la sapienza e la prudenza di fare, nelle forme più opportune, un passo indietro, ritirandosi dall’appoggio al testo in discussione e favorendo nel paese un clima che permetta di arrivare nel tempo necessario a una soluzione ampiamente condivisa in rapporto con la cultura “laica” e tenendo in considerazione le posizioni emerse in alcune legislazioni europee.


Vittorio Bellavite
coordinatore nazionale di “Noi Siamo Chiesa”
Roma, 28 novembre 2011


Il documento che tratta in modo organico la posizione di “Noi Siamo Chiesa” sul testamento biologico è leggibile su http://www.noisiamochiesa.org/?p=553 

domenica 27 novembre 2011

Qualcosa su Proudhon



Una pagina di DIEGO FUSARO


Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) elaborò una forma di socialismo antiborghese e anarchico; nato a Besancon, in un primo tempo lavorò in una tipografia, poi, nel 1840, pubblicò la prima memoria sulla proprietà ( Che cos'é la proprietà? ), dedicata all'Accademia di Besancon che la sconfessò, nel 1841 la seconda memoria, dedicata a Blanqui (che sarà esponente politico del movimento socialista nel governo provvisorio del 1848, sostenitore di una poletica in cui il giacobinismo era commisto al marxismo), e nel 1842 la terza, immediatamente sequestrata. Accusato di attentato alla proprietà privata e alla religione e di incitamento all'odio per i governi, fu assolto; nel 1844 a Parigi entrò in contatto con Bakunin e Marx, con il quale però tuttavia ruppe ben presto i rapporti. Nel 1846 pubblicò il Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della miseria , a cui Marx non tardò a rispondere con la Miseria della filosofia. Nel 1848 Proudhon prese parte alla rivoluzione, fu redattore del giornale "Le Représentant du Peuple" e venne eletto nell'Assemblea costituente, ma l'anno successivo, avendo attaccato Luigi Bonaparte (il futuro Napoleone III), fu condannato a tre lunghi anni di prigione. Nel 1851 pubblicò la Filosofia del progresso e, nel 1859, Sulla giustizia considerata nella rivoluzione e nella Chiesa . Anche quest'opera, forse la sua più importante, fu immediatamente sequestrata ed egli fu di nuovo condannato a tre anni di prigione. Per evitarla si rifugiò a Bruxelles e solo nel 1862 tornò in Francia. Tra i suoi ultimi scritti vanno ricordati La guerra e la pace (1861) e Sul principio federativo (1864).


Proudhon é radicalmente contrario al principio economico del "lasciar fare"; contrariamente a quanto pensava Marx, egli ritiene che l'economia non poggi ancora su basi scientifiche, essa piuttosto deve essere diretta dalla volontà umana e subordinata ad obiettivi superiori, in primis alla giustizia . La storia é il dominio della libertà , che ha il proprio fine nella realizzazione della giustizia. Sono però possibili due diversi modi di concepire la giustizia, come risultato di un'imposizione da parte di un'autorità esterna superiore all'individuo o come facoltà dell'individuo stesso di riconoscere le pari dignità di ogni altro individuo. Nel primo caso si pretende di realizzare la giustizia a discapito della libertà individuale, ma Proudhon respinge la legittimità di ogni tipo di autorità superiore all'individuo, e precisamente di quella di Dio in ambito religioso, dello Stato nella sfera politica e della proprietà in quella economica: di qui il suo radicale anarchismo , che significa letterariamente "rifiuto di ogni potere". Lo Stato, in particolare, é considerato un'istituzione assurda o illegale, finalizzata alla scopo, da parte di alcuni, di sfruttare i propri simili tramite la forza, così come la proprietà privata é finalizzata allo sfruttamento del lavoro altrui. Ogni individuo ha invece il diritto di godere della massima libertà, a patto che uguale libertà sia riconosciuta anche a tutti gli altri. Sulla base della libertà e della giustizia, come riconoscimento della pari dignità altrui, é possibile, secondo Proudhon, la libera organizzazione di una società mutualistica , in cui i lavoratori, in quanto produttori, si scambiano i prodotti, in modo da costruire un tutto armonico. Il perno di essa é la famiglia: Proudhon, infatti, considera il matrimonio indissolubile ed é contrario all'emancipazione femminile . In questa nuova forma di società lo Stato e le sue leggi finiscono per scomparire e la loro funzione può essere assolta da contratti liberamente stipulati, volti a risolvere i problemi della convivenza. Sarà così possibile l'instaurazione della giustizia, che é agli antipodi del nazionalismo e della guerra, negazione di ogni rispetto per la dignità umana.


Al pensiero di Proudhon si richiamarono movimenti e pensatori anarchici, come Bakunin e Kropotkin. La critica mossa da Proudhon alla proprietà privata (definita come "un furto" per il fatto di non trarre la propria origine dal lavoro, ma da un'indebita appropriazione) é feroce, come feroce é anche quella mossa alla statalizzazione, considerata come la massima espressione dell'oppressione, incompatibile con la libertà e con la giustizia; ed ecco allora che, come accennato, in antitesi al liberismo (forma di individualismo selvaggio) come al socialismo di stato (forma di oppressione collettiva), Proudhon immaginava una società basata sulla libera cooperazione tra i lavoratori, sia sul piano produttivo sia su quello assistenziale, attraverso associazioni di solidarietà.


Un ringraziamento a Diego Fusaro
Per approfondire Proudhon vedi il suo link (esterno)
"La filosofia e i suoi eroi"

a proposito di siria: una petizione di peacelink

Alessandro Marescotti a
diverse liste



PUOI FARE QUALCOSA ANCHE TU.

Le Nazioni Unite questa volta devono impedire bombardamenti e massacri e favorire una mediazione neutrale e un cessate il fuoco tra le parti.



FIRMA la petizione e diffondila










---

Alessandro Marescotti


Sostieni la telematica per la pace, versa un contributo sul c.c.p.

13403746 intestato ad Associazione PeaceLink, C.P. 2009, 74100 Taranto

(TA)



--

Mailing list Disarmo dell'associazione PeaceLink.

Per ISCRIZIONI/CANCELLAZIONI: http://www.peacelink.it/mailing_admin.html



Si sottintende l'accettazione della Policy Generale:

sabato 26 novembre 2011

BOSSI FINI: UN ABOMINIO GIURIDICO DA ABROGARE:**Italia, donna senegalese denuncia stupro: viene rinchiusa nel Cie**


Da peacereporte.net 25/11/2011


L'incredibile vicenda rivelata delle associazioni nella Giornata
mondiale contro la violenza alle donne.


