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giovedì 18 novembre 2010


L'epigrafe è stata diffusa dall'amico Enrico Peyretti. Adriana Zarri è
morta questa notte. Non la conoscevo, ma penso che fosse una bella persona, la cui voce mancherà.
Chi era Adriana? Ho cercato sulla rete qualche articolo su di lei (o suo)
e ho trovato questa intervista che mi sembra esauriente, tratta da http://www.megachip.info.

EPIGRAFE
Non mi vestite di nero:
è triste e funebre.
Non mi vestite di bianco:
è superbo e retorico.
Vestitemi
a fiori gialli e rossi
e con ali di uccelli.
E tu, Signore, guarda le mie mani.
Forse c'è una corona.
Forse
ci hanno messo una croce.
Hanno sbagliato.
In mano ho foglie verdi
e sulla croce,
la tua resurrezione.
E, sulla tomba,
non mi mettete marmo freddo
con sopra le solite bugie
che consolano i vivi.
Lasciate solo la terra
che scriva, a primavera,
un'epigrafe d'erba.
E dirà
che ho vissuto,
che attendo.
E scriverà il mio nome e il tuo,
uniti come due bocche di papaveri.

Il segno di Zarri - 13-8-07
 Intervista con Adriana Zarri di Davide Pelanda, Megachip Da poco più di trent'anni Adriana Zarri, 88 anni, teologa progressista e saggista, ha scelto di vivere in un cascinale di campagna in totale solitudine. Segue uno stile di vita austero che si può definire monastico. È una sorta di eremita. Quando prese questa radicale decisione era il settembre 1975. Lo comunicò agli amici con una lettera che annunciava un trasloco non «dovuto a motivi pratici» scriveva la Zarri, ma a causa «di una scelta di vita eremitica. La mia nuova residenza sarà infatti una vecchia cascina solitaria, dove trascorrere i restanti anni della mia vita nella preghiera e nel silenzio».

