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giovedì 30 agosto 2012

OMAGGIO ALLA CATALOGNA OVVERO LA PERSPICACIA DELLA LEGA NORD

Spero che George Orwell mi perdoni per accostare il titolo di uno dei suoi libri più belli (Omaggio alla Catalogna, per l'appunto) alle stupidaggini della Lega Nord. Sembra ieri che i leghisti additavano l'esempio delle nazionalità spagnole come fulgido esempio di autonomismo federalista, mentre oggi la Catalogna chiede aiuto al governo centrale, che a sua volta, chiede aiuto all'Unione Europea...
Pubblico di seguito due righe sul volume di Orwell, un brano dal sito dei giovani padani (si sa: la gioventù è un problema passeggero!) e un altro brano tratto dal quotidiano La Repubblica.
Pubblico questi testi a futura memoria degli elettori leghisti...



Oggi la Catalunya può fare un passo da gigante


Giovanni Polli, da la Padania 18/6/06

urne aperte, Prevista la vittoria dei sì

«Oggi la Catalunya può fare un passo da gigante»

Il presidente della Generalitat invita a approvare il nuovo Statuto. Gli indipendentisti: «Non ci basta»

GIOVANNI POLLI

«Credo sia il mio dovere, come presidente dei catalani, farvi arrivare un messaggio di ottimismo e di speranza per il nostro futuro. Abbiamo nelle nostre mani, lo dico con franchezza, la possibilità di fare un passo da gigante come Paese». Il presidente della Generalitat de Catalunya, Pasqual Maragall, si è speso in prima persona con un discorso rivolto al suo popolo per invitarlo a votare con massima fiducia il sì al referendum per il nuovo Statuto. Le urne sono aperte oggi, domenica 18 giugno, e la Generalitat comunica che sono iscritti al voto 5 milioni 309 mila e 767 catalani. Sono 857mila e 971 di più rispetto a quanti votarono il sì al referendum per l’approvazione del vecchio Statuto nel 1979. Maragall, nel suo appello, ricorda che proprio grazie alla prima forma di autonomia, già molto avanzata, il Paese ha fatto enormi progressi: «Le nostre imprese ne acquistano altre. Le nostre città sono considerate come esempi da imitare. Le nostre scuole migliorano una tradizione propria iniziata già cent’anni fa. I nostri ospedali sono di qualità. Quello delle biotecnologie è in Catalunya il settore che cresce più in fretta». Un bilancio più che positivo per una “nazionalità” (la definizione è quella della Costituzione spagnola) che ha bisogno di crescere, e per farlo ha bisogno di ancora più autonomie, ancora più risorse proprie rispetto a quelle gettate nel calderone di Madrid.

Il presidente vola alto nel suo discorso, e ricorda che ora è il momento di «adattare la nostra legge ai nostri tempi» e che «bisogna riconoscere chiaramente che percepiamo la Catalunya come una nazione».

continua su: http://www.giovanipadani.leganord.org/articoli.asp?ID=5568


Spagna, Ue pronta a intervento rapido


Catalogna chiede aiuto al governo

Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha elogiato le misure decise da Madrid "forti e coraggiose. Pronti ad aiutare il Paese". Rajoy: "Aiuteremo Barcellona come in molte altre occasioni"

MILANO - Per la Spagna "siamo pronti ad intervenire sulla base di un breve preavviso": lo ha detto il presidente del consiglio Ue Herman Van Rompuy nel corso della conferenza stampa congiunta col premier spagnolo Mariano Rajoy.

La Spagna - ha aggiunto il presidente del Consiglio Ue - ha intrapreso misure "decise e coraggiose. Tutti i soci europei si rendono conto della grandezza delle riforme adottate. Bisogna applicare queste riforme in pieno". E per questo i leader del Vecchio continente "hanno dimostrato la loro volontà di aiutare la Spagna".



Rajoy ha, tuttavia, negato che siano in corso negoziati per chiedere un salvataggio del Paese limitandosi a dire che il governo farà "il necessario nell'interesse degli spagnoli". La situazione del Paese resta comunque critica. Proprio oggi il governo catalano ha formalizzato la richiesta di aiuti per 5,023 miliardi al Fondo di liquidità regionale del ministero delle Finanze, per affrontare i pagamenti in scadenza nell'ultimo trimestre dell'anno e coprire il deficit di bilancio.

continua su: http://www.repubblica.it/economia/2012/08/28/news/spagna_ue_catalogna-41613639/?rss

mercoledì 29 agosto 2012

LII° CONVEGNO DI STUDI DELLA SOCIETA' DI STUDI VALDESI

52° convegno di studi della Società di Studi Valdesi, sabato 8 e domenica 9 settembre 2012, dalle ore 9:30 presso l’aula Sinodale, via Beckwith 2, Torre Pellice,

“Predicazione, eserciti e violenza armata nell’Europa delle guerre di religione (1560-1715)”,
con interventi, tra gli altri, di Philip Benedict (Univ. di Ginevra),
José Martìnez Millàn (Univ. di Madrid),
Marie-Clarté Lagrée (Univ. Sorbonne di Parigi).




Società di Studi Valdesi
via Beckwith 3
10066 Torre Pellice (TO)
tel. 0121 932765

martedì 28 agosto 2012

Sdegno e indignazione per la manifesta omofobia di Forza Nuova e dell'estrema destra neofascista


Apprendiamo con sdegno e indignazione del testo dei manifesti affissi dal partito neofascista Forza Nuova. Il partito di estrema destra afferma che ci sono persone, gli omosessuali, che "non servono" all'Italia, a cui invece servirebbero (riprendendo una campagna portata avanti da Benito Mussolini negli Anni Trenta) "figli".

Respingiamo con forza questa campagna di odio ideologico e omofobo. In tempi di crisi economica, politica e sociale crediamo che non ci sia alcun bisogno di intolleranza, omofobia, odio e disprezzo ma che, al contrario, sia indispensabile convivenza democratica, affermazione dei diritti civili e rispetto delle libertà (anche di scelta sessuale).

E' un gravissimo segnale di intolleranza che non vogliamo e non possiamo sottovalutare. Chiediamo a tutti gli attivisti, i militanti, le forze sociali, civili e politiche di condannare e di respingere il razzismo e l'omofobia delle formazioni neofasciste e di sostenere le campagne democratiche e civili di difesa e affermazione dei diritti di tutte le persone, qualunque sia la loro scelta sessuale o la loro provenienza geografica. Non permettiamo a Forza Nuova, Casa Pound o ad altre loro omologhe di offendere e dileggiare e di seminare odio e intolleranze nelle nostre città.

Abruzzo Social Forum
Associazione Jonathan - Diritti in Movimento
Associazione Antimafie Rita Atria
PeaceLink Abruzzo

web:
http://www.abruzzosocialforum.org
http://www.alinvolo.org
http://www.ritaatria.it
http://www.peacelink.it/abruzzo

venerdì 24 agosto 2012

RICORDATI A VITERBO NICOLA SACCO E BARTOLOMEO VANZETTI


"Ma ricordati sempre, Dante, nel gioco della felicita' non prendere tutto per te, ma scendi d'un passo e aiuta i deboli che chiamano al soccorso, aiuta i perseguitati e le vittime, perche' sono i tuoi migliori amici, sono loro che combattono e cadono come tuo padre e Bartolo hanno combattuto e son caduti ieri per conquistare la gioia della liberta' per tutti e per i poveri lavoratori. In questa lotta della vita troverai molto amore e sarai amato... Si' Dante, oggi possono crocifiggere i nostri corpi, e lo fanno, ma non possono distruggere le nostre idee, che rimarranno per le giovani generazioni future"

(Nicola Sacco, dalla lettera scritta al figlioletto Dante di dieci anni, pochi giorni prima di essere ucciso innocente)

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"Ho gia detto che non soltanto non sono colpevole di questi due delitti, ma non ho mai commesso un delitto in vita mia: non ho mai rubato, non ho mai ucciso, non ho mai versato una goccia di sangue, e ho lottato contro il delitto, ho lottato sacrificando anche me stesso per eliminare i delitti che la legge e la chiesa ammettono e santificano... sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente cio' che ho fatto finora"

(Bartolomeo Vanzetti, dalle parole pronunciate alla conclusione del processo, dinanzi alla Corte che condannava a morte lui e Nicola Sacco innocenti)

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Il 23 agosto 1927 furono assassinati Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.

Il 23 agosto 2012 il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo ha reso omaggio ai due martiri con una commemorazione.

Nel corso della commemorazione sono state lette la breve autobiografia di Bartolomeo Vanzetti, "Una vita proletaria"; alcune lettere di entrambi ai familiari e ai compagni; infine le parole pronunciate prima da Nicola Sacco e poi da Bartolomeo Vanzetti dinanzi alla Corte assassina, ma anche dinanzi all'umanita' affinche' mai piu' le dimentichi.

