Pagine

mercoledì 29 febbraio 2012

EBREI IN ITALIA

Ebrei in Italia



A Roma dal 168 A.E.V. ambasciatori dalla Giudea


La storia degli ebrei italiani incomincia a Roma, forse nel 300 A.E.V, ma le prime tracce ufficiali della loro presenza risalgono al 168 A.E.V., quando la Giudea chiede al Senato romano un’alleanza nella guerra contro i Seleucidi.


Tra il 168 e il 139 A.E.V. Gerusalemme manda a Roma diverse ambascerie, e dietro gli ambasciatori vengono i mercanti, gli artigiani, gli studiosi, i viaggiatori. A loro si aggiungeranno, dopo il 63 A.E.V., i prigionieri di guerra fatti da Pompeo nella campagna militare romana conclusa con l’occupazione di Gerusalemme.


Gli ebrei presenti in Italia intorno a quegli anni (forse 30.000 nella capitale e 40/50.000 in tutto il paese su una popolazione globale di 4 o 5 milioni di abitanti) hanno in comune non tanto una “nazionalità”, concetto che doveva farsi strada nel mondo assai più tardi, quanto una religione. Osservanti di precetti rigorosi là dove è diffuso un certo lassismo, gli ebrei costituiscono un interrogativo e un problema. Interrogativo per quanto riguarda i loro usi e costumi, così diversi da quelli romani, problema per quanto riguarda, ad esempio, l’osservanza del sabato, “luogo” sacro agli ebrei, che include tra gli obblighi anche quello di non effettuare alcun lavoro. Tuttavia gli ebrei s’inseriscono bene nella società romana, offrendo sostegno politico a Giulio Cesare, che ricambia questa simpatia, e quando assume il potere riconosce alla comunità ebraica il diritto di osservare liberamente i precetti religiosi e di seguire le norme alimentari rituali.


Dopo il 70 da cittadini a profughi


Un cambiamento nella vita della comunità ebraica italiana si produce nel 70, quando cessa in Giudea ogni parvenza di sovranità. Gerusalemme ribelle è rasa al suolo dalle legioni di Tito e il Tempio è distrutto. I prigionieri affluiscono a Roma a migliaia. La fine della Giudea trasforma gli ebrei da cittadini in profughi.


Quando insorgono le prime dispute tra gli ebrei-cristiani (i primi adepti della nuova religione sono raccolti più tra gli ebrei che tra i pagani) e gli ebrei-ebrei, i disturbi provocati all’ordine pubblico provocano l’espulsione da Roma dei primi e dei secondi, senza distinzione. Con Diocleziano la “carta dei privilegi” di Cesare viene un po’ alla volta mutilata. Infine, se Roma politeista e pagana poteva tollerare tutte le credenze, dopo Costantino Roma monoteista e cristiana non può accettare alcuna concorrenza, perché la nuova religione rappresenta al meglio l’elemento politico unificante di un impero incrinato.


Incomincia così il lungo calvario ebraico nei secoli.


Bene gli Ostrogoti, meglio Arabi e Normanni


Ma dove si trovano gli ebrei in Italia nel 313? Una parte ancora a Roma, ma forti colonie sono presenti un po’ ovunque e specialmente nel Meridione, a Pompei, a Capua, a Fondi, nelle Puglie, in Calabria e in Sicilia. Le prime discriminazioni statuali contro gli ebrei sono adottate dall’imperatore Costantino che vieta le conversioni all’ebraismo e proibisce agli ebrei di avere schiavi cristiani. Sono vietati i matrimoni misti e agli ebrei s’impongono corvées. La propaganda antiebraica porta immancabili frutti. Viene data alla fiamme una sinagoga a Tortona, in Piemonte, poi, nel 368, una a Roma e un’altra ad Aquileia.Nel 476, quando cade l’Impero Romano d’Occidente, gli ebrei si trovano sparsi in tutta Italia, a Bologna, Ferrara, Trieste, Torino, e in molti centri minori. Le invasioni barbariche – Visigoti, Vandali, Unni – costituiscono per ebrei e non ebrei, motivo di sofferenze. A riportare un minimo d’ordine nel paese sono gli Ostrogoti, il cui grande re Teodorico riesce, a cavallo tra il 400 e il 500, a stabilire un certo equilibrio tra la sua gente vittoriosa e quella italica dominata. Ed anche per gli ebrei sono decenni di relativa tranquillità, perché Teodorico ridimensiona il potere dei vescovi. Alla sua morte l’Italia diventa di nuovo campo di battaglia.Nel 600 gli ebrei lasciano il regno Franco-Longobardo del nord, dove le rigide strutture unitarie non favoriscono l’inserimento di elementi diversi, per i più frantumati centri di potere del sud, dove il pullulare di principati, ducati, città libere, rende più sicure le comunità ebraiche che vi si formano.


Il Mezzogiorno d’Italia è affacciato sul Mediterraneo, i suoi contatti con i paesi rivieraschi sono più fitti, gli scambi mercantili sono anche scambi culturali. Per quattro secoli vi si sviluppa una florida colonia ebraica. Il dominio arabo in Sicilia è, per l’epoca, assai liberale e l’unica misura restrittiva disposta nei confronti degli ebrei è un segno giallo sulle vesti. Quello normanno consentirà agli ebrei di condurre una vita relativamente normale e di espandersi socialmente e culturalmente, inserendosi nel tessuto circostante.


Ovunque si estende la potenza dei Normanni gli ebrei hanno scuole, sinagoghe, botteghe artigiane. La loro arte di fabbricare e dipingere stoffe e sete si estende all’estero. L’uso della lingua ebraica facilita i contatti con i correligionari di altri paesi, e quindi i traffici marittimi. L’elemento ebraico costituisce il necessario propellente allo sviluppo economico dei dominî normanni.


Tra Papato e Impero


Nel 1120 la “bolla” di Callisto II, Constitutio pro Judaeis, vieta agli ebrei di erigere nuove sinagoghe, o abbellire quelle esistenti. Né possono tenere servi o balie cristiane.


Ma Federico II, lo Svevo, che finirà poi scomunicato, promulga nel 1231 a Melfi una serie di leggi, raccolte nel Liber Augustalis, che garantiscono agli ebrei la parità con gli altri cittadini. È una sfida al Papato.


Nel 1267 Papa Clemente IV, nella sua bolla Turbato corde, incita domenicani e francescani a una maggiore severità nei confronti degli ebrei.


Ucciso Manfredi, la saga dei Normanni si chiude.


A Napoli, verso la fine del 1200, si scatena quello che molto più tardi verrà chiamato, con parola russa, un pogrom: case assaltate, sinagoghe date alle fiamme, botteghe saccheggiate, uomini uccisi e donne violentate. Una serie di violenze che verranno ricordate a Napoli con il nome dato a una strada: “Via Scannagiudei”.


I Crociati verso la Terrasanta passando per la Germania


L’alba del XIV secolo vede in Italia, su una popolazione di 8 milioni di abitanti, 40.000 ebrei. Incalzati da decreti vessatori, da frequenti aggressioni e saccheggi, molti lasciano l’Italia per cercare rifugio provvisorio al di là delle Alpi, da dove per le stesse ragioni altri ebrei compiono il cammino inverso. Si calcolano in 100.000 gli ebrei uccisi al passaggio dei Crociati nelle città tedesche del Reno.


La Morte Nera e gli “untori”


Nel 1348 si abbatte sull’Europa una terribile epidemia di peste che verrà ricordata come la Morte Nera. Gli ebrei vengono accusati di esserne gli “untori” e di voler uccidere tutti i cristiani.