In occasione della Giornata mondiale contro la violenza alle donne le associazioni Migranda e Trama di Terre hanno deciso di divulgare la terribile storia di Adama, migrante senegalese derubata, stuprata e ferita dal compagno,la quale, dopo aver denunciato la violenza subita,
è stata portata dalle forze dell'ordine nel Centro di identificazione ed espulsione di Bologna, dov'è rinchiusa dal 26 agosto. Quando Adama si è presentata dai carabinieri in cerca di aiuto, è stata trovata senza i documenti di soggiorno in regola e, come disposto dalla legge
Bossi-Fini, è stata accompagnata immediatamente al Cei.


"Secondo la legge Bossi-Fini Adama è arrivata in Italia
illegalmente. Per noi è arrivata in Italia coraggiosamente, per dare
ai propri figli rimasti in Senegal una vita più dignitosa", scrivono
le due associazioni sul proprio sito, con un appello, alle donne e
alle istituzioni, perché Adama sia liberata, le sia concesso un
permesso di soggiorno "che le consenta di riprendere in mano la
propria vita", e perché gli italiani non rimangano indifferenti ai
drammi di molti clandestini.

nota mia:
la bossi-fini è una vera schifezza: deve essere abrogata!
Perchè non lanciamo una campagna per l'abrogazione di questa legge iniqua e vergognosa, razzista e fascista?

venerdì 25 novembre 2011


Lettere dal silenzio - prefazione di Duccio Demetrio



In occasione della giornata Internazionale per l'Eliminazione della violenza contro le donne che ricorre il 25 novembre, pubblichiamo la prefazione di Duccio Demetrio al libro


Lettere dal silenzio


Storie di accoglienza e assistenza sanitaria di donne che hanno subito violenza, di Massimo Michele Greco, uscito recentemente.


Il problema è riuscire a vedere quello che già c’è.
L’esperienza è ciò che è già successo.
L’esperienza, come l’amore e l’odio, comincia a casa;
in camera da letto, in cucina.


Hanif Kureishi, (1999), Da dove vengono le storie? Riflessioni sulla scrittura, Bompiani, Milano


L’esperienza della violenza abita ogni luogo, non risparmia nessuno. Si insinua dove crediamo di non vederla, di non infliggerla. Talvolta è strisciante e silenziosa, talaltra si accanisce con fragore sulla carne, sugli oggetti, sul visibile e l’invisibile di cui ciascuno di noi è fatto. Schianta e abbruttisce la vittima e l’aggressore. Si scatena nelle stanze private, all’aperto, negli spazi che dovrebbero accudire, curare, guarire. Di tutto facciamo per fingere che non esista, che sia stata domata. La cronaca nera diventa eccitante soltanto ormai, se le mani dell’assassino, se chi violenta la libertà, il diritto, la giustizia nelle sale di velluto del potere, escogita modi nuovi per farne commercio. Usarla a proprio vantaggio. I raptus, hanno sempre una premeditazione. Che si è silenziosamente nutrita di violenze di ogni specie. Covando vendette e stili di vita a propensione aggressiva, pur ineccepibili. I raptus sono abusi che covano sotto la pelle, nella storia della gente che crede di essersene dimenticata. La violenza è bianca, non è soltanto corrusca. Viene disinfettata e ripulita, a dovizia per coprire le sue impronte: perché non turbi le nostre coscienze o mostrata nelle sue oscenità per eccitare i nostri giorni annoiati. Assassini non sono soltanto chi uccide. Sono i giorni spesi a vendere il nulla, a comprare la felicità e a rivenderla a torturarci. Se la violenza palese possiamo tentare di fermarla, opponendoci ad essa con la forza della legalità; l’altra, la brutalità coperta da ogni artista, artigiano, truccatore addetto alle finzioni, è subdola. Tanto più, per questo, si presenta dotata di maggiore penetrazione educativa; si presenta performativa, come cultura quotidiana che per sopravvivere dobbiamo accettare e respirare. La violenza non comunica infatti soltanto attraverso la profanazione dei corpi. É tale anche quando li ignora, li rende invisibili, li tacita. Impedisce loro ogni racconto. Non li racconta, non sa mostrare un bagliore di misericordia. Ma, in tal modo, persino l’esperienza della violenza, che lascia tracce indelebili nel corpo e nell’animo, finisce col perdere ogni senso, non emerge da se stessa. Non ci è dato ex-perirla. Traendola fuori dalle cortine fumogene, dagli incensi delle apparenze, per mostrarla in tutta la sua scomoda, impudica, verità.


Come ci dice lo scrittore anglo-pakistano Hanif Kureishi, se non vuoi vedere quello che c’è sotto i tuoi occhi, in fondo, non esiste, né esisterà mai. Rapidamente ingoiato da un oblio che anticipa le cose e gli eventi. Non cibandosi solamente di passato. La fuga dalla esperienza, soprattutto della violenza, la virtualizzazione spinta nella quale galleggiamo finti incorporei, connota il nostro tempo, anche perché non riusciamo più a narrarla in prima persona. Non soltanto per prudenza, paura del ricatto e della ritorsione. Siamo rispetto a tutto a tal punto narrati non per amicizia, piuttosto per spersonalizzare fisicità e coscienze, da essere tornati in una società ad oralità “mutila”. Certamente per censura, in una miriade di casi, ma per disabitudine a raccontare in altrettanti. Poiché se non c’è esperienza vissuta, viene meno la capacità di dotarsi delle risorse minime per raccontare quanto ci accade. Per essere quei “narratori feriti”, che non rinunciano ad entrare nelle loro piaghe. Non solo violenza, però: anche il meglio, il buono, della vita, l’amore profondo, l’amicizia si rassegnano alle nostre incapacità.


