Ne
Navarra Editore
Saremo lieti di vedervi stasera Venerdì 31 Ottobre alle ore 21.30 al circolo Malaussene (Piazzetta di Resuttano n. 4 - Palermo) per la presentazione in anteprima del nuovo prezioso pocket della collana Fiori di Campo (Navarra Editore in collaborazione con Casa Memoria Peppino Impastato)
"Danilo Dolci - La Radio dei poveri Cristi"a cura di Salvo Vitale e Guido Orlando
Ne discutono Salvo Vitale e Ottavio Navarra
Questa è la storia della prima radio libera in Italia: il 25 marzo 1970 il segnale radiofonico di "Radio Sicilia Libera" rompe il monopolio di stato sulle trasmissioni via etere con un forte messaggio di denuncia del potere mafioso e clientelare che aveva attinto a piene mani dai soldi destinati alla ricostruzione della valle del Belice dopo il terremoto del 1968. Il principio ispiratore è quello di una "radio della nuova Resistenza", sul modello delle radio-ombra clandestine che avevano reso possibile l'informazione tra i partigiani della seconda guerra mondiale. È quindi un'informazione dal basso, come espressione alternativa, nei confronti di uno stato assente. "Chi tace è complice", scriveva Danilo sui muri in quegli anni e il suo non tacere, il suo dar voce a chi non ha mai avuto possibilità di farsi sentire è un invito a non rendersi complici del silenzio con il silenzio. In allegato scheda e copertina del libro
Per eventuali e auspicate collaborazioni si prega rivolgersi a
Navarra Editore
via Crispi 108 Palermo
tel 0916119342
Ufficio Stampa: Valentina Ricciardo
valentina@navarraeditore.it
3208058371
venerdì 31 ottobre 2008
BUONE NOTIZE, DA PRAGA
ricevo e pubblico (e dedico ai 'soliti' che dicono che tanto non c'è niente da fare...):
Grandi notizie da Praga!
Traduco la mail inviata stamattina da Jan Tamas, leader della protesta contro la base radar USA in Repubblica Ceca :
Cari amici,
ecco le ultime notizie sulla nostra lotta contro il sistema di difesa anti-missile degli Stati Uniti.
Questa settimana era molto importante: entrambe le camere del Parlamento dovevano votare su questo tema e nessuna delle due l'ha fatto!
Le sedute di ieri e di oggi della Camera dei deputati sono state un successo per noi: il governo non è riuscito a far passare la votazione sulla ratifica del trattato (a causa del poco tempo e del grande numero di interventi dei deputati di opposizione). Sembra che non voteranno neanche domani, ultimo giorno di questa sessione, che così finirà senza aver votato su questo tema.
Anche il Senato ha deciso di non votare oggi. Pensiamo che la lettera inviata a tutti i senatori abbia avuto una forte influenza sulla loro decisione finale.
Entrambe le camere potranno votare su questo tema nelle prossime sessioni, ma al Senato a quel punto la situazione sarà molto diversa, perché un terzo dei senatori sarà sostituito dai nuovi eletti, la maggior parte dei quali è contraria alla base radar. I deputati resteranno gli stessi, ma con l'attuale scompiglio all'interno delgoverno le cose cambieranno di sicuro e noi avremo maggiori possibilità di quelle attuali.
Durante la sessione di mercoledì il primo ministro ha annunciate di voler prolungare di altri 60 giorni il dibattito su questo tema alla Camera, così potrebbero volerci 120 giorni prima del voto finale di ratifica. La Camera si riunirà di nuovo l'11 novembre, quindi abbiamo tempo fino ad allora per continuare la pressione. Finora tutto bene!
Grazie per il vostro appoggio. Abbiamo vinto una battaglia importante,ma la guerra non è ancora finite, quindi continuiamo a mantenere una forte pressione.
Caldi saluti da Praga
Jan
_______________________________________________
Eco-fem-nonviolenta mailing list
Eco-fem-nonviolenta@lists.nonviolenti.orghttp://lists.nonviolenti.org/mailman/listinfo/eco-fem-nonviolenta
Grandi notizie da Praga!
Traduco la mail inviata stamattina da Jan Tamas, leader della protesta contro la base radar USA in Repubblica Ceca :
Cari amici,
ecco le ultime notizie sulla nostra lotta contro il sistema di difesa anti-missile degli Stati Uniti.
Questa settimana era molto importante: entrambe le camere del Parlamento dovevano votare su questo tema e nessuna delle due l'ha fatto!
Le sedute di ieri e di oggi della Camera dei deputati sono state un successo per noi: il governo non è riuscito a far passare la votazione sulla ratifica del trattato (a causa del poco tempo e del grande numero di interventi dei deputati di opposizione). Sembra che non voteranno neanche domani, ultimo giorno di questa sessione, che così finirà senza aver votato su questo tema.
Anche il Senato ha deciso di non votare oggi. Pensiamo che la lettera inviata a tutti i senatori abbia avuto una forte influenza sulla loro decisione finale.