L’Italia è relativamente al riparo da questa ondata di follia, e diventa sempre più rifugio per migliaia e migliaia di ebrei, che si concentrano ora in Lombardia, nel Trentino, in Piemonte, nel Veneto, in Emilia, dove devono pagare un “diritto di residenza”, portare un segno distintivo, subire altre restrizioni. Ma insomma vivono e producono. E godono del beneficio di saper leggere e scrivere.


Alla metà del XV secolo, l’Italia è divisa in una serie di piccoli Stati idealmente separati tra loro da una linea che passa tra il Papa e l’Imperatore, supremo reggitore del Sacro Romano Impero.


Vi è il Ducato di Savoia, con capitale Torino, entro la cui orbita si muovono altri tre feudi: Saluzzo, Asti e il Monferrato. Tutti e tre vedono un progressivo afflusso di ebrei che costituiscono altrettante comunità. A Venezia s’insedia una comunità ebraica cosmopolita che avrà un ruolo rilevante nello sviluppo della Repubblica, anche se è proprio qui, a Venezia, che nasce il primo Ghetto.


Altri centri ricchi di storia e di cultura ebraiche sono Mantova, Modena e Ferrara. A Firenze, sotto le sue Signorie, si sviluppa una intensa attività ebraica, specie nel settore bancario.


Addio alla Spagna


I dominî della Chiesa, come l’Emilia, la Romagna, l’Umbria e le Marche, non favoriscono l’afflusso ebraico, così come non lo favorisce il regno di Napoli, passato sotto il dominio degli spagnoli. E con il peggiorare delle condizioni degli ebrei in Spagna, fino alla definitiva cacciata, anche gli ebrei siciliani, calabresi e napoletani vedono volgere al termine un plurisecolare periodo di tolleranza e di relativa tranquillità. La scoperta dell’America nel 1492 coincide con l’espulsione, decretata dai sovrani spagnoli Ferdinando e Isabella, di tutti gli ebrei dalla Spagna e da tutti i dominî spagnoli, Sicilia inclusa.


A tutto il 1492 sono almeno 200.000 gli ebrei espulsi dalla Spagna e 40.000 dalla Sicilia, dove finisce così una presenza durata quindici secoli.


Riforma e Controriforma


Nel XVI secolo il Rinascimento si diffonde in tutta Europa, e oltralpe assume anche il carattere di contestazione e rivolta contro la Chiesa romana.


È la Riforma, sarà lo scisma. I cristiani non sono più solo cattolici e i contestatori diventano “protestanti”.


La metà del Cinquecento segna per gli ebrei un drastico giro di vite. La Riforma induce il Papato a un generale irrigidimento. È la Controriforma.


Alcune conseguenze le conoscono nel 1555 in Italia gli ebrei, per i quali la Controriforma ha un nome: la bolla Cum nimis absurdum emessa dal papa Paolo IV il 15 luglio.


In essa si dice che “è assurdo e sconveniente al massimo grado che gli ebrei, che per loro colpa sono stati condannati da Dio alla schiavitù eterna, possano, con la scusa di essere protetti dall’amore cristiano e tollerati nella loro coabitazione in mezzo a noi, mostrare tale ingratitudine verso i cristiani da oltraggiarli per la loro misericordia e da pretendere dominio invece di sottomissione”.


Questi ebrei, si legge ancora, osano “vivere in mezzo ai cristiani” e perfino “nelle vicinanze delle chiese”, si vestono come gli altri, senza perciò potersi fare riconoscere, comprano case, assumono balie cristiane, insomma, commettono questi e “numerosi altri misfatti a vergogna e disprezzo del nome cristiano”.


La bolla papale impone agli ebrei di abitare in una o più strade, dove non ci sia possibilità di contatto con i cristiani: è l’istituzionalizzazione del ghetto. Gli uomini sono obbligati a portare un berretto che li distingua; le donne un velo o uno scialle, sempre con caratteristiche tali da rendere subito nota la loro identità. Ogni contatto con i cristiani, di lavoro o di amicizia, è vietato. Agli ebrei è vietato ogni tipo di lavoro, d’arte o di commercio che non sia il traffico di stracci e di abiti usati – “sola arte strazziariae seu cenciariae”.


Nel 1559 muore papa Paolo IV, ma le leggi antiebraiche del suo predecessore restano in vigore.


Col succedersi dei papi, Pio V, Gregorio XIII, Sisto V, Clemente VII, le condizioni di vita imposte agli ebrei non mutano. La politica della Chiesa ha conseguenze negative anche negli Stati che non sono direttamente dominati dal papato.


Liberté, Egalité, Fraternité


Con la Rivoluzione francese, esportata anche in Italia, gli ebrei italiani, che sono circa 30.000 su una popolazione di 17 milioni, fanno il loro ingresso nella vita pubblica del paese.


Occupati gli Stati pontifici, imposta a Roma una Repubblica retta da patrioti italiani liberali, i francesi favoriscono una Costituzione (20 marzo 1798) che garantisce a tutti i cittadini e a tutti i culti eguaglianza di trattamento da parte dello Stato.


Gli ebrei accolgono con entusiasmo l’ingresso dei francesi in Italia, ma restano prudenti, quasi presaghi che alla Rivoluzione e a Napoleone sarebbe succeduta la Restaurazione. E con la Restaurazione molti degli antichi ceppi.


Con la Restaurazione il pendolo torna indietro


Il Congresso di Vienna del 1814/15 s’incarica di mandare indietro il pendolo della Storia. Lo status quo ante è ripristinato e in Italia la condizione ebraica torna, segnatamente nello Stato pontificio, al disgraziato punto in cui si trovava nel XVIII secolo. Con la parziale eccezione della città di Livorno dove il Granduca di Toscana incoraggia l’afflusso degli ebrei, garantendone la sicurezza con un decreto noto come la “Livornina”.


Anche in Piemonte tornano i ghetti, ma l’espansione economica ebraica negli anni di libertà ha creato situazioni di fatto difficilmente reversibili.


Nel Lombardo-Veneto vivono 7000 ebrei, che qui possono studiare e laurearsi. Condizioni simili si hanno in Toscana, a Parma, a Modena, a Mantova. In quest’ultima città agli ebrei è consentito uscire di giorno dal ghetto e persino tenervi “granari e magazzeni, purchè si osservi la debita distanza dalle Chiese”.


Fratelli d’Italia


A partire dalla metà dell’800 la storia degli ebrei italiani si confonde sempre di più con la storia d’Italia e non può meravigliare il fatto che gli ebrei partecipino ai moti risorgimentali. I patrioti italiani, come Mazzini e Cattaneo, tendono all’abbattimento di un mondo chiuso, reazionario, antisemita. È proprio Cattaneo, con il suo Interdizioni imposte dalla legge civile agli Israeliti, a denunciare l’insostenibile condizione ebraica, anche se nel Regno di Sardegna alcune delle conquiste civili degli ebrei restano acquisite con lo Statuto albertino.


Alle campagne che Garibaldi conduce nel 1848 e nel 1849 partecipano duecento ebrei, e quando a Torino le responsabilità di governo sono affidate a Camillo Benso conte di Cavour, questi si avvale dell’opera di consiglieri e amici ebrei, come Ottolenghi, Todros, Vitta, Leonino. Segretario particolare di Cavour è un altro ebreo, Isacco Artom, mentre a dirigere il giornale governativo di Torino, L’Opinione, è chiamato Giacomo Dina.


Dietro l’angolo c’è il 1870 e la presa di Roma da parte dei bersaglieri. L’ultimo ghetto d’Europa è abbattuto. La Chiesa cattolica cessa di essere – per sua stessa fortuna – una potenza temporale.


