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domenica 13 febbraio 2011


di Paolo Flores d'Arcais, il Fatto quotidiano, 12 febbraio 2011

“In mutande ma vivi” è l’esibizionistico titolo che Giuliano Ferrara ha voluto dare alla manifestazione indetta “contro il moralismo puritano e ipocrita” di chi si ostina a pensare che il comportamento di Berlusconi sia incompatibile con i requisiti minimi di un politico (“statista” sarebbe parola grossa) delle liberaldemocrazie occidentali. L’iniziativa si svolgerà questo pomeriggio a Milano al Teatro Dal Verme, nome perfettamente propiziatorio e provvidenzialmente adeguato (dappoiché nomina sunt consequentia rerum).

Lo scopo dell’adunata di cotanta goliardia tristemente appassita nel servo encomio di “Lui Culomoscio” (definizione di una fan e pupilla del medesimo – la classe non è acqua – non di esecrabili “azionisti”) è fornire ai minzolini di tutte le testate di regime l’occasione per svillaneggiare in anticipo la manifestazione promossa da alcune donne, non certo in nome del moralismo e nemmeno della moralità, ma della necessità di una seppur minima decenza nel comportamento sulla scena pubblica (che del resto è richiesta dall’articolo 54 della Costituzione – anche per questo invisa alle cheerleader di Forza Arcore? – che recita: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”). Manifestazione che domenica dilagherà in decine e decine di piazze con centinaia di migliaia di partecipanti, nel minimalismo dei pennivendoli di regime.

Del resto, la manifestazione “Dal Verme” è solo il diapason di una campagna che la setta dei libertini devoti, falsamente libertini ma effettivamente devotissimi al già menzionato “Lui C.”, va sviluppando da mesi sul superdeficitario Foglio (malgrado i milioni elargiti ogni anno dal governo e pescati nelle tasche degli irrisi non-evasori), e che ha segnato una trafelata accelerazione da quando Ilda Boccassini, Pietro Forno e Antonio Sangermano, hanno doverosamente aperto un’inchiesta per una concussione platealmente rivelata dal medesimo “Lui” – altresì “utilizzatore finale” (l’espressione è del suo avvocato onorevole Ghedini) di una prostituta, questa volta minorenne – con una telefonata alla Questura di Milano (su una linea ufficiale che registra): per ottenere, grazie al peso della sua carica, una “altra utilità”, cioè l’indebito rilascio della minorenne che avrebbe potuto inguaiarlo. Il manipolo dei finti libertini di Giuliano Ferrara vuole infatti da mesi far credere che gli avversari (soprattutto le avversarie) del regime liberticida di Berlusconi, in gioventù sessantottina teorizzanti e talvolta anche praticanti “porci con le ali” delle gioie della liberazione sessuale, si siano trasformate/i in occhiuti bacchettoni e laide beghine e vogliano imputare a “Lui”, in sinergia con i “guardoni” delle procure, quanto vorrebbero ancora ma non possono. Invidia e risentimento, insomma, altro che legalità e moralità.

Ferrara e la sua coorte di devotissimi di “Lui” sanno benissimo di mentire per la gola. Ma con la cassa di risonanza di un controllo televisivo quasi totalitario è molto facile far diventare bianco il nero. Contano su questo, sull’incubo orwelliano della neolingua sontuosamente realizzato da “Lui-con-quel-che-segue”.

E invece. Libertari e garantisti siamo rimasti (e libertini talvolta, ma questa è irrinunciabile privacy). Libertari: pensiamo che in fatto di sesso, tra adulti consenzienti, di tutto e di più. Adulterio, masturbazione, orge, sadomasochismo, uso di pornografia e “gadget” sessuali, scambio di coppie, prostituzione, financo sesso con animali (se non si dà luogo a maltrattamento), e chi più ne ha più ne metta, il tutto sia in chiave etero che omo che transessuale. Nessuno, magistrato o giornalista che sia, in questa sfera privata deve poter mettere becco.

Le righe che precedono le ho scritte oltre un mese fa, sul sito del Fatto (quasi duecentomila visitatori al giorno), e gli unici dissensi sono stati di qualche lettore animalista. Bacchettoni e beghine, si tranquillizzi il devotissimo Ferrara, non albergano da queste parti. Quanto alla tutela della privacy, noi giustizialisti-giacobini-girotondini-azionisti (sempre e comunque trinariciuti nel nostro affetto per la Costituzione nata dalla Resistenza), siamo più rigidi della Comunità europea, per non parlare degli Usa (“che hanno sempre ragione” secondo il lapidario servilismo di “Lui”, prono-americano solo se si tratta di guerre) dove la tutela della privacy della persona pubblica è per legge infinitamente minore di quella del privato cittadino. Noi no. Noi pensiamo che debba essere la stessa, catafratta, e che solo il politico possa stabilire le eccezioni che lo riguardano. Se fa della difesa della famiglia un tema per ottenere consensi, legittima qualsiasi domanda o inchiesta sulle proprie infedeltà. Se si dedica a campagne contro i gay non può invocare la privacy qualora si scopra un suo penchant omosessuale, se propone leggi draconiane contro la prostituzione (clienti compresi) ogni sua utilizzazione di prostituta diventa fatto pubblico, se dichiara che certe cose non le ha mai fatte, anziché limitarsi al secco “fatti miei”, rende legittima la curiosità giornalistica sull’eventuale menzogna. Altrimenti no. Chiaro il criterio, devotissimo Ferrara?

Quanto alla gioiosa libertà sessuale: cosa c’entra il sesso libero, che è condiviso e reciproco piacere per il piacere (o per amore, o per curiosità, gioco, sperimentazione...) con l’acquisto a ore di un corpo, o di un’infornata di corpi, mossi non già da gioiose voglie ma da “danaro o altra utilità”, auri sacra fames capace di compensare lo schifo, confessato pre e post alle amiche, per le carni in smottamento alla cui virilità chimico-meccanicamente artefatta devono dedicarsi? Se non capisci la differenza lascia perdere, devotissimo Ferrara: non parlare di cose che non conosci.

(12 febbraio 2011)


http://temi.repubblica.it/micromega-online/gioie-del-sesso-e-devoti-di-regime/

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