Entrambe le camere potranno votare su questo tema nelle prossime sessioni, ma al Senato a quel punto la situazione sarà molto diversa, perché un terzo dei senatori sarà sostituito dai nuovi eletti, la maggior parte dei quali è contraria alla base radar. I deputati resteranno gli stessi, ma con l'attuale scompiglio all'interno delgoverno le cose cambieranno di sicuro e noi avremo maggiori possibilità di quelle attuali.
Durante la sessione di mercoledì il primo ministro ha annunciate di voler prolungare di altri 60 giorni il dibattito su questo tema alla Camera, così potrebbero volerci 120 giorni prima del voto finale di ratifica. La Camera si riunirà di nuovo l'11 novembre, quindi abbiamo tempo fino ad allora per continuare la pressione. Finora tutto bene!
Grazie per il vostro appoggio. Abbiamo vinto una battaglia importante,ma la guerra non è ancora finite, quindi continuiamo a mantenere una forte pressione.
Caldi saluti da Praga
Jan
_______________________________________________
Eco-fem-nonviolenta mailing list
Eco-fem-nonviolenta@lists.nonviolenti.orghttp://lists.nonviolenti.org/mailman/listinfo/eco-fem-nonviolenta
giovedì 30 ottobre 2008
obiezione di coscienza verso la riforma gelmini
Decreto-legge 1 settembre 2008, n. 137
"Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università"pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 204 del 1° settembre 2008Art. 4.Insegnante unico nella scuola primaria 1. Nell'ambito degli obiettivi di contenimento di cui all'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nei regolamenti di cui al relativo comma 4 e' ulteriormente previsto che le istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali. Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola.2. Con apposita sequenza contrattuale e a valere sulle risorse di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e' definito il trattamento economico dovuto per le ore di insegnamento aggiuntive rispetto all'orario d'obbligo di insegnamento stabilito dalle vigenti disposizioni contrattuali.
Al Presidente della Repubblica
Al Presidente del Consiglio
Al Ministro della Pubblica Istruzione
Il sottoscritto Giuliano Falco, nato a Quiliano (SV) il 14 novembre 1958, insegnante impegnato in attività di sostegno presso il II° Circolo Didattico, assunto a tempo indeterminato dall'anno scolastico 1989/1990, dichiara di voler compiere atto di disobbedienza civile nei confronti della succitata normativa e si dichiara contrario a quanto previsto dalla legge stessa. Al tal fine dichiara di voler porre in essere una obiezione di coscienza verso tale testo di legge, in quanto esiziale per la scuola pubblica e il futuro del Paese.
-- www.giulianofalco.blogspot.com
"Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università"pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 204 del 1° settembre 2008Art. 4.Insegnante unico nella scuola primaria 1. Nell'ambito degli obiettivi di contenimento di cui all'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nei regolamenti di cui al relativo comma 4 e' ulteriormente previsto che le istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali. Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola.2. Con apposita sequenza contrattuale e a valere sulle risorse di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e' definito il trattamento economico dovuto per le ore di insegnamento aggiuntive rispetto all'orario d'obbligo di insegnamento stabilito dalle vigenti disposizioni contrattuali.
Al Presidente della Repubblica
Al Presidente del Consiglio
Al Ministro della Pubblica Istruzione
Il sottoscritto Giuliano Falco, nato a Quiliano (SV) il 14 novembre 1958, insegnante impegnato in attività di sostegno presso il II° Circolo Didattico, assunto a tempo indeterminato dall'anno scolastico 1989/1990, dichiara di voler compiere atto di disobbedienza civile nei confronti della succitata normativa e si dichiara contrario a quanto previsto dalla legge stessa. Al tal fine dichiara di voler porre in essere una obiezione di coscienza verso tale testo di legge, in quanto esiziale per la scuola pubblica e il futuro del Paese.
-- www.giulianofalco.blogspot.com
mercoledì 29 ottobre 2008
NO AL COLPO DI STATO DI VELLUTO NELLA REPUBBLICA CECA
Questa è la lettera di protesta inviata a nome del Partito Umanista
italiano all'ambasciata ceca a Roma.
E' urgente che molte altre organizzaoizni facciano lo stesso, perché i
tempi per evitare la ratifica dell'accordo sulla base radar americana
sono strettissimi.
La mail dell'ambasciata è: rome@embassy.mzv.cz
Grazie a tutti per la collaborazione.
NO AL COLPO DI STATO DI VELLUTO IN REPUBBLICA CECA
Il Partito Umanista italiano si unisce alla protesta del movimento
nonviolento contro le basi in Repubblica Ceca e denuncia il tentativo di
colpo di stato in atto a Praga, con le votazioni per ratificare
l'accordo tra il governo ceco e quello americano sull'installazione
della base radar previste tra oggi e domani in un Parlamento sfiduciato
dagli elettori.
In particolare in Senato, voteranno rappresentanti che tra pochi giorni
non saranno più tali, visto che le recenti elezioni hanno segnato una
sonora sconfitta dei partiti di governo.