L’Italia unita porta agli ebrei libertà e uguaglianza. Nel codice del 1889 non c’è più traccia della vecchia divisione tra religione di Stato e culti tollerati. Tutti i culti ora sono ammessi ed è punito il vilipendio di ogni religione professata.


La gente del Libro


Nel corso dei secoli gli ebrei non hanno mai smesso di produrre cultura. Dal filosofo, medico e astrologo Shabbatai ben Avraham Donnolo, vissuto nel X secolo nel Mezzogiorno, al pugliese Achimoaz da Oria che nel 1054 ha lasciato una preziosa Cronaca, agli anonimi estensori del dotto Sefer Josipon, è lunga la lista degli ebrei illustri. O dei grandi stampatori, come i Soncino, come Avraham di Chaim de’ Tintori, da Pesaro, o il mantovano Avraham Conat. O dei medici come i Portaleone da Mantova, dei filologi come Azaria de’ Rossi, dei commediografi come Leone de’ Sommi Portaleone, dei musicisti come Salomone de’ Rossi.


L’abitudine a leggere, scrivere e studiare agevola l’integrazione con la cultura circostante.


Alla fine del XIX secolo gli ebrei costituiscono il 6 per cento del corpo insegnante universitario (nel paese sono l’uno per mille). Già nel 1871, all’indomani della presa di Roma, la Camera dei Deputati conta undici ebrei ed è ebreo, tra il 1907 e il 1913, il sindaco di Roma Ernesto Nathan.


E sono gli ebrei di Trieste ad assumere un ruolo di rilievo nel movimento irredentista e nella cultura italiana, il cui simbolo triestino è Italo Svevo.


“Fatta salva la sua onorabilità”


La guerra mondiale del 1914/18 (l’Italia vi entra nel 1915) vede anche gli ebrei italiani al fronte.


Dopo il conflitto, per il quale l’Italia ha pagato il prezzo altissimo di 600.000 morti, in un clima di confusione e disordini, nel 1922 nel paese s’impone il fascismo, nei confronti del quale la posizione degli ebrei non è diversa da quella degli altri italiani: chi è a favore, chi è contro, chi si rassegna.


Il fascismo non si presenta come un movimento antisemita, ma i pochi teorici dell’antisemitismo, come Paolo Orano e Giovanni Preziosi, vi aderiscono subito.


Nemmeno Mussolini si era sottratto a un certo antisemitismo popolare. Già nel 1919 scriveva che il bolscevismo rappresentava “la vendetta dell’ebraismo contro il cristianesimo”.


Ma ecco lo stesso Mussolini, appena un anno dopo, nel 1920: “Il bolscevismo non è, come si crede, un fenomeno ebraico. È vero invece che il bolscevismo condurrà alla rovina totale gli ebrei dell’oriente europeo”.


Che un certo antisemitismo sia di uso corrente lo dimostra la curiosa conclusione di una nota che il capo della polizia Carmine Senise invia al Questore di Roma che lo aveva incaricato di compiere alcune indagini sullo psicoanalista Emilio Servadio (la psicoanalisi è malvista dal fascismo): “La madre del dott. Servadio, senza voler con ciò toccare la sua onorabilità, sembra essere israelita”. Nel 1930, dopo il Concordato tra lo Stato e la Chiesa avvenuto l’anno prima, viene approvata una legge che regola il funzionamento delle Comunità ebraiche.


Il primo sospetto del fascismo sui sentimenti degli ebrei nasce alla fine del 1931, quando i docenti universitari sono chiamati al giuramento di fedeltà al regime. Su oltre mille professori, solo dodici rifiutano di piegarsi. Tra questi cinque sono ebrei: Giorgio Errera, Giorgio Levi della Vida, Vito Volterra, Mario Carrara e Fabio Luzzatto.


Alcuni ebrei italiani aderiscono a gruppi di opposizione, naturalmente clandestina, al regime. Tra loro i fratelli Carlo e Nello Rosselli – assassinati in Francia da sicari fascisti – che hanno fondato il movimento di “Giustizia e Libertà”, al quale aderiscono anche altri ebrei: Carlo, Mario, Riccardo Levi, Max Ascoli, Leone Ginzburg, Gino Luzzatto.


Nel marzo 1934 a Torino viene scoperta una rete antifascista. I quindici arrestati sono in gran parte ebrei. Ciò dà adito a tutti i giornali di scatenare una campagna antisemita, orchestrata dall’alto, che a un certo punto però misteriosamente si spegne.


“Grandi razze e piccole razze”


Nel 1938 la campagna antisemita riprende più virulenta e il 14 luglio “Un gruppo di studiosi fascisti docenti nelle Università italiane”, fissa “la posizione del Fascismo nei confronti del problema della razza”.


E’ un “Manifesto” che dice: “le razze umane esistono”, “esistono grandi razze e piccole razze”, “la popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana”, e “esiste ormai una pura razza italiana”.


Poi si afferma che “Gli ebrei non appartengono alla razza italiana”, e “i caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo”.


Sotto al “Manifesto” vi è la firma di dieci docenti universitari.


Il 7 settembre il governo emana il primo decreto contro gli ebrei: quelli stranieri, entrati nel paese dopo il 1919, dovranno andarsene.


Poi il regio decreto del 17 novembre vieta “il matrimonio del cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza” e stabilisce che gli ebrei non possono “prestare servizio militare in pace e in guerra; esercitare l’ufficio di tutore o curatore di minori o di incapaci non appartenenti alla razza ebraica; essere proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende dichiarate interessanti la difesa della nazione (…) e di aziende di qualunque natura che impieghino cento o più persone, né di avere di dette aziende la direzione, né assumervi comunque l’ufficio di amministratore o di sindaco; essere proprietari di terreni che in complesso abbiano un estimo superiore a lire cinquemila; essere proprietari di fabbricati urbani che in complesso abbiano un imponibile superiore a lire ventimila”.


Inoltre “il genitore di razza ebraica può essere privato della patria potestà sui figli che appartengano a religione diversa da quella ebraica”. Gli ebrei sono esclusi “con effetto immediato” dalle occupazioni che dipendono da “Amministrazioni civili e militari dello Stato”, dalle organizzazioni del partito fascista, da tutte le amministrazioni pubbliche (Province, Comuni, Aziende di trasporto, Ferrovie, Consorzi), dalle banche e dalle aziende di assicurazione. E naturalmente tutti, docenti e discenti, dalle scuole del Regno.


Successivamente saranno ritirate le licenze commerciali e artigiane, e le libere professioni, dall’avvocato all’ingegnere, dall’architetto al medico, saranno precluse.


Una parte della comunità ebraica italiana (forse 4/5000 persone), lascia il paese, ma il grosso resta.


La Chiesa protesta per il disconoscimento delle conversioni, e per la proibizione di contrarre matrimonio misto, anche quando il coniuge ebreo abbraccia il cattolicesimo.


Oltre a tutti gli altri provvedimenti, gli ebrei subiscono anche umiliazioni. Non possono avere apparecchi radio, né frequentare luoghi di villeggiatura e di cura. Taluni esercizi commerciali esibiscono la scritta “Vietato l’ingresso agli ebrei”.


La guerra e la resa dell’Italia, invasa dai tedeschi


Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra a fianco della Germania, ma anno dopo anno matura il disastro, tanto che nel settembre del 1943 deve arrendersi. Anche la resa è gestita tanto disastrosamente da trasformarsi in catastrofe.


