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domenica 30 settembre 2007

Appello ai Popoli del Nord

Non se ne può più: basta! Appello ai popoli del Nord.
Nord, sveglia! Perché i popoli del Nord continuano a tacere? Ovviamente non stiamo qui a parlare dei norvegesi o dei danesi. Parliamo dei Lombardi, dei Piemontesi, dei Valdostani, dei Trentini, dei Veneti e dei Friuliani (spero di non averne dimenticato nessuno, ah, già ci sono anche gli emiliano romagnoli!).
Perché dormono sonni profondi? Perché non si ribellano a chi vuol farli passare per quello che non sono?
Ancora l’altro giorno Bossi ha detto che dietro di lui ci sono ventimilioni di lombardo-piemontesi-veneti pronti a seguirlo nella lotta per la libertà. Oh, Popoli del Nord:ribellatevi, ribelliamoci. Qui ci prendono in giro!!!
Mandiamo una diffida a quei politici che parlano in vece nostra. Diciamoglielo, una volta per tutte che ci hanno rotto il c… con i loro discorsi beceri e fasulli: la padania, la secessione, il dio Po…ma siamo fuori!?
Diciamoglielo, a Bossi e a compagni che parlino in nome dei loro, di chi li vota. Ma che non possono parlare a nome di tutti!
Insomma, qualcuno glielo dica a Calderoli e a Bossi…
Sarà il caldo o il desiderio di non perdere voti, ma questi due personaggi hanno tenuto banco, parlando a nome dei mitici “popoli del nord”, durante questa estate.
Cominciamo da Calderoli.
È vero che il soggetto in questione già in passato aveva dato segni di una preoccupante attività cerebrale (?) e politica: doveva essere uno dei padri fondatori della repubblica berlusconian-leghista essendo uno degli estensori della nuova Costituzione; era anche uno degli estensori della riforma elettorale, in seguito da lui stesso definita una “porcata” stato. E via dicendo, in un susseguirsi vorticoso di ‘sparate’ che possono situarsi tra uscite tardo-futuriste e lo sproloquio da osteria.
Poi, come se non bastasse, c’è stata la provocazione di far pascolare maiali sul terreno destinato alla costruzione di una Moschea, cosa che mi ha fatto veramente indignare. Ovviamente ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero (e già qui, si usa un termine forse esagerato) però non è libero di offendere o denigrare nessuno. Chi mi legge sa che io non sono musulmano; però sono una persona che opera per il dialogo inter religioso, perché credo che solo parlando e incontrandoci si possa essere costruita una società migliore.
Qualcuno glielo dica a Calderoli e a Bossi che è ora di finirla di cavalcare la tigre della sicurezza, del razzismo e della xenofobia per garantire spazi politici al loro partito, per alzare la posta e per creare una società chiusa, monolitica e incolore. Anche se hanno fatto proseliti anche tra i sindaci del centro sinistra: Cofferati, ad esempio, ha preso ripetizioni da Gentilini (o c’è arrivato da solo?) agendo contro i lavavetri così come il suo omologo fiorentino…
Quanto a Bossi, per carità: chiunque abbia occhi per leggere e orecchie per udire, sa cosa dice e cosa scrive. Per cui, tirem innanz…
Il problema che loro continuano a parlare di padania (e di secessione, fino a ieri), a nome dei popoli del nord: qualcuno glielo dica che della padania non frega niente a nessuno. Io sono settentrionale (ligure con il pedigree: i miei cognomi sono presenti nella zona di Savona almeno dal 1180, quindi non sono sospetto di essere un ‘terrone’ infiltrato o mimetizzato), non sono nazionalista (tant’è che amo definirmi non italiano ma di lingua italiana); ma ogni volta che sento parlare di padania mi viene l’orticaria. Del resto sono un insegnante che opera per una società aperta, dove l’altro è visto come una risorsa e non come un pericolo, come una ricchezza e non come una minaccia…e non mi va bene ascoltare gente che parla a nome mio di cose che a me non piacciono (lo stesso sentimento lo provo quando politici di centrosinistra giustificano la partecipazione alla guerra di turno o altre schifezze e ce ne sono, ahimé, molte).
Qualcuno glielo dica dunque ai leghisti che per la strada, al bar, al mercato non si parla di padania, ma di pensioni, di caro benzina e via dicendo.
La padania è un’invenzione leghista per conquistare posti al parlamento romano (è proprio vero che pecunia non olet. Lo so che è latino, ma non so scriverlo in lombardo). E ancora pochi giorni fa hanno ripetuto, per l’undicesima volta, il rito dell’ampolla. È proprio vero che l’uomo ha bisogno sia di miti che di riti, se si bevono, è il caso di dirlo, questa panzana post pagana del dio Po…
Comunque, per tornare ai musulmani, io ne conosco tanti e tutti sono brave persone. Poi, nel mucchio ci sarà pure qualche disgraziato, ma anche fra gli italiani, vero non si scherzia! Solo che come al solito si fanno due pesi e due misure: si è forti con i deboli e deboli con i forti. Così se un emigrato passa con il rosso, sono tutti criminali (fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce) dimenticando che abbiamo un parlamento farcito di inquisiti (alcuni passati in giudicato e altri no), ma questi bisogna chiamarli onorevoli. E già che siamo, qualcuno glielo dica a Calderoli, a Bossi e a tutti i loro degni compari che i musulmani non sono tutti brutti sporchi e cattivi, come i pellerossa nei film western…
Ancora un’ultima cosa: lo slogano “padroni a casa nostra”, mi mette una tristezza da far paura. Già me lo immagino il leghista magro e verdognolo che ha un senegalese in tinello, un albanese sul televisore e un marocchino in bagno e pensa per l’appunto “padroni a casa nostra!”.
È venuto il momento di confessare una cosa: a dire il vero, “amici” leghisti, anch’io lo dico, lo grido, ogni estate, “padroni a casa nostra!”: lo dico ogni volta che non trovo parcheggio perché qualche pirlone lombardo ha parcheggiato il suo suv malefico occupando due parcheggi; quando vedo la spiaggia piena di nordiche cartacce e cicche di sigarette torinesi, comasche o bergamasche, quando sulla spiaggia fanno casino o rombano sulle moto d’acqua o sui nordici motorini felici di rompere le scatole a quella che considerano la loro colonia (pardon, lo sbocco al mare della padania, com‘era definita la Liguria in un manifesto leghista ad Alassio).
Mi viene voglia di dire a questi simpatici colonizzatori, che vengono sempre qui a dire che la Liguria è sporca e cara, ma che tornano l’anno dopo (e contribuiscono a sporcarla e ad alzare i prezzi), “Uhi ti, pirla!”, ma poi taccio, in attesa dell’autunno e della transumanza dei nordici verso le loro vallate (dove com’è noto, ci sono le truppe bossiane armate di tutto punto…anche se sinora si sono solo sentiti politici leghisti sparare stupidaggini…).
Padroni a casa nostra? Magari!

C'è speranza se questo accade a Genova: il progresso e/è una Moschea

Sul supplemento genovese del quotidiano La Repubblica (La Repubblica-Il Lavoro) è stato pubblicato in data 29 settembre 2007 un articolo di Piero Ottone intitolato La Moschea è il progresso.
Dati i tempi l'ho letto alla velocità della luce. E sono rimasto piacevolemnte sorpreso.
Si tratta di un pezzo scritto molto bene, semplice, senza perifrasi. Ma che va dritto come un fuso, la dove deve andare, dove deve arrivare.
Mi è piaciuto così tanto che lo vorrei ripubblicare interamente, sperando che Ottone e La Repubblica non si offendano.

La controversia sulla nuova moschea a Genova ha riecheggiato oltre le mura della nostra città: se ne parla anche in luoghi lontanio da noi. Da parte mia ho già detto in altre occasioni, e non esito a ripetere adesso, che sono decisamente favorevole. Per una serie di ragioni che adesso cercherò di enumerare. Innanzittutto perchè sono a favore della libertà. I cristiani hanno diritto di essere cristiani, i musulmani hanno diritto di essere musulmani; gli uni e gli altri hanno a loro volta il diritto ad avere luoghi di culto per le rispettive religioni religioni e per le rispettive credenze. Non vedo perchè questo diritto dovrebbe essere negato in particolare ai musulmani. In secondo luogo invito a riflettere sul fatto che noi genovesi siamo vissutoi per secoli e secoli a fianco a fianco con gente di altre culture e di altre religioni. I rapporti in genere sono stati non di fratellanza ma di reciproca comprensione e risptto. Perchè dovremmo interrompere adesso una tradizione che ci ha onorato nella storia? Infine, la vicinanza di due culture può arricchire entrambe se vi è un utile scambio e soprattutto un reciproco rispetto. Noi abbiamo daimparare dagli altri e gli altri hanno da imparare da noi. Quindi la presenza di una moschea a non molta distanza da un tempio cristiano è un fatto positivo e non un avversario da combattere.
Tutto questo non ha niente a che fare col problema del terrorismo. Non c'è dubbio: il terrorismo è un'aberrazione e bisogna combatterlo; soprattutto bisogna combatterlo e neutralizzarlo con intelligenza prima ancora che con la forza, perchè si tratta di un fenomeno esenzialmente psicologico. Ma non è certto vietando l'apertura di una moschea che si agevola o si promuove una lotta efficace contro i terroristi. Semmai è vero il contrario: è bene che tutti siano il più possibile e operino alla luce del sole invece che nella clandestinità e quindi anche la moschea da questo punto di vista costituisce un passo avanti, costituisce un progresso.
Purtroppo per Ottone, ftemo che, orse questo pezzo non vincerà mail il Premio Pulitzer (spero che si scriva così...). A volte è un po' schematico, però dice l'essenziale. Speriamo che rappresenti un primo passo verso una auspicabile normalizzazione dei rapporti fra le religioni e un segno concreto per l'avvio di un incontro tra le diverse fedi verso la costruzione di una società migliore dove ci sia posto per tutti...

La nonviolenza e i monaci buddisti

Da NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 228 del 30 settembre 2007, Notiziario telematico a cura Centro di ricercaper la pace di Viterbo (Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it) traggo questo editoriale dedicato alla nonviolenza dei monaci buddisti birmani scritto da Mao Valpiana, esponente del Movimento Nonviolento e alcune indicazioni per chi voglia approfondire il discorso.

A questo poposito volevo ricordare che la Carta dei Principi del Movimento Nonviolento è stata redatta, a suo tempo, da Aldo Capitini.

IL METODO NONVIOLENTO DEI MONACI BUDDISTI BIRMANI

Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: e-mail: mao@sis.it o ancheazionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento.

Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli dellanonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezionedi Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitatodi sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata.

Un suo profilo autobiografico, scrittoc on grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4dicembre 2002 di questo notiziario.

