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lunedì 31 gennaio 2011

L'ABIURA DELLA PROFEZIA

di Felice Scalia * 
Dopo tante “contestualizzazioni” sulle malefatte del Cavaliere in materia di coerenza con una sua proclamata fede cristiana, dalla alte gerarchie cattoliche giungono esecrazioni, richiami, e “forti pressioni”. Nulla da eccepire se non la eccessiva prudenza di ieri che tra i semplici poteva suonare connivenza, e la riduzione di oggi di quanto sta paralizzando la vita politica italiana ad una questione di morale personale poco degna di un “uomo pubblico”. Personalmente resto nella mia preoccupazione, e per una serie di motivi: la vita privata del Cavaliere è stata ed è modello di corruzione del tessuto morale della nazione intera; la sua sfrenatezza nulla è se non la conseguenza di una concezione di vita basata sul potere ed il denaro; l’etica sessuale è intimamente connessa con un’ideologia, il “pensiero unico”, dove tutto è in vendita, anche le persone ridotte a cose, e dove le leggi del mercato sono “la Legge”. Queste interconnessioni sono mine vaganti, questo “insieme” stride con la fede cristiana. E da tempo aspettavamo in tanti una presa di posizione profetica della Chiesa sul “sistema”. Non c’è stata e non c’è. Fino a far sembrare ovvia l’ipotesi di una blasfema nuova “santa alleanza” di alti uomini di Chiesa con questo tipo di potere, ben oltre l’umana simpatia, o la stessa comprensione benevolente per la vita difficile di un “peccatore” atipico.
Confesso che questa ipotesi non mi sembra campata in aria e certi fatti la suggeriscono. Ed una spiegazione plausibile è che quegli uomini di Chiesa, anche se non ne sono coscienti, sono membri della “Chiesa-istituzione” prima che della “Chiesa-mistero”, di quella Chiesa cioè che è presenza storica del Cristo per le nostre strade. Le istituzioni hanno una loro logica, una propria forza di attrazione, si sostengono a vicenda quale che sia il loro contenuto e la finalità per cui esistono. I “potenti” costituiscono una categoria antropologica a parte, sono tutti fratelli, quasi appartenessero ad una tentacolare massoneria planetaria. Il potere è maestà ed arbitrio, non è legge, anche se a sua giustificazione porta avanti il “bene comune”, la tenuta dell’ordine e perfino della legge di Dio.
Questa stupefacente caduta di stile cristiano, questa abiura alla profezia che ci farebbe leggere la storia alla luce della Parola (e mai viceversa) dovrebbe fare riflettere tutti. Ma forse il male denunziato da questo strano neo-collateralismo di certi cattolici col potere rivela un grave scadimento dello stesso cristianesimo. Pare che da «lieto annunzio» di salvezza «per ogni carne», da proclamazione che non esistono pietre tombali sulle nostre sciagure e sui nostri limiti, ma pietre pasquali che sprigionano vita e futuro di gloria, da queste altezze esso sia sceso a quattro “valori non negoziabili” assicurati dal Cavaliere fino a quando rimane in sella.
Qui non si sta dicendo che quei “valori” (difesa della vita umana al suo apparire ed al suo tramonto, tutela della famiglia, diritto all’educazione dei figli…) siano fasulli, ma che essi non esauriscono affatto il Vangelo.
Viene ovvia la conclusione che fino a quando il popolo di Dio tutto continua a non interrogarsi sul “sistema”, sul paradigma che regge il mondo, o addirittura lo “sposa” quasi fosse ovviamente naturale, contentandosi magari di ritenere proprio compito lenire i guai provocati da esso («Il capitalismo globalizzato è legge sacra di natura, ma noi aiuteremo gli affamati della Tunisia…»), fino a quel giorno ogni esecrazione di eccessi, ogni (inimmaginabile) scomunica sarebbe solo un toglierci un bruscolo dagli occhi lasciando che vi prosperi una bella trave.

* Gesuita, teologo dell’istituto Ignatianum (Messina)

domenica 30 gennaio 2011

LA CONDIZIONE DELLA DONNA E DEL MINORE IMMIGRATO. Incontro ad Albenga


Ero straniero e mi avete accolto (Mt 25,35)
Per il cristiano ogni terra straniera è patria e ogni patria è terra straniera (anonimo, lettera a Diogneto).


Sabato 29 gennaio si è tenuto ad Albenga l'incontro per la presentazione del Dossier Immigrazione 20101 realizzato da Caritas/Migrantes, dedicato al tema La condizione della donna e del minore immigrato. È stato un pomeriggio molto interessante con l'unico neo della non eccessiva partecipazione della popolazione. Hanno brillato per l'assenza gli insegnanti e i rappresentanti dell'Amministrazione Comunale (del resto, cosa si può aspettare da un Comune a guida leghista?). Gli organizzatori mi hanno chiesto di partecipare, in qualità di relatore. Mi ero preparato un intervento che poi, per rispetto della platea, ho riassunto. Lo pubblico integrale, sperando che possa essere utile a qualcuno.
Ringrazio gli organizzatori per avermi dato l'opportunità di partecipare a questa iniziativa. Mi sembra opportuno, in un momento storico come l'attuale, in cui le parole sembrano essere state spogliate del loro significato e svuotate di ogni riferimento al reale, basti pensare alla politica rivedere il concetto di 'integrazione'. Ormai se ne riempiono la bocca tutti: ne parla persino Gianfranco Fini, uno dei padri della famigerata legge Bossi-Fini...
Integrazione, termine apparentemente buono e utile, in realtà è più infido di quanto non sembri. Personalmente non ne posso più di sentire di parlare di 'integrazione', per alcuni semplici motivi: sono sempre 'loro' che devono integrarsi (e cioè adeguarsi ai nostri usi e costumi);. sono sempre 'loro' che devono integrarsi: così facendo si afferma -in maniera neanche tanto velata- la superiorità della 'nostra' cultura e, conseguentemente, l'inferiorità della cultura altrui. Che poi generazioni di studiosi si siano affannati a dirci che tutte le culture hanno pari dignità e che non ne esistono di 'superiori' e di 'inferiori', alla gente poco importa (don Lorenzo Milani scrive -cito a memoria- che nessun popolo è privo di cultura e tutte hanno eguali dignità). E poi, non è forse giunta l'ora che la smettiamo di pensare a un 'noi' e a un 'loro' come gruppi omogenei? Noi chi? Loro chi? Ed è per questo motivo che scriverò sempre 'noi' e 'loro' tra virgolette. Sono sempre 'loro' che devono integrarsi (perché sono ospiti e noi 'padroni in casa nostra').