E più in là nelle pagine di questa struggente lettera chiarisce il suo punto di vista sull'eremita che, ella dice, «(…) non è un misantropo inavvicinabile, non è nemmeno necessariamente un recluso che non possa, di tanto in tanto, muoversi ed incontrarsi con la gente, che non possa soprattutto ricevere chi venga a condividere qualche ora della sua solitudine e a fargli dono della sua amicizia: ché, anzi, l'ospitalità è sempre stato carisma monastico. L'eremita è semplicemente uno che sceglie di vivere da solo perché nella solitudine ha il suo momento privilegiato d'incontro».
Il suo primo, per così dire, eremo è stata una cascina chiamata Il Molinasso nelle colline canavesane poco distante da Ivrea. Da dodici anni a questa parte, invece, la sua nuova casa è una accogliente e rustica cascina d'epoca in località Crotte, a pochi chilometri da Strambino. A un tiro di schioppo – ironia della sorte - da Romano Canavese, paese che ha dato i natali al Segretario di Stato Vaticano monsignor Tarcisio Bertone di cui dice, nella chiacchierata, «credo sia di tipo medio».
Ma lei oggi non ama molto dare una denominazione di sé.
«Una volta mi definivo in un qualche modo. – ci dice con un filo di voce - Adesso non mi definisco più in nessun modo perché credo che la cosa più importante sia essere cristiani, se ci riusciamo. Che poi siamo eremiti, cenobiti o qualsiasi cosa, è molto secondario».
L'estate scorsa l'abbiamo incontrata nella sua casa, con un bel giardino a cui si accede da un massiccio portale d'ingresso con verdi rampicanti. Ad accoglierci è una giovane ragazza, sua collaboratrice domestica che ci accompagna in un grande e bellissimo salone, pieno di librerie e libri, con tavoli stracolmi di appunti, ritagli di giornale, la vecchia macchina da scrivere Olivetti - Lettera 33, riviste di vario genere. Sì, perché lei scrive ancora a macchina. Ed invia alle numerose testate con cui collabora (Concilium, Rivista di Teologia Morale, Micromega, Servitium, La Rocca, Il Manifesto) i pezzi in fax. Perché il computer e le nuove tecnologie «mi interesserebbero– confessa - ma non sono capace ad usarle». E invece guarda la televisione rimanendo sempre aggiornata sugli eventi del mondo.
È qui che, alcune volte l'anno, questo semplice cascinale si riempie di gente, di amici, che discutono con lei di fede, di temi religiosi, in spirito di totale libertà e ricerca di senso. Tra questi suoi amici ci sono Rossana Rossanda e Pietro Ingrao, che si definiscono non credenti, ma che qui si sentono a casa loro, in ricerca.
Nonostante gli acciacchi dell'età è una infaticabile scrittrice, molto critica sulle scelte di questo papa La sua collaboratrice ci fa strada fino al fondo dove la scorgiamo coricata a letto che si rinfresca con un ventilatore. È parecchi mesi, infatti, che non cammina più: ci spiega che è caduta e si è rotta i femori. Ma è rimasta lo stesso attiva, perché la testa ce l'ha ancora buona. Vicino al letto un tavolino con i ritagli di alcuni giornali, con altre riviste e libri.
Nel frattempo, anche se ha temporaneamente sospeso la sua collaborazione con Il Manifesto per la sua rubrica domenicale "Parabole" - acuti e pungenti commenti sulla società e sulla Chiesa cattolica – («Oggi o domani telefonerò al direttore Gabriele Polo per dire che riprenderò a breve» ci dice) ha scritto un ennesimo libro che uscirà a settembre di cui sta correggendo le bozze.
«È la storia di un papa. – ci spiega - Ha un titolo un po' lungo e strano "Vita e morte senza miracoli di Celestino VI" era un papa che ha voluto riprendere il nome di Celestino V che nessun altro papa aveva più osato riprendere. La casa editrice è piccola, molto capace, del nord».
Mentre parla sempre con un filo di voce, Adriana Zarri mi guarda con dignità, con quei due occhietti vivacissimi, grigio-azzurri che comunicano serenità. Nonostante tutti i suoi acciacchi. Ed è ancora vivace il suo argomentare critico sull'attualità della Chiesa e di alcuni suoi componenti più conservatori.
Il nostro colloquio sarà ritmato da lunghe pause e silenzi meditativi. Colloquio che comincia inevitabilmente dalla sua opinione riguardo il motu proprio di Papa Benedetto XVI che introduce la facoltà se si vuole (e se c'è richiesta) di celebrare la messa in latino con il rito liturgico preconciliare.
«Non penso certamente tanto bene a riguardo. Non riesco a capire perché il papa abbia fatto una cosa del genere. Ma il latino è una punta emergente di tutta una situazione problematica che riguarda oggi la Chiesa. Probabilmente avrà voluto recuperare i lefebvriani. E' possibile... Però è un prezzo troppo alto per tutti»
Si può dire che sia un ritorno indietro? Si può parlare di una restaurazione della Chiesa? «Penso proprio di sì».
Quando è morto Giovanni Paolo II lei aveva espresso forti critiche dalle colonne del Manifesto. «Avevo ed ho ancora delle riserve su quel papa. Ma in confronto a questo di oggi era ancora meglio! (ride)».