*

Nicola Sacco (Torremaggiore, 22 aprile 1891 - Charlestown, 23 agosto 1927) e Bartolomeo Vanzetti (Villafalletto, 11 giugno 1888 - Charlestown, 23 agosto 1927), proletari, emigrati, militanti del movimento operaio, portatori dell'ideale della pace, della giustizia e della fraternita' fra tutti gli esseri umani, limpidi e generosi avversari di ogni potere sfruttatore e oppressivo, vittime innocenti della violenza del potere. Essi testimoniano ancora e per sempre della dignita' umana, della lotta contro ogni menzogna e ingiustizia, dell'ideale anarchico di una societa' di persone libere, eguali in diritti, solidali.

Il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo

Viterbo, 24 agosto 2012

Mittente: "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo, strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: nbawac@tin.it, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/  



mercoledì 22 agosto 2012

CL, IL POTERE E FAMIGLIA CRISTIANA. Con una mail di Renato Sacco

Famiglia Cristiana sul Meeting Cl:


«Omologato, applaude il potere»

Il settimanale critica Monti e soprattutto il Meeting: «Applaude sempre tutti gli ospiti: da Cossiga a Formigoni, da Andreotti a Craxi, da Forlani a Berlusconi». Ciellini, «Famiglia cristiana sbaglia»: VIDEO Il governatore lombardo: «Siamo educati».

Per Famiglia Cristiana quando Monti al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini ha parlato di uscita dal tunnel della crisi ha usato parole con «forti contrasti con la realtà». Criticato l'ospite, il settimanale dei Paoli però riserva una dura stoccata a Comunione e Liberazione che accusa di applaudire il potere, da chiunque rappresentato, da Craxi a Berlusconi a Formigoni, non applaude - dice - le parole, non le idee. Il governatore della Lombardia commenta: "Siamo educati".

«C'è il sospetto che a Rimini si applauda non per ciò che viene detto. Ma solo perché chi rappresenta il potere è lì, a rendere omaggio al popolo di Comunione e Liberazione», si legge nell'editoriale: «Un lungo applauso del popolo dei ciellini ha accolto il premier. Tutti gli ospiti del Meeting, a ogni edizione, sono stati sempre accolti così: da Cossiga a Formigoni, da Andreotti a Craxi, da Forlani a Berlusconi. Qualunque cosa dicessero. Poco importava se il Paese, intanto, si avviava sull'orlo del baratro. Su cui ancora continuiamo a danzare. Non ci sembra garanzia di senso critico, ma di omologazione. Quell'omologazione da cui dovrebbe rifuggire ogni giovane. E che rischia di trasformare il Meeting di Rimini in una vetrina: attraente, ma pur sempre autoreferenziale».
www.lunita.it

Famiglia Cristiana, Cl, segni del potere o potere dei segni?

L’opinione di… Renato Sacco 22 agosto 2012 - www.mosaicodipace.it

Ha fatto discutere parecchio e indispettire qualcuno l’editoriale di Famiglia Cristiana sul Meeting di Cl. In realtà ha evidenziato quello che è abbastanza ovvio e si vede a occhio nudo. Brava Famiglia Cristiana che scrive : “C’è il sospetto che a Rimini si applauda non per ciò che viene detto. Ma solo perché chi rappresenta il potere è lì, a rendere omaggio al popolo di Comunione e liberazione.” Eh sì, il fascino del potere a volte ti prende, ti ammalia. E non ci sono esenzioni per nessuno.

E torna alla mente quanto diceva don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta e Presidente di Pax Christi, morto quasi 20 anni fa: “non i segni del potere ma il potere dei segni”.

Sulla rivista mensile fondata da lui, Mosaico di pace, e promossa da Pax Christi, curiamo una rubrica che si chiama appunto: Potere dei segni.

Nel numero che uscirà a settembre c’è un testo di don Tonino, scritto nel 92, ma ancora molto attuale, che può aiutare un po’ tutti noi, non solo gli amici di Cl riuniti a Rimini: “Non è vero che si nasce poveri. Si può nascere poeti, ma non poveri. Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti. Dopo una trafila di studi, cioè. Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi. (…) Ebbene quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste piovre che il Papa, nella ‘Sollecitudo rei socialis’, ha avuto il coraggio di chiamare strutture di peccato? Quella della povertà! Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ricchezza. E’ un’educazione che bisogna compiere tornando anche ai paradossi degli antichi padri della Chiesa: ‘Se hai due tuniche nell’armadio, una appartiene ai poveri’. Non ci si può permettere i paradigmi dell’opulenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. (…) L’educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine.”

Niente applausi, grazie.

d. Renato Sacco Via alla Chiesa 20 - 28891 Cesara - Vb

0323-827120 *** 348-3035658

drenato@tin.it





sabato 18 agosto 2012

LA CONCEZIONE DELLA DEMOCRAZIA

Il “Corriere della Sera” di oggi, sabato 18 agosto 2012, ospita a pagina 9 due interventi, uno di Charles Wyplosz e l’altro di Francesco Giavazzi sul tema dell’eventuale uso del cosiddetto “fondo salva-stati” europeo da parte dell’Italia.

Nella parte conclusiva del suo articolo il prof. Giavazzi (consulente del Governo per la “spendig-rewiew”) scrive: “C’è invece un percorso virtuoso che può riportare l’Italia a un equilibrio positivo senza salvataggi esterni. I partiti che si contendono le elezioni della prossima primavera dovrebbero firmare tutti insieme un memorandum d’intesa (prima del voto, non ora) che vincoli le scelte economiche di chiunque vinca. A quel punto la scelta razionale dopo le elezioni sarebbe chiedere a Monti di continuare; se il programma è predeterminato per libera scelta, perché non affidarne l’esecuzione alla persona più adatta che abbiamo a disposizione? Sono sicuro che l’Italia tornerebbe rapidamente a un equilibrio positivo. Sottoporsi oggi alla vigilanza esterna, ci allontanerebbe da questo percorso virtuoso”.

Ovviamente, aggiungiamo noi, il prof. Monti non si sottoporrebbe al giudizio degli elettori, restando comunque “la persona più adatta”.

Una domanda: quale concezione della democrazia emerge da questo testo del prof. Giavazzi? E’ una domanda che rivolgo a tutti, in particolare agli esponenti politici della sinistra che dovrebbero subito respingere con grande fermezza l’ipotesi presentata dall’articolo che presenta affermazioni che davvero stupisce possano avere cittadinanza all’interno dell’attualità del dibattito politico.

E’ palese l’idea del superamento della democrazia parlamentare, ancora prevista come forma dello stato repubblicano dalla Costituzione, per affermare compiutamente l’idea di una nuova oligarchia fondata sulla cosiddetta “democrazia di competenza” laddove i soggetti politici, avrebbero soltanto il compito di raccogliere il consenso popolare a favore dell’élite dominante, svolgendo il Parlamento (come già accade) mera funzione di ratifica.

Più che mai va lanciato l’allarme, dunque, per lo stato di salute della democrazia italiana (mentre a livello europeo nessuno si sogna di sviluppare certe affermazioni) e più che mai appare necessario organizzare, nella dimensione politica, opposizione e alternativa a questo tipo di progetti.

Savona, li 18 agosto 2012 Franco Astengo

nota mia: la stagione berlusconiana ha avviato un rpocesso per l'instaurazione di una democrazia autoritaria. Lo so che può sembrare un ossimoro. Ma è la definizione migliore che mi sia venuta in mente: una democrazia formale ma con centri decisionali che di democratico hanno ben poco. E il governo Monti completa l'opera berlusconiana: tutti devono fare sacrifici (leggi i soliti 'fessi) tranne poi scoprire che ci sono i sioldi per l'esercito, per le scuole private e via dicendo...





mercoledì 15 agosto 2012

Emilio Sereni

In un recente post abbiamo ricordato la figura di Delio Cantimori, illustre storico. Continuando sulla stessa linea, pubblichiamo ora un insieme di testi su Emilio Sereni, altro grande storico dalla figura composita: come ricorda Paolo Favilli, in politica era su posizioni durissime, filo sovietiche, ma quando vestiva i panni dello storico, era aperto alle varie suggestioni offerte dalla storia (e qui riportiamo la scheda biografica del suo I napoletani. Da mangiafoglia a mangiamaccheroni).


Emilio Sereni - Un profilo

A cura di Giorgio Vecchio

1. La formazione

Emilio Sereni nacque a Roma il 13 agosto 1907 in una famiglia della borghesia ebraica romana, pienamente inserita nella società liberale e postrisorgimentale, che aveva mantenuto stretti legami con la cerchia parentale. Si trattava di una famiglia dove le residue tradizioni religiose si intrecciavano con la spinta alla modernità e con una laicità ormai acquisita e dove le aperture culturali convivevano con le ambizioni per il successo dei tre figli maschi: Enrico, Enzo e Emilio, legatissimi tra loro e con la sorella Lea (un’altra sorella, Velia, era morta in tenera età). Quell’ambiente e quegli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Emilio sono stati ben raccontati dalla figlia Clara nel suo noto libro Il gioco dei regni e da un grande amico di quei tempi, Manlio Rossi-Doria, nelle sue memorie, La gioia tranquilla del ricordo. Fin dall’infanzia, tra l’altro, Emilio e i suoi fratelli impararono inglese, francese e tedesco con lezioni impartite direttamente a casa loro.