È per questi motivi che preferisco parlare di interazione e la differenza non è solo in una lettera in più o in meno. La differenza è sostanziale: nell'interazione c'è il riconoscimento dell'altro, della sua persona; c'è la potenzialità di lasciarsi influenzare da qualcosa dell'altro, di un completamento reciproco e di un reciproco miglioramento. C'è, in questa parola, il riconoscimento di una progettualità cui possiamo contribuire: papa Giovanni XIII non ci ha forse ammonito affermando che “quando incontri un viandante non chiedergli da dove viene, ma dove va”. Trovo questa frase stupenda: ovviamente non penso che il suo autore la intendesse nel senso che il viandante (il migrante moderno) se ne debba andare via subito o che non ci importi del suo passato ma che intendesse sottolineare la progettualità del suo andare (e del suo venire). Progettualità che a molti di 'noi' sfugge, presi come siamo ad ammirare il proprio io, la propria storia, le proprie radici, compresi dall'ascoltare le proprie parole dimenticando che diversi (dai filosofi greci al Talmud) hanno scritto che “abbiamo due orecchie e una sola bocca, segno che dobbiamo più ascoltare che parlare” e se la gente (categoria sociologica dall'incerto statuto epistemologico, ma caratterizzata da un alto peso politico, anche perché spesso i politici parlano in sua vece...) ascoltasse un po' più le ragioni dell'altro, forse non saremmo al punto in cui siamo.
Nel mio lavoro quotidiano sono venuto a contatto con una moltitudine di migranti e con i loro figli (sono insegnante in una scuola elementare). La popolazione della Scuola dell'Infanzia e di Base albenganese (l'ex scuola materna e elementare) è suddivisa in due Circoli Didattici. Nel Primo Circolo, il 61% dei bambini stranieri è nata in Italia mentre nel Secondo la percentuale è leggermente minore, ma sempre vicina al 50%). Se questi bimbi sono nati nel nostro paese, hanno frequentato la scuola italiana, hanno abitudini alimentari italiane, trascorrono il tempo libero o extrascolastico come i loro compagni italiani, se hanno addirittura come prima lingua (o unica lingua) quella italiana, perchè non considerarli italiani? Perché non dare la cittadinanza a chi nasce nel nostro paese? Cosa temono gli oppositori che questi bambini inquinino l'italica razza? A parte che i maggiori genetisti hanno rigettato il concetto stesso di razza, basta dare un'occhiata a qualunque atlante storico o girare per Albenga ad occhi aperti per comprendere come il nostro popolo sia nato da un crogiolo di altri popoli che, per motivi diversi, sono venuti nel corso del tempo, a stabilirsi nella penisola.
E veniamo al permesso di soggiorno. A mio parere occorre rovesciare la logica imperante che lega il permesso di soggiorno al posto di lavoro e abbattere questo sistema di cose per cui un operaio straniero oggi è in regola perché lavora, domani diventa un irregolare perché l'azienda è stata chiusa per la crisi e magari 'delocalizzata'. A questo proposito, vorrei aprire una parentesi: la Convenzione Internazionale dei Diritti del Bambino, adottata anche dal nostro paese, prescrive che egli abbia diritto a diverse cose, tra cui l'istruzione, a prescindere dallo status legale dei suoi genitori. Nessun bambino è irregolare dunque. É pur vero che nessuno, neanche l'UNICEF o altre agenzie deputate, vanno a chiedere quale sia lo statuto dei bambini respinti nel deserto libico da Gheddafi, grazie a una legge voluta dalla Lega). Occorre riconoscere la persona al di là della mera forza lavoro che non ha diritti (all'istruzione, alla famiglia, alla sanità, all'espressione religiosa), che dovrebbe sparire quando non lavora per quattro spiccioli o fa, al nostro posto, lavori sottopagati e pericolosi per la salute. E non sono episodi che accadono solo nel profondo sud e Rosarno Calabro è molto più vicina di quanto non credano molti benpensanti nostrani.
Dobbiamo uscire dalla logica economicistica e entrare nell'ottica umana, riconoscendo appunto l'appartenenza all'unica razza, quella umana, dove tutti devono avere pari dignità, eguali diritti e uguali doveri, avere le stesse opportunità. Certo, un paese dove il 15% della popolazione detiene la metà della ricchezza nazionale è un paese segnato da discriminazione e ingiustizie, dove qualcosa non funziona...e sempre più italiani vivono al di sotto della soglia di povertà; addirittura stanno aumentando i ritorni in patria di ex migranti.

E qui si potrebbe aprire una breve parentesi: aumentano sempre più gli italiani che hanno bisogno di aiuto, anche nelle scuole dove, con le volontarie dell'Associazione di cui sono presidente (il Centro Scuola Territorio), abbiamo deciso di non intervenire solo sugli alunni stranieri ma anche sugli alunni svantaggiati italiani. E questo non solo per rimediare a una carenza istituzionale, ma anche per prevenire discorsi razzisti che già iniziavano a serpeggiare (del tipo 'ecco aiutano gli stranieri, ma ai nostri bambini nessuno ci pensa'; oppure 'per colpa degli stranieri la classe rimane indietro' rispetto a che cosa non s'è mai saputo...). Insomma le volontarie -che qui ringrazio- intervengono sui bambini che hanno bisogno, a prescindere dalla loro nazionalità. Anche perché a volte, in bimbi stranieri imparano velocemente la nostra lingua...Un'altra notazione: si sono avviati processi simili a quelli avvenuti quando c'è stato oramai una trentina d'anni fa l'inserimento degli alunni diversamente abili: ci sono stati esempio di tutoraggio spontaneo (bambini che da soli decidevano di aiutare compagni neo arrivati, facendo il proprio compito e sostenendo gli altri, senza che nessuno glielo chiedesse). Ma, poiché sono bambini era ed è bellissimo vederli giocare insieme nel cortile della scuola, parlando una lingua franca ma comprendendosi benissimo: date loro, ad esempio, un pallone e non ci sarà differenza linguistica che tenga...
Ma la conoscenza della lingua del paese in cui ci si trova è semplicemente fondamentale per comprendere ciò che ci dice il datore di lavoro, chi ci affitta la casa, o ciò che ci dice l'insegnante (sovente accade che siano proprio i bambini a far da tramite anche se, ormai è appurato, per imparare la lingua d'uso bastano pochi mesi mentre per apprendere la lingua di studio ci vogliono anni...comunque, come diceva don Milani, solo la lingua rende uguali...
Ciò non significa che non ci siano problemi, soprattutto linguistici (ma anche legati alla differente scolarizzazione dei bambini e dei loro genitori): mancano o sono ancora pochi (anche se sono stati fatti passi in avanti) i mediatori linguistici. Le traduzioni dei documenti o degli avvisi legati alla vita scolastica non sempre sono comprensibili a tutti (a volte i genitori non sanno leggere o sanno leggere e parlare il proprio dialetto e non la lingua ufficiale o standard). Mancano anche le conoscenze legate ai curricula previsti dai differenti sistemi scolastici e, conseguentemente, tra diversi programmi scolastici. Mancano soprattutto strumenti adeguati sia a preparare l'accoglienza per i bambini (per tutti i bambini, con una particolare attenzione a quelli che vivono situazioni critiche -disabilità, migrazione, situazione familiare disastrata) e momenti di incontro con le famiglie, anche in questa caso, con tutte le famiglie ma con una particolare attenzione a quelle che vivono situazioni problematiche.
Uno dei nemici peggiori dell'interazione è la presenza diffusa degli stereotipi, legati all'ignoranza dei costumi e dei modi di vita altrui.
E chiudo con una proposta: occorre continuare sulla strada intrapresa nel lavoro di conoscenza reciproca, soprattutto con la Comunità Musulmana, e con il mondo migrante nel suo insieme; occorre anche andare al di là e costruire una comunità di pratica che dia vita sia a momenti di incontro e conoscenza, ma anche a reali situazioni di interazione, creando gruppi di discussione e incontro che prescindano dalla nazionalità o dalla fede. Costituire gruppi costituiti da volontari, migranti, operatori dei servizi ecc. che sappiano creare e moltiplicare situazioni di incontro.