Il 70% della popolazione è contrario all'installazione della base radar
americana in Repubblica ceca, eppure i partiti di governo vanno avanti
come se nulla fosse.
Riprendendo le richieste dei partecipanti allo sciopero della fame del
maggio scorso, come umanisti italiani chiediamo di sospendere i
negoziati per un anno, di aprire una profonda discussione sull'argomento
in Repubblica Ceca, di ottenere la posizione dell'Unione Europea su
questo piano e di attendere la posizione della nuova amministrazione
statunitense.
Partito Umanista italiano
_______________________________________________
Eco-fem-nonviolenta mailing list
Eco-fem-nonviolenta@lists.nonviolenti.org
http://lists.nonviolenti.org/mailman/listinfo/eco-fem-nonviolenta
italiano all'ambasciata ceca a Roma.
E' urgente che molte altre organizzaoizni facciano lo stesso, perché i
tempi per evitare la ratifica dell'accordo sulla base radar americana
sono strettissimi.
La mail dell'ambasciata è: rome@embassy.mzv.cz
Grazie a tutti per la collaborazione.
NO AL COLPO DI STATO DI VELLUTO IN REPUBBLICA CECA
Il Partito Umanista italiano si unisce alla protesta del movimento
nonviolento contro le basi in Repubblica Ceca e denuncia il tentativo di
colpo di stato in atto a Praga, con le votazioni per ratificare
l'accordo tra il governo ceco e quello americano sull'installazione
della base radar previste tra oggi e domani in un Parlamento sfiduciato
dagli elettori.
In particolare in Senato, voteranno rappresentanti che tra pochi giorni
non saranno più tali, visto che le recenti elezioni hanno segnato una
sonora sconfitta dei partiti di governo.
Il 70% della popolazione è contrario all'installazione della base radar
americana in Repubblica ceca, eppure i partiti di governo vanno avanti
come se nulla fosse.
Riprendendo le richieste dei partecipanti allo sciopero della fame del
maggio scorso, come umanisti italiani chiediamo di sospendere i
negoziati per un anno, di aprire una profonda discussione sull'argomento
in Repubblica Ceca, di ottenere la posizione dell'Unione Europea su
questo piano e di attendere la posizione della nuova amministrazione
statunitense.
Partito Umanista italiano
_______________________________________________
Eco-fem-nonviolenta mailing list
Eco-fem-nonviolenta@lists.nonviolenti.org
http://lists.nonviolenti.org/mailman/listinfo/eco-fem-nonviolenta
martedì 28 ottobre 2008
PETIZIONE PER FAR CHIAREZZA SULLE DICHIARAZIONI DI COSSIGA
ricevo questa mail da Francesca e invito tutti i lettori a sottoscriverla
"APPELLO AL PRESIDENTE NAPOLITANO PER FARE CHIAREZZA SULLE RECENTI DICHIARAZIONI DEL SEN. COSSIGA"
Segui questo http://www.firmiamo.it/appelloalpresidentenapolitanodichiarazionicossiga
Grazie
Ciao
francesca piemonte
"APPELLO AL PRESIDENTE NAPOLITANO PER FARE CHIAREZZA SULLE RECENTI DICHIARAZIONI DEL SEN. COSSIGA"
Segui questo http://www.firmiamo.it/appelloalpresidentenapolitanodichiarazionicossiga
Grazie
Ciao
francesca piemonte
CONTRO LA GELMINI: UNA SCUOLA CHE NON CI PIACE E CHE NON VOGLIAMO
Altre volte, da questo blog, ho scritto contro la Gelmini. Quello che sta succedendo nel nostro paese, mi sembra tragicamente chiaro: stanno svendendo tutto ciò che era pubblico per privatizzare tutto. O, meglio (anzi, peggio): privatizzano dove serve a loro (la scuola, la sanità, le pensioni) e rendono pubblico ciò che consente guadagni ai privati. Due esempi chiari mi sembrano l'Alitalia (che ogni giorno, come ripete la radio della Confindustria, perde 2,3 milioni di euro...a proposito, la soluzione di Berlusconi mi sembra 'geniale': si crea una compagnia buona, che garantisce introiti ai soliti ricchi e una compagnia cattiva -si chiama proprio così: bad company, che paga le spese dell'operazione e il mostruoso passivo accumulato negli anni. Chi paga tutto ciò: i soliti...fessi, i contribuenti) e l'intervento a favore di Unicredit. Insomma per le banche i soldi saltano fuori...per aumentare stipendi da fame, pensioni da fame...non ce n'è?
Stranezze del capitalismo...
In tutto ciò, salta fuori la riforma (?) della scuola. Ai tempi mi ero battuto contro la riforma Bertagna e Moratti: ma devo riconoscere che almeno, la strana coppia, un'idea (non condivisibile, reazionaria, scandalosa) della scuola ce l'avevano. Il nuovo ministro, dietro l'aria da brava ragazza secchiona, non ha la minima idea di scuola, di pedagogia, di formazione e via dicendo. La scuola (pubblica) serve solo per reperire fondi per la scuola privata e lo stato che foraggia quest'ultima...