La curiosità intellettuale, lo studio insistito della letteratura e della filosofia, la passione precoce per le lingue e l’esempio stesso dei fratelli maggiori si combinarono in Emilio con una volontà tenace e con la decisione di non concedersi sconti di sorta. Il giovane romano si sottopose così a una disciplina di vita orientata da precise scelte morali e dalla ricerca di una rigorosa coerenza. Lo si vide nella prima giovinezza quando, sotto l’influsso del fratello Enzo che si era orientato verso il sionismo, riscoprì la forza delle vecchie tradizioni della religione ebraica. Furono quelli gli anni in cui Emilio assunse anche esteriormente i segni distintivi dell’ortodossia ebraica e coltivò la decisione di dedicarsi anche lui totalmente alla causa sionista.

Terminati a Roma gli studi liceali classici nel 1923, Emilio si iscrisse l’anno dopo all’Istituto superiore di Agraria di Portici. Intendeva in tal modo apprendere quanto di più e di meglio potesse, per portare poi la sua competenza tecnica in Palestina. Intanto leggeva molto - come sempre - e cominciava a osservare da vicino le condizioni sociali del Mezzogiorno, puntando a coglierne lo sviluppo storico sul lungo periodo e analizzando l’evoluzione delle classi sociali, senza perdere di vista il punto nodale dei rapporti di produzione.

2. Le scelte della vita

Nella massa di letture di Emilio, intanto, emergevano sempre più i grandi classici del marxismo. Studiò con passione e puntiglio le opere di Marx, Engels e Lenin, e anzi imparò la lingua russa per poter padroneggiare direttamente le fonti del pensiero rivoluzionario comunista. Il 1927 fu probabilmente l’anno della scelta definitiva che coincise temporalmente con il conseguimento della laurea in scienze agrarie all’Istituto superiore agrario di Portici con una tesi su La colonizzazione agricola ebraica in Palestina. Il 14 settembre di quell’anno scrisse infatti a Enzo di aver deciso di inserirsi «politicamente nella III Internazionale», dopo aver superato tutte le obiezioni che lui stesso e l’amico Rossi-Doria si erano finora fatte riguardo a essa.

In tempi rapidi seguirono tutte le altre decisioni di Emilio: il rifiuto esplicito del sionismo, l’adesione anche alla base filosofica del pensiero di Marx e Lenin, l’abbandono del vecchio progetto di recarsi in Palestina.

Dopo la laurea Emilio svolse il servizio di leva tra Roma e Napoli. Concluso anche questo passaggio obbligato, continuò a bruciare le tappe e nel novembre del 1928, appena ventunenne, si sposò con Xenia Silberberg, figlia di due socialisti rivoluzionari russi, Lev Silberberg (impiccato in Russia dopo la rivoluzione del 1905) e Xenia Panphilova, riparata in Italia. I due presero casa a Portici. Xenia rimase quasi subito incinta e nel 1929 nacque Lea Ottobrina, la prima delle tre figlie che Sereni ebbe da Xenia. Seguirono infatti Marina, nel 1936 e Clara, nel 1946

Intanto, nell’autunno del 1928, Emilio era diventato collaboratore del prof. Alessandro Brizi, titolare della cattedra di Economia e Rurale ed Estimo a Portici. Come borsista presso il costituendo Osservatorio di Economia Agraria per la Campania alle dipendenze dell'omonimo Istituto Nazionale ebbe la grande possibilità di farsi un’esperienza sul campo e di incontrare realtà e persone della regione. Spiegherà anni dopo che «fin da allora - così come ho considerato che un impegno scientifico non potesse andare disgiunto da un civico impegno nella lotta per la liberta - ho del pari ritenuto che ogni impegnata attività civica e politica non possa andar disgiunta da un approfondimento della ricerca scientifica; ed a tal criterio mi sono sempre sforzato di conformare la mia attività nell’uno e nell’altro campo».

3. L’adesione al Partito Comunista e il carcere

Nel novembre 1928, Emilio Sereni entrò formalmente nel Partito Comunista d’Italia, seguito mesi dopo da Giorgio Amendola e Manlio Rossi-Doria. A proposito di Amendola, Sereni vantò sempre una sorta di orgoglio personale nell’essere riuscito a strapparlo all’ambiente crociano e liberaldemocratico Tra la fine del 1929 e i primi mesi del 1930 questo gruppetto avviò contatti regolari sia con elementi operai della città, sia con il PCd’I. Impegnato a quel tempo «nell’impianto delle prime ricerche statistico-contabili in aziende agricole della Campania», agli inizi del 1930 Sereni fu inviato dal prof. Brizi a Praga presso l’Istituto di ricerche statistico-contabili diretto dal prof. Brdlik, per studiare i metodi ivi adottati. Sfruttando l’occasione di muoversi liberamente all’estero e adducendo motivi di famiglia, Mimmo si recò però anche a Parigi, dove incontrò i compagni del Centro Estero del partito e in particolare lo stesso Togliatti (Ercoli). Ciò consentì altresì l’inizio della collaborazione di Sereni con la rivista comunista «Lo Stato Operaio». Con gli articoli del 1930-1931 siamo di fronte ai primi testi pubblicati da Sereni: lo schema di analisi era ormai dichiaratamente marxista-leninista ed era sostenuto da una ricca informazione e da un’ampia serie di dati statistici e quantitativi, a loro volta inquadrati con ampie aperture storiche.

Il 16 settembre 1930 Emilio Sereni venne arrestato dalla polizia fascista. Il 28 novembre successivo il Tribunale Speciale lo condannò a dieci anni di reclusione per la ricostituzione del Partito Comunista, a cinque per l’appartenenza al partito e altri cinque per la propaganda svolta in suo favore. Operando il cumulo della pena, in base al Codice Penale di allora, la reclusione complessiva fu stabilita in 15 anni, cui si sarebbero dovuti aggiungere tre anni di vigilanza speciale da parte della Pubblica Sicurezza.

Sereni fu inviato nella casa penale di Viterbo, dove sfruttò il tempo sia per rimanere liberamente a studiare nel suo cubicolo singolo sia per stare in compagnia degli altri detenuti in stanzoni o a passeggio. Il carcere fu così utilizzato dal giovane rivoluzionario come occasione per perfezionare e ampliare i propri studi e non solo per quanto si riferiva alla storia e all’economia. Secondo quel gusto per l’erudizione che lo contraddistingueva, Sereni si buttò sulla matematica e sulle scienze statistiche, come pure sulla linguistica. Le lettere da lui scritte in quel periodo confermano i suoi studi e le sue letture: si dedicò con passione al giapponese, ma divorò pure libri di storia inglese, americana e francese; rilesse le opere di Sorel e poi Hegel, Fichte, Schelling, ma anche Gentile e poi tutto Goethe, Dante, Platone, Döblin…. A Viterbo, Sereni incontrò anche Altiero Spinelli, con il quale - se ci si deve basare sulle memorie dello stesso Spinelli - i rapporti non furono sempre facili entro il chiuso universo carcerario: peraltro verso di lui Sereni conservò sempre un atteggiamento di stima e rispetto.

Trasferito a Civitavecchia, dove erano stati concentrati tutti i detenuti politici, Sereni poté frequentare numerosi esponenti comunisti tra i quali Secchia, Scoccimarro, Terracini, Parodi, Li Causi, D’Onofrio, oltre a Spinelli e Rossi-Doria. Fu questo il periodo in cui si creò e si consolidò la fama (e anche il mito) di Sereni come persona in grado di dominare un immenso patrimonio culturale, di leggere tre libri in un giorno e persino, letto un libro, di conoscerlo già a memoria.

4. In esilio a Parigi

Liberato nel settembre 1935, grazie alle misure di

amnistia decise dal regime, Emilio decise di lasciare clandestinamente l’Italia con Xenia (che aveva assunto il nome di Marina) e con la piccola Lea. Il 2 gennaio 1936 la famigliola raggiunse Parigi, dove cercò di costruire una convivenza quotidiana meno provvisoria. Con il pieno appoggio della moglie, Sereni si buttò di nuovo nell’attività politica e organizzativa, svolgendo un’azione capillare di propaganda negli ambienti del fuoruscitismo italiano e fu pure chiamato a far parte del Comitato Centrale del PCd’I; venne anche designato rappresentante presso la direzione della Gioventù comunista dove conobbe Eugenio Curiel. Nello stesso 1936 fu nominato redattore capo di «Stato operaio». A questi lavori, già di per sé impegnativi, si aggiunse nei mesi seguenti la frenetica azione organizzativa in favore dei volontari comunisti impegnati nella guerra civile di Spagna.

Sereni cercò comunque di non trascurare del tutto la sua passione per lo studio e proprio tra 1936 e 1937 iniziò ad abbozzare un testo su Classi e lotte di classi nelle campagne italiane, che vedrà però la luce solo nel 1947 con il titolo di Capitalismo nelle campagne (1860-1900).