sabato 29 gennaio 2011

150

Nel   150° anniversario dell'Unità d'Italia, mentre la pubblica opinione  è distratta dagli scandali  che coinvolgono il premier e umiliano  l'Italia,  si sta verificando paradossalmente  la  spaccatura in due  dell'Italia  per effetto della riforma federale. La  riforma fiscale, che fu  sostenuta da quasi tutto il Parlamento,   sembra una trappola per  molti ignari cittadini. Il terzo decreto  attuativo  dà a  Sose SPA  (insieme a Istat e a  Ragioneria dello Stato) il compito di fissare  i fabbisogni standard   degli enti locali nelle loro funzioni fondamentali.  La questione dei  fabbisogni è l'architrave  del federalismo fiscale. Dalla loro  determinazione dipenderà la  tutela dei diritti sociali.  E' assurdo  che il decreto  sottragga al Parlamento  e  deleghi ad una  Spa e  all'Istat la  individuazione dei fabbisogni  e dei livelli delle prestazioni concernenti  i diritti  sociali dei cittadini: il diritto alla  scuola, alla salute, al lavoro.  Con la violazione del dovere di  solidarietà  sociale ( art 2 ), a scapito degli enti locali delle  aree più deboli .

Non solo. Il neo presidente di  Rete Imprese Italia, Giorgio Guerrini, che raggruppa due milioni di  piccoli imprenditori, lancia l'allarme. In un'intervista all'ANSA  adombra il rischio, che per noi è certezza,  che il federalismo  si  traduca in un aggravarsi della pressione tributaria per tutti i  cittadini. I decreti  produrranno un aumento della pressione fiscale  a livello locale. In Italia  secondo i dati dell'ultimo documento  OCSE, il rapporto tra tasse locali e prodotto interno lordo è  passato dal 2,9 per cento del 1990 al 16,1 del 2008, contro una media  europea  del 12,4 per cento. I calcoli diffusi dalla CGIA di Mestre   confermano che i cittadini italiani pagano un prezzo alto al fisco  locale: 1233 euro a testa. La dilatazione delle assunzioni  clientelari si trasforma in un ulteriore aggravio fiscale per gli  esangui contribuenti italiani. Roma è tra i primi posti tra i comuni  più tartassati dai tributi locali. Inoltre il federalismo fiscale   consentirà ai comuni anche  di sbloccare quest'anno le addizionali IRPEF ferme al 2008. E le Regioni potranno portare dal 2015  l'addizionale dall'attuale '1.4 per cento al 3 per cento per i  redditi sopra i 28.000 euro. Possibilità di aumento anche per l'IRAP  su cui le Regioni avranno ampi spazi di manovra.  Queste le fosche  prospettive del federalismo fiscale .

Intanto il distacco del Nord dal resto dell'Italia sta avvenendo in modo  irreversibile. Il primo colpo, è bene ricordarlo,  venne dalla  riforma del Titolo V, che attribuì  alle Regioni competenza  legislativa concorrente con lo Stato  in materie di rapporti  internazionali con l'UE,   lavoro,  istruzione e  sanità. ( art 117  Cost ). Una vera follia!   I  risultati della legislazione  concorrente in materia di istruzione si sono visti con lo spettacolo  desolante del comune di Adro, il cui sindaco leghista ha preso  iniziative razzistiche e  lesive della unità nazionale. A parte  la  bandiera della lega nella scuola,  egli  ha deciso che  "Se il genitore non paga, l'alunno non mangia a scuola e se ne  torna a casa". Una misura che colpisce  gli immigrati e i senza  reddito, anche se bravi a scuola. E a questa decisione  Bossi,  Berlusconi e soci hanno reagito con un'alzata di spalle. Come hanno  fatto dopo la inaugurazione della scuola tappezzata di emblemi  leghisti e intitolata ad un fondatore della lega Nord senza  consultare l'autorità scolastica locale.  Nemmeno la bandiera  italiana all'inaugurazione della scuola per sottolineare la  prevalenza dell'identità locale su quella nazionale. L'ultimo  episodio di queste   scelte dissennate   è il divieto di alternativa  al  “menu padano” nella mensa scolastica.  Solo un   analfabeta  come Umberto Bossi poteva ispirare tale cretinata , che  danneggia  i  meno abbienti. A Lazzate, in Brianza, (Lazzzàa comune della  Padania, si legge sul cartello) le strisce pedonali sono verdi e le  vie si chiamano Pontida, Padania, Carroccio, Sole delle Alpi e roba  del genere. L'osteria ha preso l'impegno con il comune che per  vent'anni non può servire pizza né couscous, ma solo cucina  lombarda.  Episodi che  indicano una strategia politica precisa che  va verso  secessione e  barbarie.

La modifica del  titolo V, voluta da De Mita, D'Alema e da  Giuliano  Amato,  subì   nel 2004 le critiche di   Giuliano Vassalli. Che espresse “antipatia  profonda  per la riforma del 2001 del centrosinistra”, parlando  “di manovra elettoralistica varata,  con scarsa maggioranza, a favore  del federalismo”. E auspicò  di  “ rinvigorire la legislazione  esclusiva dello Stato  su materie su cui la competenza non è  frammentabile”. E   concluse: “ la riforma del 2001 ha  necessità  di essere ripensata funditus ” .

Altrettanto critico fu il giudizio dell'allora    onorevole  Giorgio Napolitano, che  chiamato in causa per avere  promosso la commissione  De Mita , cui subentrò D'Alema,  ammise nel  predetto convegno di volere “ rafforzare i poteri del  Primo  Ministro”  ma trovò “orripilante”  la nuova formulazione dell'art  117. Rafforzando i poteri del premier, Berlusconi sarebbe rimasto  40 anni con  effetti irreparabili.

Uguale critica feroce espresse il  costituzionalista Mauro Ferri, che osservò “quando la  Costituzione cominciava a funzionare, si  è cominciato a volerla  cambiare con le varie commissioni. ... della bicamerale D'Alema  meglio non parlare, meglio non esprimere giudizi su quello ( di  negativo) che uscì fuori da quella bicamerale” tra cui “il  famigerato premierato”, che poi per fortuna cadde,  e “ il  famigerato titolo V del 2001”.

Sulla stessa linea  il  costituzionalista Augusto Barbera “ la riforma del titolo V ha già  prodotto non pochi danni  alla governabilità del Paese”.

Nonostante queste critiche aspre e  il contenzioso Stato-Regioni che sommerge la Corte,   Giuliano Amato ha dichiarato il 14 gennaio 2011 all'Accademia dei Lincei   che “la  svolta federale in atto servirà a superare la incompiutezza della  unificazione italiana”. Un trasformista  braccio destro di Craxi  che  mira alla Presidenza della Repubblica con l'appoggio del  centrodestra e di Bossi.

Il federalismo  accettabile è  solo quello solidale. Convinti, con Ciampi, che “per  diffondere    in Europa un  generale benessere, maggiore  giustizia sociale, un più  alto livello di democrazia” , il federalismo    richiede  “cultura politica, accresciuto impegno civile di amministrati ed  amministratori, nuovo patriottismo, regionale, nazionale ed europeo. ”  Ma  Ciampi riconobbe  che la nascita delle Regioni  era  una  delusione:  non avevano saputo  evitare “ costosi doppioni”,   una “proliferazione burocratica, dannosa per lo sviluppo di ogni  regione”, ed -io aggiungo - una crescita di corruzione e  crimine  organizzato. La mafia continua a gestire   le risorse destinate alle  regioni  provenienti dallo Stato e dall'UE . Come confermano   Commissione Antimafia e  DNA.