Ecco perché libri come questo, che fanno narrare le molteplici orme della violenza sulle donne, nulla tacendo per altro della reciproca vessazione tra i sessi nella loro millenaria (la peggiore) storia, ci aiutano a ritrovare la via di una parola oggi così in disuso. Non c’è esperienza se non possiamo guardarla in volto. Quale esso sia, e – ancor meno – essa è nelle condizioni di manifestarsi, costruita e decostruita dal linguaggio, se non diventa storia, racconto e soprattutto scrittura autobiografica. Nondimeno coraggio nell’alzare la voce, nel dispiegarla finalmente rendendo più durevoli le parole, grazie ad un’umile penna tra le dita. Soprattutto se qualcuno ti aiuta a sorreggerla, ci tiene la mano come alla bambina oltraggiata che sei tornata ad essere. Spiegandoti la sua importanza vitale, non fittizia o superflua, ti pone domande discrete che ti incoraggino ad esporre, ad aver fiducia in quello che vai facendo seppur inusuale. Tanto più se saprà garantirti che quanto scriverai non si perderà nel vento, volando via come le parole che non hanno peso. Quelle scritte invece lo hanno ben di più. La scrittura, che sa portarci altrove nella leggerezza della poesia, ha anche la pesantezza della pietra. Mai da scagliare contro chicchessia per chi aborra ogni tipo di violenza. Da lasciare incisa con ogni parola capace di evocare la tragicità del mondo ed anche le vie di salvezza. Del resto, su quelle superfici si iniziò a scrivere: ad inventare graffiti che non si disperdessero; tracciando solchi capaci di resistere al tempo e di tramandare esperienza. Mostrandoci che quella pressione della mano è gesto che sa raccontare anche verità, le più personali e segrete, per trasformarle in coralità di denuncia.


Le testimonianze qui raccolte, protette dalla pagine di questa ricerca dall’indubbio valore etico, ancora una volta, dimostrano che contro la violenza, il maltrattamento, il sopruso, la partecipazione – e un libro come


questo ci invita a cercarla in ogni dove – è l’unica via giusta. Perché partecipando, scambiandosi storie, altre ne nascono sempre e si potranno scrivere, sottraendo il male alla sua beffarda banalità.


Duccio Demetrio

giovedì 24 novembre 2011

In India muore un bimbo ogni 20 secondi. Save the Children lancia campagna: 'Nessun bambino nasca per morire'


Cari lettori,
vi propongo un esperimento di psicologia sociale: leggete questo post e poi il precedente (o viceversa, come preferite) e registrate le vostre reazioni...

dal sito www.ansa.it

di Maria Grazia Coggiola


Nonostante la crescita economica record, l'India ha una delle piu' alte mortalita' infantili al mondo con 1,73 milioni di bambini che muoiono prima del quinto compleanno a causa di malattie facilmente curabili, come dissenteria e polmonite. Si tratta di una media terrificante: un bambino ogni 20 secondi. E' quanto ha ricordato l'organizzazione non governativa internazionale Save the Children nel lanciare una nuova campagna popolare per convincere il governo ad aumentare la spesa della Sanita' pubblica e prevenire quindi semplici malattie attraverso campagne di vaccinazione e facile accesso alle medicine di base.


L'iniziava, chiamata 'No Child Born to Die' ('Nessun bambino nasca per morire'), si prefigge di chiedere con una petizione al governo di New Delhi di dedicare il 5% del Pil alla sanita' (attualmente e' dell'1,1%). ''In Paesi come Nepal e Bangladesh, l'aumento della spesa per i servizi sanitari ha portato a una forte diminuzione dei decessi infantili'' ha dichiarato la responsabile Shireen Vakil Miller durante la presentazione avvenuta a New Delhi e a cui ha partecipato l'attrice e femminista Shabana Azmi, che e' anche ambasciatrice per l'Onu.


''Ho scritto una lettera al vicepresidente della commissione per la pianificazione Montek Singh Ahluwalia per chiedere che sia aumentato il budget per la Sanita' nella prossima legge finanziaria'' ha detto la star di Bollywood. Secondo dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanita', il 41% delle morti infantili, ovvero 900 mila bambini (dato 2009), sono neonati nel primo mese di vita. Una delle principali cause di morte e' una semplice influenza che si trasforma in polmonite perche' non curata in tempo. Secondo un recente studio pubblicato dalla prestigiosa rivista medica Lancet e relativo al 1995-2010, l'India ha il piu' alto numero di bambini con meno di cinque anni uccisi da polmonite.


E' un triste record mondiale che si affianca a quello del 43,5% dei bambini che risultano sottopeso, una percentuale che non si riscontra nemmeno nell'Africa sub sahariana. In un recente saggio di copertina sul settimanale Outlook, l'economista indiano premio Nobel Amartya Sen e il suo collega Jean Dreze evidenziavano come l'India sia stata superata da Bangladesh e Nepal per molti indicatori sociali nonostante questi due Paesi abbiamo un reddito procapite decisamente inferiore. ''Dopo 20 anni di rapida crescita - scrivono - l'India rimane uno dei Paesi piu' poveri al mondo, un fatto spesso ignorato soprattutto da parte della minoranza che gode di una qualita' di vita elevata grazie alla diseguaglianza nella distribuzione del reddito''

mercoledì 23 novembre 2011

Blindati e carri armati, la "shopping list" della Difesa costa 500 milioni


http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/23/blindati-carri-armati-shopping-list-della-difesa-costa-milioni/172552/


Blindati con cannone da 120 mm per dieci milioni di euro. “Veicoli tattici medi multiruolo” per altri 157 milioni di cui sette da stanziare entro l’anno. E ancora 198 milioni di euro per 477 veicoli tattici leggeri “lince” da comprare entro il 2013. E poi “sistemi acustici per la localizzazione delle sorgenti di fuoco”, barriere antisfondamento, veicoli automatici di perlustrazione per altri 56,3 milioni. Sono soldi che l’Italia spenderà entro fine anno in armamenti e che si potrebbero destinare ad altro subito, oggi stesso. Perché alla commissione Difesa della Camera, nel pomeriggio, atterrano i cinque programmi di acquisto per armamenti militari del valore di 500 milioni di euro per essere votati e passare in giudicato. Il capogruppo Idv Augusto Di Stanislao ha presentato una mozione per chiedere di fermare lo “shopping” militare e rivedere i programmi di spesa in scadenza: entro il prossimo 3 dicembre, infatti, quella partita di carri e veicoli leggeri, deve ricevere l’approvazione formale.


