La retorica militarista, patriottarda e nazionalista festeggia il 4 novembre come festa della vittoria. L’unico giorno di vittoria che festeggeremo sarà quello in cui avremo fermato una guerra…
Don Milani ha scritto e pubblicato pochi volumi e non molti articoli. Ma penso che ciascuno vada letto e meditato con attenzione. Per ‘festeggiare’ (molto fra virgolette) il 4 novembre, riporterò alcuni brani da Risposta di don Loreno Milani ai cappellani militari toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell’11-2-1965 e altri dalla Lettera ai Giudici, scritta collettivamente da don Lorenzo e i suoi alunni della Scuola di Barbiana in risposta a un comunicato stampa di alcuni cappellani militari nel quale questi denigravano gli obiettori di coscienza (che allora venivano incarcerati).
“Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni.
Se però voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta di mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere,mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto”.
E, poco oltre, aggiunge:
“Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in questi casi i soldati dovevano obbedire o obiettare qualche dettava loro la coscienza. E poi dovrete spigarci chi difese la Patria e l’onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L’obbedienza a ogni costo? E se l’ordine era il bombardamento dei civili,un’azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l’esecuzione sommaria di partigiani, l’uso di armi atomiche, batteriologice, chimiche, la tortura, l’esecuzione di ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere timore ad altri soldati della Patria), una guerra di evidenti aggressioni, l’ordine di un ufficiale ribelle al popolo sovrano, le repressioni di manifestazioni popolari?
Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto;
“I nostri figli un giorno rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti ridiamo della Patria Borbonica".
Non potendo pubblicare tutto il testo, passo a estrapolare alcuni brani dalla Lettera citata. Dopo la Risposta don Lorenzo venne denunciato per apologia di reato.
Già gravemente malato, scrive la Lettera ai Giudici, datata Barbiana, 18 ottobre 1965.
Dopo aver spiegato le motivazioni dell’assenza, don Lorenzo spiega che “come maestro anche se è un reato avevo il dovere morale di parlare”.
Dapprima racconta qual è stato il motivo occasionale (le offese dei cappellani agli obiettori di coscienza) e in seguito qual è stato il motivo profondo. Quest’ultimo non può che avere le radici nella scuola (e, per chi conosce don Milani non poteva essere altrimenti):
“A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni scuola.
E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola buona.
La scuola diversa dall’aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita.
La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi.
È l’arte delicata i condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall’altro la volontà di leggi migliori cioè di senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione).
La tragedia del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste.
Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto persino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva.
Ecco perché, in un certo senso, la scuola è fuori dal vostro ordinamento giuridico.
"Il ragazzo non ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed è perciò da un lato un nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall’altro nostro superiore perché decreterà leggi migliori delle nostre.
E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i ‘segni dei tempi’, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che così vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso.
Anche il maestro è dunque in qualche modo fuori del vostro ordinamento pure al suo sevizio. Se lo condannate attenterete al processo legislativo.
"In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’ obbedirla.
Posso solo dire che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.
Non potendo riportare tutto il volume, che invito il lettore ad acquistare, riporto solo l’ultimo paragrafo:
"Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l’idea di andare a fare l’eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino ad ora. Cioè che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura.
Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d’ogni religione e d’ogni scuola insegneranno come me.
Poi forse qualche generale troverò ugualmente il meschino che obbedisce e così non riusciremo a salvare l’umanità.
"Non è un motivo per non fare in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l’umanità ci salveremo almeno l’anima.