Il 25 luglio 1943, con gli anglo-americani già in casa, Mussolini è rovesciato da una congiura di palazzo. Il nuovo presidente del Consiglio, il Maresciallo Pietro Badoglio, nasconde ai tedeschi le trattative per la resa. Quando l’8 settembre l’annuncia, il risultato è disastroso. I tedeschi, che avevano comunque saputo subito che cosa si stava preparando, disarmano l’esercito italiano, i cui capi, re e generali in testa, si erano dati alla fuga.


Senza ordini, senza ufficiali superiori, l’esercito italiano si sfalda, conosce la tragedia, come a Cefalonia, dove la guarnigione è massacrata a tradimento dai tedeschi. 600.000 soldati sono catturati e portati in Germania.


Qualche giorno dopo l’armistizio si ricostituisce a Salò, sul Lago di Garda, il partito fascista, che darà vita all’effimera “Repubblica Sociale Italiana” del tutto asservita ai tedeschi. Molto spesso i militi della Repubblica di Salò sono gli zelanti complici dei tedeschi nella caccia agli ebrei e nelle azioni più efferate.


Nei primi giorni dell’invasione tedesca alcune migliaia di ebrei fuggono in Svizzera, altri passano la confusa linea del fronte e raggiungono il sud d’Italia già liberato. Altri ancora, specie i più giovani, finiscono per raggiungere le formazioni partigiane. Molti cercano di nascondersi. Ma un gran numero non ce la fa. Gli ebrei del vecchio quartiere ebraico di Roma, l’antico ghetto, sono colti di sorpresa.


La razzia del 16 ottobre ’43 a Roma


Il 26 settembre 1943 due esponenti dell’ebraismo romano e italiano sono convocati dal comandante della polizia tedesca, il maggiore delle SS Herbert Kappler, che chiede la consegna entro 36 ore di cinquanta chili d’oro, in cambio della vita di 200 ebrei romani.


L’oro viene reperito, i tedeschi sembrano placati, molti ebrei si tranquillizzano. Tra il 29 settembre e il 13 ottobre i tedeschi penetrano negli uffici della Comunità, ne asportano documenti e libri antichi.


Tre giorni più tardi, all’alba del 16 ottobre, circondano il Ghetto di Roma e di colpo irrompono nelle case. È razzia.


Per tutta la mattina di sabato 16 ottobre i tedeschi strappano gli ebrei, uomini, donne, bambini dalle loro abitazioni, li caricano su camion, li avviano a una caserma di via della Lungara. Da qui pochi giorni dopo gli oltre mille ebrei catturati nella razzia vengono gettati su treni piombati e avviati a Fossoli e da qui ad Auschwitz, dove in gran parte saranno uccisi subito (come i bambini e gli anziani) e il resto, salvo un pugno di superstiti, più tardi.


Nell’infausta geografia dei campi di sterminio nazisti, uno si trova anche in Italia, a San Sabba, vicino Trieste.


La razzia continua per tutta Roma nelle settimane e nei mesi seguenti. In totale sono deportati dalla capitale 2091 ebrei. In tutta Italia (comprese le isole dell’Egeo) vengono deportati tra il 1943 ed il 1945 oltre 8500 ebrei. Ne torneranno poche centinaia.


La Resistenza e le stragi naziste


Su 200.000 italiani che scelgono la via della resistenza all’invasore, ci sono 2000 ebrei. Sui 70.000 partigiani caduti in combattimento, 700 sono ebrei.


Delle stragi perpetrate dai tedeschi in Italia (come Marzabotto o Sant’Anna di Stazzema), una resterà a simbolo, quella delle Fosse Ardeatine, dove per rappresaglia dell’uccisione di trentadue soldati tedeschi in un attentato del 23 marzo 1944 a Via Rasella a Roma, 355 uomini, e tra loro anche 75 ebrei, sono condotti sulla via Ardeatina e massacrati. Sopra di loro, per cancellare ogni traccia, viene fatto precipitare con la dinamite un pezzo di montagna sovrastante.


Roma è liberata il 4 giugno del 1944, ma bisogna aspettare fino al 25 aprile del 1945 perché le forze anglo-americane costringano alla rotta finale i tedeschi.


Gli ebrei d’Europa superstiti si aggirano come fantasmi tra rovine morali e materiali. Quelli italiani si contano.


Da questo momento, così come avviene per il resto del paese, anche per l’ebraismo italiano incomincia la ricostruzione.


Lo Stato ebraico, la cui nascita era stata solennemente sancita da una Risoluzione delle Nazioni Unite nel Novembre 1947, si ricostituisce il 14 maggio del 1948. Il suo nome è Israele. Appena nato, è subito attaccato da cinque eserciti arabi.


Lo Stato d’Israele e le sue guerre


Nel maggio del 1967 si produce una svolta importante.


Tra maggio ed i primi di giugno del 1967 incombe su Israele una minaccia mortale da parte di Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq. La possibilità di un nuovo genocidio sembra concreta e tutta l’Italia manifesta la sua emozione.


La guerra-lampo, che sarà chiamata la “guerra dei sei giorni”, porta invece a una travolgente vittoria israeliana, che ha una funzione catalizzatrice sugli ebrei italiani che si rendono conto del ruolo di uno Stato ebraico. L’immagine dell’ebreo condannato al ruolo di vittima sacrificale è infranta.


Dopo questa guerra diminuiscono lentamente nella società italiana le simpatie per Israele. I motivi non sono sempre limpidi, e vanno riferiti agli schieramenti politici.


Nel 1973, a ottobre, nel giorno di Kippur, Israele è ancora una volta aggredito, e sembra soccombere. Poi la risposta del suo esercito lo porta a 101 chilometri dal Cairo e a 30 da Damasco. Gli Stati Uniti lo fermano.


Con il “fattore Israele” la vita degli ebrei italiani si politicizza, ma questo li aiuta in una più vasta ricerca di sé, della propria identità, ciò che non impedisce loro di partecipare con passione alle vicende del nostro paese, di cui sono parte integrante. Un attentato da parte di terroristi palestinesi contro i fedeli usciti dal Tempio Maggiore di Roma il 9 ottobre 1982, in occasione di una cerimonia religiosa, lascia sangue sull’asfalto. Un bambino di tre anni è ucciso, decine sono i feriti. L’attentato riporta la Comunità ebraica romana a una realtà che sembrava consegnata al passato.


Gli ebrei, lo Stato e la Chiesa cattolica


Una nuova Intesa con lo Stato è firmata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nel 1987. In applicazione all’art. 8 della Costituzione rinnova il precedente accordo e lo rende più compatibile con la sensibilità democratica. Anche i rapporti con la Chiesa registrano cambiamenti. A rompere certi pregiudizi antiebraici è per primo papa Giovanni XXIII.


La dichiarazione Nostra Aetate, al Concilio Vaticano II del 1965, “riabilita”, poi, il popolo ebraico dall’accusa di “deicidio”.


Le nuove direttrici della Chiesa saranno clamorosamente portate all’esterno da un altro papa, Giovanni Paolo II, che il 13 aprile del 1986 si reca in visita al Tempio Maggiore di Roma. L’evento è senza precedenti. Mai, in tutta la storia, un pontefice aveva varcato la soglia di una sinagoga. È un momento di grandissima emozione. Dopo il gesto e le parole di Giovanni Paolo II ai “fratelli maggiori” ebrei, la strada della revisione critica della Chiesa sembra irreversibile.


Gli ebrei italiani oggi


Oggi gli ebrei italiani iscritti alle 21 Comunità del paese sono meno di 30.000 su una popolazione di 57 milioni.


Quasi la metà vivono a Roma, meno di 10.000 a Milano. Gli altri sono sparsi in Comunità definite “medie” (Torino, Firenze, Trieste, Livorno, Venezia) o “piccole”.


