Dal sito www.nonviolenti.org, traggo questo scritto di Mao Valpiana, un po' vecchio ma ancora attuale nei contenuti
L'ho visto solo nelle poche foto in bianco e nero. Mi ha sempre piacevolmente stupito il contrasto tra quell'aria austera dietro gli occhiali spessi, ed il suo indomabile spirito giovanile, aperto ed innovativo, in perenne ricerca.
Aldo Capitini muore il 19 ottobre del 1968. Trent'anni fa. Noi quarantenni di oggi non l'abbiamo conosciuto, eravamo ancora troppo piccoli. Di Capitini abbiamo sentito parlare solo qualche anno più tardi, ai tempi degli obiettori in carcere, della Legge 772, delle prime esperienze di servizio civile. Abbiamo scoperto così che non siamo stati i pionieri, ma che qualche decennio prima di noi un professore antifascista già difendeva l'obiezione di coscienza e organizzava le Marce per la Pace. Incominciavamo a muovere i primi passi nel campo sociale e politico, e leggere Teoria della Nonviolenza o Le Tecniche della nonviolenza ci faceva intuire quanto è vasto l'orizzonte della nonviolenza e ci invogliava a correre in avanti, per vedere un po' più in là. I nostri coetanei preferivano le barricate, sognavano la guerriglia e sceglievano simboli con i fucili. Noi ci siamo affezionati al fucile spezzato che spuntava dalle pagine di Azione nonviolenta. Ci sentivamo vicini alla voglia "rivoluzionaria" di cambiamento dei tanti movimenti giovanili di sinistra, ma ci allontanava quel loro compiacimento della violenza, a volte "dolorosa ma necessaria", altre volte "levatrice della storia". Il percorso culturale e politico di Capitini, che abbiamo approfondito leggendo i suoi libri, ci sarà di grande aiuto. Scopriamo che già negli anni '40, dopo l'esperienza comune del carcere come perseguitati politici, si incrina il rapporto tra Capitini e la sinistra. Lui che vuole realizzare il "movimento", gli altri che fondano il "partito". Lui, che fa esplicita scelta nonviolenta, gli altri che organizzano la rivolta armata. Verso la sinistra, il liberalsocialismo, manterrà sempre un atteggiamento di dialogo, di "aggiunta". Nel dopoguerra non aderisce ad alcun partito, e così Capitini, che fu tra i primissimi ed i pochissimi a rifiutare da subito il fascismo e che tanto fece e patì durante il regime di Mussolini, venne lascito fuori dal Comitato di Liberazione Nazionale e dalla Costituente. Da solo inizia un lungo lavoro per l'affermazione del metodo della nonviolenza. Fino alla morte è attivissimo: fonda i Centri di Orientamento Sociale, il Movimento di Religione, il Centro di coordinamento internazionale per la Nonviolenza, la Società Vegetariana Italiana, l'Associazione per la difesa e lo sviluppo della Scuola pubblica, la Consulta Italiana per la Pace, il Movimento Nonviolento. Organizza convegni e seminari sui temi della pace, delle tematiche religiose, della scuola, della pedagogia. Scrive e pubblica moltissimo: La realtà di tutti, Nuova socialità e riforma religiosa, L'atto di educare, Il fanciullo nella liberazione dell'uomo, Religione aperta, Colloquio corale, Rivoluzione aperta, L'obiezione di coscienza in Italia, Battezzati non credenti, L'educazione civica nella scuola e nella vita sociale, La compresenza dei morti e dei viventi, Educazione aperta, Le tecniche della nonviolenza. Fonda e dirige anche due riviste: Il potere di tutti e Azione nonviolenta. Dobbiamo constatare che dopo tanti anni i lavori pratici ed intellettuali di Capitini restano sconosciuti ai più, ma le sue intuizioni sulla nonviolenza si sono in molta parte realizzate, mentre altre teorie e pratiche politiche sono rimaste sepolte sotto il Muro di Berlino. Il seme ha germinato. I casi della vita mi hanno portato oggi a condurre avanti questa rivista, voluta da Capitini per "aiutare noi e gli altri a chiarirci le idee in un metodo che è destinato a rinnovare profondamente la società umana (…). Il metodo nonviolento, straordinariamente dinamico, finisce per avere ragione e per trasformare le attuali società, che sono società di pochi, in una società veramente di tutti. Perché questa persuasione interiore diventi consapevole e largamente diffusa, è necessario lavorare". Proseguire l'opera di Capitini è un compito davanti al quale ci si sente spesso inadeguati. Per aiutarsi bisogna ricorre ancora una volta al metodo nonviolento che esige prima di tutto "qualità di coraggio, tenacia, sacrificio e di non perdere mai l'amore".
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