Non solo: ciò che sconforta è il fatto che tutti parlano di scuola, ma la disinformazione è grande, grandissima. Dopo ogni partita della Nazionale di calcio, in Italia ci sono circa 50 milioni di Commissari Tecnici, ognuno di loro ha in tasca la ricetta, la formula magica. Lo stesso accade per la scuola: quando si parla di scuola, ognuno si sente in diritto di dire la sua, come se vivesse all'interno di questa caotica istituzione complessa...e così sparano caz...te a destra e manca. A questo 'compito' non si sottraggono i politici e i giornalisti -ancora questa mattina, ho scritto a rainews24 protestando per la leggerezza con cui Renato Fuccillo affrontava il discorso delle proteste contro la Gelmini...
Così, voglio offrire il mio piccolo contributo: si tratta della bozza su cui, integrandola con un altro testo, abbiamo redatto la mozione di protesta del Collegio Docenti congiunto (infanzia e scuola di base) degli insegnanti del II° Circolo Didattico di Albenga (SV), dove lavoro.
Invito tutti i Colleghi, i genitori e tutti gli operatori della scuola ad attivarsi contro l'ennesima schifezza del governo berlusconiano...
Perché siamo contro il decreto Gelmini
Il testo del decreto in oggetto parla chiaro: l’articolo 4 dice che il numero del personale scolastico è troppo alto e quindi bisogna ridurre drasticamente quello degli insegnanti ma anche quello del personale non docente.
Non solo: recita che dal prossimo anno scolastico possono essere istituite classi con docente unico.
Siamo contro questo decreto perché
la legge mira solo a contenere la spesa statale (non lo diciamo noi, ma l’articolo 4);
lo sbandierato mantenimento o eventuale aumento delle classi a tempo pieno non può avvenire a scapito delle altre soluzioni organizzative, per di più con un taglio considerevole di posti di lavoro;
tornare al maestro unico vuol dire tornare alla scuola del “leggere, scrivere e far di conto” (come recitavano i Programmi del 1955) “dimenticando” che le competenze socio affettive sono sempre più necessarie in una società in cui la famiglia che ha smarrito il suo ruolo;
comporta in maniera considerevole un aumento del numero di alunni per classe impedendo un’educazione al senso di cittadinanza attiva (fatto anche di solidarietà e partecipazione) degli stessi;
l’alto numerosi di alunni per classe impedisce al monolitico maestro unico di seguire tutti i discenti affidatigli,sia in senso socio affettivo che didattico;
si corre il rischio di costruire una scuola organizzata a due soluzioni entrambi non soddisfano nessuno: le classi a maestro unico per la riduzione del tempo scuola e l’impoverimento didattico, il tempo pieno che vedrebbe un aumento indiscriminato di alunni fermo restando che il fatto che il numero dei docenti non può aumentare anzi deve essere ridotto: si verrebbe così a creare una scuola somigliante più a un parcheggio che a un’istituzione formativa;
in una classe con un alto numero di iscritti e con un unico insegnante si tornerebbe, come un tempo, a favorire gli alunni già seguiti in famiglia e a penalizzare fortemente i più deboli o i più sfortunati;
le misure previste comportano un risparmio per lo stato di ben 8 miliardi di euro;
la chiusura i 4.000 scuole crea un enorme disagio a utenze residenti in località dovei servizi sono già ridotti e li costringe a una precoce pendolarizzazione (con notevole aumento delle spese a carico degli enti locali);
perché snatura radicalmente il tempo pieno;
svuota la scuola pubblica di contenuti, persone e mezzi a favore della scuola privata.
Inoltre, il Ministero persegue la progressiva riduzione del numero degli insegnanti di sostegno, penalizzando ancora una volta gli utenti più sfortunati, le loro famiglie e gli insegnanti curriculari.
Uno stato che non investe sua formazione, sull’educazione e sull’istruzione è uno stato che non investe sul futuro…
Per questo diciamo NO al decreto Gelmini…
perché tutto ciò disegna una scuola che non ci piace, che non vogliamo.
Stranezze del capitalismo...
In tutto ciò, salta fuori la riforma (?) della scuola. Ai tempi mi ero battuto contro la riforma Bertagna e Moratti: ma devo riconoscere che almeno, la strana coppia, un'idea (non condivisibile, reazionaria, scandalosa) della scuola ce l'avevano. Il nuovo ministro, dietro l'aria da brava ragazza secchiona, non ha la minima idea di scuola, di pedagogia, di formazione e via dicendo. La scuola (pubblica) serve solo per reperire fondi per la scuola privata e lo stato che foraggia quest'ultima...
Non solo: ciò che sconforta è il fatto che tutti parlano di scuola, ma la disinformazione è grande, grandissima. Dopo ogni partita della Nazionale di calcio, in Italia ci sono circa 50 milioni di Commissari Tecnici, ognuno di loro ha in tasca la ricetta, la formula magica. Lo stesso accade per la scuola: quando si parla di scuola, ognuno si sente in diritto di dire la sua, come se vivesse all'interno di questa caotica istituzione complessa...e così sparano caz...te a destra e manca. A questo 'compito' non si sottraggono i politici e i giornalisti -ancora questa mattina, ho scritto a rainews24 protestando per la leggerezza con cui Renato Fuccillo affrontava il discorso delle proteste contro la Gelmini...