Le varie Comunità, ognuna delle quali retta da un Consiglio eletto dagli iscritti, sono riunite nell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che ha sede a Roma e le rappresenta nei rapporti con il Governo e con le Istituzioni pubbliche. L’Unione provvede poi al coordinamento delle esigenze culturali e cultuali delle Comunità ebraiche e al sostegno di quelle più piccole.


Malgrado i molti problemi, malgrado la crisi demografica, l’ebraismo italiano resta vivo e vivace e rappresenta, in seno alla società circostante, un elemento di stimolo, di riflessione e di confronto.

tratto da: http://moked.it/vita-ebraica/ebrei-in-italia/

Due note mie:
1. A.E.V. = anno dell'Età Volgare (dopo Cristo, per noi)
2. la mia valutazione della politica dello stato israeliano non concorda con quanto riportato dal sito moked.it.

martedì 28 febbraio 2012

Gioca il giusto? Il giusto non gioca!

Mosaico dei giorni



Gioca il giusto? Il giusto non gioca!


28 febbraio 2012 - Tonio Dell'Olio


Le slot-machine gettano quotidianamente sul lastrico migliaia di famiglie italiane. Ne godono le mafie che le gestiscono e lo Stato che lucra sulla  fragilità di tante persone. Tra le iniziative da adottare per porre fine ad Azzardopoli, bisognerebbe premiare gli esercizi commerciali che, rinunciando ai guadagni sulle slot, non accettano di ospitarle nei propri locali. Come Libera ci inventeremo un adesivo del tipo ?Questo locale è Slot Free? oppure "Zona franca da Azzardopoli" (No Azzardopoli) in modo da chiedere ai consumatori di preferire questi bar, tabaccai... a coloro che contribuiscono a rovinare vite e famiglie. Un segno di partecipazione e di responsabilità. Bastasse pronunciare la frase "Gioca il giusto" ad ogni fine spot per convincere la gente alla moderazione, avremmo già vinto! Succede piuttosto il contrario, ovvero che quell?invito viene vissuto come una sfida, un confine da violare.


È per questo che in maniera solidale, anche i non giocatori, devono entrare
in campo e compiere ogni sforzo per porre rimedio a una piaga che vede troppe complicità, ipocrisie diffuse, silenzi complici.


http://www.peacelink.it/mosaico/a/35778.html
________________________________________
Mosaico di pace
Via Petronelli n.6
76011 Bisceglie (BT)
tel. 080-395.35.07
fax 080-395.34.50
www.mosaicodipace.it

lunedì 27 febbraio 2012

E MARCO ROSSI DORIA SAREBBE UN " MAESTRO DI STRADA " ?

E MARCO ROSSI DORIA SAREBBE UN " MAESTRO DI STRADA " ? CERTO CHE DA BERLUSCONI & C...HA IMPARATO MOLTO BENE L'ARTE DELL'AUTOPROMOZIONE DELLA PROPRIA IMMAGINE, IN GRAN PARTE EREDITATA ( NON ESSENDO "UNO SFIGATO") DAL SUO NOTO E PIU' ILLUSTRE PADRE :



Scuola: Massolo, metodo Montessori ancora attuale


Il Segretario Generale del MAE apre i lavori di un convegno sulla pedagogista alla Farnesina, primo dicastero a dotarsi di un asilo nido interno: “Struttura su cui contare, dal ’78 ha accolto 1.500 figli di dipendenti”. Sott. Rossi Doria: “Modello pedagogico da esempio per i nostri istituti” + VIDEO


FACCIO NOTARE CHE IL CONVEGNO SUDDETTO, CUI IL SOTTOSEGRETARIO MARCO ROSSI DORIA HA PARTECIPATO ( CASUALMENTE ? ), E' STATO PROMOSSO E, IN PARTE, SPONSORIZZATO DA UN'ASSOCIAZIONE CONFINDUSTRIALE CHE RAGGRUPPA LE SCUOLE PRIVATE, L'A.N.I.N.S.E.I. di Confindustria (Associazione Nazionale Istituti Non Statali di Educazione e di Istruzione) e dal Complesso scolastico privato ( ! ) Seraphicum (dal 19/12/2008 - Sui banchi dell'eccellenza, L'ESPRESSO N. 51 anno LIV del 23 Dicembre 2008, nell'articolo a pagina 80, riporta il Complesso Scolastico Seraphicum tra le 10 scuole paritarie di eccellenza in Italia ). D'altronde, il Nostro è stato nominato sottosegretario dal PD....il che è tutto dire....


ECCO COME, IN ITALIA, SI RI - VALORIZZA LA SCUOLA STATALE !


A BUON INTENDITOR POCHE PAROLE !


Giovanni Falcetta






Scuola: Massolo, metodo Montessori ancora attuale






Link


ANINSEI


Complesso scolastico Seraphicum


Universita’ Roma Tre


24 Febbraio 2012


Il metodo pedagogico Montessori è ancora attuale dopo oltre un secolo e può essere un modello per le nostre scuole. Il tema è stato al centro di un convegno alla Farnesina con operatori del settore provenienti da diversi paesi.


Il Segretario Generale del MAE Giampiero Massolo ha aperto i lavori rendendo omaggio ad un metodo educativo che porta i bambini ad ''accrescere il senso di sé''. Quindi, ha ricordato che il suo dicastero è stato il primo ad aprire un asilo nido interno, le cui educatrici tra l'altro utilizzano il metodo Montessori. Si tratta di una ''struttura ben organizzata su cui le famiglie possono contare'', che dal ’78 ha accolto 1.500 figli di dipendenti e che “crea un senso di appartenenza”.


I pilastri del metodo di Maria Montessori sono stati ricordati dal Sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria: ''intervento educativo precoce in un luogo sano, accogliente ed aperto, una dimensione comunitaria con possibilità di sperimentare una didattica nuova, un rapporto forte tra aspetto cognitivo e aspetti relazionali e affettivi''. La ''nostra scuola può imparare molto'' dagli insegnamenti di questa donna ''coraggiosa ma molte volte bistrattata'', ha aggiunto.


Il convegno è stato promosso dall’Aninsei di Confindustria con la collaborazione dell’Università Roma Tre e del complesso scolastico Seraphicum. Ai lavori hanno partecipato anche Gudula Meisterjahn-Knebel, presidente dell'Associazione Montessori-Europe e docenti come Clara Tornar dell'Universita' Roma Tre, ed Eva-Maria Ahlquist, dell'ateneo di Stoccolma.


da una mail dell'amico Giuseppe Falcetta...

domenica 26 febbraio 2012

Giusto sul bordo


Anni fa l’associazione Macondo, quella che mi ha dato patria spirituale e intellettuale, aveva stampato una maglietta. Non ne ricordo esattamente lo slogan; parlava di speranza e di rassegnazione, della facilità di passare dalla prima alla seconda, mentre quella è infinita, questa è finita. Limitata.


Ho avuto modo di conoscere una persona che studia alle serali. Qualcuno che senza alcuna faciloneria possa dire: non ho tempo di studiare. Arrivando a casa dal lavoro un’oretta prima dell’inizio della scuola, di fatto ha a disposizione parte del week-end per concentrarsi sui libri.


Si fa un gran parlare di meritocrazia e di “ritorno al merito”. Tante belle parole. Qualsiasi personda dotata di senno non passerebbe gli sprazzi di tempo libero sui libri. Magari su di un libro. Ma su quelli scolastici, no. E a ragione. Questa persona lo sa e non si nasconde dietro un dito. Eppure – senza alcuna retorica - è un individuo di merito, un individuo che merita. Che cosa?


Che ciò che lo circonda concorra ad un senso.