Tutto il mondo guarda alla prova di forza tra il regime e le preghiere di migliaia di monaci che lungo le strade di Rangoon, in Birmania, sfilano chiedendo il diritto alla vita per una popolazione affamata e sofferente. La loro preghiera e' per la democrazia e la liberta'. Ci sono molti insegnamenti nelle manifestazioni dei monaci e dei cittadini che si sono svolte nelle citta' birmane in questi giorni. Per solidarizzare concretamente con la lotta del popolo birmano (evitando la moda politica del momento e il rischio autoreferenziale che emerge da alcune iniziative partitiche ed istituzionali italiane) e' bene comprendere il senso profondo del metodo che i monaci hanno attuato (nel mezzo, diceva Gandhi, e' gia' insito il fine che si vuole raggiungere). I monaci dicono che non si puo' realizzare ne' ottenere nulla di buono se non si ha sufficiente pace nell'anima e che agli attacchi dei militari del generale Than Shwe, si puo' rispondere solo con la preghiera. I monaci vogliono "pregare per il bene di tutti". E' con questo spirito che essi hanno la certezza di farcela e di conquistare la pace e la democrazia. "Ci vorra' tempo, ma il bene porta solo bene", assicurano."Offrire aiuto ad un intero popolo senza abbracciare le armi e' un dovere", affermano, "ogni monaco deve essere partecipe e sapersi sacrificare per lenire le sofferenze del popolo dove vive e pratica. Preghiamo perche' tutto questo finisca e la Birmania possa contare su di un governo democratico". Marciano a piedi scalzi, perche' hanno fatto voto di poverta', e perche' il loro metodo e' quello di assumere su di se' le sofferenze, non di caricarle sulle spalle altrui. Hanno simbolicamente rovesciato le loro ciotole, perche' non vogliono accettare l'elemosina dai militari; anche questa e' una rinuncia alla collaborazione con il male. E' una sorta di digiuno, di sciopero, un modo di dire: "Io ti rispetto come persona, ma non accetto nulla dalla tua struttura di violenza". Manifestano senza bandiere di parte, solo quella con il pavone, simbolo di liberta' e democrazia. Hanno rinunciato ai loro segni distintivi, alla singola individualita', per riconoscersi tutti nell'identita' nazionale birmana, si sono completamente identificati nella sofferenza del popolo. Dai loro cortei non si levano slogans e proclami, ma una sola frase, inf orma di preghiera: "viva la democrazia". Non portano cartelli, ne' striscioni, perche' il loro corpo disarmato e' il messaggio. Se vengono picchiati, bastonati, arrestati, torturati, non regiscono, subiscono, se possibile con il sorriso sulle labbra. La loro e' la nonviolenza del forte, non del debole. Pace interiore, preghiera, sacrificio, poverta', noncollaborazione, digiuno, tenacia, serenita': e' fatta di questo la nonviolenza dei monaci buddisti birmani. Sono gli stessi valori vissuti e trasmessi da due maestri della nonviolenzache ci prepariamo ad onorare nei prossimi giorni: Mohandas Gandhi (il 2 ottobre, anniversario della nascita, si celebra la "Giornata internazionaledella nonviolenza" indetta dall'Onu) e San Francesco d'Assisi (il 4 ottobre, anniversario della morte, e' la festa del patrono d'Italia). Nella memoria di Gandhi e di Francesco siamo vicini ai fratelli monaci birmani, e li ringraziamo per la loro lotta che fa tanto bene anche a noi, che dobbiamo trovare la forza per liberarci dalle basi militari e dalle bombe atomiche ancora pesenti sul nostro territorio, e per uscire dai conflitti armati nei quali il nostro paese e' coinvolto. Solo con la nonviolenza l'umanita' si potra' salvare.
Mao Valpiana

LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, el a creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazionedi organi di governo paralleli.

PER SAPERNE DI PIU'
sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta@sis.it
sito del MIR (Movimento Internazionale dellaRiconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir@peacelink.it,luciano.benini@tin.it, sudest@iol.it, paolocand@libero.it
Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnatiper la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; percontatti: info@peacelink.it

sabato 29 settembre 2007

APPELLO PER LA BIRMANIA

Cari lettori,
quello che sta accadendo in Birmania (mi rifiuto di utilizzare un nome imposto da una giunta militare formata da spacciatori e assassini) è tragico anche se altamente significativo. Tragico perchè i militari, come al solito, massacrano gente inerme ("da un militare non mi attendo che pensi", scriveva George Bernard Shaw); significativo perchè la resistenza nonviolenta fronteggia gli armati.

Va da se che il mondo politico tace (o finge di agire) e, come sempre, vince la logica del massimo profitto (come per la Russia che vende armi ai militari birmani) o dello status quo (per la Cina che teme una rivolta buddista che si estenda al vicino Tibet).

Amnesty International ha lanciato un appello (che ho già firmato e invito tutti a farlo). Forse è poco, ma è sempre meglio di nulla: del resto non viviamo in un'epoca mediatica?

L'appello di Amnesty:

Cara amica, caro amico, a Myanmar è in atto una violenta repressione delle manifestazioni pacifiche, che si stanno svolgendo in tutto il paese da oltre un mese. Il 25 settembre circa 300 persone sono state arrestate durante le proteste e tre monaci sono stati uccisi: uno da un colpo d´arma da fuoco e gli altri due a seguito di un pestaggio. Il giorno dopo vi sono state altre vittime, e almeno un giornalista è rimasto ucciso. Fonti non ufficiali hanno fatto sapere ad Amnesty International che oltre 50 monaci sono rimasti feriti. Le ultime notizie ricevute da Amnesty International in queste ore non sono incoraggianti. Numerosi raid da parte della polizia stanno avendo luogo in queste ore nei monasteri buddisti di Yangon e in altre città del paese, non si conosce ancora il numero preciso dei monaci arrestati e delle persone rimaste ferite.Per scongiurare il ripetersi del bagno di sangue del 1988, quando furono uccise circa 3000 persone, Amnesty International ha lanciato un appello alle autorità di Myanmar chiedendo loro di mettere fine alle repressioni contro i dimostranti pacifici e garantire il rispetto del diritto di manifestazione.

ANCHE TU PUOI FARE QUALCOSA DI IMPORTANTE!

FIRMA L'APPELLO ON-LINE A QUESTO INDIRIZZO: http://www.amnesty.it/appelli/azioni_urgenti/Myanmar

E INVITA I TUOI AMICI CHIEDENDO LORO DI FARE ALTRETTANTO.

Far sentire la nostra voce in questo momento è fondamentale.

Insieme, la nostra voce può diventare più forte e salvare delle vite!

Amnesty International Sezione Italiana http://www.amnesty.it

venerdì 28 settembre 2007

Iniziativa albenganese...

A tutti i lettori della Provinvia di Savona, ricevo e giro questa mail per una iniziativa importante che si terrà domani sera ad Albenga (lo so che è un po' tardi...)


Care amiche, cari amici,

ho il piacere di darvi appuntamento
domenica prossima 30 settembre alle ore 11
ad Albenga, in Via Medaglie d’Oro 7 (Palazzo Scotto Niccolari)

per lanciare la proposta di un centro di innovazione culturale nel Ponente ligure,
coinvolgendo in particolare i giovani (di età e/o di spirito). ;
L’incontro, assolutamente ruoterà sui temi della società della conoscenza / società multiculturale / creatività / cultura artistica / sviluppo culturale e sarà animato da un mio caro amico, Freddy Grunert, filosofo e artista.
Interverrà Alberto Isetta, esperto di dialogo interculturale.
Vi prego di diffondere l’invito ai vostri amici e conoscenti che possono essere interessati.

Vi ringrazio per l’attenzione e
spero di incontrarvi domenica ad Albenga.


Un caro saluto da
Antonio Parodi

giovedì 27 settembre 2007

Una proposta contro la delibera 1406/2007 della Regione Campania

Della delibera della Regione Campania che permette l'uso del ritalin e di altri farmaci verso i ragazzini che hanno disturbi dell'attenzione, ne abbiamo già parlato (e, per fortuna anche altri lo hanno fatto, dal blog di Beppe Grillo a quello dei Genitori dell'Age di Pomepei).

Ora vorrei invitare i lettori a inviare una mail come la seguente, che ho già inviato, al capo gabinetto della Regione Campania, specificando nell'oggetto "per il ritiro della delibera 1406/2007":

Come cittadino italiano e insegnante elementare impegnato in attività di sostegno chiedo che venga ritirata la delibera in oggetto in quanto lesiva dei diritti dei bambini e indegna di un paese civile

Cordiali saluti

Firma

Speriamo di ottenere qualche effetto...

Buon lavoro a tutti

Giuliano

mercoledì 26 settembre 2007

La vita comincia a quarant'anni...

Adista è un'agenzia di stampa attiva in ambito cattolico.
offre una lettura della vita ecclesiale che non è allineata con l'istituzione.
visitare il sito e abbonarsi alla versione web o a quella cartacea,
sarebbe cosa buona e giusta...


A d i s t a
compie 40 anni:

FESTEGGIA CON NOI

il 15 ottobre 2007 alle ore 18,
alla Casa Internazionale delle donne (via della Lungara, 19) per un

Incontro-dibattito con la redazione di Adista

Adista 1967-2007: 40 anni di informazione ecclesiale visti da un’altra parte

Interviene Giancarlo Zizola: “L’informazione nella Chiesa nel postconcilio”

Dopo l’incontro è previsto un piccolo rinfresco e un brindisi con tutti i presenti

Per informazioni:
tel. 06/6868692 – fax 06/6865898 e-mail: info@adista.it http://www.adistaonline.it/

Chi desidera fermarsi al rinfresco è pregato di confermare la propria presenza

martedì 25 settembre 2007

Questo governo ci ha deluso...anche se non ci aspettavamo molto...


comunicato stampa della Tavola della pace

Il Governo ci ha deluso.

Il 7 ottobre marceremo per costruire una nuova politica


La Tavola della pace chiede un incontro al Presidente Prodi e ai Ministri D´Alema e Parisi

Assisi, 7 luglio 2007 - Al termine della due giorni di lavori del Seminario nazionale della Tavola della Pace, gli oltre 300 partecipanti in rappresentanza di associazioni ed enti locali italiani lanciano un monito al mondo della politica e delle istituzioni: "Siamo delusi e preoccupati dopo i primi 15 mesi del governo Prodi. Ci aspettavamo di più in termini d´impegno per la pace e per i diritti umani e vediamo disatteso il programma elettorale che aveva recepito molte delle nostre richieste", questa la sintesi di Flavio Lotti e Grazia Bellini, coordinatori nazionali della Tavola della Pace. Una platea critica e propositiva si è confrontata sulla base del documento della Tavola della pace "Voglio di +. Quello che chiediamo oggi al Governo, al Parlamento e a tutte le forze politiche italiane." Chiediamo un metodo nuovo per costruire le decisioni, capace di ascoltare il popolo della pace, le proposte dei costruttori di pace, le associazioni, i gruppi, gli enti locali che tutti i giorni s´impegnano a fare qualcosa per la pace e la giustizia, senza aspettare che lo facciano altri al loro posto. Non c´è politica di pace, infatti, senza partecipazione attiva e senza coinvolgimento dei cittadini. Ci preoccupa la crisi della politica perché ci impedisce di rispettare i nostri doveri internazionali di solidarietà e di giustizia. Ci preoccupa anche la frattura che questa delusione sta provocando tra la società civile e i rappresentanti della politica. Cresce il numero di quanti pensano che politica e istituzioni siano incapaci di costruire la cultura della pace. Non crediamo nell´antipolitica. Crediamo nel confronto e nel dialogo con tutti i responsabili della politica e delle istituzioni. Noi siamo pronti a fare la nostra parte e ad assumerci le nostre responsabilità. Ma vogliamo poterne discutere, sapendo di essere ascoltati. Chiediamo un incontro con il Presidente del Consiglio Prodi, che due anni fa, da candidato, era venuto a Perugia per l´Assemblea dell´Onu dei Popoli. Chiediamo un incontro con il Ministro degli Affari Esteri e il Ministro della Difesa. Chiediamo un incontro con i responsabili di tutti i partiti impegnati nel difficile compito di riorganizzare la politica. L´avvicinarsi del 60° Anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani ci ricorda come "tutti i diritti umani per tutti" sia la bussola che deve orientare ogni scelta politica e misurarne la sostenibilità. Contro l´antipolitica, contro ogni qualunquismo politico noi rilanciamo un forte appello a cambiare, a fare di più. Per questo la prossima Perugia-Assisi del 7 ottobre sarà una marcia per costruire una politica nuova e una nuova cultura politica nonviolenta fondata sui diritti umani.

Per contatti stampa Alessandra Tarquini e Floriana Lenti 3 47.9117177 - 3384770151

Ufficio Stampa Tavola della pace tel 075/5734830 fax 075/5739337

email: stampa@perlapace.it

http://www.perlapace.it/

Questo comunicato stampa non è freschissimo: nel frattempo le cose sono peggiorate...ad esempio, il governo Prodi (che parla tanto di tagliare le spese della politica) ha aumentato le spese militari (più del governo Berlusconi). Si è impegnato maggiormente in situazioni di guerra, sino a giungere al blitz congiunto italo-brittanico per liberare gli italici militari rapiti in Afganistan e via dicendo (senza dimenticare la vicenda della base di Vicenza e un continuo parlare di ritorno al nucleare...).