Così, voglio offrire il mio piccolo contributo: si tratta della bozza su cui, integrandola con un altro testo, abbiamo redatto la mozione di protesta del Collegio Docenti congiunto (infanzia e scuola di base) degli insegnanti del II° Circolo Didattico di Albenga (SV), dove lavoro.
Invito tutti i Colleghi, i genitori e tutti gli operatori della scuola ad attivarsi contro l'ennesima schifezza del governo berlusconiano...
Perché siamo contro il decreto Gelmini
Il testo del decreto in oggetto parla chiaro: l’articolo 4 dice che il numero del personale scolastico è troppo alto e quindi bisogna ridurre drasticamente quello degli insegnanti ma anche quello del personale non docente.
Non solo: recita che dal prossimo anno scolastico possono essere istituite classi con docente unico.
Siamo contro questo decreto perché
la legge mira solo a contenere la spesa statale (non lo diciamo noi, ma l’articolo 4);
lo sbandierato mantenimento o eventuale aumento delle classi a tempo pieno non può avvenire a scapito delle altre soluzioni organizzative, per di più con un taglio considerevole di posti di lavoro;
tornare al maestro unico vuol dire tornare alla scuola del “leggere, scrivere e far di conto” (come recitavano i Programmi del 1955) “dimenticando” che le competenze socio affettive sono sempre più necessarie in una società in cui la famiglia che ha smarrito il suo ruolo;
comporta in maniera considerevole un aumento del numero di alunni per classe impedendo un’educazione al senso di cittadinanza attiva (fatto anche di solidarietà e partecipazione) degli stessi;
l’alto numerosi di alunni per classe impedisce al monolitico maestro unico di seguire tutti i discenti affidatigli,sia in senso socio affettivo che didattico;
si corre il rischio di costruire una scuola organizzata a due soluzioni entrambi non soddisfano nessuno: le classi a maestro unico per la riduzione del tempo scuola e l’impoverimento didattico, il tempo pieno che vedrebbe un aumento indiscriminato di alunni fermo restando che il fatto che il numero dei docenti non può aumentare anzi deve essere ridotto: si verrebbe così a creare una scuola somigliante più a un parcheggio che a un’istituzione formativa;
in una classe con un alto numero di iscritti e con un unico insegnante si tornerebbe, come un tempo, a favorire gli alunni già seguiti in famiglia e a penalizzare fortemente i più deboli o i più sfortunati;
le misure previste comportano un risparmio per lo stato di ben 8 miliardi di euro;
la chiusura i 4.000 scuole crea un enorme disagio a utenze residenti in località dovei servizi sono già ridotti e li costringe a una precoce pendolarizzazione (con notevole aumento delle spese a carico degli enti locali);
perché snatura radicalmente il tempo pieno;
svuota la scuola pubblica di contenuti, persone e mezzi a favore della scuola privata.
Inoltre, il Ministero persegue la progressiva riduzione del numero degli insegnanti di sostegno, penalizzando ancora una volta gli utenti più sfortunati, le loro famiglie e gli insegnanti curriculari.
Uno stato che non investe sua formazione, sull’educazione e sull’istruzione è uno stato che non investe sul futuro…
Per questo diciamo NO al decreto Gelmini…
perché tutto ciò disegna una scuola che non ci piace, che non vogliamo.
da Adistaonline, la fame e la borsa
Da Adista del 27 ottobre 2008 n. 76
PIÙ DELLA FAME POTÉ LA BORSA.
DOC-2053. ROMA-ADISTA.
Di certo non è - ancora - la fine del capitalismo, ma l’attuale crisi finanziaria globale ha indubbiamente decretato la morte, per usare le parole del teologo brasiliano Frei Betto, del dogma dell’immacolata concezione del libero mercato come panacea di tutti i mali.