Parlando  del federalismo non  dimentichiamo che Bossi e premier mirano allo  stravolgimento della Costituzione, già tentato nel 2005. con  Senato Federale,  Corte Costituzionale e  federalismo fiscale. Il  senato Federale,  approvato  dal Parlamento    nel 2005 , fu   bocciato  dal referendum popolare.  Giuliano Vassalli ammonì che  esso  realizzava   il predominio del Senato federale sulla Camera ed  era“Un  istituto ibrido, incomprensibile in più punti” .  La Lega vuole un  Senato federale  con  poteri  più ampi  di quelli  della Camera.  E il potere di eleggere 4 membri della Corte  Costituzionale,  mentre  alla Camera ne resterebbero  solo 3, (oggi  ne spettano cinque al Parlamento in seduta comune). Con l'aumento dei  giudici di nomina politica,  la Consulta non sarebbe  il giudice  imparziale delle leggi, ma un organo della maggioranza. E dunque non  in grado di dichiarare la incostituzionalità delle leggi approvate  dalle  maggioranze di centro destra e di centrosinistra, a partire  dal lodo Alfano. Al Senato spetterebbe un groviglio di competenze,  tra cui un potere di veto  sui rapporti internazionali, tutela  e sicurezza sul lavoro, istruzione,  ricerca scientifica e  tecnologica, salute,  finanza pubblica  e del sistema tributario,   art 117 3 comma Cost.  Un guazzabuglio che porterebbe alla paralisi  del Parlamento ed alla disgregazione del Paese.

Farraginoso   era il sistema escogitato dalla Lega per disciplinare i rapporti tra  Camera  e Senato federale nella formazione delle leggi.  Una riforma   per aumentare i conflitti. In  realtà la Lega tende   alla secessione morbida del Nord  dal resto  dell'Italia.  Una conferma della incidenza negativa del federalismo   sullo  sviluppo  viene dalla Corte dei Conti che ha denunziato,  nel 2009 e  2010  che la corruzione dilaga essendo divenuta una tassa immorale  e  occulta,  pagata dai cittadini, pari a 50-60 miliardi di euro  all'anno . “Un fenomeno che ostacola  nel Sud, gli investimenti  esteri”.  Nella classifica della corruzione, tra le prime cinque  regioni, - afferma la Corte- ce ne sono quattro  nel sud :  Sicilia  (13% del totale delle denunzie), Campania (11,46%), Puglia ( 9,44 ),   Calabria (8,19) preceduta dalla Lombardia con il 9,39 del totale  delle denunce. A questo si aggiunge l'aumento della spesa corrente del 4,5% (stipendi e pensioni),  un costo insopportabile per la  collettività.

D'altra  parte, guardando ad Adro e Lazzate, capiamo che il federalismo   tende    a proteggere gli interessi particolari della lega contro  quelli dei cittadini delle altre regioni d’Italia e contro gli  stranieri.    E a  intaccare  settori   quali  scuola e  sanità. La  scuola  non  sarà  più luogo del confronto pluralistico  di giovani   di  diverse culture, etnie e religioni ma  quello in cui la  formazione  si frantumerà  nelle varie regioni  a seconda delle  diversità religiose ed etniche, con il vanificarsi  della speranza  di costruire una comune  cittadinanza  democratica  secondo i  principi di solidarietà e tolleranza.

Nella sanità  saranno   avvantaggiate le Regioni  più ricche   di fronte alle regioni più  poveremeno garantite rispetto ad un bene primario quale è  il  diritto alla salute.  Ciò  lederebbe la idea unitaria dello Stato  pensata dai padri costituenti quale “forma  fondamentale di  solidarietà umana”.   Il  parlamento nazionale, che  legifera  su  diritti e libertà fondamentali dei cittadini, sul lavoro, sulla  indipendenza dei magistrati, sul pluralismo della informazione, sui  sistemi elettorali e sui conflitti di interesse, perderebbe la sua  centralità e la sua  libertà.  Il solo effetto positivo dello  scandalo che travolge il Premier è- speriamo- l'affossamento del  federalismo.

La situazione  politica

Mentre la stampa  dedica decine di pagine alla telenovela  Ruby-premier, eventi gravi come  la guerra in Afghanistan e la morte dei soldati italiani, la  vicenda delle trattative  tra Stato e mafia,  volute per consentire   la nascita del regime, e la verità sui responsabili  delle stragi   sono quasi del tutto  oscurate. La morte  dell'alpino Luca Sanna    colpito da un  talebano  nella base di Baia Murghab  è stata   relegata dai media nelle pagine interne. I giornali  sono  a caccia  delle telefonate osè delle  presunte amanti del premier.   E tuttavia, tentiamo una breve analisi della situazione.  Il capo  del governo è  più che mai abbarbicato alla poltrona di premier e  trova   nuovi adepti, pronti a vendersi al migliore offerente pur di  non lasciare  gli scranni in parlamento. Ma il  destino  del  Capo  sembra segnato dal nuovo atteggiamento di Umberto Bossi. Che non gli  offre il sostegno di sempre.  Anzi lo invita a non attaccare i  giudici e  gli  chiede perentoriamente  il varo del federalismo.  Salvo a scaricarlo subito dopo l'approvazione dei decreti. Se ciò  non avverrà in tempi brevissimi,  la Lega, forte delle previsioni  che la vedono  in ascesa,  andrà  lo stesso alle elezioni  anticipate. Il disegno di Bossi è chiaro: ingoiare quest'ultimo  rospo per non pregiudicare il cammino del federalismo secessionista. E subito dopo liberarsi dell'alleato scomodo indifendibile  di fronte  al popolo di Pontida puntando alle urne per un nuovo sicuro balzo in  avanti.

Ma   sembra difficile che il premier  riesca  a  varare le riforme sulla  giustizia che  lui annuncia ogni giorno. Un attacco alla giustizia  sarebbe insopportabile anche per  i leghisti.

Ferdinando Imposimato

Da una mail dell’amico Giovanni Falcetta

venerdì 28 gennaio 2011

DANILO DOLCI, UNA STORIA CORALE


Ricordo a tutti
l'appuntamento di domani per il secondo ciclo di Passioni su Radio Rai 3 "Danilo Dolci, una storia corale"  a cura di Carola Susani, alle 10 50 e dopodomani, domenica 30 gennaio, alla stessa ora
Buon ascolto
francesco cappello

"Passioni" è un programma articolato in cicli monografici della durata variabile dalle 2 alle 10 puntate. Ogni ciclo propone una narrazione ed una esplorazione condotta in prima persona dal protagonista o dai protagonisti intorno a quella "passione" che è al centro del tema scelto e si avvale di interviste, archivio sonoro, musiche. Passioni" non vuole offrire un approccio giornalistico o didascalico ma piuttosto l'esperienza viva dei protagonisti, la loro storia, le loro emozioni.