Certo, il senso è opera individuale, affidata a noi come singoli: la lenta costruzione di una direzione personale con cui dobbiamo ripempire i nostri occhi, originale bussola, per rimmeterci “in sesto”. Ma la fatica – perché di questo si tratta, checché ne dicano gli “adultoni” già sistemati – si quadruplica quando intorno appare tutto dissestato.


Posso aver intuito una stella che orienti il percorso. Ma si fa gelida e ancor più lontana se i parametri che ieri consideravo fermi, stamattina li trovo in cocci. Un coboldo si aggira per le nostre case e nottetempo spinge a terra le cose a noi care, poi si nasconde nello specchio e osserva la nostra faccia al risveglio.


Sono dissestato se constato che l’asse portante della filosofia, mia disciplina di insegnamento, e cioè la domanda, l’azione del domandare, non viene in classe evitata per superficialità, dabbenaggine o pigrizia (che son le prime cose che quando ci mastrocoliamo amiamo rinvenire nei ragazzi), ma perché si teme che l’insegnante “ritorca” contro qualcuno, interrogandolo, la domanda stessa.


Sono dissestato se constato che, nonostante il continuo quotidiano “aritmetico” sforzo, alcuni studenti non riescano a tener fede a pratiche minime di lealtà. Non a grandiosi proclami di fiducia reciproca. Non a solenni impegni in nome del dovere. A piccoli patti; al “siamo d’accordo che”. Che poi non è un accordo privato, ma un banale calendario concordato con l’intera classe.


Ecco. Il dissesto mi pare stia nella condanna che qualcuno ha deciso per questi ragazzi: dovete cavarvela da soli. Che non è la celebrazione delle capacità di autonomia. E’ il trionfo del “ci si salva da soli”. Non è il dover commerciare con la complessità del mondo; non è nemmeno il fallimento di orientamenti pedagogici varii, dal direttivo-autoritario al permissivo-libertario; non è il saggiare l’acqua della società fluida.


E’ la caduta delle ipocrisie dei nostri nonni, loro malgrado s’intende, che vivevano la dimensione della comunità per sentito dire, un copiaincolla di direttive ideologiche di una chiesa, di un partito, di un insieme di valori considerato talmente ovvio da essere spazzato via in meno di mezzo secolo. Avevano ascoltato un teorema pensadolo come giusto, non l’avevano mai davvero sentito.


I figli di quei nonni – che sono i padri e le madri di chi ho in classe – stanno in tre categorie: chi pensa che nulla sia cambiato, e arranca e si lamenta e insegna la rassegnazione; chi ha capito che nessuno ha mai creduto davvero alla favola del “vivere insieme” (poco importa se qualcheduno vi ha perso la vita o la salute) e quindi addestra i propri cuccioli ad essere animali solitari; chi non ha mai abitato un assoluto e adesso come allora resiste.


L’individuo è rassegnazione, la soddisfazione è rassegnazione, la grettezza è rassegnazione. La relazione è resistenza, la curiosità è resistenza, la passione-con è resistenza. Tra me e te, tra noto e ignoto, tra l’essere posseduto da una musa e il voler cercare insieme il linguaggio migliore: sempre e comunque la vita sta sul bordo.


tratto da: http://www.comegufi.org/2012/02/25/giusto-sul-bordo/

per contatti: giovannirealdi@libero.it

sabato 25 febbraio 2012

La biblioteca di Borges


venerdì 24 febbraio 2012


Ferraris, La biblioteca di Borges


Per noi una biblioteca è come un bosco, nel cui intrico di sentieri ombrosi perdersi e ritrovarsi. Il luogo dei sogni e dei desideri.


Maurizio Ferraris


La biblioteca di Borges

La Biblioteca Nazionale di Buenos Aires non è più quella che aveva conosciuto Jorge-Luis Borges (1899-1986) a Calle México, nel quartiere di San Telmo. È un edificio moderno nel quartiere della Recoleta che ricorda vagamente il bunker antiaereo dello zoo di Berlino, e ha vicende poco meno militari, giacché il terreno su cui sorge era quello della residenza di Perón, distrutta insieme ad altre vestigia del regime dopo il 1955. Dopo varie vicissitudini, fu alla fine inaugurata nel 1992 da Carlos Menem, quello che gli argentini chiamavano El Turco, trasformandolo a tutti gli effetti nel personaggio di una novella di Borges. Così come borgesiana è non solo la grande biblioteca, prefigurazione della Biblioteca di Babele, ma anche la storia che ho appreso girando per la biblioteca. Borges ha diretto la Biblioteca dal 1955 al 1973, nominato alla caduta di Perón, di cui era un fermo antipatizzante, e dimissionato subito dopo il ritorno del generalissimo. Aveva scritto una poesia quando ricevette la nomina, in cui ironizzava sull´ironia di Dio che aveva pensato di dargli, insieme, una miriade di libri e la cecità. Non è la sola ironia, perché per cacciarlo si sostenne che ne aveva rubati. Perciò, prima di andarsene, convocò uno scrivano che constatò la proprietà e fece la lista delle opere che dovevano essere ritirate dall´ufficio, perché appartenevano a Borges che le aveva portate lì per controllare i riferimenti delle sue Opere complete, pubblicate durante la sua direzione, e per altri lavori del periodo (ad esempio il Manuale di zoologia fantastica, del 1957). Dei libri di sua proprietà ne lasciò un migliaio alla Biblioteca, perché Borges non rubava libri, ma compiva l´azione simmetrica, regalandoli. A casa non ne teneva più di millecinquecento, molti li dava ad amici per far spazio a nuove letture, e giunse sino ad abbandonare pacchi di libri nei caffè. Gli impiegati, peronisti, non si diedero molto da fare per timbrare come «fondo Borges» e classificare questi libri (che si riconoscono perché sul frontespizio c´è la firma di Borges e la data in cui li aveva comprati), che si dispersero come aghi in un pagliaio di novecentomila volumi.




Due giovani ricercatori, Laura Rosato e Germán Álvarez, impiegati nella Biblioteca, con un lavoro di dieci anni li hanno recuperati. Il risultato è un grande catalogo: Borges, libros y lecturas raccoglie cinquecento titoli, gli altri, per il momento non pubblicati, sono o doni di scrittori amici o libri che richiedevano lavori di restauro. Per ritrovarli nel pagliaio il trucco è stato, in un autore così iper-letterato come Borges, partire dalle sue opere, guardare le fonti che citava, e di lì appunto andare a frugare. Poi, da un libro si trovavano gli altri, visto che ogni libro rinviava ad altri libri, come Pollicino. Abbiamo così le letture (e soprattutto le riletture) di Borges come ce le darebbe la cronologia dei siti consultati dal nostro computer ma in modo molto più selettivo e sulla distanza cronologica di trent´anni e più. Come in un Web cartaceo Borges mette in dialogo autori disparati, con un sistema di rimandi: "Cf.", "vide" (dove si amplia il concetto segnato), ma anche il "sed contra", dove si crea l´opposizione. Questo leggere scrivendo, e scrivere leggendo, non ha niente di sistematico. Borges è per sua ammissione un lettore edonista. Si fa guidare dal principio di piacere, che però molto spesso lo porta più ai saggi che non alla letteratura.