Un momento delicatissimo della vita di Sereni durante l’esilio parigino fu costituito dalla crisi politica e personale in cui fu coinvolto, in seguito alla campagna condotta da Giuseppe Berti con l’avallo di Mosca, basata sull’esplicita accusa al gruppo dirigente comunista italiano di non dare sufficiente rilievo all’opera di Stalin e di essere troppo debole nella lotta al trockismo. Sereni fu posto formalmente sotto accusa anche a causa della famiglia di Xenia e per i suoi rapporti con Giorgio Intelvi (Eugenio Curiel), a sua volta accusato per i rapporti mantenuti con il cugino Eugenio Colorni (che Berti riteneva trockista). In quello stesso 1937 Sereni fu ugualmente inviato per una missione in Unione Sovietica, che rischiò di finire molto male per lui: fu infatti arrestato, sottoposto a stringenti interrogatori e infine condannato a morte. L’episodio - su cui va ancora fatta piena luce - si concluse bene solo perché Sereni si sottopose all’umiliante procedura di scrivere direttamente a Stalin, autocriticandosi per la scarsa vigilanza e professandogli tutta la sua devozione.

In definitiva Xenia-Marina Silberberg Sereni fu espulsa dal partito, mentre Emilio fu estromesso dal settore illegale e messo a fare il redattore di «Stato Operaio», senza più aver ruoli all’interno della dirigenza del partito.

5. Nella Resistenza

Lo scoppio della guerra, il 1° settembre 1939, costrinse Sereni a trovare un lavoro materiale per vivere e per qualche tempo egli fu operaio tornitore in una grande fabbrica aeronautica. Al momento dell’entrata dei tedeschi a Parigi, decise di allontanarsi dalla capitale occupata e insieme al compagno Dozza si trasferì in bicicletta a Tolosa, nel sud della Francia. Con lui e con Francesco Scotti avviò l’organizzazione politica clandestina nel sud della Francia, mascherandola con un’attività ortofrutticola in una casa colonica. Dopo l’attacco nazista all’URSS (22 giugno 1941) Sereni si incontrò con Nenni e Platone a Marsiglia; una nuova riunione in autunno portò alla nascita del ‘Comitato d’azione per l’unione del popolo italiano’ con un appello per la pace, l’indipendenza e la libertà.

Dopo l’occupazione italiana della Provenza e della Savoia nel 1942, Sereni si trasferì a Nizza per organizzarvi la propaganda diretta tra i soldati italiani. Qui diede vita al giornale «La parola del soldato» e fu commissario politico dei Franc-Tireurs et partisans nelle Alpi Marittime. Il 16 giugno 1943 fu arrestato dagli italiani a Cros de Cagnes presso Nizza e sottoposto a violenze e torture, in attesa di essere trasferito in Italia con il rischio concreto della fucilazione.

La caduta del fascismo il 25 luglio 1943 cambiò solo in parte lo scenario. Sereni fu ricondotto dalle autorità militari italiane in territorio francese, a Breil, dove fu sottoposto a processo da parte del Tribunale straordinario di guerra della IV armata, processo che si concluse con la condanna a 18 anni di reclusione. Riportato in Italia, fu chiuso nel carcere di Fossano e poi in quello di Torino, questa volta direttamente sotto la custodia delle SS. Qui il rischio della fucilazione divenne ancora più concreto e in varie occasioni il nome di Sereni fu tolto all’ultimo momento dall’elenco dei detenuti destinati all’esecuzione. Finalmente i suoi compagni, con la partecipazione attiva di Xenia-Marina riuscirono a liberarlo l’8 agosto 1944. Le rocambolesche avventure di quei mesi furono poi raccontate dalla stessa Marina nel diffusissimo libro I giorni della nostra vita.

Costretto ovviamente alla clandestinità, in piena lotta resistenziale, Emilio si trasferì a Milano per mettersi a disposizione del suo partito. Qui collaborò a «L’Unità» e a «La nostra lotta». Inoltre insieme a Luigi Longo rappresentò il PCI nel Comitato di liberazione nazionale per l’Alta Italia (CLNAI) e divenne membro del Comando Generale delle Brigate Garibaldi. Il 29 marzo 1945 entrò con l’azionista Leo Valiani e con il socialista Sandro Pertini nel Comitato esecutivo insurrezionale del CLNAI, come supplente di Longo.

Giunto finalmente il giorno della Liberazione, Sereni si trattenne ancora per qualche tempo a Milano, ricoprendo la carica di presidente del CLN di Lombardia e poi della Giunta di Governo per la Lombardia. Intanto si andava appassionando alla proposta dei Consigli di gestione come strumento per il rinnovamento dei rapporti di lavoro e dell’intero sistema produttivo: anche su questi aspetti egli offerse un contributo scientifico e politico di rilievo.

6. L’immediato dopoguerra e gli incarichi di governo

Ritornato a Roma, Sereni ricoprì una prima carica istituzionale come membro della Consulta Nazionale, l’organismo inaugurato il 25 settembre 1945, in attesa della convocazione delle elezioni.

Al V Congresso del PCI (Roma, 29 dicembre 1945-5 gennaio 1946) gli fu riconosciuta l’importanza politica ormai raggiunta e fu eletto membro del Comitato Centrale e della Direzione. Subito dopo, nel febbraio 1946, fu mandato nella ‘sua’ Napoli, per assumere la carica di responsabile del PCI per il Mezzogiorno. Ebbe così modo di conoscere e seguire da vicino il giovane e promettente Giorgio Napolitano. Negli stessi mesi, questa volta con Giorgio Amendola, Sereni si fece promotore del CEIM, il Centro Economico Italiano per il Mezzogiorno, aperto a competenze e provenienze culturali diverse e che fu fondato il 6 luglio 1946.

In vista del voto del 2 giugno, Sereni fu candidato per il Collegio Unico Nazionale e fu eletto membro dell’Assemblea Costituente. In quelle settimane partecipò con intensità e passione alla campagna elettorale, scrivendo numerosi articoli sul giornale napoletano «La Voce».

In seguito alla decisione di Togliatti di abbandonare ogni carica governativa per concentrarsi sul partito (visto che il PCI non si riteneva soddisfatto dei risultati elettorali), Sereni fu indicato come uno dei ministri comunisti da inserire nel II governo guidato da De Gasperi.

Così per tutta la durata di quell’esecutivo, dal 13 luglio 1946 al 2 febbraio 1947, Emilio fu ministro dell’Assistenza post-bellica. Si trattava di un incarico piuttosto delicato, visti i tempi. Sereni si sforzò di utilizzare i fondi disponibili per l’avvio al lavoro in forme individuali e collettive di reduci e partigiani, assegnando 500 milioni a cooperative per l’acquisto di materiali ARAR, nonché per l’istituzione di centinaia di corsi di istruzione professionale. Finanziò inoltre colonie estive, mense per reduci e partigiani, ambulatori, ecc. gestiti dai Comuni, dall’ANPI e dall’UDI. L’importanza di questi settori era evidente e così non stupisce verificare che sull’operato di Sereni si accesero presto polemiche, mettendo in discussione i criteri e gli obiettivi politici scelti per la ripartizione dei fondi. Ma il problema che compromise di più i rapporti tra Sereni e De Gasperi fu quello legato all’esodo dei giuliano-dalmati e in particolare all’esodo degli abitanti di Pola, che iniziò a svolgersi massicciamente proprio nei mesi della permanenza di Sereni alla guida del Ministero all’Assistenza. Su tutto gravava l’opposta valutazione che i comunisti e i democristiani davano del nuovo regime jugoslavo di Tito e, di conseguenza, l’opposto giudizio sui reali motivi che spingevano i giuliano-dalmati a fuggire dalle loro case.

Un’indagine sulle scelte compiute dal governo italiano in quei frangenti è ancora quasi tutta da fare e quindi anche le linee direttrici dell’azione di Sereni vanno ancora illuminate. Sta di fatto che in occasione della crisi di governo seguita alla scissione socialista del gennaio 1947, De Gasperi volle dare un taglio netto e optò per la soppressione pura e semplice del Ministero all’Assistenza Postbellica.

Sereni tuttavia entrò, come ministro dei Lavori Pubblici, anche nel III governo De Gasperi, che fu l’ultimo fondato sulla collaborazione tra la DC e le sinistre (2 febbraio - 13 maggio 1947). In quel governo Emilio rappresentò più direttamente che in precedenza le istanze comuniste, con un ruolo che in seguito si sarebbe detto quasi di ‘capo-delegazione’. Di fatto, come ministro, ebbe ben poco tempo a disposizione e cercò soprattutto di varare provvedimenti per l’alloggio dei senzatetto e per l’attuazione dei piani di ricostruzione nei Comuni gravemente sinistrati.

7. Il Cominform e la Commissione Culturale

La spaccatura politica del maggio 1947 fu vissuta dai suoi protagonisti - tanto democristiani quanto socialisti e comunisti - in modo piuttosto diverso rispetto alle drammatizzazioni fattene in seguito. Per settimane ci si mosse con molta incertezza e disponibilità a sondare soluzioni diverse, anche se in De Gasperi si faceva sempre più chiara l’esigenza di chiudere definitivamente la collaborazione con le sinistre, ma alla fine il risultato fu netto e segnò tutta la storia politica della Repubblica.