Per essere un governo di "sinistra" non c'è male (e, vorrei ricordarlo, nel governo ci sono pure i verdi, che sotto il simbolo del sole che ride scrivono pure la parola PACE...

lunedì 24 settembre 2007

Religioni, pace e dialogo

Pubblichiamo un testo di Brunetto Salvarani, teologo laico e saggista

1- Dopo l’11 settembre, culture e religioni alla ribalta
2- La pace-shalom, dono di Dio e progetto umano
3- Educare al dialogo interculturale e interreligioso

1- I tempi stanno vorticosamente cambiando: dopo la stagione della morte di Dio e dell’eclissi del sacro si parla sempre più spesso di rivincita di Dio e di ritorno alla spiritualità, spesso in chiave fondamentalistica o di supermarket del sacro. Gli scenari del dopo 11 settembre (tra cui va situata la guerra in Iraq) l'hanno ulteriormente posto in luce, mostrandone gli aspetti più contraddittori e drammatici. Guardando al nostro paese, poi, stiamo vivendo con palese fatica la fase di passaggio dalla religione degli italiani (quella cattolica, ovviamente, se crocianamente non possiamo non dirci cristiani) all’Italia delle religioni.

2- In un simile contesto, a quarant'anni dalla profetica Pacem in terris il problema della pace appare sempre più fragile e problematico ma nel contempo decisivo per il futuro della specie umana: quella pace che, per i credenti nel Dio di Abramo e di Gesù Cristo, non è innanzitutto un tema di ordine etico o sociale, bensì un tema di ordine rivelativo, che sta nello spazio della fede. Anzi, proprio sulla dottrina della pace la chiesa misura la sua fedeltà al Signore e la sua capacità di testimoniare l’evangelo nella compagnia degli uomini (E.Bianchi). La pace biblica è vita piena, è shalom, e il suo opposto – più che la guerra – è la violenza in genere: quella radicata nel cuore dell’uomo e purtroppo in grado di ferire l’ordine delle relazioni intraumane, tra l’umanità e le cose, il creato tutto, e tra l’umanità e Dio. La pace per le chiese cristiane resta dunque, in primo luogo, dono divino, al quale conducono, peraltro, scelte concrete nel quotidiano quali la pratica della giustizia, la liberazione dell’oppresso, la difesa dei poveri.

3- Il nuovo pluralismo in atto è destinato, prevedibilmente, a porre a dura prova la nostra tradizionale ignoranza in campo biblico e religioso, costringendo il mondo della scuola, dell’informazione e della formazione permanente ad un impegno davvero serio e approfondito verso un'inedita pedagogia interreligiosa. Come tutte le novità, una simile situazione potrà recare paura e indurre a chiusure identitarie, ma anche stimolare ad un vero e proprio salto di qualità: occorrerà innanzitutto un cambiamento di mentalità, maggiore disponibilità all’ascolto delle ragioni degli “altri”, una conoscenza diretta a partire non solo da una documentazione più articolata ma altresì dall’incontro nella quotidianità e nello scambio dialogico interpersonale. Ci sarà bisogno di un nuovo vocabolario del dialogo, basato sull’identità, l’empatia, il decentramento, l’ascolto, l’accoglienza. Dovremo investire, ecclesialmente e civilmente, sull’educazione al dialogo, interculturale e interreligioso: una scommessa tanto ardua quanto assolutamente necessaria.

Tratto dal sito: http://www.cittaeducativa.it/pace2005/salvarani.htm

domenica 23 settembre 2007

Nuova iniziativa della tavola per la pace

La Tavola della pace chiede all´Italia di assumere subito un´iniziativa politica nuova, ampia e coraggiosa per fermare l´escalation.

Una Perugia-Assisi per la pace in Medio Oriente
Alla Marcia del 7 ottobre parteciperanno 40 israeliani, palestinesi e libanesi in Italia per la settimana della pace.

"Autobombe a Beirut, la Striscia di Gaza dichiarata “entità nemica” di Israele, minacce di guerra all´Iran, minacce di bombardamenti iraniani su Israele, stragi quotidiane in Iraq, guerra senza fine in Afghanistan… Di colpo il Medio Oriente ritorna in prima pagina con la sua lunga, rossa, scia di sangue e con i suoi più inquietanti lampi di guerra. Un incubo senza fine per chi è costretto a vivere in quella tragica regione. E un incubo per noi che ne siamo e ne saremo inevitabilmente coinvolti” hanno dichiarato Flavio Lotti e Grazia Bellini, coordinatori della Tavola della pace.

“Il pericolo è grande e lo spazio per intervenire è sempre più stretto. Da anni invochiamo la pace in Medio Oriente ma la guerra ha continuato a fare strazio di appelli e di vite umane. E´ dunque venuto il tempo di cambiare atteggiamento. Tutti. Governo, Parlamento e cittadini. Cosa abbiamo fatto sino ad oggi per impedire questa escalation? Sul banco degli accusati non ci sono solo i dittatori, i fanatici, i guerrafondai, i trafficanti di armi, gli eserciti, i servizi segreti e i terroristi: ci siamo anche noi. Noi che alziamo le mani, noi che giriamo le spalle, noi che fingiamo di non sentire.

Alla Marcia per la pace Perugia-Assisi del prossimo 7 ottobre e alle numerose iniziative collegate prenderanno parte quaranta israeliani, palestinesi e libanesi, insieme ad altri amici iracheni e afgani impegnati nella più difficile delle imprese: resistere alle spietate logiche della guerra e costruire la pace in prima persona. Facciamo in modo di essere in tanti al loro fianco per dire basta alla guerra. L´importante lavoro che l´Italia sta svolgendo da più di un anno in Libano non basta. Serve di più. Per questo, noi chiediamo all´Italia, che siede nel Consiglio di Sicurezza dell´Onu, di assumere subito un´iniziativa politica nuova e coraggiosa, chiara e risoluta, ancorata al diritto internazionale dei diritti umani, tesa a rompere l´immobilismo e le complicità dell´Europa e della comunità internazionale. E ad evitare che il peggio ci travolga.”

PER CONTATTI STAMPA: stampa@perlapace.it
Per ulteriori informazioni:
Tel. +390755736890

sabato 22 settembre 2007

VERGOGNOSA DELIBERA DELLA REGIONE CAMPANIA: FIRMA LA PETIZIONE

Mi è giunta questa mail che invita i lettori a sottoscrivere una petizione avversa alla delibera da parte della Regione Campania sull'uso del Ritalin (un farmaco) contro i bambini "iperattivi".

A mio parere si tratta di una decisione criminale affine a vecchie metodologie in uso nella psichiatria come la lobotomia o gli elettrochoch. In passato ho già aderito a campagne analoghe e, purtroppo, mi trovo a dover nuovamente aderire e a chiedere ad altri di aderire.
Riporto di seguito il testo della mail con le indicazioni per la sottoscrizione.

FIRMA ANCHE TU!!!

petizione per la sospensione in Campania del ritalin. http://www.agepompei.ilcannocchiale.it/

Assessorato alle Politiche Sociali Napoli, 17 settembre 2007 Il 27 luglio scorso la Regione Campania (Delibera n. 1406) ha approvato la somministrazione del farmaco Ritalin, da molti anni al centro di polemiche. Il Ritalin, infatti, è usato per curare il disturbo da deficit d'attenzionee iperattività (Adhd) nei bambini in età pediatrica. Il farmaco è ritenuto responsabile della morte di alcuni bambini e gli scienziati ritengono che abbia degli effetti negativi sullo sviluppo psicofisico dei piccoli pazienti. In Italia il Ritalin è distribuito dalla multinazionale Novartis per un girod 'affari che ammonta a circa 2 miliardi e 200 milioni di dollari l'anno.
Prima della Delibera regionale, il Ritalin era stato classificato nella lista degli stupefacenti, poi nella lista degli psicofarmaci. Negli Stati Uniti, l'Ente governativo che si occupa della sorveglianza sui prodotti farmaceutici e alimentari (Fda) ha imposto sulle confezioni delf armaco la stampa di una cornice nera al cui interno c'è scritto: Possibile incremento del rischio di morte improvvisa e complicazioni cardiovascolari.

Perché il Ritalin ai bambini iperattivi? I bambini affetti da (Adhd) sono distratti, iperattivi, hanno difficoltà di concentrazione e coordinazione; ma questi sono problemi di tipo socio-educativo che non si possono risolvere attraverso l'utilizzo di un farmaco pericoloso. Autorizzare la somministrazione di un farmaco, che a detta della Fda è nocivo, dandolo poi ai bambini, è una scelta che va immediatamente rivista.

Il Ritalin è una scorciatioia per chi non vuole impegnarsi in un percorso più complicato e faticoso, ma di certo più rispettoso dei bambini. Esistono delle tecniche avanzate che incanalano le energie dei bambini iperattivi nel modo giusto, trattandosi di ragazzini che spesso hanno doti straordinarie e capacità superiori alla media.

La Delibera Regionale è sbagliata. Una scelta così importante non può essere presa in fretta e senza tenere conto delle autorevoli voci scientifiche di parere contrario. Ti chiediamo di firmare questa petizione, per ottenere dalla Regione la sospensione immediata della Delibera andando su: www.politichesociali.it/petizione.php

Giulio Riccio Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Napoli 150; ,Mario Petrella Direttore Dip.Socio.Sanitario ASL NA 1-, Emilio LupoDirettore Servizio Salute Mentale ASL Na 1-, Stefano Vecchio Direttore Dip.Farmacodipendenze ASL Na 1-, Prof. Sergio Piro Docente in Pisichiatria eNeurologia -, Gianni Minucci Coordinamento Nazionale Comunità Minori CNCM-,Giuseppe Cirillo Direttore Centro Studi Interistituzionali ASL/Comune diNapoli- , Elisabetta Gambardella Assessore al Decoro Urbano del Comune diNapoli-, Francesco Nicodemo Consigliere Comunale del Comune di Napoli - ,Antonella Cammardella Consigliere Regionale della Regione Campania (VicePresidente Commissione Consiliare Sanità)-, Francesco Minisci ConsigliereComunale del Comune di Napoli -, Nicola Oddati Assessore alla Cultura e alloSviluppo del Comune di Napoli - ,Diego Venanzoni Consigliere Comunale delComune di Napoli- , Gennaro Nasti Assessore all'Ambiente del Comune diNapoli - , On. Giuseppe De Cristofaro Camera Dei Deputati - , On.Tommaso Pellegrino Camera Dei Deputati- , Guglielmo Allodi Assessore Risorse Strategiche dellaProvincia di Napoli-, Isadora D'Aimmo Assessore alla Pace della Provincia diNapoli-, Dolores Feleppa Madaro Assessore Anagrafe e Cimiteri del Comune diNapoli -, Mariella Parmendola Assessore alle Politiche Sociali del Comune diCastellamare di Stabia -, On.Tommaso Pellegrino Camera Dei Deputati-,Francesco Borrelli Assessore all'Agricoltura della Provincia di Napoli -,Bernardo Tuccillo Assessore alle Politiche del Lavoro della Provincia diNapoli - , Olindo Giacci Direttore Servizio Socio Sanitario Territoriale ASLNa 1-, Lucio Pirillo Presidente UNEBA -.
L'Assessore alle Politiche Sociali Giulio Riccio

TESTIMONI DELLA NONVIOLENZA A VENEZIA

Dall'Ecoistituto del Veneto (per contatti: info@ecoistituto.veneto.it) riceviamo e diffondiamo:

Ad ottobre si costituisce la sezione veneziana-mestrina del Movimento Nonviolento.

Per l'occasione martedi' 2 ottobre (compleanno di Gandhi) prende avvio questa serie di incontri di altissima qualita', a cui siete tutti invitati.

Dopo il primo incontro che si terra' al Centro civico di via Sernaglia, i successivi si sposteranno nel nuovo Centro culturale "Citta' Aperta" che stiamo aprendo la' vicino, in via Col Moschin (traversa di via Sernagliaverso via Piave).

*Mestre, ogni primo e terzo martedi' del mese, ore 17,30

2 ottobre: "Gandhi, la forza della nonviolenza". Attualita' di Gandhi, con Fulvio Cesare Manara, docente all'Universita' di Bergamo, autore di Una forza che da' vita.

16 ottobre: "Tolstoj, la nonviolenza tra guerra e pace". Lev Tolstoj tra cristianesimo e vegetarianesimo, con Matteo Soccio, coordinatoredella Casa per la pace di Vicenza, autore di Religione, laicita' enonviolenza.

