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lunedì 7 giugno 2010

Da tanti dati, sempre più chiari, mi faccio l'idea che lo Stato di Israele non c'entra proprio niente con la tradizione, spiritualità, religione, cultura, storia e sofferenza ebraica, ma è usato, sotto l'apparenza di rappresentare e difendere quei valori, come semplice avanposto - armato, finanziato, esentato (come un minorenne viziato) dal rispetto della legge internazionale - della potenza del capitale occidentale verso l'oriente e in particolare verso il risveglio islamico.

Se i politici di Israele fossero preoccupati del bene del loro popolo, capirebbero che non le minacce di Ahmandinejad, ma l'appoggio precario e strumentale dell'occidente sono il vero pericolo per la sopravvivenza, che è ormai un diritto, di quello stato.

L'unica sicurezza di Israele è la sicurezza che esso, con la potenza che ha, anche clandestinamente nucleare, può dare ai popoli vicini.

Dopo oltre 60 anni di errori, anche reciprocamente causati, c'è da risalire una china tremendamente erta. Ma l'importante è cominciare: smontare le armi (materiali, psicologiche, giuridiche) invece di puntarle e usarle.

Tra i palestinesi come tra gli israeliani ci sono piccole ma chiare alternative intelligenti e nonviolente. Conoscerle, comunicare con loro, dare solidarietà, è l'imperativo del momento per noi.

Anche israeliani intelligenti dicono che la fine dell'occupazione torturante è l'unico inizio possibile della pace, cioè del vivere tutti.

Enrico Peyretti, Torino


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