IL PENSIERO DELLA DIFFERENZA: LUCE IRIGARAY



(l'immagine è tratta dal sito www.phillwbb.net)

Un tempo, non molti anni fa, parlare di sesso, droga e rock'n'roll era felicemente sovversivo. Pur essendo un fatto generazionale, non ho mai avuto a che fare né con la droga né con il rock'n'roll (ho sempre amato i cantautori italiani e conosco pochissimo gli altri). Con il sesso, lasciamo perdere (è un fatto privato, anche perchè non rivesto cariche pubbliche...
Chissà se l'autore della triade citata avrebbe mai potuto immaginare che le croncache di fine impero avrebbero fatto versare non fiumi ma oceani di inchiostro...e non tanto sull'aspetto musicale della faccenda. In ogni caso, chi mi legge sa quanto tenda a non cadere nelle trappole (o lusinghe) dell' "attualità", preferendo fornire spunti di riflessione, personali o prelevati da altri siti. Anche l'articolo che segue non sfugge a questa logica. Buona lettura!
Giuliano

A cura di Wanda Tommasi

Nata a Blaton, in Belgio nel 1930, Luce Irigaray psicanalista e filosofa ha fatto parte della scuola freudiana di Parigi, fondata da Jacques Lacan. Il legame con il movimento delle donne è stato per lei un punto di svolta significativo: vicina al movimento delle donne e talvolta coinvolta in esso, Luce Irigaray ripensa le categorie fondamentali della psicoanalisi e della filosofia a partire dai temi dell’inconscio femminile, del corpo femminile, del legame della donna con la madre.
La rottura con Jacques Lacan e con la sua scuola avviene nel 1974 con la pubblicazione di Speculum: Irigaray non riceve i finanziamenti per pubblicare questo testo e viene sospesa dall’incarico di insegnamento a Vincennes; è accusata di mancare di etica e di mescolare la psicoanalisi con altri discorsi, in particolare con quelli provenienti dal contesto femminista.
Nell’ambito della psicoanalisi ella si avvicina a un pensiero sessuato: il suo essere donna non è indifferente a quello che sta dicendo sulla donna e sull’uomo, sul linguaggio, sul corpo.
Speculum è il testo nel quale la critica di Irigaray alla psicoanalisi di Freud e alla filosofia classica maschile si fa tagliente e dura. Gli uomini, i pensatori hanno prodotto una cultura apparentemente valida per tutti, ma, in realtà segnata dalla differenza maschile: hanno collocato il maschile dalla parte del pensiero e il femminile dalla parte del corpo, hanno cioè presentato la donna come l’immagine allo specchio, come il contrario, come l’opposto simmetrico dell’uomo; la donna è stata definita come mancanza rispetto alla pienezza rappresentata dall’uomo. Contro questa impostazione di pensiero, Irigaray usa l’ironia mostrando che nei discorsi degli uomini la donna non è che l’immagine speculare di ciò che essi mettono in scena di se stessi.
Questa strategia ironica viene usata, in particolare, nei confronti di Freud: Irigaray muove a Freud l’accusa di non aver riconosciuto la specificità e l’autonomia della sessualità femminile, ma di averla ricondotta a quella maschile intendendola come mancanza rispetto a una sessualità maschile assunta come paradigma. Freud non considera la donna come nella sua autonomia, ma la vede come un maschio castrato: tutte le fasi dello sviluppo della sessualità femminile sono ricalcate sulla sessualità maschile; la bambina è concepita come un ometto, con dei genitali più piccoli e risibili e il suo godimento è pensato ad imitazione di quello maschile.
La descrizione freudiana dell’invidia del pene, nella donna, è guidata secondo la Irigaray dallo sguardo maschile: è l’uomo che non vede nella bambina niente di simile a sé e ne resta inorridito, per cui costruisce un parallelismo fra la paura maschile della castrazione e l’invidia femminile del pene; ma è l’uomo a provare la paura della castrazione e a veder rispecchiata tale paura nella donna; se il rassicurante specchio femminile non rimandasse questa immagine , se non ci fosse, da parte femminile invidia del pene la costruzione maschile narcisistica crollerebbe.
Altrettanto discutibile è ritenuto da Irigaray il passaggio dall’amore all’odio per la madre che, secondo Freud, accompagnerebbe, nella donna, il suo divenire adulta: mentre la donna dovrebbe passare dall’amore della madre a quello per il padre, l’uomo potrebbe restare polarizzato sull’amore per la madre; ma si chiede Irigaray, quale funzione può avere una donna, una moglie, se è inconsciamente identificata con la madre dell’uomo? L’amore della figlia per la madre non ha trovato espressione all’interno dell’ordine patriarcale: occorre indagare questo legame dimenticato, non interrogato all’interno della cultura patriarcale.
Come si può intuire da questi pochi cenni, Irigaray evita di proporre a sua volta una immagine del femminile, una sua identità: si limita a criticare le rappresentazioni che l’uomo ha fornito della donna , attraversa l’immaginario maschile per mostrare che c’è qualcosa della donna che va oltre ed eccede queste figure.
Irigaray suggerisce che c’è una rimozione originaria su cui sono stati costituiti i fondamenti della razionalità occidentale e della psicoanalisi: tale rimozione riguarda l’assassinio della donna-madre un evento ancora più arcaico del parricidio che Freud pone all’origine della civiltà. La logica del Medesimo e il predominio dell’Uno rispetto al molteplice, che da sempre predominano il pensiero occidentale, hanno portato a pensare il femminile soltanto come una mancanza, non-luogo, sottrazione rispetto la maschile, all’Uno.
Irigaray passa in rassegna la filosofia di Platone, di cui mette in luce la movenza di appropriazione della materia da parte del logos e l’esclusione del femminile per mirare alle idee eterne, il pensiero di Aristotele, che qualifica la donna come madre-materia a vaso, ricettacolo e quello di Plotino in cui la materia è caratterizzata come non essere.
Irigaray vuole sottolineare che il relegare la donna dalla parte del non essere la riduce al mutismo le toglie ogni possibilità di parola : infatti nelle pagine dedicate a Plotino, lo spazio che l’autrice a salvaguardare per sé cioè una parola di donna è solo quello di alcuni puntini di sospensione intervallati dalla citazione delle Enneadi.
Nell’ordine patriarcale afferma l’Irigaray la donna ammutolisce; oppure, significa il suo desiderio, attraverso il sintomo, la malattia, il corpo come nel caso dell’isterica che nella sua messinscena cerca di aprire un varco alla sua prigionia.
Nella sua ricognizione della filosofia occidentale, volta a denunciare il legame implicito fra ragione e mascolinità, Irigaray prosegue con Cartesio in cui l’io penso paga il prezzo per la conquista della propria certezza dell’eliminazione di ogni realtà oggettiva, con Kant, di cui l’autrice sottolinea la cancellazione dell’empiricità e dell’immediatezza del rapporto con la madre per poter elaborare l’oggetto trascendentale e infine con Hegel in cui il femminile compare come eterna ironia della comunità.
Questo attraversamento della Filosofia Occidentale consente di dimostrare che il di discorso patriarcale ha tolto diritto di cittadinanza a un altro discorso quello del corpo e del linguaggio gestuale: l’obiettivo di Speculum è quello di interrogare l’altro linguaggio, quello censurato,rimosso, per rendere manifesta la differenza sessuale nel pensiero. Il tema  dello specchio, cioè della donna come la vuole l’uomo, viene contrapposto al tema della donna come altro: ma la donna come altro l’uomo, purtroppo, non è capace di vederla: non può scorgere l’autonomia del desiderio femminile, perché vuole vedere nella donna solo l’immagine invertita di sé; si ha così il rispecchiamento di una  sola sessualità quella maschile e fallica, e di un modo di pensare ad essa corrispondente.
In Etica della Differenza Sessuale(1985), Irigaray cerca di delineare le forme simboliche di un linguaggio che sia fedele all’esperienza delle donne: tratta i temi del tempo, del luogo, del divino, del soggetto e dell’altro. Per abitare e per avere una dimora propria, le donne hanno bisogno di parole, di un simbolico conforme all’esperienza femminile. Irigaray chiede come una donna possa amare se stessa senza passare necessariamente attraverso l’uomo:la continua donazione di amore all’altro, all’uomo è come una specie d’emorragia; ostacola il ritorno di una donna a se stessa, la costruzione di un luogo proprio di una dimora.
D’altra parte, l’amore del medesimo, cioè l’amore fusionale e confuso tra donne e della donna con la madre è più d’ostacolo che d’aiuto: è infatti un amore come fusione, senza immagini e senza parole che costringe a identificarsi con il materno a pensarsi tutte sorelle, fuse, unite in una sorta di comunismo primitivo che spesso, di fatto, è notevolmente aggressivo. La cultura maschile ha tratto alimento da questo tipo di rapporti tra donne. Occorre una vera socialità fra donne, che permetta un ritorno a sé come amore di sé. La prima condizione è di avere un linguaggio come luogo dove abitare, in cui vi siano parole che tengano insieme il legame affettivo tra donne e la possibilità di scambio, senza confusione; c’è bisogno di un simbolismo tra donne; il linguaggio è indicato come luogo dove è possibile abitare, come terreno dello scambio.
La seconda condizione affinché vi sia socialità femminile articolata è che i rapporti fra donne si strutturino lungo due assi, l’asse verticale del rapporto madre-figlia e l’asse orizzontale del rapporto fra donne; i due assi si incrociano e il loro incrocio può dar vita ad un ordine simbolico femminile. Il femminile può indicare con il suo percorso anche in direzione della trascendenza: alla trascendenza femminile è legata la figura del trascendentale sensibile, un divino che passa attraverso il corpo e la sensibilità che non separa il corporeo dallo spirituale; Irigaray lo lega all’immagine del mucoso simbolo della prossimità tattile, della soglia sempre dischiusa della sessualità femminile.
È da notare il fatto che, in quest’opera, a differenza che in Speculum si confronta in positivo con alcuni autori della tradizione, instaurando con loro un dialogo; emblematico è da questo punto di vista il riferimento a Cartesio, che in Speculum era visto come esempio di un sogno solipsistico costruito a spese del corpo della donna, della materia e delle radici corporee dell’io, mentre nell’Etica è valorizzato, pur nella sua mancata consapevolezza della differenza sessuale, per la forza propositiva della sua nozione di ammirazione che Irigaray propone di adottare come sentimento di fronte all’altro sesso, come punto di partenza per la ricostruzione di un tessuto simbolico dell’eterosessualità. In Etica compare infatti il tema delle nozze, dell’incontro fra uomo e donna, che sarebbe possibile come vero incontro, senza sopraffazione, una volta che, sul versante femminile si sia costituito un proprio ordine simbolico.
Nei suoi testi più recenti, Irigaray si è concentrata sempre di più sulla figura dei due, il due della coppia donna-uomo: ha interrogato l’amore tra donna e uomo che ha bisogno di trascendenza, silenzio e di invisibile. Ha cercato inoltre di ripensare le forme della politica a partire dall’essere due della differenza sessuale e ha avanzato la proposta di un diritto sessuato.
Resta fermo comunque nei suoi testi, da quelli degli anni settanta agli attuali il riferimento ai movimenti delle donne come luoghi in cui rifiutata la strada dell’emancipazione che porta all’omologazione e ai modi di essere maschili, le donne costruiscono forme teoriche e politiche di espressione e di articolazione delle potenzialità inesplorate del femminile.
Irigaray, nella sua decostruzione del fallologocentrismo , che riduce la donna a vuoto, a niente, indica alcune figure di un altro sistema simbolico, di matrice femminile, come quelle prima ricordate, il trascendentale sensibile e il mucoso, o quella del corpo della donna, delle labbra del suo sesso che si toccano, si distanziano, sono l’una il doppio dell’altra.
Tracce della differenza femminile sono anche, nei testi di Irigaray, un rapporto privilegiato al riso e al gioco piuttosto che al prendere,alla resistenza di ogni codificazione normativa.
Irigaray rende così disponibile uno spazio discorsivo diverso per il femminile. In lei l’opera della decostruzione della metafisica e del dominio fallologocentrico intrapresa anche da altri pensatori,
come Derida e Deleuze, approda non solo alla critica del soggetto sessuato maschile e al primato della ragione, ma alla possibilità di un modo di pensare nuovo, non logocentrico alla filosofia della differenza sessuale:”La differenza sessuale sarebbe l’orizzonte di mondi una fecondità ancora non avvenuta. Almeno in Occidente, e senza ridurre la fecondità alla riproduzione dei corpi e delle carne. Fecondità di nascita e di rigenerazione per i partner amorosi,ma anche di un’epoca nuova di pensiero,arte, poesia, linguaggio...Creazione di una nuova poetica”.