6 novembre: "Martin Luther King, I have a dream". Una risposta nonviolenta alla discriminazione razziale, con Daniele Lugli, segretario del Movimento Nonviolento.

20 novembre: "Aldo Capitini, teoria e pratica della nonviolenza". Dalla prima marcia Perugia-Assisi al potere di tutti, con Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta", con la partecipazione di Pietro Pinna, primo obiettore di coscienza al servizio militare in Italia.

4 dicembre: "La Pira, un sindaco fuori dal comune". Da Firenze capitale della pace ad ambasciatore in Vietnam, con Giannozzo Pucci,direttore di "Ecologist Italia", con la partecipazione di Fabrizio Fabbrini, primo obiettore di coscienza cattolico.

18 dicembre: "Don Milani, l'obbedienza non e' piu' una virtu'". Un messaggio educativo e nonviolento fuori dagli schemi, con Francuccio Gesualdi, allievo della scuola di Barbiana e autore della Guida al consumocritico.

Al termine di ogni incontro segue buffet conviviale con cibi biologici evegetariani.

tratto dal n. 220 di Notizie minme della Nonviolenza in cammino

venerdì 21 settembre 2007

Lettera ai fratelli cristiani di Hamza Piccardo

Dopo il testo di Carlo Maria Martini, pubblichiamo questa Lettera ai fratelli cristiani, scritta dall'amico Hamza Piccardo al quotidiano telematico ilNuovo.

Lettera ai fratelli cristiani nel nome di Dio di Hamza Roberto Piccardo

Uno studioso del Corano ha scritto questa lettera a Igor Man. Il grande giornalista e studioso di cultura islamica ha deciso di metterla a disposizione dei lettori de IlNuovo e di commentarla per far comprendere quanto Islam e Cristianesimo siano religioni sorelle.

Cari fratelli e sorelle di Adamo, Iddio ci insegna nel Suo Libro chiaro che i cristiani sono tra le Genti della Scrittura, quelli più vicini ai musulmani. Egli dice “ ... troverai che i più prossimi all’amore per i credenti sono coloro che dicono: ‘In verità siamo nazareni’, perché tra loro ci sono uomini dediti allo studio che non hanno alcuna superbia”. (Corano V,82). Giovanni Paolo II, rivolgendosi a decine di migliaia di giovani musulmani nel grande stadio di Casablanca il 19 settembre del 1985, disse: “Cristiani e musulmani, generalmente ci siamo malcompresi, e qualche volta in passato, ci siamo opposti e anche persi in polemiche e in guerre. Io credo che Dio c’inviti oggi, a cambiare le nostre vecchie abitudini. Dobbiamo rispettarci e anche stimolarci gli uni gli altri nelle opere di bene sul cammino. Voi sapete, con me, quale è il prezzo dei valori spirituali. Le ideologie e gli slogan non possono soddisfarvi né risolvere i problemi della nostra vita. Solo i valori spirituali e morali possono farlo, ed essi hanno Dio per fondamento. Auspico, cari giovani, che possiate contribuire a costruire un mondo in cui Dio abbia il primo posto per aiutare e salvare l’uomo. Su questo cammino siate certi della stima e della collaborazione dei vostri fratelli e sorelle cattolici, che io rappresento tra voi questa sera”.Se le parole del Papa non sono solo propaganda, e di questo siamo certi, ci piacerebbe che i nostri rapporti tenessero in debito conto quanto da lui espresso. Purtroppo ci pare che si continui a mal comprendersi. La nostra specificità e la nostra difficile omologazione a un sistema che ha calpestato la maggior parte dei diritti di Dio sul mondo e sulla Sua creatura preferita, sono ben note e non faremo niente per dissimularle pur continuando ad esercitare la pazienza e la perseveranza dei credenti.Facciamo tutto quello che ci è possibile per mettere in pratica l’indicazione che Iddio ci dà nel suo Libro Sublime: “Dialogate con belle maniere con la gente della Scrittura, eccetto quelli di loro che sono ingiusti. Dite (loro): “Crediamo in quello che è stato fatto scendere su di voi, il nostro Dio e il vostro sono lo stesso Dio ed è a Lui che ci sottomettiamo” (Corano XXIX,46).La predicazione di Gesù (pace su di lui) travolse tutto il sistema dei valori dominanti nell’Impero romano. Alcuni storici hanno ritenuto che essa sia stata la causa principale della fine della potenza ingiusta di Roma in Occidente e anche noi musulmani siamo fieri di essere portatori della prosecuzione di quel messaggio proveniente da Dio e disposti a lottare e a soffrire affinché la Sua parola sia la più alta, affinché si contribuisca, come ha detto Giovanni Paolo II a “costruire un mondo in cui Dio abbia il primo posto”.
Cari amici, ogni credente conosce bene “qual è il prezzo dei valori spirituali”: diffidenza, ostilità, oppressione, persecuzione; contro tutto questo abbiamo dovuto lottare in ogni tempo. E poi l’ipocrisia degli scribi e dei farisei contro i quali scagliò la sua invettiva Gesù figlio di Maria (pace su di loro). Le ideologie non ci soddisfano, quella liberale, figlia dell’illumismo e della deificazione della ragione, meno che tutte. Ci stiamo impegnando in questo mondo secolarizzato e materialista per riportare la religione con il suo patrimonio di valori etici e le sue implicazioni normative al centro dell’umana esistenza e chiediamo, su questo cammino, ricordando ancora l’ispirata parola del Papa, la stima e la collaborazione dei nostri fratelli e sorelle cristiani. Crediamo in tutta buona fede che sia ormai giunto il momento di riempire di contenuti e di metodologie di percorso le tanto conclamate volontà di dialogo che da tante parti si sono levate in questi ultimi dieci anni. Al di là di un imprescindibile libertà di esporre con la massima chiarezza i nostri rispettivi punti di vista dottrinali a tutti coloro che siano disposti ad ascoltarli, siamo convinti che si possano individuare terreni e temi di confronto reale tra noi e voi che ci siete più “vicini”.Per far ciò sarà necessario uno sforzo serio e costruttivo che c’impegni e v’impegni in un dibattito sincero e rispettoso delle peculiarità che ci contraddistinguono. La nostra comunità è composta da due gruppi distinti che ritroviamo nella storia dell’Islam sin dai tempi della prima emigrazione, quella gloriosa del Profeta Muhammad (pace e benedizione su di lui), i muhajiron e gli ansar: gli Emigranti e gli Ausiliari. Governati per lo più da tiranni nemici dei loro popoli, i musulmani si presentano all’Occidente e alla cristianità con le vesti dell’immigrato che spesso non ha neppure una valigia di cartone, profughi economici di Paesi ridotti allo stremo dalle conseguenze congiunte del colonialismo e del neocolonialismo, dall’impoverimento e dalla latitanza delle loro borghesie nazionali, dal tradimento e la malversazione delle caste militari, da guerre civili fomentate da interessi tanto inconfessabili quanto evidenti. Si presentano con la speranza ostinata e impaurita dei clandestini che assediano le nostre coste e le nostre montagne, con il volto triste dei rifugiati, ma tutti con la ferma volontà di sopravvivere ad ogni costo. Eppure, non appena riescono minimamente a stabilizzarsi, a mangiare a sufficienza, a mettere sulle loro teste un tetto che non sia quello di un’automobile abbandonata o di una vecchia fabbrica in disuso, molti di loro danno corpo alla loro più profonda e sentita realtà esistenziale, quella che l’Altissimo ricorda nel Suo Libro di verità: “Non creammo gli uomini e demoni se non perché Ci adorassero”, pensano cioè all’esigenze del culto, organizzano un luogo di preghiera, una moschea, fondano un’associazione, si preoccupano di avere qualcuno che li guidi nell’adorazione, che insegni ai loro figli la Parola di Dio e la Sunna del Suo Inviato (pace e benedizioni su di lui). Questa insistenza sulla loro realtà religiosa e culturale sembra tanto dispiacere a una parte rilevante dell’Occidente che allo stesso tempo li utilizza ma non li vorrebbe, o almeno li accetterebbe in mobilità, se ci è permesso questo termine dell’attuale organizzazione del lavoro: quando servono, solo quelli che servono, pronti a partire appena non servono più, pronti a tornare quando servono di nuovo.Cari fratelli e sorelle, la persecuzione nei confronti dei credenti (di tutti i credenti), è acuta in molti di quei Paesi che vengono identificati come paesi islamici mentre in altri la popolazione soffre a causa di embarghi ingiusti o guerre interne.In alcuni la polizia pattuglia i quartieri popolari spiando le finestre dalle quali trapela luce al primo mattino, probabile segno di qualcuno che si è alzato per la preghiera dell’alba, qualcuno da convocare in commissariato, da intimidire, da torturare. In altri sono ancora migliaia i desaparecidos durante e dopo un’insurrezione conclusasi da quasi vent’anni, sepolti vivi in prigioni che mai nessuno ha potuto visitare, mantenuti in vita solo perché siano monito a chi volesse mettere un’altra volta in discussione quel regime al potere e per taglieggiare le loro famiglie in cambio di una notizia, di una lettera, per far arrivare un farmaco, un pacco. In stati di antica, grande tradizione culturale e spirituale, sono oggi centinaia gli intellettuali, medici, ingegneri, i migliori esponenti della borghesia nazionale imprigionati da anni con fantasiose accuse di cospirazione contro lo Stato accreditati da tribunali asserviti al potere.In alcune monarchie del petrolio molti tra i più eminenti sapienti sono stati e sono perseguitati per aver denunciato l’ingiustizia del potere e la pesante discriminazione attuata nei confronti dei lavoratori immigrati (in stragrande maggioranza musulmani). Dal canto loro negli Stati che hanno fatto della modernizzazione la loro bandiera più ostentata, le nostre sorelle devono lottare per poter entrare con il velo nell’Università così come nella “laica” Francia. Il laicismo ahinoi è il peggiore degli integralismi!Non vogliamo più insistere su questo cahier de doléances che potrebbe disgraziatamente comprendere molte altre pagine, volevamo solo tentare di correggere un singolare strabismo che talvolta affligge chi osserva una realtà e ne vede solo una parte. Vorremmo solo che si istituisse un autentico tavolo di dialogo in cui mettere a fuoco problematiche, individuare iniziative, metodologie e percorsi affinché musulmani e cristiani possano operare insieme nel comune intento della pace, della giustizia e della solidarietà tra tutti i popoli.Cominciare dall’Italia non sarebbe certo un segnale trascurabile.
La lode appartiene a Dio Signore dei Mondi.

Noi e l'Islam, di Carlo Maria Martini

Dal sito www.cadr.it/islam/noi_e_l'islam.htm prelevo questo discorso dell'allora Cardinale Carlo Maria Martini, una delle voci più sensibili, intelligenti e aperte al dialogo dei nostri tempi.

Dovrebbe essere, almeno nelle intenzioni, il primo di una serie di testi che possano fornire materiale a chi voglia avviare un dialogo, promuovere un incontro tra credenti cristiani e credenti musulmani (e tra credenti e non credenti), convinto che, come scriveva lo stesso Cardinale, l'opposizione non sia più fra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti...



Dal Libro della Genesi (21, 13-20):
In quel tempo Dio disse ad Abramo: "Io farò diventare una grande nazione anche il figlio della schiava, perché è tua prole". Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre di acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via. Essa se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea. Tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare. Allora essa depose il fanciullo sotto un cespuglio e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d’arco, perché diceva: "Non voglio veder morire il fanciullo!". Quando gli si fu seduta di fronte, egli alzò la voce e pianse. Ma Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: "Che hai Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove di trova. Alzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione". Dio le aprì gli occhi ed essa vide un pozzo d’acqua. Allora andò a riempire l’otre e fece bere il fanciullo. E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco.