Il residuo possibilismo del PCI (e di Sereni) finì del tutto con la fondazione del Cominform, l’Ufficio di Informazione dei Partiti Comunisti, avvenuta durante una conferenza svoltasi nella cittadina polacca di Szklarska Poreba, dal 22 al 27 settembre 1947. Sereni si mise in linea con le dure accuse rivolte alla conduzione politica del PCI e in seguito parlò delle «illusioni costituzionali» che avevano guidato il partito. Ora senza esitazioni egli sposava la tesi del «colpo di stato» attuato da De Gasperi, che aveva portato la DC a costituire un «governo nero», basato sulla destra e portatore di un «falso parlamentarismo». Di questo clima risentì anche la pubblicazione che Sereni stava curando in quelle settimane e che apparve da Einaudi con la data del 1948: Il Mezzogiorno all’opposizione. Dal taccuino di un Ministro in congedo.

Alle elezioni del 1948 Sereni non fu candidato in quanto il suo caso rientrava in quelli previsti dalla III norma transitoria e finale della Costituzione: aveva infatti scontato almeno cinque anni di reclusione per motivi politici. Pertanto fu senatore di diritto per la I legislatura dal 1948 al 1953. Il trauma del 18 aprile non intaccò comunque la volontà battagliera di Sereni, che dopo la sconfitta non si stancava di ripetere a Giorgio Napolitano: «Adesso comincia un periodo di quelli che a me piacciono».

Al Senato fu particolarmente attivo, anche se la cronologia dei suoi interventi appare condizionata dal dramma familiare che stava intanto vivendo, con la malattia e la morte di Xenia-Marina. Egli parlò tra l’altro sull’attentato a Togliatti e sulla politica estera (Patto Atlantico, partigiani della pace, bilancio degli Esteri, legge truffa) e presentò con altri colleghi una proposta di legge per l’assistenza sanitaria gratuita ai non abbienti.

Dopo la sconfitta del 18 aprile, tuttavia, Sereni dedicò le sue energie soprattutto al lavoro nel partito. Infatti dopo il VI congresso del PCI del gennaio 1948 e in seguito alla decisione della direzione del 21 gennaio 1948 era stata costituita una specifica Commissione Culturale del PCI, che Sereni fu chiamato a guidare, con il compito di radunare e di orientare gli intellettuali e gli artisti italiani.

La sua linea fu un diretto riflesso del clima di guerra fredda, che proprio dopo il 1947, aveva raggiunto i suoi toni più aspri. Sereni incarnò con il suo consueto rigore e con la disciplina che sapeva ben accettare (come aveva mostrato nei delicatissimi passaggi del 1937-1938) la linea direttamente dettata da Mosca. Egli esaltò la figura di Andrej Ždanov - braccio destro di Stalin nel campo culturale - e di lui sottolineò la concezione che «la cultura non è qualcosa di separato dalla vita e dalla lotta, è qualcosa che importa per la vita e per la lotta», per cui bisognava realizzare «una totalità di vita e di lotta». Fu così che in quella fase Sereni assunse posizioni rigidissime in tema di ideologia e di cultura, difendendo perfino tesi come quelle pseudoscientifiche di Lysenko in materia di ereditarietà. Anche Giorgio Napolitano ha ricordato nel suo libro Dal PCI al socialismo europeo quelle scelte tanto discutibili, che testimoni e storici hanno duramente criticato. Va comunque riconosciuto a Sereni di aver colto l’importanza di un lavoro culturale tra le masse, tanto che è stato definito «il primo vero organizzatore culturale del PCI» (Stephen Gundle).

Nel 1951, dopo il VII Congresso, Togliatti - intenzionato a riprendere bene in mano il partito e la sua politica culturale - volle portare Carlo Salinari alla guida della Commissione culturale del PCI, intendendo con ciò anche distanziarsi dall’eccessiva rigidezza di Sereni.

8. La «lotta per la pace»

Intanto si era aperto un altro campo di impegno per l’attivissimo Sereni. Dopo il Convegno degli intellettuali per la pace di Wrocław (Breslavia, 25-28 agosto 1948) e dopo il Congresso mondiale per la pace (Parigi 20-24 aprile 1949), si era sviluppato in Italia, come in tanti altri paesi europei, il movimento dei Partigiani della Pace. Esso rispondeva alle parole d’ordine lanciate dal Cominform e all’interesse dell’Unione Sovietica di rallentare il più possibile il processo organizzativo politico-militare del blocco occidentale. Al tempo stesso però coglieva nel segno allorché chiamava a raccolta contro i rischi di un nuovo conflitto mondiale e portava in mezzo alle masse le parole d’ordine del bando della bomba atomica e di un ‘patto di pace’ tra le superpotenze. In Italia il movimento esordì di fatto nel 1949 con la mobilitazione per la raccolta di firme contro la ratifica del Patto Atlantico, coinvolgendo artisti, intellettuali e politici - oltre a tantissimi militanti - e avviando faticosamente un dialogo con esponenti pacifisti del mondo cattolico come don Primo Mazzolari e Igino Giordani.

A partire dunque dal 1949 Sereni si impegnò sempre di più per radicare i Partigiani della Pace nel nostro paese: fece parte degli organismi mondiali del movimento e allacciò rapporti con personalità del mondo intero (tra cui lo scienziato Joliot-Curie, artisti come Picasso e Neruda…), presentò relazioni e programmi d’azione alla direzione del PCI, partecipò a una miriade di iniziative in tutta Italia. Anche in questo egli mise tutta la passione di cui era capace, tanto che Secchia - in una riunione di direzione del 1950 - ebbe a dirgli bruscamente «che quando tu, Sereni, parli di questo lavoro sembra che tutto il resto debba scomparire».

Dopo il Congresso dei Popoli per la Pace (Vienna, dicembre 1952) e l’Assemblea mondiale delle forze pacifiche (Helsinki, 22-29 giugno 1955), il movimento dei Partigiani della Pace andò gradualmente a spegnersi. Il fatto è che erano finiti anche gli anni più duri della guerra fredda, specie dopo la morte di Stalin nel 1953 e bisognava semmai trovare strumenti nuovi d’azione. Sereni si accinse così a cambiare attività, lasciando a Velio Spano il compito di proseguire con le iniziative per la pace. Dopo il 1955 e quindi dopo Helsinki smise di occuparsi dei problemi di politica estera e si concentrò su quelli dell’agricoltura e sui problemi del mondo contadino, tornando per così dire ai suoi interessi originali. Nel 1953, intanto, egli era ritornato al Senato, questa volta eletto nel collegio di Torre del Greco. In quel periodo mutò radicalmente anche la vita privata di Emilio. Dal 1950 infatti la moglie era entrata nel tunnel senza uscita della malattia e a nulla valsero le cure dei medici italiani, poi di quelli sovietici e infine di quelli svizzeri. Marina morì a Losanna il 27 gennaio 1952. Dopo la sua morte il partito fece pubblicare e diffondere un suo libretto di memorie, I giorni della nostra vita, che insieme a I miei sette figli di Alcide Cervi (e Renato Nicolai) costituì un enorme successo editoriale. Nel 1953 Emilio Sereni sposò in seconde nozze Silvana Pecori da cui ebbe altre due figlie, Anna e Marta.

9. Ritorno alla campagna

Dalla metà degli anni Cinquanta, dunque, Sereni si concentrò sui problemi della situazione delle campagne, della riforma agraria, delle lotte contadine e lo fece muovendosi, come di consueto, in più direzioni.

Anzitutto svolse la sua funzione di parlamentare. Rieletto al Senato nel 1958, passò invece alla Camera in occasione delle elezioni del 1963, candidato nel collegio di Napoli. In questa III legislatura fu vicepresidente della Commissione Agricoltura e foreste. Dal 1968 al 1973 visse infine la sua ultima legislatura, sempre come deputato eletto questa volta nel collegio di Siena. I suoi interventi parlamentari non furono moltissimi, ma si caratterizzarono proprio per l’attenzione ai problemi delle campagne: si spese tra l’altro in favore dell’aumento delle pensioni ai coltivatori diretti, coloni e mezzadri, o per l’elevazione dei trattamenti minimi di pensione e il riordinamento delle norme in materia di previdenza; intervenne sul Fondo di solidarietà nazionale contro le calamità naturali e le avversità atmosferiche; oppure sulla corresponsione di assegno di parto alle coltivatrici dirette o ancora sulle norme in materia di famiglia coltivatrice diretta. Propose l’esenzione dal pagamento, a favore dei coltivatori diretti, dell’imposta e sovraimposte fondiarie e dell'imposta sul reddito agrario.

Parallelamente, su decisione della direzione del PCI del 4 agosto 1955, Sereni assunse la presidenza della Alleanza Nazionale dei Contadini, posto che era rimasto vacante dopo la morte di Ruggero Grieco il 23 luglio precedente. Confermato presidente nel 1962, restò in carica fino al ’69. Le linee del suo impegno e delle sua valutazioni furono espressi in molteplici interventi tra cui i volumi Vecchio e nuovo nelle campagne e Due linee di politica agraria, dopo la Conferenza nazionale dell’agricoltura e del mondo rurale del 1961. Qui denunciava con forza il processo di concentrazione monopolistica in atto nelle campagne italiane.