“Ve l’avevamo detto”, potrebbe dire con ogni ragione quel movimento altermondialista che in tutto il mondo, vertice dopo vertice, mobilitazione dopo mobilitazione, non ha mai smesso di denunciare, tra molte altre cose, l’insostenibilità di una crescita vorticosa dell’economia virtuale (l’accumulazione di capitali per via speculativa, attraverso transazioni monetarie e finanziarie estranee alla produzione di beni e servizi) a scapito dell’economia reale, quella fatta di aziende agricole, stabilimenti industriali, esercizi commerciali. Un processo - come evidenzia lo scrittore e analista uruguayano Raúl Zibechi, nel suo articolo Cómo no van a estar eufóricos! (pubblicato dall’agenzia Alai Amlatina il 14 ottobre) - che ha preso avvio all’inizio degli anni ’70, quando il capitale, insofferente delle limitazioni e dei controlli previsti dallo Stato sociale, operò il salto da capitale fisso, vincolato a beni di produzione, a capitale finanziario, speculativo, sottraendosi così a fastidiosi controlli. Con le conseguenze a tutti note: Zibechi cita l’esempio dell’Argentina, dove il 10% più ricco, che nel 1986, poco dopo la fine della dittatura, presentava un reddito 12 volte superiore a quello del 10% più povero, è arrivato ad avere un reddito 58 volte più alto nel picco della crisi neoliberista, tra il 2001 e il 2002, per assestarsi, negli ultimi 5 anni, su un reddito 36 volte maggiore rispetto a quello del 10% più povero, comunque tre volte tanto l’eredità lasciata dai militari genocidi. “Neppure le terribili dittature – commenta Zibechi – sono riuscite a impoverirci tanto quanto le ‘crisi’ fabbricate dal capitale finanziario”. E se la bolla speculativa è infine scoppiata, l’analista si dice convinto che il capitale finanziario “uscirà da questa crisi ancora più concentrato, e con maggiore potere per eludere o neutralizzare i controlli”.
Nel frattempo, è stato lo Stato, il diffamatissimo e disprezzatissimo “Stato padrone”, a dover precipitosamente intervenire, mostrando come quelle risorse che mancano da sempre per salvare i poveri spuntino miracolosamente quando si tratta di salvare le banche: 700 miliardi di dollari contemplati dal piano di salvataggio delle banche Usa, addirittura 1.800 miliardi di euro previsti dal maxi fondo europeo per entrare direttamente nel capitale degli istituti in crisi e per garantire i prestiti tra le banche fino alla fine del 2009. Banche che, ovviamente, ringraziano. E festeggiano. Appena scampata al fallimento grazie all’intervento pubblico, la direzione del gruppo finanziario belga Fortis – racconta il quotidiano brasiliano Valor Econômico del 13 ottobre – ha allestito un banchetto di 200mila dollari a Monte Carlo (un insulto, ha commentato il Partito Socialista del Belgio), mentre, una settimana dopo essere stata tratta in salvo dal Tesoro Usa, la direzione della compagnia di assicurazione Aig ha speso 370mila dollari per un fine settimana in un lussuoso albergo su una spiaggia della California. Del resto, l’intoccabilità dei direttori di banca è cosa risaputa: per fare solo un esempio, il presidente della Merrill Lynch, Stanley O’Neall, se ne è tornato a casa con 161 milioni di dollari di liquidazione dopo aver procurato alla banca d’investimento una perdita di 7,7 miliardi di dollari.
Che un intervento statale in soccorso dei banchieri quale si è registrato in Europa e negli Stati Uniti non sia la via giusta per la soluzione della crisi lo hanno evidenziato in maniera netta gli economisti riuniti a Caracas, dall'8 all'11 ottobre, nella Conferenza internazionale di economia politica sul tema “Risposte del Sud alla crisi economica mondiale”: secondo gli esperti, quello che rivela l'attuale crisi finanziaria non è altro che la necessità “ineludibile” della costruzione di una nuova architettura finanziaria, nel quadro di una prospettiva di superamento del capitalismo a cui in Venezuela è stato dato il nome di “Socialismo del XXI secolo”. Di fronte al collasso del sistema finanziario internazionale, gli Stati “devono adottare misure urgenti di regolazione finanziaria per proteggere il risparmio”, stabilendo meccanismi di lotta all'inflazione e controlli immediati sul cambio e i movimenti di capitale, e lavorare alla creazione di nuove istituzioni economiche multilaterali, dotate degli strumenti necessari per combattere l'anarchia della speculazione. In America Latina, un ruolo chiave potrebbe essere svolto dal nascente Banco del Sur, quale “fulcro della trasformazione della già esistente rete di banche di investimento latinoamericane orientate verso la ricostruzione degli apparati produttivi sulla base dei diritti umani fondamentali”. Se infatti le crisi hanno sempre “vincitori e vinti”, la scommessa dovrebbe essere quella di garantire “il benessere e i diritti dei nostri popoli, dell'insieme dei cittadini e delle cittadine, e non quella di soccorrere i banchieri responsabili della crisi come sta avvenendo in Europa e negli Stati Uniti”. Da qui l'invito a potenziare l'integrazione commerciale regionale “in modo equilibrato, rafforzando le capacità industriali, agricole, energetiche e infrastrutturali”, e a incrementare le spese sociali per far fronte agli imminenti effetti della crisi internazionale sui popoli, anche attraverso la costituzione di un Fondo regionale di emergenza sociale.
Ma che dicono, rispetto a tutto ciò, le gerarchie ecclesiastiche? Molto poco, commenta il 6 ottobre, sul sito del quotidiano di Granada Ideal (www.ideal.es), il teologo spagnolo José María Castillo. Non è che papa, cardinali e vescovi non abbiano detto proprio nulla al riguardo – ironia e indignazione hanno suscitato peraltro le parole del papa sui soldi che non sono nulla (v. Adista n. 73/08) – ma, di certo, nota il teologo, se è a tutti noto cosa pensa la gerarchia sull’aborto, il divorzio, i contraccettivi, l’omosessualità, molto più difficile è capire cosa essa pensi della crisi del sistema finanziario.