Ci sono letture filosofiche: da Anselmo d´Aosta che lo attrae per la prova ontologica, al libro della Anscombe su Wittgenstein a quello di Augusto Guzzo su Giordano Bruno; Gentile sul pensiero del Rinascimento italiano, Nietzsche (le Considerazioni inattuali) e soprattutto l´amatissimo Schopenhauer. Il che non sorprende per un autore che considerava la filosofia un ramo della letteratura fantastica. Ma c´è anche il libro di Samuel Butler sui santuari del Piemonte e del Canton Ticino, quello di Houston Stewart Chamberlain (l´autore amatissimo da Wagner e da Hitler) su Goethe, quello di Max Brod su Kafka, e Jung e Hume, Plutarco e Poe, Strindberg e Tasso. Più una molteplicità di anonimi, di compilazioni, di minori. Molto Croce, ma soprattutto sulla letteratura (Ariosto, Carducci...), le saghe nordiche e quelle orientali e la letteratura secondaria sull´argomento, e, sopra tutti, l´amatissimo Dante, in molte edizioni e commenti.


Generalmente nella lingua originale dei libri (Borges leggeva oltre che in spagnolo in italiano, francese, tedesco, inglese e latino), le annotazioni non invadono mai il testo e consistono in un riuso giudizioso di quello che Gérard Genette ha chiamato «paratesto», giacché si trovano sul frontespizio o alla fine del libro, e raramente sulla copertina, come in una edizione tascabile dell´Amleto. Sono in gran parte nello stampatello minuscolo, le lettere "come formiche" che Borges elesse come la propria grafìa. E dopo il 1954 e la cecità la scrittura è quella della madre Leonor Acevedo de Borges, che vediamo fotografata sulla copertina del catalogo mentre scrive e postilla per il figlio nell´appartamento di calle Maipú 994. Le annotazioni sono in apparenza impersonali, e consistono molto spesso nella scelta di espressioni, proprio come nei taccuini che Erasmo raccomandava di tenere ai suoi discepoli. Ma proprio nella loro impersonalità catturano l´identità di Borges. Lui è quei libri e quelle citazioni ne definiscono l´originalità. Lui è quel compendio incarnato.


In qualche caso, però, la pagina diventa lo spazio su cui elaborare progetti di libri a venire. Come per esempio quando nel frontespizio di un libro tedesco di occultismo troviamo il progetto di un saggio che avrebbe dovuto uscire dopo la Storia dell´eternità (1936), e che si troverà in parte in altre raccolte, soprattutto in Altre inquisizioni (1952). A volte invece nei frontespizi o in fondo ai libri Borges lascia tracce delle sue amicizie, per esempio The Principles of Mathematics di Russell, in cui scrive che è «regalo di Bioy Casares» (che sempre Borges considerò come il suo tutore logico), o degli amori, come quando annota la data di un appuntamento con Estela Canto al fondo di un´edizione dell´Inferno di Dante, oppure ancora della vita pubblica, quando nel frontespizio della Vita di Schopenhauer di Wilhelm Gwinner troviamo la lista delle sue conferenze tra il 1949 e il 1952.


In un caso, poi, il libro diviene il supporto per una poesia rimasta inedita sino a oggi. Si tratta dell´ultima pagina del quarto volume del libro del teologo Christian Walch sulle eresie e le lotte religiose dopo la Riforma (1773, undici volumi) comprata durante il soggiorno europeo. La poesia data 11 dicembre 1923, poco prima della partenza dall´Europa, e sembra contenere ironicamente il giovane Borges, che si lascia andare ai sentimenti, il Borges maturo, poco incline a esprimerli, ma appassionato di eretici, catari e guerre di religione, e soprattutto il Borges che ci ha raccontato come i libri nascano da altri libri, e l´immediatezza sia il frutto della mediazione:


la speranza/ come un corpo di ragazza/ ancora misterioso e tacito./ ancora non amato di amore/ e una chitarra che appassionatamente muore e con sollievo/ dolorosa risorge/ e il cielo sta vivendo un plenilunio/ con il rimorso e la vergogna della/ insoddisfatta speranza e di non essere felici



(Da: la Repubblica del 15 Gennaio 2012; io l'ho 'prelevato' dal blog Vento Largo di Giorgio Amico)

venerdì 24 febbraio 2012

PERCHE’ L’OPPOSIZIONE

PERCHE’ L’OPPOSIZIONE



Nella ricorrenza dei 100 giorni dalla nascita del governo Monti, mi permetto di elencare di seguito quattro ragioni (esposte in forma assolutamente schematica) per le quali è necessario che la sinistra si collochi coerentemente all’opposizione, sviluppandone nel Paese una forma adeguata ben diverse da quella parlamentare di stampo populista portata avanti dall’IDV, da un lato e dalla Lega Nord dall’altro:


1) L’opposizione è necessaria, sia sul terreno sociale sia in quello politico, perché soltanto da quel tipo di posizione, potrà essere possibile sviluppare una riflessione capace di portare a definire non soltanto una soluzione alternativa nella crisi del nostro sistema politico, ma anche a indicare i tratti di un’alternativa di fondo di trasformazione del sistema, corrotto e ingiusto, nel quale ci troviamo;


2) L’opposizione è necessaria perché, nello specifico della situazione italiana, siamo di fronte ad un suo utilizzo da parte dei ceti dominanti, direttamente rappresentati da questo governo, per ristabilire, con vero e proprio “furore ideologico”, condizioni di dominio di classe che le lotte dei lavoratori avevano “temperato” nel corso dei decenni precedenti;


3) L’opposizione è necessaria perché il peso delle diseguaglianze sociali è ormai insopportabile e troppo esteso ponendo a rischio il minimo necessario di “coesione sociale”. Siamo di fronte ad un cumulo di insostenibili ingiustizie e di una complessiva inefficienza del tipo di risposta che il “pubblico” deve alla complessità dei bisogni , con una – nuovamente insopportabile – intrusione del privato che acuisce le differenze di “status” e di “reddito”;


4) L’opposizione è necessaria per prepararci sul piano politico alla dinamica di riallineamento del sistema che, proprio al riguardo dell’impatto sistemico che avrà necessariamente questo governo, scompaginerà il quadro delle forze politiche italiane, aprendo a sinistra un vuoto notevole che sarà necessario colmare lavorando alla costruzione di una nuova, adeguata, soggettività rappresentativa dei ceti sociali maggiormente colpiti dalla crisi e di quell’idea di alternativa di cui ho parlato al punto 1. Inoltre, sempre sul piano più strettamente politico, l’opposizione è necessaria anche, sul piano democratico, per ristabilire un equilibrio e fronteggiare i rischi di autoritarismo presenti nello stato di cose in atto, e il progetto di modifica della Costituzione in senso presidenzialista, oggi presente più che mai.


Grazie per l’attenzione


Savona, li 24 febbraio 2012 Franco Astengo
Carissimi,

vi invito a diffondere (e far sostenere) l'encomiabile iniziativa del Sig. Casarrubea - preciso e caparbio storico siciliano - ossia quella di digitalizzare e arricchire l'Archivio Storico da lui creato e ricco di documentazione.

Contatto voi perché vi interconnette l'interesse comune per il fenomeno
mafioso, la nonviolenza, Danilo Dolci, la tensione verso la verità.

Per maggiori dettagli sull'Archivio Casarrubea, si veda qui:


Per maggiori informazioni sulle modalità per le donazioni:


La libertà si nutre di verità.

Bonne vie.
Roberto

25 febbraio - Giornata nazionale di mobilitazione contro gli F-35

Accademia Apuana della Pace

Sito: www.aadp.it  - Email: info@aadp.it  
Sede provvisoria: presso A.V.A.A.,via Quercioli, 77 - 54100 MASSA
tel. 339 5829566 - fax 0585/792909- c.f. 92025160455


(ccb: Banca Etica - n. 116148 - abi: 05018 - cab: 02800)
Redazione Notiziario: notiziario@aadp.it  
Per iscriversi alla mailing list del notiziario: lista_notiziario-subscribe@aadp.it




25 febbraio - Giornata nazionale di mobilitazione contro gli F-35

Cari amici,


come sapete, l'Ammiraglio-Ministrotecnico Giampaolo Di Paola ha deciso di confermare l'acquisto di 90 cacciabombardieri nucleari F35: una delle più micidiali armi da guerra mai costruite, che costa circa 115 milioni di euro al pezzo. In tutto più di 10 miliardi di euro ai quali se ne dovranno aggiungere almeno altri 30 per la loro gestione.