Tratto da http://www.filosofico.net/irigaray2.htm

giovedì 27 gennaio 2011

IL DOVERE DI RICORDARE

di Laura Tussi

Dalla Shoah all’attualità dell’intercultura

Oltre agli ebrei, il sistema nazifascista ha schiavizzato e assassinato milioni di persone tra cui zingari, disabili fisici e mentali, polacchi, prigionieri di guerra, sovietici, sindacalisti, avversari politici, obiettore di coscienza, omosessuali e ancora altre tipologie di persone diverse e colpevoli solo di esistere in quanto tali. È importante trasmettere la conoscenza degli eventi alle nuove generazioni partendo dal dialogo e da percorsi di memoria individuale e collettiva a partire dalla conoscenza di sé e degli altri, dei propri compagni di classe, degli insegnanti nell'ambito della comunità educante. Come sostiene Moni Ovadia, “La bella utopia” è un mondo dove non esistano patrie e nazioni, frontiere e burocrazie, limiti e confini, ma comunità educanti aperte all’accoglienza, al dialogo, al cambiamento rivoluzionario, al progresso costruttivo, senza stereotipi e pregiudizi, nel rispetto delle culture altre, nella coesistenza pacifica, che agevola il confronto tra diversità interculturali e differenze di genere ed intergenerazionali.
Dall'intolleranza al razzismo - I meccanismi sociali del razzismo
 Dall'intolleranza al razzismo
L'intolleranza consiste nell'atteggiamento abituale di chi avversa le opinioni altrui, specialmente in materia politica e religiosa. È un atteggiamento improntato ad una rigida e risentita chiusura dogmatica nei confronti degli altri, che si manifesta dalle origini dell'uomo, con la sottomissione degli schiavi, le persecuzioni degli eretici, l'antisemitismo e con fatti di violenza verso i migranti e i non comunitari.  L'intolleranza si manifesta anche contro i Sinti e i Rom perché gli abitanti delle nazioni che li ospitano si considerano appartenenti ad una patria costituita da una sola razza, poiché lo spirito nazionalistico li rende ostili a razze diverse.
Attualmente l'intolleranza ha raggiunto livelli non più sopportabili a causa della convivenza tra popoli differenti ed è motivata da un'ignoranza diffusa rispetto alle persone che la società reputa diverse, perché la gente ha sempre paura dell'ignoto e di tutto ciò che è estraneo e sconosciuto.  Un motivo che alimenta l'intolleranza è la mancanza di valori da parte delle persone che maltrattano i migranti e i non comunitari. […]
Anche in politica è diffusa l'ostilità. Infatti, in modo frequente, in televisione, nei dibattiti e nei telegiornali si può assistere a discussioni molto animate tra uomini politici e anche queste sono forme di intolleranza.
Sembra impossibile che dalle scoperte di Mendel, il mondo debba ancora essere turbato dal prolungato uso del concetto di razza, reso insostenibile dallo sviluppo della genetica moderna.