1. PREMESSA
Il racconto che abbiamo ascoltato, tratto dal più antico libro della Scrittura, il libro della Genesi, ci parla di un figlio di Abramo che non fu capostipite del popolo ebraico, come lo sarebbe stato Isacco, ma a cui ugualmente sono state riservate alcune benedizioni di Dio."Io farò diventare una grande nazione anche il figlio della schiava, perché è tua prole" promette Dio ad Abramo. E infine nel racconto si dice: "Dio fu con il fanciullo". Le reali vicende di questo Ismaele e dei suoi figli rimangono oscure nella storia del secondo e primo millennio avanti Cristo, ma è chiaro che il riferimento biblico va ad alcune tribù beduine abitanti intorno alla Penisola Arabica. Da tali tribù doveva nascere molti secoli dopo Maometto, il profeta dell’islam.Oggi, in un momento in cui il mondo arabo ha assunto una straordinaria rilevanza sulla scena internazionale e in parte anche nel nostro paese, non possiamo dimenticare questa antica benedizione che mostra la paterna provvidenza di Dio per tutti i suoi figli.Ed è di questo che vorrei parlarvi oggi, festa di sant’Ambrogio, in quello spirito di attenzione agli eventi della città che hanno caratterizzato la vita del nostro patrono.Esprimerò qualche riflessione non sul fenomeno dell’islam in generale, ma su quanto ci tocca oggi a Milano e nel contesto europeo, a seguito delle nuove forme di presenza dell’islam tra noi. Ho scelto come titolo preciso di questa conversazione Noi e l’islam.

2. CHI SIAMO "NOI" E CHI E’ "L’ISALM".
Per noi intendo anzitutto il noi della comunità ecclesiale, della diocesi di Milano e, in seconda istanza, anche il noi della comunità civile cittadina, provinciale e regionale.Certamente il problema posto dall’islam in Europa è molto più vasto. Abbiamo avuto occasione di dirlo l’anno scorso, in questa stessa sede, parlando dell’accoglienza ai terzomondiali.La presenza di numerosi gruppi etnici di fede musulmana nei nostri paesi europei comporta anzitutto una serie di problemi riguardanti la prima accoglienza e assistenza, la casa, il lavoro. Uno sforzo che impegna tutti; e le comunità cristiane della nostra diocesi hanno dato prova questo anno di grande spirito di solidarietà.Tale compito di prima sistemazione in accordo con le leggi vigenti riguarda in primo luogo la comunità civile, sia pure in collaborazione con le forze di volontariato. Ma è evidente che tutti noi, comunità civile ed ecclesiale, non potremo limitarci in avvenire ai provvedimenti sopraindicati. Nasceranno via via nuovi problemi riguardanti la riunione delle famiglie, la situazione sociale e giuridica dei nuovi immigrati, la loro integrazione sociale mediante una conoscenza più approfondita della lingua, il problema scolastico dei figli, i problemi dei diritti civili, etc.Non entro direttamente in tali temi perché ho avuto modo di parlarne in diverse occasioni. Vorrei solo richiamare qui, prima di abbordare il tema più specifico, un punto che mi è sembrato finora poco atteso e cioè la necessità di insistere su un processo di "integrazione", che è ben diverso da una semplice accoglienza e da una qualunque sistemazione. Integrazione comporta l’educazione dei nuovi venuti a inserirsi armonicamente nel tessuto della nazione ospitante, ad accettare le leggi e gli usi fondamentali, a non esigere dal punto di vista legislativo trattamenti privilegiati che tenderebbero di fatto a ghettizzarli e a farne potenziali focolai di tensioni e violenze.Finora l’emergenza ha un po’ chiuso gli occhi su questo grave problema. In proposito, il recente documento della Commissione Giustizia e Pace della CEI dice: "Non va dimenticata la necessità di regole e tempi adeguati per l’assimilazione di questa nuova forma di convivenza, perché l’accoglienza senza regole non si trasformi in dolorosi conflitti" (Uomini di culture diverse, dal conflitto alla solidarietà, 25 marzo 1990, n. 33).E’ necessario in particolare far comprendere a quei nuovi immigrati che provenissero da paesi dove le norme civili sono regolate dalla sola religione e dove religione e stato formano un’unità indissolubile, che nei nostri paesi i rapporti tra lo stato e le organizzazioni religiose sono profondamente diversi. Se le minoranze religiose hanno tra noi quelle libertà e diritti che spettano a tutti i cittadini, senza eccezione, non ci si può invece appellare, ad esempio, ai principi della legge islamica (sciariaa ) per esigere spazi e prerogative giuridiche specifiche.Occorre perciò elaborare un cammino verso l’integrazione multirazziale che tenga conto di una reale integrabilità di diversi gruppi etnici. Perché si abbia una società integrata è necessario assicurare l’accettazione e la possibilità di assimilazione di almeno un nucleo minimo di valori che costituiscono la base di una cultura, come ad esempio i principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il principio giuridico dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge.Ci sono infatti popoli ed etnie che hanno una storia e una cultura molto diverse dalle nostre e di cui ci si può domandare se intendano nello stesso senso i diritti umani e anche la nozione di legge. Ciò vale a fortiori dove si verificano fenomeni che genericamente chiamiamo col nome di integralismi o fondamentalismi, che tendono a creare comunità separate e che si ritengono superiori alle altre. Ma questo è un problema che nel suo insieme riguarda la comunità civile e la causa della pacifica convivenza tra le etnie ed io mi limito a richiamarlo. Connesso a questo è però il problema della possibilità anche di un dialogo interreligioso senza il quale sembra difficile assicurare una tranquillità sociale. Ora questo dialogo è possibile? Vi sono pronti i musulmani? Vi siamo pronti noi cristiani?Come vedete, si passa a poco a poco dai problemi che toccano la comunità civile nel suo insieme a quelli più propriamente religiosi, che consistono sostanzialmente, per noi cristiani, nella necessità di valutare e capire a fondo l’islam oggi e nel disporci al massimo di accoglienza e di dialogo possibile, senza per questo rinunciare ad alcun valore autentico, anzi approfondendo il senso del Vangelo.Si tratta in sostanza di rispondere a domande come queste:
Che cosa dobbiamo pensare oggi noi cristiani dell’islam come religione?
L’islam in Europa sarà anch’esso secolarizzato, entrando quindi in una nuova fase della sua acculturazione europea?
Quale dialogo e in genere quale rapporto sul piano religioso è possibile oggi in Europa tra cristianesimo e islam?
La Chiesa dovrà rinunciare a offrire il Vangelo ai seguaci dell’islam?
Islam significa etimologicamente "sottomissione" e in special modo sottomissione a Dio e a quella rivelazione che egli ha fatto di sé. Noi intendiamo qui per islam l’insieme di tutte le credenze e pratiche che si richiamano a Maometto e al Corano, ben consci della complessità di un simile macrocosmo e delle sue molteplici ramificazioni nei secoli. In generale possiamo dire che i "pilastri" dell’islam, accettati da tutti i musulmani, sono: il riconoscere un Dio solo, creatore, misericordioso e giudice universale, e Maometto come suo profeta definitivo; la preghiera cinque volte al giorno; il digiuno di ramadàn; l’imposta per i poveri; il pellegrinaggio alla Mecca una volta in vita; il gihàd interiore, cioè lo sforzo e il combattimento per Dio, da intendersi anzitutto come mobilitazione contro le proprie passioni per una vita giusta e la lotta contro l’oppressione e l’ingiustizia; l’impegno a conformarsi nel privato e nel pubblico a quel modo di vivere chiamato sciariaa, basato sul Corano, seguendo il quale è possibile fare la volontà di Dio in ogni aspetto della vita: religioso, personale, familiare, economico, politico.Di qui si vede come l’islam è una religione in cui l’aspetto sociale e civile ha una fondamentale importanza.Anche se i musulmani nel mondo sono oggi diversi per origine etnica e correnti religiose interne e sono cittadini di diversi stati indipendenti, rimane però vero che la fede musulmana è di per se stessa un universalismo che oltrepassa le frontiere e rimane sensibile a grandi appelli al ritorno alle origini, così come avviene oggi nei movimenti fondamentalisti.Se non è facile parlare di islam in generale, in conseguenza della storia molto complessa e ricca di questa religione; più difficile ancora è definire il fenomeno dell’islam tra noi, dell’islam in Europa. Troppo recente infatti è il suo nuovo tipo di presenza nell’Europa occidentale ed è difficile persino stabilirne le misure quantitative.I musulmani nella grande Europa sono circa 23 milioni. Il paese che ne ha la più alta percentuale è senza dubbio l’Unione delle Repubbliche Sovietiche. Seguono la Francia con 2 milioni e mezzo, la Germania ex Federale con 1.700.000, l’Inghilterra con 1 milione. Per l’Italia si parla di cifre, tra regolari e clandestini, che vanno da 180.000 a 300.000 unità, ma probabilmente il numero è oggi più alto. Paesi molto più piccoli di noi rilevano una presenza proporzionalmente assai più elevata, come l’Olanda che ne ha 300.000 o il Belgio che ne ha 250.000.La presenza tra noi non è quindi numericamente molto rilevante, ma si è fatta vistosa negli ultimi anni, anche perché il loro arrivo in Italia ha coinciso con una ripresa delle correnti più integraliste.E’ forse la percezione di questo aspetto che sta creando tra noi un certo disagio e malessere, suscitando alcune delle domande alle quali tenterò di rispondere.In quanto comunità cristiana, quali sono i principi a cui ci richiamiamo in questa materia? Possiamo rifarci per brevità a due tipi di testi. Anzitutto a quelli del Concilio Vaticano II, che ha parlato dei musulmani soprattutto in due luoghi. Al n. 16 della Lumen Gentium si dice che "il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore e, tra questi, in particolare i musulmani, i quali professano di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giudizio finale".Nel decreto Nostra Ætate sulle relazioni della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane si dice in generale che "la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni" e "considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere quei precetti e quelle dottrine che non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini". In particolare afferma di guardare con stima ai musulmani che "cercano di sottomettersi con tutto il core ai decreti di Dio anche nascosti, come si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce" (n. 2). E a proposito dei "dissensi e inimicizie che sono sorti nel corso dei secoli tra cristiani e musulmani", il Concilio "esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà" (n. 3).Il Concilio ha avuto dunque cura di richiamare elementi comuni a cristiani e musulmani. Per questo è anche significativo che esso abbia omesso altri temi importanti per l’islam. Non vengono menzionati dai testi conciliari né Maometto, né il Corano, né l’islam inteso come essenziale nesso comunitario tra i credenti, né il pellegrinaggio alla Mecca, né la sciariaa. Viene menzionata la comune ascendenza abramitica, ma non Gesù, che nell’islam è presente e però è assai lontano da come lo vede il cristianesimo. Per i musulmani Gesù, il figlio di Maria Vergine - e la figura di Maria è venerata presso i musulmani -, non è né profeta definitivo, né il Figlio di Dio e neppure è morto realmente sulla croce. Manca così la dimensione vera e propria della redenzione.Ai testi conciliari che già indicano, malgrado le omissioni sopra notate, con quale rispetto, con quale apertura di spirito e prontezza di dialogo deve procedere un cristiano nel riflettere sull’islam, possiamo ancora aggiungere un testo di Giovanni Paolo II che potrà fugare anche i dubbi di quanti temono che mediante la frequentazione e il dialogo con l’islam venga meno la chiarezza della fede cattolica. Dice Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica Redemptor Hominis al n. 11: "Il Concilio ecumenico [Vaticano II] ha dato un impulso fondamentale per formare l’autocoscienza della Chiesa, offrendoci in modo tanto adeguato e competente la visione dell’orbe terrestre come di una "mappa" di varie religioni". Il Concilio "è pieno di profonda stima per i grandi valori spirituali, anzi, per il primato di ciò che è spirituale e trova nella vita dell’umanità la sua espressione nella religione e, inoltre, nella moralità, con diretti riflessi su tutta la cultura ... Per l’apertura data dal Concilio Vaticano II, la Chiesa e tutti i cristiani hanno potuto raggiungere una coscienza più completa del mistero di Cristo, "mistero nascosto da secoli" in Dio, per essere rivelato nel tempo, nell’uomo Gesù Cristo e per rivelarsi continuamente in ogni tempo".Giovanni Paolo II non vede dunque opposizione, anzi convergenza, tra l’attenzione al dialogo interreligioso e l’accresciuta coscienza della propria fede. E’ con questo spirito e con questa fiducia che cerchiamo di rispondere alle domande che ci siamo posti all’inizio.