Si tratta di una scelta irresponsabile mentre si costringono milioni di italiani a fare enormi sacrifici e mancano i soldi per la polizia, la giustizia, la protezione civile, la scuola, la lotta alla povertà e per gli enti locali.


Per questo è importante accrescere la pressione sul Parlamento che ora dovrà valutare e cancellare questa decisione.


Con questo spirito vi invitiamo ad aderire alla Giornata nazionale di mobilitazione contro gli F-35 che si svolgerà sabato 25 febbraio 2012. In particolare vi proponiamo di:


organizzare la raccolta di firme nella vostra città (in piazza, in una scuola, negli uffici,...) (vedi il modulo in allegato);


chiedere al vostro Comune (o Provincia) di aderire votare una mozione contro l'acquisto degli F-35 (vedi la bozza di delibera del Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace e i diritti umani);


chiedere ai parlamentari eletti nel vostro territorio di annunciare il proprio voto contrario agli F-35.


In attesa di conoscere le iniziative che deciderete di assumere, vi invio i più cordiali saluti.


Flavio Lotti


Coordinatore nazionale Tavola della pace


Perugia, 20 febbraio 2012


Notiziario settimanale dell'Accademia Apuana della Pace n. 365 del 24/02/2012


Approfondimenti


In questa sezione sono pubblicati gli articoli e i documenti di approfondimento segnalati dai lettori del notiziario


1) Carcere


Giustizia: malati e carcerati…, Eleonora Martini (Fonte: Ristretti Orizzonti - News Letter)


2) Industria - commercio di armi, spese militari


Spese militari, la fine di un tabù, Michele Nardelli (Fonte: Controllarmi: rete per il disarmo - segnalato da Peacelink)


A proposito dei caccia F35, ComboniFem - Suore Comboniane (Fonte: ComboniFem - Newsletter Suore Comboniane del 9 febbraio 2012)


3) Lavoro ed occupazione


Perché insistono sull'abolizione dell'art. 18 ?, Umberto Franchi (Fonte: ComunicazioniNazionali)


4) Politica e democrazia


Monti eolimpiadi, Massimo Michelucci


5) Povertà ed emarginazione


Voci degli invisibili della Casa di Accoglienza di Massa: Giuseppe di Barberino in Mugello\, Ilde Piccioli (Fonte: AVAA)


Notizie dal mondo


Approfondimenti "globali"


1) America Latina


Mininotiziario America Latina dal basso - n. 05/2012 del 31.01.2012, Fondazione Neno Zanchetta (Fonte: Fondazione Neno Zanchetta)


2) Palestina e Israele


In memoria di Abir Aramin morta il 18 gennaio 2007, Il padre di Abir- palestinese (Fonte: Comunità di Via Gaggio (Lecco))


Notiziario TV


In questa sezione sono pubblicati i link ai video che i lettori del notiziario ci segnalano


1) Video


La condizione dei minori stranieri in Italia (parte 3), Gruppo Abele


Corsi / strumenti


In questa sezione sono pubblicati i corsi e gli strumenti utili per la formazione proposti dai movimenti e dalle associazioni


1) Corsi di formazione


Master di I Livello in Mediazione Culturale e Religiosa (2°edizione), Università Pontificia Salesiana - Facoltà di Filosofia (Fonte: Interdependence)


Recensioni


1) Libri


"Un mondo senza Wall Street" di François Morin, Andrea Sartori


Associazioni


1) Documenti


Per l'Alternativa - notiziario di PuntoRosso Carrara del 04.02.2012, Punto Rosso Carrara (Fonte: Punto Rosso Carrara)


2) Iniziative


Capire la crisi per non pagarne le conseguenze, Massa, venerdì 24 febbraio pre 21.00 Casa delle Culture, Assemblea Antifascista Antirazzista Massa Carrara, Collettivo Autonomo Studentesco (Fonte: Assemblea Antifascista Antirazzista Massa Carrara)


"Esperimenti di democrazia globale": GIANLUCA SGUEO, autore del libro, ne parla con ALESSANDRO VOLPI, Massa, Sabato 25 febbraio ore 17.30 Circolo Briciole, Associazione Culturale "L'incontro" (Fonte: Associazione Culturale "L'incontro")


Iniziative segnalate (dal 24/02/2012 al 05/03/2012)


da Sabato 18/02/2012 al 04/03/2012


Mostra fotografica collettiva 2012 - Massa, Palazzo Ducale - Sala degli Specchi - p.za Aranci, ore 18:00 (organizzato da: Club fotografico apuano)


Venerdì 24/02/2012


Le Donne nella Storia: Teodora (relatrice Dott.ssa Mirella Rossi) - Massa, c/o Sede AIMA, via Serchio 49 - Marina di Massa, ore 16:30 (organizzato da: Associazione Intercomunale Massese Anziani, 0585-869834)


Capire la crisi per non pagarne le conseguenze - Massa, Casa delle Culture (ex deposito CAT) - Pomerio Ducale, ore 21:00 (organizzato da: Assemblea Antifascista Antirazzista Massa Carrara, Collettivo Autonomo Studentesco)


Sabato 25/02/2012


"Esperimenti di democrazia globale": GIANLUCA SGUEO, autore del libro, ne parla con ALESSANDRO VOLPI - Massa, Circolo "Briciole" - Via Cervara, 115, ore 17:30 (organizzato da: Associazione Culturale "L'incontro", associazione.incontro@gmail.com, 0585-250190)


Domenica 26/02/2012


Mario Pegollo racconta "Castelli, Rocche e Fortezze in punta di...matita" - Massa, Circolo "Briciole" - Via Cervara, 115, ore 17:30 (organizzato da: Associazione Culturale "Briciole", sdoga@email.it, 348 0925601 - 340 5643649)


Dettaglio iniziative


Le iniziative e gli articoli da pubblicare sul notiziario e sul sito devono essere inviate alla Redazione entro la mattina del giovedì, giorno che precede l'invio del notiziario.


Il presente notiziario settimanale, oltre ad essere un servizio di informazione sulle diverse iniziative promosse dalle associazioni, è anche uno spazio aperto per condividere pensieri, documenti, riflessioni, proposte, ma anche suggerimenti di letture, recensioni… sui temi della pace, della nonviolenza, della giustizia, della solidarietà, dei diritti…: chiunque voglia dare il proprio contributo deve solo farlo pervenire alla Redazione del Notiziario chiedendone la pubblicazione sul notiziario.




NB Questa e-mail viene inviata a tutti gli utenti che entrano in contatto con l’Accademia Apuana della Pace in sintonia con le norme in vigore sulle privacy (art.675, 1996). Gli indirizzi e-mail sono stati reperiti attraverso fonti di pubblico dominio o attraverso e-mail da noi ricevuta. Tutti i destinatari della e-mail sono in copia nascosta (Privacy L.75/96) a garanzia della privacy.


Può succedere che il messaggio pervenga anche a persone non interessate. In tal caso vi preghiamo di segnalarcelo rispondendo CANCELLAMI o REMOVE a questa e-mail, precisando l’indirizzo che vorrete immediatamente rimosso dalla mailing list, oppure inviando una e-mail direttamente a lista_notiziario-unsubscribe@aadp.it. Grazie