Si torna a parlare di manovre “lacrime e sangue” per recuperare 30 miliardi in due anni. Ma il settore delle spese militari è cresciuto nel 2010 dell’8,4%, con una spesa addizionale di 3,4 miliardi di euro. Il conto generale sale a quota 20.556,9 milioni di euro, corrispondente all’1,283% del Pil e che colloca l’Italia all’ottavo posto al mondo per spese militari. Ringrazia l’industria bellica nazionale, che anche negli ultimi anni di crisi generale ha presentato saldi in decisa crescita. Ad esempio, nel 2009, quando l’economia ha iniziato a segnare il passo, il settore della produzione bellica ha registrato un fatturato record da 3,7 miliardi, superando perfino la Russia nella corsa agli armamenti. E non è tutto. Perché oggi si discute di cinque programmi d’acquisto relativi alle forze di terra, ma da qui al 2026 sul bilancio dello Stato ne incombono ben 71, tra i quali spiccano i 121 caccia F35 che costeranno 16 miliardi (80 sono già stati acquistati, ne manca l’ultima tranche) e sono da tempo oggetto di polemiche e proteste.


I cinque programmi in discussione sono il frutto di un più ampio progetto di digitalizzazione delle forze di terra avanzato dal Ministero della Difesa nel 2009 e inserito nel Programma pluriennale di spesa. Punta a digitalizzare mezzi, sistemi e componenti di una Forza NEC (Network enabled capability). Manna dal cielo per chi produce mezzi di questo tipo, cioè tutta la grande industria italiana che va a braccetto con la politica per ottenere commesse sicure in un business sussidiato con soldi pubblici per centinaia di milioni. Tra i principali beneficiari dello “svecchiamento” del parco blindati spiccano infatti i big dell’industria nazionale: Iveco, Fiat, Oto Melara, Finmeccanica, Fincantieri, AugustaWestland. La Società Consortile Iveco Fiat-Oto Melara, ad esempio, produce i veicoli leggeri su cui si vota oggi. Sempre Iveco, stavolta insieme alla tedesca Klauss Wegmann Mafei, realizza la piattaforma dei 40 veicoli tattici multiruolo da 157 milioni. Ma buona parte delle commesse sono proprio per quella Finmeccanica Spa finita nella bufera per tangenti, finanziamenti illeciti ai partiti e commesse “politiche” è stato ascoltato l’ex ministro Giulio Tremonti, mentre proprio ieri il capo del governo Mario Monti ha espresso preoccupazione e il leader del Pd Bersani ha chiesto l’azzeramento dei vertici. La holding italiana opera nel settore della difesa sia con la joint venture MBDA (con una quota del 25%), prima azienda europea nel campo dei sistemi missilistici, sia con le società direttamente controllate Oto Melara, che produce mezzi corazzati e artiglieria terrestre e navale, e WASS, leader mondiale nei siluri. I sistemi per le operazioni interforze a supporto dei comandi nelle missioni multinazionali (in sigla C41I) sono prodotti proprio da Finmeccanica per 76 milioni di euro. E ancora la nazionale AgustaWestland che produrrà elicotteri NH90 e EH-101 per oltre 200 milioni.


Ma quella che si discute oggi è solo lista della spesa relativa alle forze di terra, una goccia nel mare delle spese militari. La shopping-list italiana va ben oltre tra interforze e aeronautica. Sono ancora in corso i programmi di acquisto relativi al 2010. E ce n’è per tutti i gusti. Solo nell’area interforze prevedono una spesa da 900,5 milioni di euro. I capitoli più pesanti sono relativi allo sviluppo del velivolo Joint Strike Fighter JSF (158,9 milioni di euro), altri 60 milioni per il velivolo da pattugliamento marittimo MMPA, la realizzazione dei C4I di Finmeccanica di cui si è detto, e del sistema WIMAX per l’accesso a reti di telecomunicazioni a banda larga e senza fili da 170,5 milioni. I principali programmi terrestri (813,6 milioni) sono relativi all’industrializzazione ed alla produzione degli elicotteri NH-90 (154,3 milioni), l’approvvigionamento di Veicoli tattici leggeri multiruolo (127,1 milioni), la realizzazione del sistema missilistico superficie/aria terrestre FSAF (48,7 milioni), l’acquisizione dell’elicottero da trasporto medio (68,7 milioni) e degli obici semoventi (63 milioni) e altri ancora. Nell’ambito dei programmi navali sono previste spese per 770,3 milioni. Quelle più rilevanti riguardano l’acquisizione della nuova nave portaerei Cavour a Fincantieri (52,7 milioni), di due fregate antiaeree di scorta classe Orizzonte (84,4 + 11,2 milioni) e dei sommergibili di nuova generazione U212 (110,4 milioni), oltre che l’ammodernamento di mezza vita di unità navali (22,7 milioni). Ci sono poi programmi relativi agli elicotteri NH90 (165,7 milioni) e EH-101 (45,4 milioni), nonché l’acquisizione del sistema missilistico superficie/aria FSAF (23,7 milioni). Nell’aeronautica si prevedo investimenti per 931,9 milioni, le quote più consistenti sono riservate allo sviluppo e acquisizione dei velivoli Eurofighter 2000 (57,1 milioni), all’ammodernamento strutturale dei velivoli Tornado (184,1 milioni), alla realizzazione di una serie di sistemi C4I (55,9 milioni), ai sistemi missilistici ATBM MEADS (42,8milioni) e IRIS/T (29,5 milioni) nonché all’acquisizione di velivoli rifornitori B767 Tanker (27,6 milioni) e di velivoli da trasporto (51,4 milioni).


Se i politici possono fare qualcosa oggi stesso, fermando o razionalizzando gli acquisti bellici, c’è anche una società civile che si è già mobilitata per dire il suo “no”. Sui contestati F35 continuano le manifestazioni e le contestazioni con tanto di raccolta firme (circa 50mila quelle raccolte via web e con petizione su carta) per chiedere di fermare l’acquisto dei nuovi caccia. Molti Paesi hanno rinunciato a tale programma e gli stessi Usa hanno tagliato drasticamente le spese militari. Un’altra iniziativa importante è quella lanciata da padre Alex Zanotelli, il missionario comboniano di origine trentina che ha promosso una petizione contro un ulteriore incremento della spesa per il parco armamenti tricolore.

I BAMBINI 'STRANIERI' NATI IN ITALIA: MARONI SI VERGOGNI!