Perché questo papa non la soddisfa? «Dirò quello che mi piace e quello che non mi piace. Condivido il suo amore per i gatti, perché amo anche io questi animali: ciò non può che farmi piacere. Mi piace molto il suo amore per la musica, la sua dote musicale. Mi piacciono quei suoi bei capelli bianchi che gli svolazzano attorno, ma questa non è proprio una cosa importante. E invece non mi piacciono varie cose. Ne dico ad esempio una che è stata forse la cosa più eclatante. Ricorda quando c'è stata quella riunione di giovani in Germania, a Ratisbona? Benedetto XVI ha concesso l'indulgenza plenaria, a mio avviso una prima gaffe: le indulgenze non hanno nessuna base biblica e non si dovrebbe più parlarne. Tantomeno in Germania dove la Chiesa si è spaccata proprio sulle indulgenze».
Si riferisce al protestantesimo? «Eh sì! A questo papa non si può neanche concedere l'attenuante dell'ignoranza perché ignorante certo non è, queste cose le sa molto meglio di me. Però finge di non saperle… non lo so, ci sono delle cose strane…
C'è per esempio la Cristina, una persona che viene qui tutte le mattine a lavorare nell'orto che avrà si e no la quinta elementare: in certe cose da dei punti al papa! A proposito della messa in latino, ad esempio, diceva: "Allora si tornerà come in antico quando, durante la messa, le persone recitavano il rosario"»
Vuol dire cioè che il prete parlerà con Dio e le persone faranno altro? «Sì, certo! Le persone continueranno a recitare il rosario che non ha niente a che fare con la messa. Questo lo diceva appunto una persona che ha si e no la quinta elementare. Però ha qualcosa da insegnare a questo dottissimo papa!»
E che dire del fatto che alcuni cardinali, come Carlo Maria Martini, si siano dissociati e non celebreranno la messa secondo l'antico Messale di Pio V? Tra di essi anche alcuni padri del Concilio Vaticano II tristi davanti a questa decisione «Sì, sì! Il cardinal Martini è certamente la voce episcopale più significativa che abbiamo!»
Oltre alla messa in latino c'è anche il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede e cioè una messa a punto sulla identità della Chiesa cattolica come soggetto in cui concretamente sussiste la Chiesa di Cristo. «E' bruttissimo! Veramente, è bruttissimo!»
C'è allora una sorta di "esclusiva" per entrare in Paradiso? «Sì, sì, sembrerebbe così. Ci sono gli ortodossi e i protestanti che sono giustamente furiosi! Perché in questo modo diventano cristiani di serie b!»
Sul Corriere della Sera dell'11 luglio 2006 Alberto Melloni scriveva del rischio di rottamare la svolta conciliare e di ferire a morte la credibilità ecumenica. «Certo, anche se non si dice direttamente con le parole lo si dice con i fatti, perché queste cose di cui abbiamo detto non sono passi certamente ecumenici».
Perché le gerarchie vaticane svolgono queste operazioni? Hanno paura di perdere consensi e potere? «Non lo so, bisognerebbe chiederlo a loro… perché è difficile per noi da capire…»
Ma allora che papa avrebbe voluto? «Avrei voluto il cardinal Martini, che però ha detto al Conclave di non considerarlo per ragioni di salute e quindi… Poteva essere anche monsignor Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta chi altri?! (silenzio e riflessione). Questi sono i nomi che avrei desiderato».
Venendo in Italia, perché si dice che la Chiesa sia l'unica istituzione che difende la famiglia? «Questo familismo cattolico è una cosa un po' strana. Perché Gesù Cristo non è stato affatto familista: ci dimentichiamo che quando c'era sua madre e i suoi fratelli che lo cercavano disse "Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli? Sono quelli che ascoltano le parole del Padre". Quindi ha messo la parentela interiore molto al di sopra della parentela biologica. Anche gli attuali movimenti cattolici legati alla famiglia sono molto discutibili».
La Chiesa e la contestazione del 1968. Benedetto XVI dice che la contestazione del 1968 ha rappresentato una fase di "crisi della cultura in Occidente", di "deriva" lassista e illuminista della società contemporanea e di "relativismo" dei valori. Lei come la vede? «Io non credo, non credo… Bisognerebbe chiedere al papa che ci desse delle spiegazioni più ampie e convincenti di ciò che ha detto. Si potrebbe rispondere che Dio è molto relativista perché la Trinità è fondata sulle relazioni. E' un discorso, come dire, molto difficile: oggi la gente non sa neppure cosa sia la Trinità. Questa mancanza di dimensione trinitaria è una delle cose più tragiche della nostra cultura cattolica e della nostra teologia».
Ci sono state delle influenze tra il Concilio Vaticano II e la contestazione del 1968? Ci sono delle affinità? «Sì, ci sono certamente delle correlazioni».
Quei famosi "contestatori" della Chiesa, quelli che cominciarono le Comunità di Base (ad esempio Giovanni Franzoni) sono ancora oggi attivi? «Mah! Le dirò che ce ne sono ancora di attivi e non sempre positivamente attivi. Ho delle riserve molto forti, per esempio, contro Franco Barbero di Pinerolo, riserve fortissime su di lui. Ma tante! Per esempio, se ricordo bene - e lo ricordo bene - per telefono una volta mi disse che lui non credeva nella Trinità. Purtroppo è una dimensione che si sta allontanando mentre abbiamo delle dimensioni trinitarie nella nostra cultura di cui non siamo consapevoli».
