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lunedì 10 gennaio 2011

Mosaico dei giorni

Globalizzare la competizione dei diritti

10 gennaio 2011 - Tonio Dell'Olio



Non sono un industriale e pertanto non so pensare come un industriale. Non sono un sindacalista e non conosco il dettaglio dei contratti in discussione in questo momento nel nostro Paese. So che globalizzazione della produzione e competitività sono le parole chiave degli accordi e del dissenso. Semplicemente mi chiedo: perché globalizzazione e competizione devono necessariamente coniugarsi con la convenienza e non con i diritti? Diritti che sono riconosciuti e validi da noi, dovrebbero esserlo in ogni parte del mondo. Globalizzazione e competizione sui diritti sarebbe forse la leva migliore per un mondo migliore per tutti e tutte. Non una contrattazione nazionale ma, in un mondo globalizzato, una contrattazione sovranazionale. Allora sì la competizione avverrebbe esclusivamente sulla qualità e non sulla convenienza (dei padroni delle industrie e dei consumatori) perché il parametro sarebbe quello dei diritti. Mi spiego: non deve essere consentito a nessuna nazione importare prodotti che affamano, umiliano, degradano i lavoratori e le lavoratrici. E se la qualità della vita e dei posti di lavoro, le ferie e le pause, la malattia retribuita e la pensione dignitosa... sono diritti qui, devono diventarlo anche in Cina, India, Thailandia, Vietnam e Ucraina. Oggi sta succedendo esattamente il contrario e persino in Italia gli operai sembrano costretti a rinunciare a parte dei propri diritti sotto la minaccia e lo spettro della chiusura e del licenziamento. Troppo difficile? Troppo semplice? Forse solo troppo. Per chi ha a cuore la borsa più della vita.






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Nota mia
Neanch'io sono un industriale e ho poco dimestichezza con il 'sindacalese' però se mi ponessero di fronte alla seguente scelta: 'Abbiamo deciso una cosa, che lede i tuoi diritti. Se l'accetti bene; se non l'accetti me ne vado in Canada'. Come dovrei comportarmi se non definirla ricatto?
Ed è Marchionne che si comporta così;  ed è questo che accettano i sindacati (tranne la FIOM).
E' un vecchio trucco -che ahimè funziona sempre- si truccano le carte per fare in modo che chi non è d'accordo sia sempre quello che ci fa rimettere tutti gli altri. E nessuno vede il trucco che c'era all'inizio. Peccato che se passa il marchionismo, ci rimettiamo tutti, ma proprio tutti, noi lavoratori dipendenti, giovani precari, pensionati, ecc. ecc.
Quello che mi fa un po' incazzare non è che Marchionne guadagni come 4.600 operai (o erano 6.400?), che guadagni così tanto (oddio, un po' sì), che guadagni.  Ma quello che mi stupisce (usiamo questo eufemismo) non è il Marchionne, ma sono quei 4.600 (o 6.400) che stanno zitti, che barattano i loro diritti per il lavoro, precludendo il futuro ai loro stessi figli.
Margarete Von Trotta, regista tedesca, aveva fatto un film, se non ricordo male, che si intitolava "L'arma degli uomini è la pazienza delle donne"; sostituiamo 'donne' a 'operai' e 'padroni' a 'uomini' e il gioco è fatto. Fino a quando?



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