Ho letto che l'ex ministro Maroni ha definito la proposta di attribuire la cittadinanza italiana ai figli di stranieri nati in Italia come un provvedimento che stravolgerebbe la Carta Costituzionale.
Ridicolo! vorrei ricordare, che, come ho già scritto più volte, è la lega ad essere incostituzionale in quanto partito secessionista. E allora, cosa vuole?
Del resto, è in buona compagnia: Libero scriveva che 'Napolitano vuole adottare i clandestini', tacendo il fatto che questi ragazzini,a meno che non abbiano un lavoro e una casa (di cui i requisiti previsti dalla Bossi Fini neanche molti italiani possono dichiarare di avere) a 18 anni diventano automaticamente clandestini -sempre per effetto della Bossi Fini...e allora?
Si vergognino e abbiano il buon senso di tacere!

Campagna per i diritti di cittadinanza e il voto. Adesione critica



Nati in gran parte in questo Paese, solo al compimento della maggiore età si vedono riconosciuto il diritto a chiederne la cittadinanza. Il luogo di provenienza dei loro genitori è lontano, spesso non ci sono mai stati. A loro, alle loro famiglie, vengono per lo più frapposte soltanto barriere. Limitazioni insormontabili e ingiustificate, che danno luogo a disuguaglianze, ingiustizie e persecuzioni.


L’articolo 3 della nostra Costituzione stabilisce il principio dell’uguaglianza tra le persone, impegnando lo Stato a rimuovere gli ostacoli che ne impediscano il pieno raggiungimento. Ma nei confronti di milioni di stranieri questo principio è disatteso.


Noi, uomini e donne che considerano l’uguaglianza valore fondante di ogni democrazia e la decisione di persone di origine straniera di diventare cittadini/e italiani/e una scelta da apprezzare e valorizzare, siamo convinti che la battaglia per il riconoscimento dei diritti di ogni individuo sia decisiva per il futuro del nostro Paese.


Tutti e tutte dobbiamo assumercene la responsabilità e operare perché l’Italia sia più aperta, accogliente e civile.


Per questo ci impegniamo a:


1. Promuovere in ogni ambito l’uguaglianza tra persone di origine straniera e italiana.


2. Agire a tutti i livelli affinché gli ostacoli che impediscono la piena uguaglianza tra italiani e stranieri vengano rimossi, determinando le condizioni per la sua concreta realizzazione.






3. Promuovere la partecipazione e il protagonismo dei migranti in tutti gli ambiti sociali, lavorativi e culturali. Siamo infatti convinti che esercizio della cittadinanza significhi innanzitutto possibilità di partecipare alla vita e alle scelte della comunità di cui si fa parte.


4. Avviare un percorso che porti alla presentazione in Parlamento di due proposte di legge di iniziativa popolare:


- una proposta di legge che riformi la normativa sulla cittadinanza, aggiornando i concetti di nazione e nazionalità sulla base del senso di appartenenza ad una comunità determinato da percorsi condivisi di studio, di lavoro e di vita.

- una proposta di legge che riconosca ai migranti il diritto di voto nelle consultazioni elettorali locali, quale strumento più alto di responsabilità sociale e politica. A sostegno di quanto proposto, ricordiamo che la Convenzione europea sulla Nazionalità del 1997 già chiedeva agli Stati di facilitare l’acquisizione della cittadinanza per “le persone nate sul territorio e ivi domiciliate legalmente ed abitualmente”.

Sentiamo l’urgenza di riportare il tema della cittadinanza all’attenzione dell’opinione pubblica ed al centro del dibattito politico; per farlo, intendiamo impegnarci con una raccolta di firme e l’organizzazione di eventi e iniziative capaci di sollecitare organizzazioni e singoli a dar vita ad un movimento trasversale e unitario sul tema del diritto di cittadinanza.


Facciamo appello alle Istituzioni, alle forze politiche e sociali, al mondo del lavoro e della cultura, a tutte le persone che vivono in Italia, affinché ognuno svolga il ruolo che gli compete per costruire un futuro di convivenza, giustizia e uguaglianza in cui a ogni individuo che nasca e viva nel nostro Paese sia consentito di essere a tutti gli effetti cittadino/a italiano/a.


Comitato promotore


ACLI
ARCI
ASGI – ASSOCIAZIONE PER GLI STUDI GIURIDICI SULL’IMMIGRAZIONE
CARITAS ITALIANA
CENTRO ASTALLI
CGIL
CNCA – COORDINAMENTO NAZIONALE DELLE COMUNITÀ D’ACCOGLIENZA
COMITATO 1° MARZO
COORDINAMENTO NAZIONALE DEGLI ENTI LOCALI PER LA PACE E I DIRITTI UMANI
EMMAUS ITALIA
FCEI – FEDERAZIONE DELLE CHIESE EVANGELICHE IN ITALIA
FONDAZIONE MIGRANTES
IL RAZZISMO È UNA BRUTTA STORIA
LIBERA
LUNARIA
RETE G2 – SECONDE GENERAZIONI
SEI UGL
TAVOLA DELLA PACE
TERRA DEL FUOCO
CARLO FELTRINELLI, editore
GRAZIANO DELRIO, sindaco Reggio Emilia (presidente)


Prime adesioni


REGIONE EMILIA ROMAGNA
REGIONE LIGURIA
REGIONE PUGLIA
REGIONE TOSCANA


Info
www.litaliasonoanchio.it , info@litaliasonoanchio.it
tel. +39 348 655 4161

nota mia:
"Timeo Danaos etiam donas ferentes": "temo i Greci, anche quando portano  doni", diceva la buona (e inascoltata Cassandra) a proposito del cavallo di Troia.
Ovviamente, sono estremamente favorevole alla cittadinanza a chi nasce sul territorio italiano. Come ho già scritto, io i confini li abolirei, come abolirei le patrie e i nazionalismi...L'ho detto e scritto in più seddi: bambini nati qui, che hanno frequentato scuole italiane, guardano (ahimè) tv italiane, giocano con gli indigeni, hanno amici italiani, parlano (purtroppo) solo la lingua italiana, sono costretti ad essere 'stranieri' da una legge imbecille e razzista (la Bossi Fini che ha sostituito l'altretanta sciagurata legge Turco Napolitano che, tanto per dirne una, aveva creato i CPT, prigioni poi sostituite dai CIE del leghista Maroni). Ad Albenga ci sono due Circoli Didattici: in questa situazione si gtrovano in uno il 62% , nell'altro il 51 % dei bambini 'stranieri. Gente dicevo 'italiana' che, a 18 anni, magicamente, diventa 'straniera'. Roba da pazzi.
Andrebbe anche rivisto il concetto di cittadinanza: nell'epoca, apertasi con la Rivoluzione Francese, delle Dichiarazioni Universali (si badi bene) dei Diritti dell'Uomo, del Fanciullo, del Disabile, ecc., i diritti sono solo dei cittadini e non di tutti: e quelli che cittadini non sono, cosa diventano, non-persone?