Che don Milani abbia scritto che “l’obbedienza non è più una virtù”, l’hanno citata in molti. Pochi aggiungono quello che segue: “ma la più subdola delle tentazioni”
Il volume è il seguente:
Documenti del processo di don Milani, L’obbedienza non è più una virtù, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1991
La Libreria si trova a Firenze, in via Giambologna 5, 50132 Firenze (tel. 055 579921)
http://www.lef.firenze.it/ www.lef.firenze.it/
editrice@lef.firenze.it editrice@lef.firenze.it
Don Milani ha scritto e pubblicato pochi volumi e non molti articoli. Ma penso che ciascuno vada letto e meditato con attenzione. Per ‘festeggiare’ (molto fra virgolette) il 4 novembre, riporterò alcuni brani da Risposta di don Loreno Milani ai cappellani militari toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell’11-2-1965 e altri dalla Lettera ai Giudici, scritta collettivamente da don Lorenzo e i suoi alunni della Scuola di Barbiana in risposta a un comunicato stampa di alcuni cappellani militari nel quale questi denigravano gli obiettori di coscienza (che allora venivano incarcerati).
“Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni.
Se però voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta di mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere,mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto”.
E, poco oltre, aggiunge:
“Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in questi casi i soldati dovevano obbedire o obiettare qualche dettava loro la coscienza. E poi dovrete spigarci chi difese la Patria e l’onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L’obbedienza a ogni costo? E se l’ordine era il bombardamento dei civili,un’azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l’esecuzione sommaria di partigiani, l’uso di armi atomiche, batteriologice, chimiche, la tortura, l’esecuzione di ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere timore ad altri soldati della Patria), una guerra di evidenti aggressioni, l’ordine di un ufficiale ribelle al popolo sovrano, le repressioni di manifestazioni popolari?
Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto;
“I nostri figli un giorno rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti ridiamo della Patria Borbonica".
Non potendo pubblicare tutto il testo, passo a estrapolare alcuni brani dalla Lettera citata. Dopo la Risposta don Lorenzo venne denunciato per apologia di reato.
Già gravemente malato, scrive la Lettera ai Giudici, datata Barbiana, 18 ottobre 1965.
Dopo aver spiegato le motivazioni dell’assenza, don Lorenzo spiega che “come maestro anche se è un reato avevo il dovere morale di parlare”.
Dapprima racconta qual è stato il motivo occasionale (le offese dei cappellani agli obiettori di coscienza) e in seguito qual è stato il motivo profondo. Quest’ultimo non può che avere le radici nella scuola (e, per chi conosce don Milani non poteva essere altrimenti):
“A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni scuola.
E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola buona.
La scuola diversa dall’aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita.
La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi.
È l’arte delicata i condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall’altro la volontà di leggi migliori cioè di senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione).
La tragedia del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste.
Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto persino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva.
Ecco perché, in un certo senso, la scuola è fuori dal vostro ordinamento giuridico.
"Il ragazzo non ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed è perciò da un lato un nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall’altro nostro superiore perché decreterà leggi migliori delle nostre.
E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i ‘segni dei tempi’, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che così vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso.
Anche il maestro è dunque in qualche modo fuori del vostro ordinamento pure al suo sevizio. Se lo condannate attenterete al processo legislativo.
"In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’ obbedirla.
Posso solo dire che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.
Non potendo riportare tutto il volume, che invito il lettore ad acquistare, riporto solo l’ultimo paragrafo:
"Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l’idea di andare a fare l’eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino ad ora. Cioè che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura.
Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d’ogni religione e d’ogni scuola insegneranno come me.
Poi forse qualche generale troverò ugualmente il meschino che obbedisce e così non riusciremo a salvare l’umanità.
"Non è un motivo per non fare in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l’umanità ci salveremo almeno l’anima.
Che don Milani abbia scritto che “l’obbedienza non è più una virtù”, l’hanno citata in molti. Pochi aggiungono quello che segue: “ma la più subdola delle tentazioni”
Il volume è il seguente:
Documenti del processo di don Milani, L’obbedienza non è più una virtù, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1991
La Libreria si trova a Firenze, in via Giambologna 5, 50132 Firenze (tel. 055 579921)
http://www.lef.firenze.it/ www.lef.firenze.it/
editrice@lef.firenze.it editrice@lef.firenze.it
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