Ma allora cosa è rimasto del Concilio Vaticano II? «E' rimasta molta nostalgia in tanti e molta ignoranza in altri. Specialmente nei giovani perché sono i più lontani, è gente che non ha vissuto il '68, non ha vissuto il Concilio e si dimostrano i più conservatori».
I "profeti" di oggi Quali sono i personaggi più "profetici" di oggi? Potrebbe essere Giuseppe Alberigo? Oppure don Milani? «Sono due nomi su cui ho delle riserve. Sì, su entrambi. Alberigo è stato un grande studioso ma come persona non era molto simpatico. E poi, tra le figure più profetiche di oggi, farei il nome di due vescovi uno lontano ed uno vicino a noi. Quello vicino è il nostro ex Luigi Bettazzi, mentre quello più lontano con cui sono amicissima - ma sono amica anche di Bettazzi, sia chiaro - è monsignor Nogaro, di cui ho già detto. È un uomo di grandissima levatura interiore, intellettuale, teologica. Di Martini abbiamo già detto».
Perché ha delle riserve su don Milani? «C'è stata tutta una storia con lui perché non ero d'accordo su ciò che diceva. E gli ho scritto una lettera che però è arrivata quando era già mancato. (pausa di riflessione e silenzio). Certamente abbiamo avuto dei contrasti».
Per motivi legati alla sua pedagogia ed alla scuola di Barbiana o per altro? «Mah, credo prima di tutta la vicenda di Barbiana… non ero d'accordo su certe cose che lui aveva detto sul piano teologico… (lungo silenzio) E poi tutta la vicenda di Barbiana io l'ho vissuta molto da lontano perché non ci sono mai stata. Credo che sia stata un'esperienza molto interessante, ma anche lì con dei limiti, credo…(lungo silenzio riflessivo)».
La formazione sacerdotale e le donne Avrà seguito la vicenda della pedofilia riferita a uomini di Chiesa, dove in alcune diocesi americane, ad esempio, hanno dovuto risarcire i danni economici alle vittime degli abusi e per questo sono andate in bancarotta. E poi la puntata della trasmissione Anno Zero di Michele Santoro che ha fatto vedere quel filmato sconvolgente sull'argomento. Poi don Pierino Gelmini viene indagato dalla magistratura di Terni per supposti abusi sessuali nei confronti di alcuni ragazzi ospiti delle sue comunità di recupero. Secondo lei perché scoppiano improvvisamente questi casi all'interno della Chiesa e di alcune diocesi? E' la formazione dei sacerdoti che non va e sarebbe da rivedere? «Non glielo so dire. La formazione dei sacerdoti è estremamente carente perché si formano in seminari dove non ci sono donne e quindi sono in una situazione anomala. E quindi tutta la psicologia dei sacerdoti è molto viziata».
Li farebbe sposare? «Sì, certo, solo quelli che lo vogliono. E' che il celibato dovrebbe essere un'opzione libera: la maggior parte dei preti non sceglierebbe il celibato, è un obbligo imposto e subito dalla grande maggioranza di essi».
Adriana Zarri, teologa di sinistra… Negli anni Settanta fu molto critica verso la Democrazia Cristiana e verso la commistione tra questo partito e la Chiesa italiana. E fu anche protagonista di lotte significative per la sinistra italiana: lotte sociali ed ecclesiali come, ad esempio, la difesa della legge civile sul divorzio. A pagina 15 del suo libro "Erba della mia erba – Resoconto di vita" (Cittadella editrice 2^ edizione 1984) la Zarri dice anche di aver «condotto un'intensa campagna religioso-politica in difesa della legge che ammette la non punibilità, a talune condizioni, dell'aborto. Non lo prevedevo, non lo mettevo in conto, ma mi è parso di non dovermene dispensare».
Sulla politica attuale però dice di essere estremamente sprovveduta.
Eppure nel 2004 si candidò, come indipendente, nelle liste di Rifondazione Comunista nella prima circoscrizione del nord-ovest.
Come l'hanno presa le gerarchie cattoliche? Ci sono stati dei richiami ufficiali? «Non ho avuto nessun richiamo da quella parte».
E come mai questa scelta della candidatura? Quale motivazione l'ha spinta ad accettare? «Non è che mi sono candidata, qualcuno ha fatto il mio nome ed allora è saltata fuori questa storia un po'strana. E' passato un po' di tempo e non ricordo nemmeno come sono andate bene le cose».
…amica di quelli de Il Manifesto…e di Michele Santoro Lei, oltre che come teologa progressista, è anche conosciuta come firma sul quotidiano Il Manifesto con la sua rubrica Parabole dove tratta di argomenti prevalentemente di critica alla Chiesa cattolica. Ha ricevuto per questa attività giudizi negativi o consensi dal mondo cattolico? «Non ho mai avuto dei rilievi per questa attività. Adesso poi è molto che non scrivo più su quel giornale perché da quando sono caduta, mi sono ammalata, ho sospeso la mia collaborazione. Questa collaborazione comunque non mi ha mai creato problemi di alcun genere».
Ricordiamo anche che Lei è comparsa in televisione con Michele Santoro nella sua primissima trasmissione della Rai Samarcanda. «Ho lavorato con lui per quattro anni. Quello che ricordo
è che l'ultimo anno facevo una cosa interessante ma anche difficile: raccontavo tutte le volte una storia diversa. Ed è uscito anche un volume che le ha raccolte tutte. Ricordo che quando andavo a Torino alla Rai - andavo in treno, poi mi riportavano a casa in macchina - in treno cercavo di memorizzare un po' queste storie».

 
 
 


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