Però c'è qualcosa che non capisco: primo perchè si tiri fuori ora la questione. La lega è l'unica forza di opposizione al governo Monti (almeno in Parlamento). E' in crisi nera, si sta spaccando, si sta frantumando (ci hanno frantumato i marroni per anni col federalismo, con Roma ladrona, coi terroni, col dio Po, ecc. ecc....un po' per uno!).
Non vorrei che tutto questo, desse alimento ai movimenti leghisti, paraleghisti e fascisti per scatenarsi; che fosse uno stratagemma per distrarre l'opinione pubblica e 'bruciare' una tematica così importante...
...espressi questi dubbi, aderirò anch'io a questa campagna, rimanendo un po' perplesso...

lunedì 21 novembre 2011

I radar con tangente di Selex Sistemi Integrati

di Antonio Mazzeo


Bufera giudiziaria su Selex Sistemi Integrati, l’azienda leader nella produzione di sistemi radar civili e militari, guidata da Marina Grossi, moglie del presidente di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini. La Procura della repubblica di Roma ha ordinato l’arresto del direttore tecnico Manlio Fiore, nell’ambito dell’inchiesta su una decina di appalti assegnati a Selex dall’Enav, l’ente nazionale di assistenza al volo. In carcere è finito pure il commercialista Marco Iannilli, mentre sono stati ordinati gli arresti domiciliari per l’amministratore delegato dell’Enav Guido Pugliesi.


Al vaglio del pubblico ministero Paolo Ielo l’ipotesi che i lavori assegnati dal 2005 al 2010 a Selex (e poi subappaltati ad altre società come Print System, Arc Trade, Techno Sky, ecc.) siano stati sovrafatturati per creare un fondo “nero” da cui attingere per le tangenti e le regalie da distribuire a consulenti, amministratori pubblici e cassieri di partiti politici. L’inchiesta vede indagati, tra gli altri, la stessa amministratrice Marina Grossi, per reati fiscali e corruzione, Pier Francesco Guarguaglini per “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture” e Lorenzo Borgogni, responsabile delle relazioni esterne del gruppo Finmeccanica, per il reato di illecito finanziamento ai partiti. Al direttore dell’aerea vendite di Selex Sistemi Integrati, Manlio Fiore, viene contestato invece di essere stato lo “snodo operativo” per la costituzione del cosiddetto sistema Enav, il meccanismo di attribuzione di commesse che “attraverso illeciti rapporti personali con i poteri pubblici e privati” garantiva “contribuzioni illecite” di denaro con l’uso delle sovrafatturazioni. Secondo gli inquirenti, Fiore sarebbe intervenuto pure per dirimere una controversia tra Selex Sistemi Integrati e l’onnipotente holding statunitense Lockheed Martin a cui l’Enav ha affidato l’installazione di un radar passivo nell’aeroporto di Trieste. La commessa “contrastava gli interessi della Selex che tale radar aveva in sperimentazione con un programma finanziato dall’Aeronautica militare”, scrivono i magistrati romani. “Per tale ragione intervenne personalmente Manlio Fiore sia pure dovendo sopportare, secondo quanto riferì allo stesso Tommaso Di Lernia della Print System, l’onere di 300.000 euro per “consulenze” che aveva dovuto promettere a tale Di Nardo, rappresentante italiano della Lockheed”.


Le “false” fatture sarebbero state emesse, in particolare, in occasione dell’ammodernamento degli impianti radar dell’aeroporto di Palermo Punta Raisi. Il commercialista Marco Iannilli (collaboratore dell’ex consulente globale di Finmeccanica, Lorenzo Cola, già condannato per l’affare Digint, un colossale giro di denaro riciclato nelle banche di Hong Kong e Singapore), ha ammesso che per i lavori nello scalo siciliano, nel 2009 “Selex emise nei confronti di Enav fatture per circa 10 milioni di euro per lavori non eseguiti”. “Enav aveva necessità di implementare i costi e Selex di fare fatturato e anche qui sono intervenuti i consueti rapporti di pagamento tra Tommaso Di Lernia e l’amministratore delegato dell’Enav Pugliesi”, ha verbalizzato Iannilli. Gli inquirenti sospettano che i surplus delle operazioni Selex-Enav siano finiti pure in mano ad alcuni partiti politici. A fine gennaio 2010, Di Lernia avrebbe prelevato 206 mila euro da un conto in una banca di San Marino per consegnarli successivamente al tesoriere dell’Udc Pippo Naro, parlamentare originario di Militello Rosmarino (Messina) e stretto collaboratore di Gianpiero D’Alia, presidente del Gruppo Udc al Senato. Naro ha respinto ogni addebito anche se ha ammesso che in un incontro con l’amministratore di Print System, questi gli avrebbe promesso un contributo finanziario in vista di una competizione elettorale. Lernia, però, non avrebbe mantenuto l’impegno.


Sul sistema creato all’interno di Finmeccanica per “retribuire” amministratori pubblici e partiti ha parlato in particolare il superconsulente Lorenzo Cola. Nel corso di due interrogatori in carcere, il 19 novembre e il 22 dicembre del 2010, Cola ha indicato come dispensatore di tangenti, il dirigente della holding Lorenzo Borgogni. “Il suo lavoro era quello di tenere i contatti con i politici che avevano i rapporti con le società del Gruppo”, ha dichiarato. “Borgogni era a conoscenza, fin da epoca remota, del sistema di pagamento delle tangenti da parte dei fornitori di Selex Sistemi Integrati. Lui stesso era beneficiario di una parte di queste tangenti”. Interrogato, Lorenzo Borgogni ha ammesso la “contropartita” che l’azienda assicurava alle personalità politiche che agevolavano l’assegnazione di un appalto. Soldi e non solo. “Chiedevano incarichi di consulenza per familiari o persone di fiducia e anche assunzioni per i figli o per altri familiari”.