3. I VALORI STORICI DELL’ISLAM
Che cosa pensare dell’islam in quanto cristiani? Che cosa significa esso per un cristiano dal punto di vista della storia della salvezza e dell’adempimento del disegno divino nel mondo? Perché Dio ha permesso che l’islam, unica tra le grandi religioni storiche, sorgesse sei secoli dopo l’evento cristiano, tanto che alcuni tra i primi testimoni lo ritennero un’eresia cristiana, un ramo staccato dall’unico e identico albero? Che senso può avere nel piano divino il sorgere di una religione in certo modo così vicina al cristianesimo come mai nessun’altra religione storica e insieme così combattiva, così capace di conquista, tanto che alcuni temono che essa possa, con la forza della sua testimonianza, fare molti proseliti in un’Europa infiacchita e senza valori?A questa domanda così complessa non è facile dare una risposta semplice che, tuttavia, è in parte anticipata da quanto abbiamo riferito del Vaticano II. Si tratta di una fede che, avendo grandi valori religiosi e morali, ha certamente aiutato centinaia di milioni di uomini a rendere a Dio un culto onesto e sincero e, insieme, a praticare la giustizia. Quello della giustizia è infatti uno dei valori più fortemente affermati dall’islam: "O voi che credete, praticate la giustizia – dice il Corano nella Sura IV – praticatela con costanza, in testimonianza di fedeltà a Dio, anche a scapito vostro, o di vostro padre, o di vostra madre, o dei vostri parenti, sia che si tratti di un ricco o di un povero perché Dio ha priorità su ambedue" (versetto 135).In un mondo occidentale che perde il senso dei valori assoluti e non riesce più in particolare ad agganciarli a un Dio Signore di tutto, la testimonianza del primato di Dio su ogni cosa e della sua esigenza di giustizia ci fa comprendere i valori storici che l’islam ha portato con sé e che ancora può testimoniare nella nostra società.

4. L’ISLAM IN EUROPA
Una seconda domanda: ci sarà una secolarizzazione per l’islam in Europa?La domanda è legittima se si pensa al difficile percorso del cristianesimo nell’alveo della modernità negli ultimi tre secoli. Il confronto tra pensiero moderno razionale, scientifico e tecnico, tendente all’analisi e alla distinzione dei ruoli e delle competenze e la tradizione cristiana uscita dal mondo unitario medievale, ha segnato un cammino faticoso di cui solo il Concilio Vaticano II ha potuto consacrare alcuni risultati armonicamente raggiunti, pur se non ancora del tutto recepiti. Va emergendo però sempre più chiaramente che la fede in un Dio fatto uomo ed entrato nelle vicende umane è una forza che permette di cogliere anche nel divenire economico, sociale e culturale, i segni della presenza di Dio e quindi il senso positivo di un cammino di fede nell’ambito della modernità.Non è pensabile che l’islam in Europa non si trovi prima o poi ad affrontare una simile sfida. Sappiamo anzi che, dalla fine della prima guerra mondiale fino ad oggi, vi sono state molte proposte, tendenze, partiti, soluzioni secondo le quali il mondo musulmano, nelle sue diverse ramificazioni, etnie e territori, ha preso coscienza dell’avvento dell’era della tecnica e delle esigenze di razionalità che essa comporta. Bisogna dire però che fino ad ora la fede nei grandi "pilastri" dell’islam non sembra aver avvertito in maniera preoccupante la scossa derivante dai principi della modernità. Prevalgono in questo momento le tendenze fondamentaliste, che cercano di appropriarsi dei risultati tecnici, ma staccandoli dalle loro premesse culturali occidentali con la volontà di risolvere, nella linea della tradizione antica, tutti i problemi politici e sociali per mezzo della religione. Non si ammette quindi separazione tra religione e stato, tra religione e politica, e nell’interpretazione letterale del Corano vengono cercati tutti i principî per la risposta agli interrogativi contemporanei, anche sociali ed economici.E’ difficile prevedere che cosa potrà avvenire in un futuro più remoto e non è il caso di indulgere a ipotesi azzardate. Sembra corretto, nel quadro dell’atteggiamento di rispetto che prima abbiamo richiamato, auspicare e aiutare affinché il trapasso necessario ad una assunzione non puramente materiale delle agevolazioni tecniche che vengono dall’occidente sia accompagnato da uno sforzo serio di riflessione storico-critica sulle proprie fonti religiose e teologiche cercando "quell’armonia tra la visione filosofica del mondo e la legge rivelata" (cf. L. Gardet, L’islam e i cristiani, Roma 1988, p. 114), che era già presente in alcuni dei filosofi arabi conosciuti e utilizzati da san Tommaso. Dobbiamo adoperarci affinché i musulmani riescano a chiarire e a cogliere il significato e il valore della distinzione tra religione e società, fede e civiltà, islam politico e fede musulmana, mostrando che si possano vivere le esigenze di una religiosità personale e comunitaria in una società democratica e laica dove il pluralismo religioso viene rispettato e dove si stabilisce un clima di mutuo rispetto, di accoglienza e di dialogo.

5. L’ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA E IL DIALOGO
Alla luce di quanto fin qui detto, quale dialogo è possibile oggi e quale deve essere l’atteggiamento della nostra Chiesa a questo proposito?Mi pare opportuna una distinzione tra dialogo interreligioso in generale e dialogo tra singoli credenti.Il primo è quello che si svolge a livelli più ufficiali, tra rappresentanti religiosi di ambo le parti. Esso ha le sue regole indicate nel Vaticano II e poi in documenti come le norme edite dal Segretariato per il Dialogo Interreligioso (in particolare L’atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni, 1984). Da noi a Milano esiste la Commissione diocesana per l’Ecumenismo e il Dialogo; in questo senso lavora anche la Segreteria per gli Esteri ed è stato creato recentemente un Centro Ambrosiano di Documentazione per le Religioni, con attenzione speciale per il mondo musulmano. Sono pure da menzionare le presenze di istituti missionari come il PIME che hanno ormai una lunga tradizione di conoscenza e di dialogo con queste realtà. Tale dialogo è riservato piuttosto ai competenti. Vorrei spendere una parola per quel dialogo che si svolge a livello quotidiano a contatto con i musulmani che incontriamo oggi sempre più frequentemente.Va tenuto presente il fatto che non sempre la singola persona incarna e rappresenta tutte le caratteristiche che astrattamente designano un credente di quella religione. Come avviene per i cristiani, così anche per i musulmani non tutti aderiscono in pratica e con piena coscienza ai precetti e alle dottrine prescritte e ciò probabilmente anche a causa dello scarso retroterra culturale di molti immigrati di recente. Il problema non è tanto di fare grandi discussioni teologiche, ma anzitutto di cercare di capire quali sono i valori che realmente una persona incarna nel suo vissuto per considerarli con attenzione e rispetto. Si potranno trovare, non di rado, molte più consonanze pratiche di quanto non avvenga in una disputa teologica. Ciò vale soprattutto per i valori vissuti della giustizia e della solidarietà. Tuttavia questa considerazione individuale deve sempre tener conto delle dinamiche di gruppo. Infatti l’islam non è solo fede personale, bensì realtà comunitaria molto compatta e una parola d’ordine lanciata da qualche voce autorevole al momento opportuno può ricompattare e ricondurre a unità serrata anche i soggettivismi o i sincretismi religiosi vissuti da un singolo individuo.Per quanto riguarda più in generale l’atteggiamento della nostra Chiesa e le attitudini che si raccomandano a tutti i nostri cristiani, vorrei richiamare brevemente l’attenzione su alcuni punti che derivano dai principi sopra esposti:
Occorre accogliere motivando cristianamente il perché della nostra accoglienza, dicendolo in una lingua "comprensibile", che è più spesso quella dei fatti e della carità, dando ai musulmani il senso dello spessore religioso che pervade la nostra accoglienza.
Occorre ricercare insieme un obiettivo comune di tolleranza e di mutua accettazione. Non mancano per questo i testi anche nel Corano. Dobbiamo sfatare a poco a poco il pregiudizio in essi radicato che i non musulmani sono di fatto non credenti. Solo quando ci riconosceremo nel comune solco della fede di Abramo potremo parlarci con più distensione, superando i pregiudizi.
Dobbiamo far cogliere loro che anche noi cristiani siamo critici verso il consumismo europeo, l’indifferentismo e il degrado morale che c’è tra noi; far vedere che prendiamo le distanze da tutto ciò. Data la loro abitudine a veder legate religione e società e anche in forza delle esperienze storiche delle crociate, essi tendono a identificare l’occidente col cristianesimo e a comprendere sotto una sola condanna i vizi dell’occidente e le colpe dei cristiani. Bisogna far comprendere che siamo solidali con loro nella proclamazione di un Dio Signore dell’universo, nella condanna del male e nella promozione della giustizia.
Il dialogo con i musulmani sarà in particolare per noi un’occasione per riflettere sulla loro forte esperienza religiosa che tutto finalizza alla riconsegna a Dio di un mondo a lui sottomesso. In questo, il nostro giusto senso della laicità dovrà guardarsi dall’essere vissuto come una separazione o addirittura opposizione tra il cammino dell’uomo e quello del cristiano.
Vi sarebbe da dire una parola più specifica per le nostre comunità e in particolare per i presbiteri che le presiedono. Vi sono due posizioni errate da evitare e una posizione corretta da promuovere.
Prima posizione errata: la noncuranza del fenomeno. Il limitarsi a pensare all’islam come a una costellazione remota che ci sfiora soltanto di passaggio o che ci tocca per problemi di assistenza, ma che non avrà impatto culturale e religioso nelle nostre comunità. Da tale posizione si scivola facilmente a sentimenti di disagio e quasi di rifiuto o di intolleranza.
Seconda posizione errata: lo zelo disinformato. Si fa di ogni erba un fascio, si propugna l’uguaglianza di tutte le fedi senza rispettarle nella loro specificità, si offrono indiscriminatamente spazi di preghiera o addirittura luoghi di culto senza aver prima ponderato che cosa significhi questo per un corretto rapporto interreligioso. Al riguardo saranno necessarie norme precise e rigorose, anche per evitare di essere fraintesi.
La posizione corretta è lo sforzo serio di conoscenza, la ricerca di strumenti e l’interrogazione di persone competenti. Penso, in particolare, ai casi molto difficili e spesso fallimentari dei matrimoni misti. Esistono ormai nell’ambito della diocesi persone di riferimento, corsi e specialisti che sono a disposizione. Un supplemento di cultura e di conoscenza in questo campo sarà necessario in avvenire, in particolare per i preti.
Come è chiaro in quanto abbiamo detto, pensiamo fermamente che il tempo delle lotte di conquista da una parte e delle crociate dall’altra debba considerarsi come finito. Noi auspichiamo rapporti di uguaglianza e fraternità e insistiamo e insisteremo perché a tali rapporti si conformi anche il costume e il diritto vigente nei paesi musulmani riguardo ai cristiani, perché si abbia una giusta reciprocità. Conosciamo i problemi giuridici e teologici che i nostri fratelli dell’islam hanno nei loro paesi per riconoscere alle comunità cristiane minoritarie i diritti che da noi sono riconosciuti alle minoranze, ma non possiamo pensare che tali problemi non possano essere risolti affidandosi a quella conduzione divina della storia che è vanto dell’islam aver sempre accettato in mezzo a tante dolorose vicissitudini.Il nostro atteggiamento vuole in ogni caso ispirarsi a quello di san Francesco d’Assisi che scriveva nella sua Regola, al capitolo XVI: Di coloro che vanno tra i saraceni: "I frati che vanno tra i saraceni col permesso del loro ministro e servo possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti e dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la Parola di Dio... e tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che hanno consegnato e abbandonato il loro corpo al Signore nostro Gesù Cristo e che per suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili".Nessuna contesa dunque, nessun uso della forza; esposizione sincera e a tempo opportuno di ciò che credono; accettazione anche di disagi e sofferenze per amore di Cristo.