Ma, al di là delle responsabilità dirette, Sereni sfruttò l’occasione per ritornare a uno studio sistematico, sfruttando l’immenso patrimonio di schede, appunti, ritagli, fotografie da lui costruito e alimentato nel corso degli anni a integrazione della sua ricchissima biblioteca. Tutto questo materiale è adesso custodito e consultabile presso l’Istituto Alcide Cervi, in una nuova sede costruita presso la vecchia casa della famiglia Cervi a Gattatico (Reggio Emilia).

Per la verità, già negli anni dell’impegno di governo e della guerra fredda Sereni non aveva mai dismesso i panni dello studioso, pubblicando lavori come Popolo e poesia di popolo in Italia attorno al ’48. Questo studio denotava già l’ampliamento costante degli orizzonti dell’analisi di Sereni, volto sempre più a comprendere non solo i mutamenti strutturali e i rapporti di classe e produzione nelle campagne, ma anche le tecniche produttive, le mentalità, i costumi, le consuetudini - la cultura, dunque - dei contadini. Nel corso degli anni ’50 approdò pertanto all’esame del pensiero agronomico italiano, ma ancor più allo studio del folklore e dell’alimentazione, per esempio con le Note di storia dell’alimentazione nel Mezzogiorno: i napoletani da “mangiafoglie” a “mangiamaccheroni” (1958) o con le Note sui canti tradizionali del popolo umbro (1959). Sereni era costretto così a ricercare e utilizzare materiali e fonti del tutto inedite, contribuendo a un sistematico aggiornamento di tipo metodologico. Di ciò era lucidamente consapevole, come emerge dal curriculum da lui presentato per ottenere la libera docenza in Storia dell’agricoltura nel 1960. In questo contesto egli pubblicò anche alcuni dei suoi testi più celebri come Comunità rurali nell’Italia antica (1955) e soprattutto la notissima Storia del paesaggio agrario italiano (scritto già nello stesso 1955, ma pubblicato nel 1961), una sorta di affresco dall’età antica all’età contemporanea, rafforzato dal sistematico ricorso al contributo artistico e iconografico.

Molti altri studi o abbozzi di studi compiuti in quegli anni rimasero inediti e sono stati via via pubblicati dopo la sua morte, come quelli raccolti in Terra nuova e buoi rossi, e altri scritti per una storia dell’agricoltura europea (1981).

10. Gli ultimi anni

Già dopo il 1956 e ancor più nel corso degli anni Sessanta Sereni cominciò però a trovarsi sempre più solitario e controcorrente nella politica italiana e nel suo stesso partito. Il suo legame con Mosca risultava ancora forte, anche perché egli continuava a vedere nell’Unione Sovietica un «punto fermo su cui tutto il mondo può fare assegnamento per la salvezza della pace mondiale», precisando che con quel paese i comunisti italiani avevano un legame che «prima ancora di essere politico, [era] un legame umano, di classe, sentimentale, storico». Nell’estate del 1962 partecipò alla conferenza che si svolse a Mosca sui «Principali problemi di sviluppo del capitalismo oggi» e lì presentò una relazione sul Capitalismo monopolistico di Stato oggi. Due anni dopo tornò nella capitale russa con Enrico Berlinguer e Paolo Bufalini per comprendere i motivi della improvvisa destituzione di Nikita Hruščëv.

La sua rigidezza ideologica gli procurò grandi amarezze nel 1967, al momento della guerra dei Sei Giorni tra Israele e gli stati arabi. In quella circostanza egli accettò - con la consueta disciplina - la posizione dell’URSS e del PCI, ormai decisamente vicina alla linea dell’Egitto e della Siria e alquanto critica verso la politica di Israele. Ciò dipendeva anche dall’analisi della situazione internazionale che i comunisti facevano, proprio mentre si era nel pieno della guerra in Vietnam e a ridosso del colpo di stato dei colonnelli greci avvenuto nell’aprile precedente. Il PCI e Sereni vedevano dunque nei paesi arabi degli alfieri progressisti e antimperialisti, da sostenere con decisione in quel contesto tanto difficile che a loro avviso era caratterizzato dall’aggressività dell’imperialismo americano. La dura critica condotta pubblicamente contro Israele provocò le reazioni della comunità ebraica italiana contro Sereni, additato addirittura come traditore rispetto alla sua stessa origine. Da allora Sereni si chiuse sempre più in un silenzio che fu personale e politico, tanto che la figlia Clara ha parlato di «un dolore che dilagava, una solitudine feroce».

Nell’ultimo decennio della sua vita Sereni intervenne peraltro ancora tramite diversi interventi sulla rivista «Critica Marxista», di cui fu direttore dal 1966. Qui pubblicò riflessioni significative di carattere ideologico, ma pure sulla citata guerra del 1967 (Problemi della lotta per la coesistenza pacifica), sul significato storico e politico della Rivoluzione d’ottobre, sulla contestazione giovanile del Sessantotto, l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, l’evoluzione della politica in Cina.

I suoi ultimi sforzi furono tuttavia ancora sul piano della ricerca scientifica e storiografica. Tra l’altro nel 1972 apparve il suo saggio Agricoltura e mondo rurale nel volume dedicato a I caratteri originali della Storia d’Italia edita da Einaudi. Ma più ancora egli fu l’artefice e il promotore della nascita dell’Istituto «Alcide Cervi» per la storia del movimento contadino e dell’agricoltura, dell’antifascismo e della Resistenza nelle campagne. Nel corso delle manifestazioni per il trentennale della Resistenza, infatti, egli presiedette il I congresso di storia del movimento contadino, tenutosi a Reggio Emilia nel gennaio 1975. All’Istituto - come già detto - affidò la sua biblioteca e la sua massa di schede e appunti, collocati allora nella sede romana inaugurata nel 1976.

Emilio Sereni morì a Roma il 20 marzo 1977.

fonte: http://www.fratellicervi.it/content/view/59/83/



Emilio Sereni

I napoletani. Da mangiafoglia a mangiamaccheroni

Note di storia dell'alimentazione nel Mezzogiorno

introduzione di Vittorio Dini

pp. 112

€ 6.2

88-8234-095-3

Con gli strumenti propri di un grande storico dell’agricoltura, Emilio Sereni ci fa navigare tra testi letterari e documentazione scientifica, guidandoci nella ricostruzione delle abitudini e dei gusti alimentari dei napoletani, in modo da offrirci un concreto e magistrale esempio di storia sociale dell’alimentazione. Ma non solo. Ci fornisce anche l’acuta interpretazione di un passaggio fondamentale nella storia e nella costruzione di un aspetto determinante dello stereotipo del napoletano, tuttora vivo nel cinema, nella letteratura e persino nella pubblicità: quello del napoletano come “mangiamaccheroni”.

Emilio Sereni (1907-1977) storico e dirigente comunista, autore di saggi di politica agraria, di storia dell’agricoltura e del capitalismo italiani (Il capitalismo nelle campagne 1860-1900, 1947; Comunità rurali nell’Italia antica, 1955; Storia del paesaggio agrario, 1961; Agricoltura e mondo rurale, 1977).

Argo Editrice nasce a Lecce, nella demartiniana “terra del rimorso”, nel 1992, quando si fa netta la consapevolezza che la “periferia infinita” di uno dei sud del mondo tornava ad essere un brulicante crocevia di popoli e di culture. In un’antica terra di “migranti”, l’ansia di rimuovere macerie di muri decrepiti, fa riscoprire “la gioia di partire alla ricerca dell’altro”: era evidentemente giunto il momento di riprendere il mare.
Nasceva così, su un fondale di confusa globalizzazione, “Il pianeta scritto”, la prima collana di Argo, con il progetto di far conoscere al pubblico italiano la letteratura e la storia di popoli solitamente emarginati dal tronfio eurocentrismo dominante: i “vicini-remoti” d’oltre-Adriatico, ma in genere le varie genti dei Balcani, i maghrebini, dall’“altra” riva del Mediterraneo, e ancora gli armeni, i kurdi, i senza patria di sempre.
Argo però non navigava a vista: la sua bussola erano (e sono) le correnti di pensiero d’indirizzo antropologico che, nel secolo appena trascorso, hanno riformulato i termini stessi delle discipline umane.
Questo spiega la centralità occupata nel catalogo dall’opera di Ernesto de Martino: la pubblicazione degli inediti del grande etnologo napoletano è un segnale e al tempo stesso una scelta di politica culturale irrinunciabile per una casa editrice che non intende abdicare alla propria “meridionalità”.
Da questa fondamentale scelta di campo discende la creazione di collane come “Mnemosyne. Antropologia e storia del sud”, “Nuova Mnemosyne”, “A sud del Novecento”, “Biblioteca di Antropologia medica”.
Ma se procura grande gioia fare l’ingresso in “porti prima sconosciuti”, non è meno bello ripercorrere terre già note, vedendole però con l'occhio scaltrito dalla lunga navigazione: in questa direzione vanno le avventure culturali del “Vello d’oro” e della “Biblioteca barocca”. La collana di antichistica, infatti, se va alla paziente ricerca di tesori nascosti nel mondo del passato, lo fa soprattutto per documentare aspetti insoliti eppur rilevanti della civiltà antica, vista proprio nella sua concretezza antropologica, e “Biblioteca barocca”, svincolata da oziose dispute nominalistiche su un secolo vitalissimo e contraddittorio, si preoccupa essenzialmente di portare alla luce i dati, non solo letterarii, che fanno del Seicento un autentico seminario della modernità.