Negli atti della procura di Roma c’è un passaggio che riguarda uno dei ministri più potenti dell’ultimo governo Berlusconi. “Nella vicenda Optomatica, società che ha ottenuto commesse dall’Enav senza gara, vi era l’interesse del ministro dei Trasporti Altero Matteoli”, scrive il Gip. “Tale società avrebbe finanziato una fondazione che faceva capo a Matteoli”. Per una strana coincidenza del destino, proprio nei giorni in cui esplodeva l’inchiesta Selex-Enav, il ministro Matteoli e l’ad Marina Grossi inauguravano nella base della Marina militare di Messina il centro di formazione nazionale per il Vessel Traffic Management and Information System (VTMIS), il nuovo sistema di sorveglianza marittima realizzato dalla Selex Sistemi. Il VTMS è la rete radar più estesa al mondo: un centinaio d’impianti per la copertura di 7.500 km di coste italiane, come dire un impianto ogni 75 km. Costo complessivo, 400 milioni di euro. Sviluppato per conto del ministero dei Trasporti e della Guardia costiera, il sistema è stato cofinanziato con i fondi “PON Trasporti” dell’Unione europea, nonostante abbia scopi prevalentemente militari ed integri i centri di comando, controllo, comunicazioni e intelligence delle forze armate italiane e Nato.


Gli affari più recenti di Selex Sistemi Integrati non riguardano solo le forniture all’ENAV o alla Guardia costiera. In occasione del Vertice G8 tenutosi a L’Aquila dall’8 al 10 luglio 2009, l’azienda è stata contrattata dal Dipartimento della Protezione civile per la progettazione e l’implementazione del “sistema integrato” tra i sensori C3 impiegati dai ministeri della difesa e dell’interno e dall’Arma dei Carabinieri per la sicurezza dell’evento. “La tecnologia made in Italy di Finmeccanica rappresenta un supporto di straordinario valore a sostegno di attività fondamentali per la buona riuscita del G8 de L’Aquila”, fu il commento di Guido Bertolaso, al tempo gran capo della Protezione Civile. “La diversità dei servizi che Finmeccanica ha messo a disposizione è un contributo di grande importanza per l’intero sistema della protezione civile italiana, impegnata sia nella gestione del summit, sia nelle attività di assistenza alla popolazione della provincia de L’Aquila colpita dal terremoto”.


Lunga la lista delle commesse ottenute dalle forze armate italiane. Nel marzo 2009, Selex ha firmato con la Direzione generale delle telecomunicazioni, dell’informatica e delle tecnologie avanzate della difesa (Teledife) un contratto di oltre 260 milioni di euro per la consegna, entro il 2014, di dodici radar RAT 31 DL per la sorveglianza aerea a lunga portata (dieci in configurazioni fissa FADR e due in quella mobile DADR). “Il sistema ha eccellenti capacità di scoprire e tracciare i segnali radio a bassa frequenza di aerei e missili”, spiegano i manager di Selex. “In Italia, i radar consentiranno di controllare anche la presenza di missili balistici, comunicheranno con gli altri punti di controllo nazionali e della Nato, riducendo la necessità di personale e quindi dei costi di gestione”. Il primo impianto è entrato in funzione presso la 112^ Squadriglia Radar Remota di Mortara (Pavia). Gli altri undici saranno installati nei centri dell’Aeronautica militare di Borgo Sabotino (Latina), Capo Mele (Savona), Crotone, Jacotenente (Foggia), Lame di Concordia (Venezia), Lampedusa, Marsala, Mezzogregorio (Siracusa), Otranto, Poggio Renatico (Ferrara) e Potenza Picena (Massa Carrara).


In qualità di team leader dell’associazione temporanea con la SAAB Microwave SA, Selex Sistemi Integrati consegnerà a Teledife pure cinque sistemi radar controfuoco per la “sorveglianza del campo di battaglia” e la “localizzazione delle sorgenti di fuoco avversarie”. Il contratto ha un valore di 83 milioni di euro e prevede pure la gestione di attività di formazione agli operatori, il supporto all’installazione del sistema e la sua integrazione con i centri di comando e controllo SIACCON, precedentemente forniti all’Esercito. I radar potranno cooperare con i velivoli non pilotati (UAV) e i sistemi di comando e controllo della Nato. A 238 milioni di euro ammonta invece l’ordine della Direzione generale armamenti terrestri (giugno 2010) per dotare le forze armate italiane del sistema digitalizzato Forza NEC (Network Enabled Capability) che consentirà il “massimo scambio di informazioni operative, tattiche e logistiche da ogni veicolo e da ogni singolo uomo dislocato sul terreno”. Il programma è gestito con altre società di Finmeccanica (Selex Elsag, Selex Galileo, Oto Melara, MBDA Italia ed AgustaWestland) e prevede in particolare, la “realizzazione e integrazione di posti comando su shelter e veicoli, apparati di comunicazione, comando e controllo per soldati, veicoli e velivoli non pilotati, sistemi per l’interoperabilità completa in ambito Nato e UE, con particolari vantaggi nelle operazioni fuori area”.


A Selex Sistemi Intergrati andranno infine 5,1 milioni di euro per l’aggiornamento dei sistemi di pianificazione di missione volo IAF-MSS (Italian Air Force Mission Support System) da installare a bordo dei cacciabombardieri “Tornado” dell’Aeronautica. Il sistema Italia rischia la bancarotta ma guai a tagliare i sistemi di guerra.


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domenica 20 novembre 2011

ITALIA: DECRETI CHE DISCRIMINANO I ROM SONO STATI GIUDICATI ILLEGITTIMI

Amnesty International ha chiesto alle autorita’ italiane di porre fine alle misure discriminatorie contro le persone rom dopo che il piu’ alto organo giurisdizionale amministrativo del paese ha dichiarato illegittimi i decreti relativi all’’emergenza nomadi’.

Il Consiglio di stato ha decretato la fine dell’  emergenza nomadi’, che ha esposto le comunita’ rom a gravi violazioni dei diritti umani da quando e’ stata introdotta tre anni fa.
‘Porre fine all‘emergenza nomadi’ e’ un passo nella giusta direzione, questa era illegittima e non sarebbe dovuta mai essere stata dichiarata’ – ha affermato Nicola Duckworth, direttrice del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty International: ‘Il governo italiano ha ora la responsabilita’ di fornire rimedi effettivi a tutte le famiglie rom che hanno subito sgomberi forzati e altre gravi violazioni dei diritti umani durante  ‘l’emergenza nomadi’’.


Nel maggio 2008, il governo italiano dichiaro’ uno stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunita’ nomadi nelle
regioni di Lombardia, Campania e Lazio.