6. ANNUNCIARE IL VANGELO DI GESU’
Una quarta e ultima domanda: può la Chiesa rinunciare ad annunciare il Vangelo ai musulmani?Occorre fare anzitutto una distinzione. Altro è infatti l’annuncio, altro è il dialogo.Il dialogo parte dai punti comuni, si sforza di allargarli cercando ulteriori consonanze, tende all’azione comune sui campi in cui è possibile subito una collaborazione, come sui temi della pace, della solidarietà e della giustizia.L’annuncio è la proposta semplice e disarmata di ciò che appare più caro ai propri occhi, di ciò che non si può imporre né barattare con alcunché, di ciò che costituisce il tesoro a cui si vorrebbe che tutti attingessero per la loro gioia. Per il cristiano il tesoro più caro è la croce, è il mistero di un Dio che si dona nel suo Figlio fino ad assumere su di sé il nostro male e quello del mondo perché noi ne usciamo fuori. Non sempre questo annuncio può essere fatto in modo esplicito, soprattutto nelle società chiuse e intolleranti. E’ un caso oggi non infrequente in alcuni paesi. Ma pure nei paesi cosiddetti liberi ci si scontra talora con chiusure mentali così forti da costituire quasi una barriera. Allora la proposta assume la forma della testimonianza quotidiana, semplice e spontanea, e quella della carità e anche del dono della vita, fino al martirio. E’ il principio sopra ricordato di san Francesco.Con questa distinzione riprendiamo dunque la nostra ultima domanda: può la Chiesa cattolica rinunciare a proporre il Vangelo a chi ancora non lo possiede?Certamente no, come ai musulmani non viene chiesto di rinunciare al loro desiderio di allargare la umma, la comunità dei credenti. Ciò che conterà sarà lo stile, il modo, cioè quelle caratteristiche di rispetto e di amore, quello stile di attenzione e di desiderio di comunicare la gioia nella pace che è proprio di chi accetta le Beatitudini. Questo stile non è senza riscontri anche nel mondo dell'islam. Si legge infatti nel Corano: "Chiama gli uomini alla Via del Signore, con saggi ammonimenti e buoni, e discuti con loro nel modo migliore... pazienta e sappi che il tuo pazientare è solo possibile in Dio... perciocché Dio è con coloro che lo temono, con coloro che fanno del bene" (XVI, 125-127). Raggiungeremo così tutti anche quell’atteggiamento missionario che ha caratterizzato il ministero di Ambrogio in mezzo ai pagani del suo tempo.

7. CONCLUSIONE
Maometto nasce due secoli dopo il tempo di sant’Ambrogio e non vi è quindi nell’opera del santo nulla che si riferisca direttamente al nostro tema, ma è interessante notare che la comunità di Ambrogio era una comunità religiosamente minoritaria. Due terzi della popolazione che in quel tempo abitava nella zona di Milano non era cristiana. Eppure "sembra che a Milano non esistesse un ministero organizzato per l’evangelizzazione dei pagani... Nel De officiis ministrorum Ambrogio non dà alcuna istruzione ai chierici per il lavoro di conversione dei pagani" (cf. V. Monachino, S. Ambrogio e la cura pastorale a Milano nel secolo IV, Milano 1973, p. 48). La via ordinaria per la quale essi venivano a conoscenza del cristianesimo era la frequenza libera alla predicazione, aperta a tutti, i colloqui con il vescovo, come nel caso di Agostino, e specialmente il contatto con i cristiani e la loro condotta esemplare. Ambrogio poneva la sua cura nel far progredire la comunità cristiana come tale; per mezzo di essa, e non con un ministero organizzato, avveniva l’influsso sui pagani.Non dunque un proselitismo invadente, bensì l’immagine di una comunità plasmata dal Vangelo e dall’Eucaristia, zelante nella carità, libera e serena nel suo impegno civile quotidiano, coraggiosa nelle prove, sempre piena di speranza. E’ questa la nostra forza principale oggi, in un mondo secolarizzato, e questa forza è quella delle origini, quella della Chiesa di sant’Ambrogio e della Chiesa dei giorni nostri.

lunedì 17 settembre 2007

rettifica dati banca rete lilliput

A seguito di una nuova comunicazione della Rete, riporto i dati bancari corretti:

Conto numero 113500c/o Banca Popolare Etica - filiale di Firenze,
intestato a: Centro Nuovo Modello di Sviluppo - Rete Lilliput
via della Barra 32, 56019 Vecchiano (Pisa)

CIN: G, ABI: 05018, CAB:02800

domenica 16 settembre 2007

Comunicato stampa di Rete Lilliput

Ricevo e pubblico volentieri...

La Rete Lilliput è di nuovo online!
Comunicato Rete Lilliput - 16 settembre 2007

Dopo qualche giorno di blackout nelle comunicazioni dovuto alla morte del vecchio server della Rete Lilliput, abbiamo provveduto a installare un nuovo server: sono già attivi i siti e le numerose mailing list.

Ogni sostegno economico sarà il benvenuto!

Giovedì 13 settembre 2007 il vecchio server della Rete Lilliput è morto definitivamente. Per qualche giorno non ci è stato possibile comunicare con i nostri utenti, attivisti e simpatizzanti.

Il server ospitava il sito della Rete www.retelilliput.org nonchè i siti di altre realtà vicine, tra cui quello della Rete dei Gruppi di Acquisto Solidali, www.retegas.org. Inoltre gestiva le numerosissime mailing list attivate da nodi locali, associazioni, gas e altre realtà del mondolillipuziano.

Regalatoci anni fa da un attivista e gestito fino ad oggi da generosi volontari, seppur vecchiotto e molto affaticato, il server era lo strumento fondamentale per le comunicazioni della Rete ed era diventato un mezzo di aggregazione di grande valore, non solo simbolico.
Abbiamo comprato in tutta fretta un nuovo server, nettamente più potente del vecchio, e siamo felici di comunicarvi che siamo di nuovo online!
Ci sono ancora alcune cose da sistemare, quindi è probabile che possano verificarsi dei malfunzionamenti ancora per qualche giorno. Per ogni segnalazione, vi invitiamo a scrivere all'indirizzo servizi@retelilliput.org.

Va da sè che la cosa ha avuto dei costi significativi per le povere casse di Rete Lilliput (vedi l'acquisto dell'hardware e le necessarie operazioni tecniche), che vive grazie al sostegno dei suoi simpatizzanti. Se voletedarci una mano, potete effettuare un versamento con queste coordinate:conto corrente: 113500intestato a: Centro Nuovo Modello di Sviluppo - Rete di Lilliputc/o Banca Popolare Etica, codice: ABI 05018, CAB 12100

sabato 15 settembre 2007

CERCHIAMO VOLONTARI...

ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE
CENTRO SCUOLA TERRITORIO
c/o Direzione Didattica II° Circolo di Albenga, via Mameli 24 17031 Albenga
http://centroscuolaterritorio.blogspot.com
Comunicato stampa

L’Associazione, formalmente costituitasi un anno e mezzo fa, lavora già da tempo nelle scuole cittadine per facilitare l’inserimento e l’integrazione degli alunni stranieri e supportare le insegnanti nel loro delicato lavoro di alfabetizzazione.

L’Associazione si basa sul lavoro volontario di tutti coloro che credono nel rapporto interculturale, nel dialogo inter religioso e nella costruzione di una società solidale.
La scelta di alcune persone di donare parte del loro tempo libero per aiutare gli altri, in questo caso la scuola e gli alunni stranieri, ha una valenza pedagogica enorme, soprattutto in una società come la nostra dove tutto viene monetizzato.

Allo scopo di diffondere la cultura del Volontariato, l’Associazione ha promosso il Progetto Ulisse attuato in collaborazione con i Licei della nostra città: ogni anno una ventina di ragazzi aderiscono al Progetto. Altresì l’Associazione è convenzionata con l’Università di Genova, Facoltà di Scienze della Formazione, per cui gli studenti possono effettuare l’attività di tirocinio prevista dal loro piano di studi.

L’attività volontaria promossa dall’Associazione si è svolta, finora, presso il Plesso Paccini e il Plesso Vadino del II° Circolo Didattico anche se in futuro potrà estendersi ad altre istituzioni scolastiche.

L’ASSOCIAZIONE E’ ALLA COSTANTE RICERCA DI VOLONTARI AI QUALI VIENE RICHIESTO UN IMPEGNO MINIMO DI DUE ORE SETTIMANALI; NON E’ RICHIESTA UNA PREPARAZIONE SPECIFICA; VIENE GARANTITO DA PARTE DELL’ASSOCIAZIONE IL SUPPORTO PSICOLOGICO E LA POSSIBILITA’ DI UTILIZZARE MATERIALE DIDATTICO (ANCHE SE IL LAVORO VIENE SVOLTO IN COSTANTE RELAZIONE CON GLI INSEGNANTI DI CLASSE); E’ POSSIBILE ORGANIZZARE INCONTRI E CORSI DI FORMAZIONE (QUALORA I VOLONTARI LO RICHIEDANO).

Chiunque sia interessato può telefonare ai seguenti numeri telefonici o scrivere all’ indirizzo e mail indicato:

Giuliano Falco 3388160769 giulianofalco@gmail.com

Lia 3288853781


Paola 3389210162

Per ulteriori informazioni consultare il Blog dell’Associazione:
http://www.centroscuolaterritorio.blogspot.com

Grazie per l’attenzione

Il Presidente dell’Associazione di Promozione Sociale Centro Scuola Territorio di Albenga

Giuliano Falco

mercoledì 12 settembre 2007

Sesta giornata per il dialogo cristiano islamico

Chi scrive non è un credente, ma non è neanche non credente.
chi scrive è una persona che comunque crede nel dialogo tra le persone, a prescindere dal loro sesso, dal loro credo religioso e, ancor di più, dalla loro nazionalità o razza.
Il dialogo è una delle poche armi contro il razzismo e la violenza: usiamola!
Giuliano


Sesta Giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico del 5 ottobre 2007

Auguri ai musulmani per l’inizio del Ramadân Anno Hijri 1428

Comunicato stampa del 11 settembre 2007

A tutte le musulmane e a tutti i musulmani d'Italia

Cari Amici, Care Amiche, fra pochi giorni inizierà il mese di Ramadân che i credenti musulmani attendono con particolare ansia per rafforzare sempre di più il proprio impegno sulla via dell’Islam, della completa sottomissione a Dio, liberandosi da ogni idolatria che, nella comune esperienza di cristiani e musulmani, è alla base di ingiuste oppressioni, di negazione dei diritti umani, di odio, di guerre e violenze di ogni tipo.

Questo vostro encomiabile sforzo è di grande importanza non solo per voi musulmani ma anche per noi cristiani, per i credenti di tutte le religioni e per tutta la società umana nel suo complesso, che sta vivendo uno dei periodi più bui della propria storia.Auguriamo di cuore che ognuno di voi, seguendo gli insegnamenti del profeta Muhammad, possa trasformare se stesso ed aiutare tutta lo società a migliorare. Casualmente il Ramadân quest’anno inizia a ridosso dell’11 settembre, data tragica che nel 2001 ha dato inizio alla guerra mondiale nella quale siamo tuttora immersi: ricordare quel giorno ci impegna a moltiplicare i nostri sforzi contro tutte le guerre, contro tutte le barbarie, contro i mercanti di morte e i fautori della guerra ad ogni costo, contro la xenofobia e il razzismo.

Abbiamo bisogno di «costruire speranza e convivialità»: questo l’appello che abbiamo lanciato in vista della prossima sesta giornata ecumenica del dialogo cristiano – islamico del 5 ottobre prossimo. E per «costruire speranza e convivialità» abbiamo bisogno di liberarci dalla paura dell’altro/a, del diverso/a da noi, di chi è portatore di una cultura, un modo di vivere, una religione diversa dalla nostra. E liberarsi della paura significa, per cristiani e musulmani, rimettere al centro della propria vita l’impegno contro l’idolatria che ha caratterizzato la vita sia di Muhammad, che ha cacciato gli idoli dalla Kaaba, sia di Gesù, che ha cacciato i mercanti dal tempio, dicendo con chiarezza con questi loro gesti che la religione non può essere al servizio di chicchessia, né dei mercanti né dei grandi sacerdoti.

Abbiamo bisogno di guardare alle nostre differenze non come ad idoli da adorare ma come arricchimento reciproco verso una vita piena di amore, quell’amore che per cristiani e musulmani caratterizza l’essenza stessa di Dio: uno dei nomi di Dio della tradizione islamica è Al-Wadud, L'amorevole; “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giov 13,35 ).