PIÙ DELLA FAME POTÉ LA BORSA.
QUANDO LO STATO PADRONE VA IN SOCCORSO DEI BANCHIERI
DOC-2053. ROMA-ADISTA.
Di certo non è - ancora - la fine del capitalismo, ma l’attuale crisi finanziaria globale ha indubbiamente decretato la morte, per usare le parole del teologo brasiliano Frei Betto, del dogma dell’immacolata concezione del libero mercato come panacea di tutti i mali.
“Ve l’avevamo detto”, potrebbe dire con ogni ragione quel movimento altermondialista che in tutto il mondo, vertice dopo vertice, mobilitazione dopo mobilitazione, non ha mai smesso di denunciare, tra molte altre cose, l’insostenibilità di una crescita vorticosa dell’economia virtuale (l’accumulazione di capitali per via speculativa, attraverso transazioni monetarie e finanziarie estranee alla produzione di beni e servizi) a scapito dell’economia reale, quella fatta di aziende agricole, stabilimenti industriali, esercizi commerciali. Un processo - come evidenzia lo scrittore e analista uruguayano Raúl Zibechi, nel suo articolo Cómo no van a estar eufóricos! (pubblicato dall’agenzia Alai Amlatina il 14 ottobre) - che ha preso avvio all’inizio degli anni ’70, quando il capitale, insofferente delle limitazioni e dei controlli previsti dallo Stato sociale, operò il salto da capitale fisso, vincolato a beni di produzione, a capitale finanziario, speculativo, sottraendosi così a fastidiosi controlli. Con le conseguenze a tutti note: Zibechi cita l’esempio dell’Argentina, dove il 10% più ricco, che nel 1986, poco dopo la fine della dittatura, presentava un reddito 12 volte superiore a quello del 10% più povero, è arrivato ad avere un reddito 58 volte più alto nel picco della crisi neoliberista, tra il 2001 e il 2002, per assestarsi, negli ultimi 5 anni, su un reddito 36 volte maggiore rispetto a quello del 10% più povero, comunque tre volte tanto l’eredità lasciata dai militari genocidi. “Neppure le terribili dittature – commenta Zibechi – sono riuscite a impoverirci tanto quanto le ‘crisi’ fabbricate dal capitale finanziario”. E se la bolla speculativa è infine scoppiata, l’analista si dice convinto che il capitale finanziario “uscirà da questa crisi ancora più concentrato, e con maggiore potere per eludere o neutralizzare i controlli”.
Nel frattempo, è stato lo Stato, il diffamatissimo e disprezzatissimo “Stato padrone”, a dover precipitosamente intervenire, mostrando come quelle risorse che mancano da sempre per salvare i poveri spuntino miracolosamente quando si tratta di salvare le banche: 700 miliardi di dollari contemplati dal piano di salvataggio delle banche Usa, addirittura 1.800 miliardi di euro previsti dal maxi fondo europeo per entrare direttamente nel capitale degli istituti in crisi e per garantire i prestiti tra le banche fino alla fine del 2009. Banche che, ovviamente, ringraziano. E festeggiano. Appena scampata al fallimento grazie all’intervento pubblico, la direzione del gruppo finanziario belga Fortis – racconta il quotidiano brasiliano Valor Econômico del 13 ottobre – ha allestito un banchetto di 200mila dollari a Monte Carlo (un insulto, ha commentato il Partito Socialista del Belgio), mentre, una settimana dopo essere stata tratta in salvo dal Tesoro Usa, la direzione della compagnia di assicurazione Aig ha speso 370mila dollari per un fine settimana in un lussuoso albergo su una spiaggia della California. Del resto, l’intoccabilità dei direttori di banca è cosa risaputa: per fare solo un esempio, il presidente della Merrill Lynch, Stanley O’Neall, se ne è tornato a casa con 161 milioni di dollari di liquidazione dopo aver procurato alla banca d’investimento una perdita di 7,7 miliardi di dollari.