Questo per affrontare, presumibilmente, ‘una situazione di grave allarme sociale, con possibili ripercussioni per la popolazione locale
in termini di ordine pubblico e sicurezza’.
L’emergenza e’ stata successivamente estesa alle regioni di Piemonte e Veneto.


Sulla base dell’’emergenza nomadi’, ai prefetti dei capoluoghi delle regioni interessate e’ stato conferito il potere di agire in deroga alla legislazione che protegge i diritti umani e gli sgomberi forzati delle comunita’ rom sono stati molto frequenti ed eseguiti con sempre maggiore impunita’.
‘L’ 'emergenza nomadi' ha esposto migliaia di rom a violazioni dei diritti umani e ha aggravato la discriminazione nei loro
confronti’ – ha aggiunto Duckworth.
‘Il nuovo governo italiano deve porre fine a politiche e pratiche discriminatorie che colpiscono persone rom da anni. Questa di sicuro non e’ la fine della storia, ma puo’ essere un nuovo inizio’.






FINE DEL COMUNICATO
Roma, 18 novembre 2011
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sabato 19 novembre 2011

L'impegno nella solitudine (Adriana Zarri)


di Filippo La Porta


in “Il Sole 24 Ore” del 23 ottobre 2011


Siamo sicuri che il ritiro e la solitudine ci portino sempre lontano dagli altri, dalla società? Un eremo non è un guscio di lumaca di Adriana Zarri (con contributi di Rossana Rossanda), meditazioni di una donna - intellettuale, teologa, protagonista di battaglie civili (divorzio, aborto), polemista sui media - che, pur senza farsi suora, ha scelto dal 1975 l'eremitaggio in una cascina
abbandonata di campagna, ci invita a riformulare il vetusto concetto di "impegno" e ci costringe a riflettere su un bisogno umano solitamente negletto, quello di appartarsi. Vediamo le due questioni, benché tra loro intrecciate, separatamente, senza soffermarci sui complicati rapporti tra le pratiche di preghiera indicate nel libro e la liturgia ufficiale.


L'autrice, scomparsa giusto un anno fa, ci comunica di vivere la fraternità in solitudine. Apparentemente si tratta di una dichiarazione contraddittoria, o quantomeno azzardata. È un programma? L'enunciazione di un buon proposito? A me sembra semplicemente il resoconto di un'esperienza personale. Con l'eremitaggio ha appreso in primo luogo una cosa: non pensare al dopo ma «consegnarsi totalmente» a quanto si sta facendo. Attraverso il lavoro quotidiano (è contadina, casalinga e scrittrice) e attraverso il contatto con gli animali, con le piante, eccetera si lascia «impastare di mondo», si dispone a una «accoglienza universale». E anzi, come sottolinea, ha imparato a collocarsi nel suo vero posto, e dunque a realizzarsi «non solo nella comunità umana ma nella più vasta comunione cosmica». Ora, chi deve essere considerato più "impegnato"? Chi passa la vita a organizzare e mobilitare gli altri, a collegare tra loro le minoranze attive, a sentirsi così sempre "protagonista" della Storia, magari più fedele a un Progetto che al Prossimo, oppure chi riscopre la relazione con l'altro in una solitudine («piena di presenze») che affida al caso visite e incontri imprevisti. I mutamenti reali infatti sono quasi sempre quelli inconsapevoli e non voluti: «la morte non si programma, si aspetta quietamente, come si aspetta la vita». Adriana Zarri,
scegliendo questa forma particolare di monachesimo laico, ispirato agli anacoreti (ma senza l'alone penitenziale), non si è voluta chiudere in una tomba: piuttosto riceve amici e conoscenti (specie nella seconda dimora, a Cà Sàssino), intrattiene scambi epistolari, incontra persone quando va al
mercato in automobile... Il suo stile di vita rifugge qualsiasi eccezionalità "esemplare" o le bizzarrie spesso associate alla santità. La scelta del deserto (relativo) e della povertà aiuta Adriana Zarri a «far emergere il male del mondo», per analizzarlo e combatterlo più lucidamente. In ciò ha forse
interpretato al meglio l'idea di impegno, che è soprattutto verso di sé e verso la verità: soltanto se uno riesce a immergersi dentro il proprio io può trovare - a una profondità insondabile - il noi, e così percepire la tangibile unità con gli altri, e all'interno di questa la dimensione della polis.


E veniamo al bisogno cui accennavo all'inizio. In L'uomo che non credeva in Dio Eugenio Scalfari osserva a un certo punto che l'ingiustizia più intollerabile è il non essere riconosciuti. Va bene, soltanto il riconoscimento sociale fonda il valore dell'essere umano, almeno all'interno di una
dialettica formulata compiutamente dalla filosofia idealistica. Ma il  «riconoscimento» è poi degenerato in un ansia di visibilità a tutti i costi, mescolandosi al desiderio di potere e di successo. E se invece il valore dell'essere umano dipendesse da altro, da una capacità di relazione con se stessi e con il tutto, con quella più vasta (e misteriosa) «comunione cosmica»? E se dipendesse dall'esperienza dell'eterno, ovviamente «come un uomo può farla sulla terra»? Nicola Chiaromonte, anche lui come Scalfari, esponente - assai più radicale - di quella Terza Forza politicamente sconfitta nella nostra storia, sosteneva che occorre riconoscere il diritto a «vivere nascosti», un tempo considerato principio di saggezza e oggi perseguitato fino nell'intimo dalla invadenza dei media. E, ovviamente, vivere nascosti, senza perciò doversi sentire emarginati o stravaganti o colpevolmente asociali. L'eremitaggio di Henry David Thoreau - durato un paio di anni e assolutamente laico - testimoniato in Walden - esprimeva una semplificazione gioiosa della vita, la scelta di una essenzialità che non è mai percepita come privazione. Ora, a scegliere di vivere nascosto è anzitutto il singolo, non un gruppo organizzato. È al livello del singolo che si gioca dunque la «salvezza», la capacità di donare un senso all'esistenza, di sperimentare la «spontaneità del bene», come dice Adriana Zarri, «dopo aver provato l'istintività del male».


Adriana Zarri, Un eremo non è un guscio di lumaca, Einaudi,Torino, pagg. 268. € 19,50


tratto da http://www.teologhe.org/index.php?option=com_weblinks&catid=190&Itemid=226