“La complessa opera di educazione e istruzione dello Stato popolare deve trovare il proprio coronamento nel riuscire a far diventare istintivo il sentimento di razza nel cuore e nel cervello della gioventù. Nessun fanciullo e nessuna fanciulla deve lasciare la scuola senza essersi reso conto fino in fondo dell'essenza della necessità della purezza del sangue”.


Queste parole di Adolfo Hitler nel Mein Kampf inducevano alle incredibili crudeltà dei campi di concentramento e di sterminio. La biologia moderna ha dimostrato che il concetto di razza e di sangue sono infondati. La genetica ha mostrato come non esiste una purezza di caratteri ereditari entro popolazioni umane. Nonostante questi fondamentali principi scientifici, si manifestano attualmente forme di razzismo nei confronti degli ebrei e di tutti i “meridionali” e i diversi del mondo.
Il termine razzismo indica l'ideologia che distingue la razza umana divisa in razze superiori ed inferiori e che prevede la supremazia della razza forte su quella più debole. […]  Attualmente e in passato, le vittime di questa ideologia razzista sono state la razza nera e quella ebrea. Il razzismo comporta pregiudizi, stereotipi mentali, presenti nella società, che se anche non necessariamente si esprimono in discriminazioni, possono essere sfruttati da movimenti politici radicali, che tentano di mobilitare in lotte assurde e incivili, in nome della supremazia del più forte sul più debole.
In Germania avvengono ancora manifestazioni neonaziste, dove, da una parte, si distinguono i nostalgici, i veterani di guerra, e dall'altra stanno invece giovani estremisti per cui il nazismo è un elemento di aggregazione. Questi ultimi, detti naziskin, hanno bisogno dell'autorità di un capo che li guidi e abbia capacità di scelta e dia loro l'impressione di essere forti e non avere paura di niente. L'intolleranza è diffusa e radicata nella nostra società, come violenza morale e fisica manifestata contro le persone portatrici di una diversità, tra cui gli ebrei, gli immigrati, le persone di colore, gli omosessuali.  L'intolleranza si manifesta in forma violenta e pericolosa. I naziskin si rifanno agli ideali nazisti di violenza e intolleranza contro una vasta gamma di tipologie di persone considerate inferiori e diverse.  In Italia, oltre al problema naziskin, esiste il razzismo che rappresenta l'intolleranza per eccellenza. Cosa è possibile fare per escludere questo problema dalla società? Risulta necessario eliminare le discriminazioni anche all'interno di uno stesso popolo, per esempio in Italia, tra settentrionali e meridionali, perché prima di giudicare occorre conoscere.
Il razzismo, che per anni è rimasto sotterraneo, tenuto a bada perché combattuto dai partiti di sinistra, dall'associazionismo cattolico, trova adesso legittimità, in un momento di crisi economica, politica e culturale, nei fenomeni di violenza di gruppo, nei gruppi di tifosi intolleranti, nelle ronde organizzate, che fomentano raduni per eliminare lo straniero, l'immigrato, il diverso. La crisi economica, morale e culturale che colpisce il nostro Paese rischia di travolgere anche le ultime trincee della solidarietà e dell'aiuto reciproco, dove il vero problema è quella sorta di indifferenza e di silenzio che ottenebra le persone.
Ciò che più meraviglia è che proprio l'Italia, un Paese risorto sulle ceneri del regime fascista, trova difficoltà a reagire al problema del razzismo e non riesce a trovare nella propria storia e nella sua memoria gli anticorpi per risolverlo. Stiamo perdendo la memoria storica e un popolo senza memoria non ha futuro. Cresce sempre il rischio che si diffondano maggiormente atteggiamenti razzisti come conseguenza dell'insicurezza generale che si vive con la crisi economica, morale e culturale. In un periodo di profonda incertezza politica, le paure vengono amplificate e cresce così la necessità di difesa. […] Tutti in un certo senso siamo razzisti, almeno implicitamente nei fatti, nel silenzio, nella debolezza delle reazioni, nella scarsa volontà di capire, nell'esibire striscioni razzisti allo stadio.
Il paradosso di questo nostro Paese è che la parola solidarietà appare vuota e inutile anche se viene costantemente ripetuta e gridata. Il razzismo si deve affrontare non solo sul piano politico e psicosociale, ma anche sul piano globale, a livello culturale.
L'oscuramento della ragione si deve all'aver accolto, forse all'inizio inconsapevolmente, per una scarsa coscienza morale, i miti dell'intolleranza fanatica, della disuguaglianza tra gli uomini e della conseguente riduzione dell'avversario a una condizione subumana e della convinzione della sovrumana qualità del proprio gruppo perennemente costretto a difendersi dall'oscura congiura dei sottouomini corruttori della propria razza primigenia e perfetta. L'ignoranza degli avvenimenti della nostra storia recente è causata non soltanto dai programmi scolastici e nemmeno dal poco tempo che rimane all'insegnante di storia, oppresso dalla vastità della materia, ma dalla coscienza civica di ogni singolo individuo nella scelta di trasmettere quanto è avvenuto con il dovere di ricordare. […]
Il contatto diretto con i protagonisti dei lager è l'aspetto più affascinante, ma anche pericoloso della storia orale perché inevitabilmente soggetto all'emotività. Quello che manca delle testimonianze è un quadro complessivo, una serie di narrazioni che permettano un paragone, un confronto tra diverse storie ed una racconto del quotidiano, delle giornate sempre uguali e spossanti, nell'obiettivo e nel fine ultimi del deportato: arrivare a sera, rimanendo vivo.
La resistenza alla spersonalizzazione e all'annientamento era costituita da piccoli episodi, che si presentavano ogni giorno e dovevano essere superati se si voleva, e poteva, evitare di essere sommersi. È possibile essere nazisti, in maniera praticamente inconsapevole, anche in un paese democratico, attraverso quella promozione istituzionale dell'aggressività che consiste nel far parte delle forze armate e di sicurezza, le quali sono considerate indispensabili anche in un paese che voglia mantenersi neutrale.  Forze di polizia ed eserciti rappresentano una riserva di aggressività istituzionalizzata e autorizzata, con il fine di conservare il sistema, generando dimestichezza e abitudine all'aggressività, confermando una cultura della violenza suffragata e dimostrata dai mass media.
Un altro esempio di promozione istituzionale è l'emarginazione. In ogni paese considerato civile sussistono organizzazioni pubbliche e private che si occupano istituzionalmente del controllo della devianza, che viene così messa sotto controllo per non nuocere e non creare problemi. Dunque occorrono dei devianti per attribuire al resto dei cittadini la patente di normalità. Questo accade nel nostro mondo equilibrato e civile come ha assunto connotazioni drammatiche nell'Europa nazista e attualmente ancora negli Stati in cui i diritti umani vengono sistematicamente negati e violati.
Il disimpegno è un altro esempio di promozione istituzionale che privilegia lo status quo, il noto, il già collaudato, le mode e la non partecipazione attiva, la stasi e la non consapevolezza. In questa mentalità sono inserite anche la scuola, le istituzioni politiche, culturali e religiose quasi a sottolineare che il pensiero sociale, progressista e lungimirante non paga, sia a livello individuale, sia collettivo.  Questo atteggiamento molto diffuso ha vantaggi in termini di governabilità, perché la banalizzazione dell'esistenza, la minaccia dell'emarginazione, se non si seguono le leggi della subcultura del proprio gruppo di appartenenza, l'aggressività e la violenza vissute come valore accettabile in determinati contesti, sono la risoluzione per governi mediocri, in lotta per la supremazia e per garantire a chi detiene il potere la minore opposizione possibile, dove i mass media sono in grado di pubblicizzare rapidamente il nemico e il capro espiatorio, come la minoranza etnica, l'atto terroristico, la catastrofe ecologica, fino al più banale dei fatti di cronaca. […] (pagg 19-21)