Abbiamo bisogno di conoscerci sempre di più e meglio per apprezzare il molto che ci unisce e accettare il poco che ci divide come arricchimento reciproco, come stimolo reciproco a migliorarci sempre di più. Ed il senso del nostro appello va proprio nella direzione delle cose concrete da realizzare: la pace, la giustizia, una vita degna di essere vissuta sono tutte cose che richiedono l’impegno concreto delle persone senza il quale vane sono le parole o i buoni propositi.Anche quest’anno abbiamo bisogno di negare ai violenti e ai propugnatori della guerra qualsiasi legittimità religiosa. Il Dio unico, nel quale insieme crediamo, è un Dio di pace, di amore, di misericordia, di giustizia.

Ed è con questo spirito che anche quest’anno vi auguriamo buon Ramadân karim: che il vostro “sforzo” possa dare anche a noi cristiani quegli stimoli necessari a superare tutte le difficoltà del momento e dare una speranza a questa nostra comune umanità. Ci auguriamo che, come negli altri anni, le moschee e le chiese d’Italia possano essere luoghi aperti all’incontro fra credenti di fede diversa ed in particolare fra cristiani e musulmani, che non hanno alcun motivo per odiarsi ma che hanno anzi molti motivi per essere uniti contro chi strumentalizza le rispettive religioni per perpetuare il proprio potere oppressivo.

Buon Ramadan. Shalom - Salaam - Pace

Il comitato organizzatore

Martedì, 11 settembre 2006

Per l'elenco dei promotori della sesta giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico clicca sul seguente link: http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2007/promotorisesta29062007.htm
Per l'elenco delle adesioni e per tutte le informazioni sulla giornata clicca sul seguente link:
http://www.ildialogo.org/islam/cristianoislamico.htm

--------------------------------------------------------------------------------il dialogo - Periodico di Monteforte IrpinoVia Nazionale, 51 - 83024 Monteforte Irpino (AV) - Tel: 333-7043384 / 339-4325220Email redazione: redazione@ildialogo.orgEmail direttore: direttore@ildialogo.org Sito: http://www.ildialogo.org

Materiali 1

Dai migliori siti che trattano delle tematiche interculturali e di dialogo inter religioso verranno "prelevati" scritti, articoli e spunti che possano essereutilizzati da operatori, insegnanti o persone semplicemente interessate per una formazione personale.
Dal sito www.saveriani.bs.it/cem/corsi/materiali3.htm traggo questo scritto di Antonio Nanni e Claudio Economi; ringrazio la redazione di CEM Mondialità per la cortesia.

Pedagogia e interculturalitá
a cura di Antonio Nanni e Claudio Economi

Ha scritto Vaclav Havel: "non possiamo aspettarci di raccogliere i fiori che non abbiamo mai piantato". Ciò vuol dire che dobbiamo avere il coraggio di "osare", di avere fiducia e speranza almeno nel "piantare", nel gettare semi nel cuore degli uomini e delle donne di questo mondo. Dobbiamo saper camminare con piccoli passi ma avendo dinanzi a noi grandi orizzonti. Non è facile costruire insieme una "paideia" per il nuovo millennio ma è certo che non potrà essere la stessa dei millenni precedenti o semplicemente degli ultimi decenni. Siamo veramente di fronte ad un passaggio d’epoca e dunque ad un cambio di paradigmi. Non si tratta di operare un cambiamento di mentalità ma di acquistare una mentalità di cambiamento, una spiritualità da viandanti, un pensiero nomade.
"Paideia" è una parola antica che indica il complesso dell’offerta formativa che il mondo adulto tenta di elaborare e di proporre alle nuove generazioni, per assicurare continuità e cambiamento, tradizione e novità. Noi, almeno nei paesi occidentali, proveniamo da una tradizione filosofica e pedagogica molto ben radicata sul principio "conosci te stesso" (... tanto l’altro è uguale a te, oppure è barbaro, pagano, infedele ...). Insomma: se conosci te stesso (l’identità) hai conosciuto ciò che è essenziale. E questo basta. Ma che ne è di questo principio quando l’altro è proprio diverso e io non riesco più a considerarlo un barbaro, un estraneo, ne a restare indifferente di fronte a lui? La svolta antropologica da compiere sta proprio qui. Questa metanoia diventa possibile soltanto se ci mettiamo in viaggio verso l’altro, come viandanti, uomini e donne "in esodo". Sono in molti a sottolineare che l’altro è oggi la questione del pensiero. Ma un’etica del volto e una cultura della reciprocità non si improvvisano. Tale scelta è possibile soltanto se il soggetto storicamente dominante accetta il proprio depotenziamento e la propria auto-decostruzione (un atteggiamento antropologico che affonda le sue radici nella teologia della Kenosi). In questo modo nascerà la possibilità di un incontro vero, perché ci si colloca in una situazione di parità reale e non solo fittizia, nella quale non si chiede che sia soltanto l’altro a cambiare, ma siamo anche noi a porci nella situazione di cambiamento. Proprio perché assumiamo un atteggiamento severo di depotenziamento, l’altro è invitato a fare altrettanto. Si crea così il principio di reciprocità: ognuno può dare e può ricevere qualcosa. A chi ha paura di perdere la propria identità culturale, facciamo notare che non è dalla reciprocità che deve temere questo, semmai dall’imperialismo economico che tende a omogeneizzare i comportamenti e le mentalità. Ma il rapporto tra le culture non deve essere idealizzato perché si colloca sempre all’interno di un rapporto conflittuale di forza che finisce inevitabilmente per produrre "asimmetria" e "squilibrio". La vera sfida che abbiamo davanti è allora la seguente: come passare dalla "conflittualità" delle differenze alla "convivialità" delle differenze (o almeno ad un riduzione della conflittualità). Una comunità formata da soggetti appartenenti a diverse religioni, culture ed etnie (si pensi a Nevé Shalom deve essere consapevole di rappresentare un luogo profetico e di costituire il terreno più avanzato di sperimentazione della convivenza, e merita pertanto ogni appoggio da parte di chi ha a cuore il futuro "conviviale" dell’umanità.

Alcuni compagni di viaggio
Nella prospettiva di una nuova paideia per il Terzo Millennio scegliamo alcuni compagni di viaggio fra i molti possibili. Comenio per l’Europa, Tagore per l’Asia, Paulo Freire per l’America Latina, Hampata Bâ per l’Africa.

1. JAN AMOS KOMENSKY (Moravia)
Come ha scritto G. Fornizzi nel bel saggio L’interculturalità nella storia della pedagogia, Komensky, nell’età moderna, è stato certamente il primo a voler abbattere certe frontiere: omnes significa per lui tutti, assolutamente tutti, proprio in contrapposizione con le tradizionali chiusure, con precisazioni che già rompono steccati secolari e anticipano convinzioni trasformatesi poi in capisaldi ovvii e indiscutibili. E indicare in quegli omnes i bambini, le donne, i vecchi, e perfino gli anormali ecc. voleva già dire aprirsi nuovi varchi, calcare nuove strade.Il suo pensiero pedagogico è fortemente caratterizzato da un respiro universale quale mai prima di lui si era visto e sentito in campo educativo. La via della luce scritta nel 1640 su richiesta di alcuni amici parlamentari e uomini di cultura inglesi, può a buon diritto essere considerata un’opera — la prima della storia della pedagogia — scritta all’insegna dell’intercultura. In esso la cultura viene rappresentata come la luce che deve illuminare tutti gli uomini. Perché questa luce divenga accessibile ad ogni uomo — si dice uomo, senza badare a niente altro che alla qualifica prima e imprescindibile: l’umanità — Komensky propone:

libri universali,
scuole universali,
collegio universale,
lingua universale.

I valori particolari restano con i loro contenuti di autenticità, tuttavia se non concorrono a formare l’uomo in quanto tale diventano deleteri, distruttivi, appartengono alla follia delle separazioni, delle discordie, delle guerre, invece che all’utopia costruttrice della pace, all’ideale umano universale dell’unità.

2. TAGORE
Rabindranath Tagore (1861 - 1941), che è stato un "poeta universale", sollecitato dalla sua premiazione con il Nobel per la Letteratura del 1913 e dalla sua desolazione per le miserie della prima guerra mondiale, creerà una casa di incontro per uomini di tutto il mondo, a qualunque gruppo etnico, classe sociale o credo appartenessero. La piccola scuola della "Casa della pace" a Santieneketon, trasformata in una Università Mondiale dal nome di Bisso Bharoti, tra i suoi obiettivi aveva il seguente : "l’uomo in qualsiasi posto egli sia, se ha prodotto qualcosa di valore eterno, non può reclamarlo esclusivamente per se stesso e per il suo popolo, perché appartiene, come i diritti acquisiti sin dalla nascita come essere umano, ad ogni uomo" (cfr., Tagore R., Sissu, ed. Guaneb, 1979).

3. FREIRE
Paulo Freire (n.1912) ha parlato del superamento di una coscienza intransitiva in una direzione di una coscienza transitiva: la prima indica la chiusura invalicabile nel proprio concreto vivere situazionale senza alcuna possibilità di critico superamento; la seconda si muove nella direzione di formare l’uomo come persona critica, coscienzatizzata, autonoma, creativa e democratica, non più "oppressa": "...Quando dico educazione penso ad un processo di acquisizione di conoscenza a favore non della libertà, bensì della liberazione... Non si smette mai di cercare la libertà..." (cfr., Freire P., Il canto della liberazione, in Bambini ‘90, VI (1990), n.8).

4. HAMPATÈ BÂ
La civiltà africana, non solo negata ma resa inammissibile durante il secolo del colonialismo, ha ritrovato attualmente le sue voci. Nel processo evolutivo delle reazioni tra l’Occidente e il Terzo Mondo, grande peso hanno avuto politici, letterati, filosofi e artisti nativi. Tra questi un posto di rilevo occupa A. Hampatè Bâ che ha dedicato la sua vita a conservare e difendere la cultura africana; ma ciò non con mentalità statica rivolta sterilmente ad un passato nostalgico; bensì con mentalità dinamica: "la tradizione orale dei popoli africani e la realtà su cui si deve poggiare una cultura viva e vitale, che si evolve nel contatto con le culture esterne senza perciò perdere la propria identità (cfr., Introduzione, a cura di Volpini D., in A. Hampatè Bâ, Aspetti della civiltà africana. Mutamento culturale ed Evangelizzazione, Biblioteca Nigrizia, Bologna 1975).A tal riguardo, così ha scritto il filosofo africano: "La riabilitazione delle lingue africane di base permetterebbe, da parte sua, di valorizzare la tradizione originale di ogni etnia, di pensare nella sua lingua, di raccogliere le tradizioni nella loro lingua senza perderne il sapore e la finezza, come accade invece, inevitabilmente, nelle traduzioni, che "mancano di sale" rispetto all’originale [...]. Si tratta secondo me di aiutare l’Africa a conservare ed a sviluppare la propria personalità, e di permettere di parlare di se stessa. Spetta infatti agli Africani di parlare dell’Africa agli stranieri, e non a questi ultimi, per colti che essi siano, di parlare dell’Africa agli Africani. Come dice un proverbio del Mali: "Quando si è in presenza di una capra, non si deve belare in vece sua". Troppo spesso, infatti, ci hanno attribuito delle intenzioni che non abbiamo, hanno interpretato i nostri costumi o le nostre tradizioni in funzione di una logica che, senza cessare di essere logica, non lo è per noi. Le differenze di psicologia e di comprensione falsano le interpretazioni date dall’esterno". (Hampatè Bâ, op. cit., pp. 97-98)

Indicazioni bibliografiche
Acone G., L’ultima frontiera dell’educazione, La Scuola, Brescia 1986.
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Gianola P., Pedagogia all’appuntamento del 2000, in "Orientamenti Pedagogici", 42 (1995), pp. 1175-1190.
Montessori M., Educazione e pace, Garzanti, Milano 1970.
Nanni A., Educare alla convivialità, EMI, Bologna 1994, 2a ed. 1995.
Nanni A., Pedagogia del volto. L’educazione dopo Lévinas, in corso di pubblicazione presso la rivista "Testimonianze".
Panikkar R., La torre di Babele, ECP, Fiesole 1990.
Vico G., L’educazione frammentata, La scuola, Brescia 1995.
Vico G. - Santerini M., Educare dopo Auschwitz, Ed. Vita e Pensiero, Milano 1995.
Santerini M., Cittadini del mondo, La scuola, Brescia 1995.