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martedì 14 agosto 2012

TRE MAIL SULL'ILVA DI TARANTO

Stop morti per inquinamento!


Invitiamo i lavoratori, le loro famiglie e la cittadinanza intera a partecipare alla grande manifestazione del 17-8-2012 che partirà da piazza Castello alle ore 8,30 dietro l’Apecar simbolo del risveglio di Taranto.
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Venerdì 17 agosto, dopo 50 anni di devastazione sociale ambientale e territoriale, per la prima volta tre ministri della Repubblica italiana saranno a Taranto non per tutelare i diritti dei cittadini e dei lavoratori ma per salvaguardare gli interessi dell’Ilva, continuando a fare pressioni antidemocratiche nei confronti della Magistratura per preservare il PIL italiano.

Se Riva è in grado di ottemperare alle oltre 400 legittime prescrizioni, imposte dalla Todisco, per la messa a norma dello stabilimento, lo faccia subito e senza indugi. Ciò non avverrà poiché significherebbe non poter mantenere gli stessi profitti da record degli scorsi anni.

Il pool di esperti scelti dal Gip ha evidenziato che l’incidenza tumorale ed epidemiologica a Taranto è la più alta d’Italia, a farne maggiormente le spese sono i lavoratori della fabbrica e gli abitanti che vivono più vicini alla stessa.

Non consentiremo più a nessuno di poter giocare con la vita di una città intera, tantomeno ai politicanti ed ai sindacati che in questi anni hanno fatto solo i propri interessi. Chi ha usurpato e derubato deve far fronte alla spesa necessaria a risarcire il territorio, i suoi abitanti ed i lavoratori coinvolti. Un futuro diverso è possibile solo attraverso l’unità tra cittadini e lavoratori che devono essere protagonisti di questo cambiamento. Le decisioni che riguardano il nostro avvenire dovranno esser prese esclusivamente nella nostra città con la partecipazione attiva dei cittadini. Questo non si discute.

Invitiamo pertanto i lavoratori, le loro famiglie e la cittadinanza intera a partecipare alla grande manifestazione del 17-8-2012 che partirà da piazza Castello alle ore 8,30 dietro l’Apecar simbolo del risveglio di Taranto.

SI’ AI DIRITI NO AI RICATTI. AMBIENTE, SALUTE, REDDITO E OCCUPAZIONE.



Comitato spontaneo ed apartitico “Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti”


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Mailing list Ecologia dell'associazione PeaceLink.
Per ISCRIZIONI/CANCELLAZIONI:
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Si sottintende l'accettazione della Policy Generale:
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MAGISTRATURA E POLITICA

La supplenza esercitata, ormai da decenni, da parte della Magistratura nei confronti della politica o – ancor meglio – dell’incapacità di governo di una presunta classe dirigente, è arrivata a toccare il cuore della vita economica di un Paese, determinandone attraverso una sentenza addirittura la politica industriale (o meglio, nel caso dell’Italia, quel che ne rimane).

Il rischio è quello di scrivere soltanto luoghi comuni se non ci rende conto della gravità complessiva che la sentenza di blocco della produzione, nella fase definita di “sequestro cautelativo, ai fini di bonifica”, per quel che riguarda la lavorazione “a caldo” dello stabilimento ILVA di Taranto: gravità complessiva che investe, direttamente, la possibilità stessa di produzione dell’acciaio in Italia.

Le scelte compiute, proprio sul terreno della produzione di acciaio, nella fase di dismissione delle PPSS (partecipazioni statali), risultarono esiziali: soprattutto perché eseguite in funzione di “tagliare” e non di una proposta di piano industriale, che non è possibile possa essere mantenuta – nei settori strategici – da parte dei privati.

Una dismissione che traguardava un solo possibile esito: o la chiusura d’impianti in funzione di un’esasperata logica del profitto, oppure l’esasperazione dei termini in materia di compatibilità ambientale: un tema che, per essere affrontato seriamente, avrebbe dovuto prevedere enormi livelli d’investimento sul piano della tecnologia.

Livelli d’investimento che possono essere eseguiti soltanto da un’entità pubblica, nella proprietà e nella gestione sotto il diretto controllo del Parlamento come esige la Costituzione, che opera per mantenere, com’è necessario,un’adeguata presenza industriale nel quadro delle trasformazioni tecnologiche e produttive in atto a livello mondiale.

La vicenda di Taranto mette in luce anche la debolezza della soluzione adottata per Cornigliano, stabilimento rimasto, per il tipo di lavorazioni che vi svolgono, alla mercé di altre situazioni.

La sostanza è che l’Italia, priva sotto quest’aspetto di adeguati riferimenti internazionali e del tutto insufficiente dal punto di vista della produzione di know-how, è stata scientemente privata di una politica industriale: dalle scelte sbagliate in siderurgia, alla questione morale che si è divorata la chimica ben prima di Tangentopoli, da un’altra privatizzazione sconsiderata nel campo dell’agroalimentare, dall’abbandono dell’elettronica, fino al puntare – senza il sostegno di un’adeguata ricerca scientifica e di una capacità d’innovazione – sul modello, fragile, dei distretti e del cosiddetto “Made in Italy” lasciato esposto alla fine a tutti i colpi delle delocalizzazioni e della mancata integrazione dei lavoratori stranieri, costretti in gran parte all’umiliante ruolo dei “lavoratori in nero”.

Così è intervenuta di nuovo la Magistratura, così come nel caso della corruzione politica (che rappresenta uno dei tarli che comunque continuano a rodere la nostra credibilità democratica): oggi, la domanda è drammatica, come sarà possibile per Governo, Parlamento, Partiti, Istituzioni Locali, Sindacato, trovare la strada per aprire un confronto su questa tema recuperando elementi di credibilità e di proposta, dopo anni di clamorosa latitanza, favorita dall’avere – nello specifico della città di Taranto – subito l’antico ricatto tra ambiente e lavoro, che in Liguria abbiamo vissuto drammaticamente sulla nostra pelle, con il risultato di un impoverimento complessivo e della strada aperta al meccanismo della speculazione edilizia?

Un segnale fortissimo circa la drammaticità delle cose in atto. Non basterebbe la denuncia , ma dove stanno le forze democratiche capaci di realizzare una soluzione diversa da quella “proposta/imposta” dalle sentenze.

Savona, li 12 agosto 2012 Franco Astengo


Franco sto dalla parte del Gip Anna Patrizia Todisco. È Riva che deve pagare la messa in sicurezza degli impianti e doveva farlo da quando si è ritrovato quasi a costo zero tutto l’acciaio italiano in mano. Occorre smetterla una volta per tutte di socializzare le perdite e privatizzare i profitti. Sulla vicenda Taranto oggi e su quella Cornigliano ieri è l’intera classe dirigente del Paese che deve salire sul banco degli imputati e le maestranze (almeno loro) dovrebbero guardare oltre!!!!! A Casale Monferrato trent’anni fa sull’Eternit c’era una difesa a spada tratta della fabbrica “che dava lavoro”. Adesso tutti chiedono i danni e piangono i morti. La storia insegna qualcosa?

Un abbraccio da GB Cassulo

Nota: certo che Vendola come ecologista non ci fa un gran bella figura…

giovedì 9 agosto 2012

ERETICI ITALIANI DEL '500: un volume di Delio Cantimori

Adriano Prosperi


Nell'Europa del Cinquecento, aspramente divisa dalle controversie della Riforma, furono numerosi gli italiani esuli per motivi religiosi. Ribelli a ogni forma di disciplina ecclesiastica e condannati per eresia da tutte le chiese costituite, portarono il loro spirito travagliato attraverso l'intero continente.


Quel grande maestro di studi storici che fu Delio Cantimori, nel suo testo piú famoso, ha tracciato quasi una mappa degli eretici italiani piú scomodi e appartati, quelli che non si riconoscevano neppure nelle chiese riformate, gli insoddisfatti di qualunque dogma, coloro che sognavano una vita davvero modellata sull'esempio di Cristo. Ci ha regalato cosí non solo una pietra miliare della storiografia dedicata all'età della Riforma, ma soprattutto un «classico», un libro che è insieme del proprio tempo e di ogni tempo.


http://www.einaudi.it/libri/libro/delio-cantimori/eretici-italiani-del-cinquecento/978880620032

lunedì 6 agosto 2012

DELIO CANTIMORI


Archivio di Delio Cantimori




a cura di Milletta Sbrilli - Archivio di Stato di Pisa, fino al giugno 2009


Delio Cantimori nacque a Russi (RA) il 30 Agosto 1904, primogenito dei tre figli di Carlo e Silvia Sintini. Frequentò il ginnasio e la prima classe del liceo al classico di Ravenna, dove ebbe come insegnanti il latinista Cesare Bione, già allievo della Normale ed il giovane professore di filosofia Galvano Della Volpe.