I meccanismi sociali del razzismo
In Europa, sono fattore di enorme preoccupazione le politiche repressive, così come gli atteggiamenti xenofobi e intolleranti, nei confronti dell'immigrazione clandestina e delle minoranze. Esempio di queste politiche e di questi atteggiamenti è la decisione del governo italiano di rendere reato l'immigrazione clandestina.
Le istituzioni hanno elaborato un sistema normativo contro i comportamenti intolleranti e razzisti. L'articolo 3 della Costituzione della Repubblica, in Italia, prevede che tutti cittadini abbiano pari dignità sociale e siano uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali. Rispetto a questi principi, si vieta di ricostituire il partito fascista e di diffondere idee razziste e l'incitazione alla discriminazione razziale.
Le indagini della scuola psicanalitica di Francoforte hanno cercato di individuare i tratti e le caratteristiche di una personalità orientata al razzismo, alla xenofobia e all'antisemitismo, considerando il pensiero rigido e la personalità autoritaria, come una sorta di ricettacolo per l'insorgenza del pregiudizio antisemita e razzista quali elementi di un pensiero standardizzato e conformista. […] I ragazzi allevati secondo lo stile educativo autoritario tendono a reprimere i sentimenti negativi nei confronti di genitori severi e a sviluppare un atteggiamento di sottomissione verso l'autorità, ma anche a proiettare contro persone più deboli le loro frustrazioni. La personalità autoritaria è caratterizzata da rigidità, stereotipi, incapacità di tollerare l'ambivalenza e il cambiamento.
Secondo Adorno, lo stereotipo antisemita e razzista è un potere completamente antiilluministico, naturalista, irrazionale e superstizioso che si afferma anche in una società razionale e tecnologica. Questo aspetto dell'analisi pone l'accento sulla personalità dell'individuo intollerante, mentre gli studi di psicologia sociale degli ultimi decenni accentuano e pongono in evidenza le dimensioni sociali del pensiero e del contesto che agevolano il formarsi dello stereotipo e del pregiudizio etnico e di genere. Palmonari sostiene che il naturale sviluppo di un'interazione fra l'attività cognitiva dei bambini e delle bambine, la risonanza emotiva e l'ambiente socio-culturale determinano l'insorgere delle categorie concettuali dello stereotipo e del pregiudizio. Le caratteristiche personali, quali la rigidità ed economicità di pensiero, le frustrazioni e la conseguente dimensione relazionale intraindividuale, determinano l'insorgere della concezione intollerante nella relazione. Dunque, quali sono i principali elementi che spiegano la nascita e l'evoluzione del pregiudizio, dell'intolleranza e dell'odio razzista e antisemita?
Gli studi sul pregiudizio sono riconducibili alle relazioni sociali e ai processi di categorizzazione che tendono ad amplificare le differenze tra i gruppi e rafforzare le somiglianze all'interno degli stessi. […] Alla base del pensiero prevenuto e preconcettuale, sussistono meccanismi di categorizzazione che permettono di inserire gli “altri”, automaticamente, in predefinite tipologie distinte per caratteristiche di genere, età, ceto sociale, etnia, e altro ancora. I pregiudizi che sorgono nei gruppi e fra i gruppi sono riconducibili alla teoria realistica del conflitto che evidenzia le contese sociali per l'utilizzo delle risorse e la competitività sul piano economico e politico. Il concetto di identità sociale è costituito dagli aspetti dell'immagine di sé che derivano dalle categorie sociali, di cui l'individuo percepisce l'appartenenza.
La teoria di Bandura, relativa al disimpegno morale, evidenzia i meccanismi tramite cui l'individuo arriva a compiere azioni immorali, giustificando il proprio comportamento, usando eufemismi, distorcendo le conseguenze, dislocando le responsabilità.  Inoltre, nella società autoritaria, monolitica e ideologica, strutturata in senso gerarchico, sono abituali i meccanismi di discriminazione. (…)
In tali contesti, come nella Germania nazista, è possibile osservare una progressione di azioni che muovono critica e dissenso contro il gruppo bersaglio, discreditandolo e autorizzando ripercussioni violente e brutali, giustificando il discredito stesso, perché tali atteggiamenti sfociano nella considerazione che il capro espiatorio costituisce una categoria sociale inferiore e degenerata. Fromm aveva evidenziato come nei regimi totalitari la vita e la sorte dei cittadini viene riposta nelle azioni politiche e nelle decisioni di un capo assoluto, dove la mancanza di condivisione democratica e di autonomia critica costituisce elemento di rischio per la possibile comparsa di meccanismi di distruzione. In situazioni di insicurezza sociale e di difficili condizioni di vita, le circostanze possono attivare sentimenti di ostilità e rivalsa nei confronti di persone percepite come responsabili di simili problemi.
Infatti, colpevolizzare gli altri, trasformarli in capri espiatori, diminuisce le proprie responsabilità.
Questi processi possono rappresentare motivo di conflitto e fomentare i fenomeni di antisemitismo, razzismo e xenofobia. […]
In ogni programma politico di contrasto del pregiudizio, assumono importanza la tipologia di struttura sociale, le disposizioni culturali, le condizioni economiche e sociali, la presenza di conflitto, i rapporti tra gruppi, la storia collettiva e le predisposizioni individuali.
In una società democratica, dove sono in atto meccanismi di condivisione e partecipazione alle decisioni, tramite la considerazione della cittadinanza attiva, nell'autonomia critica, soprattutto tramite il rilievo posto all'istruzione scolastica e alla libertà degli ambiti di stampa, risulta possibile considerare la presenza di anticorpi atti a prevenire gli elementi che ingenerano lo stereotipo, il pregiudizio e la discriminazione che, inevitabilmente innescano meccanismi di distruzione e atrocità collettive.
Attualmente tutto questo non appare così scontato, a causa delle degenerazioni del gioco democratico, rischio sempre presente in caso di affidamento totale delle istituzioni al capo carismatico e anche perché il meccanismo del capro espiatorio agisce in condizioni di crisi sociale, morale e politica e di insicurezza e di incertezza istituzionale. […] (pagg. 50-52)
 Laura Tussi
 Indice del volume
Capitolo I. Il dovere di ricordare - Capitolo II. Educare alla cittadinanza contemporanea - Capitolo III. La pedagogia del dialogo – Bibliografia - Sitografia.
Laura Tussi
Il dovere di ricordare.
Dalla Shoah all’attualità dell’intercultura
EDIZIONI ARACNE
2010