Seguendo gli spostamenti del padre, professore e preside di istituti medio-superiori, terminò gli studi liceali a Forlì dove conseguì la maturità nel 1924. Nel novembre di quello stesso anno vinse il concorso a convittore interno gratuito alla Scuola Normale Superiore, iscrivendosi nel contempo alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Pisa.

Giovanissimo fu politicamente vicino alla tradizione del repubblicanesimo mazziniano, ma si avvicinò molto presto al fascismo da lui giudicato come l'unico elemento capace di portare a termine la rivoluzione nazionale italiana iniziata con il risorgimento e interrottasi nell'Italia giolittiana. La sua iscrizione al PNF risale al 1926. Dal 1927 collaborò a "Vita Nova" organo della federazione fascista bolognese diretto da Giuseppe Saitta, che fu suo docente di filosofia all'Università di Pisa.

Presso la Scuola Normale Cantimori rimase per 5 anni, 4 di corso ordinario ed 1 di perfezionamento. Si laureò nel giugno 1928 discutendo la tesi Ulrico di Hutten edita due anni dopo dalla Scuola.

Alla Normale Cantimori si legò di profonda amicizia con Giovanni Gentile Junior, allievo della classe di Scienze e stabilì rapporti duraturi con molti altri normalisti tra cui si segnalano: Gilberto Bernardini, Aldo Capitini, Carlo Cordié, Fausto Meli, Giorgio Radetti, ma anche Vittorio Enzo Alfieri, Umberto Segre e Claudio Baglietto. Questi legami sono testimoniati ampiamente da una ricca corrispondenza. Tra i professori dell'università di Pisa e della Normale stabilì un buon legame con Giovan Vittorio Amoretti, docente di letteratura tedesca, e con il filosofo Giuseppe Saitta; meno strette ma cordiali le relazioni con Francesco Arnaldi, vice direttore della Normale.

Nel 1929 discute con Gentile la tesi di perfezionamento normalistico. Nel settembre dello stesso anno vince il concorso a cattedra di Storia e Filosofia per i licei e diviene docente al liceo classico Dettòri di Cagliari, dove ha tra i suoi allievi il futuro scrittore Giuseppe Dessì. Mantiene nel frattempo i rapporti con l'ambiente pisano e normalistico; nel 1931 si laurea in Letteratura tedesca presso l'Università di Pisa, nell'autunno 1931 si trasferisce da Cagliari al liceo classico Foscolo di Parma ma ottiene subito una borsa di studio di un anno che gli permette di soggiornare a Basilea, città in cui frequenta i corsi di Storia della Chiesa alla facoltà di Teologia.

Tornato alla fine del '32 a Pavia, nel 1933 ottiene una nuova borsa di studio di un anno conferitagli dall'Accademia d'Italia. Inizia quindi un nuovo soggiorno all'estero che lo porta a studiare in molte biblioteche ed archivi d'europa per la sua ricerca sui riformatori italiani del '500.

Allo scadere della borsa, nell'ottobre '34 Giovanni Gentile gli offre il posto di assistente all'Istituto Italiano di Studi Germanici a Roma, dove Cantimori va ad occuparsi della redazione della rivista dell'Istituto e ne dirige la biblioteca.

Nel 1939 esce da Sansoni il suo volume più noto Eretici italiani del Cinquecento, nello stesso anno vince il concorso alla cattedra di Storia Moderna e gli viene assegnata come sede il Magistero di Messina.

Nell'autunno del 1940 Giovanni Gentile lo chiama come professore interno di Storia alla Normale di Pisa.

Nella Normale Gentiliana Cantimori sarà parte attiva e responsabile, assumendo per alcuni mesi del 1942 anche il ruolo di vicedirettore.

Risale probabilmente alla fine degli anni '30 l'avvicinamento di Delio Cantimori al partito comunista, in cui gioca un ruolo non secondario la moglie Emma Mezzomonti, da lui sposata agli inizi del 1936 e già al momento del matrimonio militante comunista.

L'insegnamento in Normale interrottosi nel periodo della repubblica di Salò, riprende nel 1944, dopo la nomina di Luigi Russo a direttore della Scuola. Cantimori resta alla Scuola fino al 1948 anno in cui passa alla cattedra di Storia Moderna della facoltà di Lettere di Pisa. Mantiene tuttavia in Normale un incarico di docenza.

Al 1948 risale la sua adesione al PCI , cui rimane iscritto fino al 1956. In questo periodo prosegue ed anzi amplia l'attività di consulenza editoriale per Einaudi, scrive sulle riviste Einaudiane, occasionalmente al "Politecnico" di Vittorini ed in maniera assidua a "Società". Nel 1951-52 traduce assieme alla moglie il primo libro del "Capitale" di Marx. Nel 1951 ottiene la cattedra di Storia moderna a Firenze. Il legame con la Scuola Normale Superiore non si interrompe neppure dopo il passaggio a Firenze, infatti Cantimori vi terrà fino al 1956 il corso di Storia della Chiesa e poi dal '60 l'insegnamento di Metodologia della Storia.

Dopo la decisione di allontanarsi dal PCI, nel 1956, i suoi interessi meno legati all'attualità si rivolgono di nuovo allo studio del '500, come testimoniano vari suoi scritti editi dal 1959 fino al 1966 e anche postumi.

Delio Cantimori muore a Firenze il 13 settembre del 1966.



L'Archivio Cantimori si divide in diverse sezioni: il carteggio, atti e documenti personali, manoscritti, materiali preparatori, testi di conferenze, lezioni, discorsi.

La parte più interessante è sicuramente il carteggio che inizia dal 1919 e prosegue ininterrottamente fino al 1966, documentando la giovinezza dello studioso, con gli intensi anni da lui trascorsi alla Normale, il periodo delle ricerche all'estero, la docenza normalistica e universitaria, l'impegno politico nel secondo dopoguerra, l'attività di consulenza per importanti editori.

Il carteggio comprende oltre 6.000 lettere scritte a Delio Cantimori da più di 1.000 corrispondenti, dei quali di seguito si elencano i nomi più significativi: Paolo Alatri, Giuseppe Alberigo, Vittorio Enzo Alfieri, Giovan Vittorio Amoretti, Vladimiro Arangio Ruiz, Francesco Arnaldi, Franz Babinger, Claudio Baglietto, Roland H.Bainton, Gilberto Bernardini, Sergio Bertelli, Cesare Bione, Norberto Bobbio, Giulio Bollati, Marino Berengo, Augusto Campana, Aldo Capitini, Claudio Cesa, Federico Chabod, Carlo Corlié, Benedetto Croce, Renzo De Felice, Giuseppe De Luca, Giuseppe Dessì, Elizabeth Feist, Alessandro Galante Garrone, Eugenio Garin, Federico Gentile, Giovanni Gentile, Giovanni Gentile junior, Antonio Giolitti, Hubert Jedin, Werner Kaegi, Paul Oscar Kristeller, Cesare Luporini, Gino Luzzatto, Gastone Manacorda, Walter Maturi, Fausto Meli, Mario Mirri, Mazzino Montinari, Carlo Morandi, Alessandro Natta, Charles O'Malley, Giorgio Pasquali, Baldo Peroni, Alessandro Perosa, Giaime Pintor, Giorgio Radetti, Rosario Romeo, Mario Rosa, Manlio Mario Rossi, Antonio Rotondò, Luigi Russo, Armando Saitta, Giuseppe Saitta, Ernesto Sestan, Alberto Tenenti, Leonida Tonelli, Claudio Varese, Franco Venturi, Cinzio Violante, CorradoVivanti, Gioacchino Volpe, Luigi Volpicelli, Renato Zangheri.

Ampio il carteggio con le istituzioni tra cui citiamo: Accademia d'Italia, Accademia dei Lincei, Accademia delle scienze di Torino, Ministero dell'Educazione Nazionale, Scuola Normale Superiore di Pisa, Università di Firenze, di Messina, di Pisa, di Roma, Università per stranieri di Perugia.

Tra le case editrici di cui è presente ampia corrispondenza si segnalano in primo luogo la Sansoni e la Einaudi, seguite da Edizioni di Storia e Letteratura, ERI, Feltrinelli, Garzanti, La Nuova Italia, Laterza, Marzorati.
Nella sezione atti e documenti ricordiamo le pagelle scolastiche di Delio Cantimori del quarto e quinto anno di ginnasio al liceo classico Dante Alighieri di Ravenna.
Tra i manoscritti le Note sul nazional socialismo, varie recensioni, la prefazione a Scritti e discorsi di Benito Mussolini, la prefazione al primo volume di Renzo De Felice su Mussolini; Divagazioni sul titolo di una collezione (cioè quella dei testi religiosi di Laterza).
Per i materiali preparatori: appunti sparsi per un corso su Nietsche e l'imperialismo, appunti per un corso di Teoria e Storia della storiografia, appunti sul 1848, appunti su Cattolicesimo e Morale in Francia, un quaderno di appunti intitolato Marx ed Engels, manifesto del partito comunista; spogli bibliografici sui vari autori; schede archivistiche sugli eretici.
Tra i testi di conferenze vi è il dattiloscritto della Commemorazione di Adolfo Omodeo agli studenti della Scuola Normale di Pisa e un manoscritto per una conversazione radiofonica di storia tenuta per la Rai nel 1959.



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