Che un intervento statale in soccorso dei banchieri quale si è registrato in Europa e negli Stati Uniti non sia la via giusta per la soluzione della crisi lo hanno evidenziato in maniera netta gli economisti riuniti a Caracas, dall'8 all'11 ottobre, nella Conferenza internazionale di economia politica sul tema “Risposte del Sud alla crisi economica mondiale”: secondo gli esperti, quello che rivela l'attuale crisi finanziaria non è altro che la necessità “ineludibile” della costruzione di una nuova architettura finanziaria, nel quadro di una prospettiva di superamento del capitalismo a cui in Venezuela è stato dato il nome di “Socialismo del XXI secolo”. Di fronte al collasso del sistema finanziario internazionale, gli Stati “devono adottare misure urgenti di regolazione finanziaria per proteggere il risparmio”, stabilendo meccanismi di lotta all'inflazione e controlli immediati sul cambio e i movimenti di capitale, e lavorare alla creazione di nuove istituzioni economiche multilaterali, dotate degli strumenti necessari per combattere l'anarchia della speculazione. In America Latina, un ruolo chiave potrebbe essere svolto dal nascente Banco del Sur, quale “fulcro della trasformazione della già esistente rete di banche di investimento latinoamericane orientate verso la ricostruzione degli apparati produttivi sulla base dei diritti umani fondamentali”. Se infatti le crisi hanno sempre “vincitori e vinti”, la scommessa dovrebbe essere quella di garantire “il benessere e i diritti dei nostri popoli, dell'insieme dei cittadini e delle cittadine, e non quella di soccorrere i banchieri responsabili della crisi come sta avvenendo in Europa e negli Stati Uniti”. Da qui l'invito a potenziare l'integrazione commerciale regionale “in modo equilibrato, rafforzando le capacità industriali, agricole, energetiche e infrastrutturali”, e a incrementare le spese sociali per far fronte agli imminenti effetti della crisi internazionale sui popoli, anche attraverso la costituzione di un Fondo regionale di emergenza sociale.
Ma che dicono, rispetto a tutto ciò, le gerarchie ecclesiastiche? Molto poco, commenta il 6 ottobre, sul sito del quotidiano di Granada Ideal (www.ideal.es), il teologo spagnolo José María Castillo. Non è che papa, cardinali e vescovi non abbiano detto proprio nulla al riguardo – ironia e indignazione hanno suscitato peraltro le parole del papa sui soldi che non sono nulla (v. Adista n. 73/08) – ma, di certo, nota il teologo, se è a tutti noto cosa pensa la gerarchia sull’aborto, il divorzio, i contraccettivi, l’omosessualità, molto più difficile è capire cosa essa pensi della crisi del sistema finanziario.
domenica 26 ottobre 2008
Un commento
Floriana ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "HO SCRITTO AL PRESIDENTE...":
In questi giorni si parla tanto di scuola, di come stanno "affamando" quella pubblica per far quadrare il bilancio.
Non sono apolitica perchè è impossibile esserlo, ogni parte della vita dell'uomo è politica, ma trovo amorale il mestiere del politicante: quelli di "adesso" fanno le leggi con il consenso dei quelli di "prima", quindi mi sembra proprio un "teatrino" per dirla con le parole di G.Gaber.
Di questo disegno di legge se ne parla dalle vacanze estive, solo ora si è capito il rischio che sta correndo la scuola pubblica? Ormai i giochi sono fatti, dal Parlamento dove è stata approvata, è passata al Senato, il Quirinale è stato invaso da migliaia di email ma il nostro Caro Presidente dice che non ha voce in capitolo. Ce lo vedete voi il Presidente Pertini firmare queste ultime leggi salva-casta? Io proprio no.
Gli sprechi ci sono, va regolarizzato un pò tutto il pubblico impiego, questo non si mette in dubbio, ma cominciamo da ciò che è superfluo, non dal nostro futuro. Chi non investe sui bambini, futuri cittadini, è un ignorante, un cinico, un approfittatore delle fasce deboli, i bambini non votano.
Io sono positiva per natura, sono certa che gli italiani ce la faranno, ma non restiamo a guardarementre distruggono una scuola, quella elementare, che è il fiore all'occhiello del nostro sistema scolastico, tra le prime cinque nel mondo.
Abbiamo una legge sull'handicap la 104 da far invidia ai migliori paesi democratici industrializzati, ma in Italia viene applicata male perchè non ci sono i fondi.
L'integrazione con gli stranieri la facciamo quotidianamente, sul campo, con i problemi che i politici ottusi ci lasciano. Come si fa a fare integrazione se istituisci delle classi "differenziate", dove metti tutti gli stranieri ad imparare l'italiano. Ma non vi ricorda la legge razziale del '36 quando i bambini ebrei venivano messi da parte?
Scusate lo sfogo, ma rientra negli "obiettivi" di una maestra difendere i propri alunni, ho approfittato di questo mio spazio per dare sfogo alla rabbia, umana, nel vedere l'ignoranza imperante nel nostro Parlamento.
Inviterei i vari Ministri a passare un po' di tempo nelle nostre aule prima di varare un altro bel decreto sulla scuola.
Postato da Floriana in NESSUNO ESCLUSO alle 26 ottobre 2008 5.59
Invito i lettori a inviare testi così li pubblico...
Grazie a tutti i 'commentatori'
Giuliano
In questi giorni si parla tanto di scuola, di come stanno "affamando" quella pubblica per far quadrare il bilancio.
Non sono apolitica perchè è impossibile esserlo, ogni parte della vita dell'uomo è politica, ma trovo amorale il mestiere del politicante: quelli di "adesso" fanno le leggi con il consenso dei quelli di "prima", quindi mi sembra proprio un "teatrino" per dirla con le parole di G.Gaber.
Di questo disegno di legge se ne parla dalle vacanze estive, solo ora si è capito il rischio che sta correndo la scuola pubblica? Ormai i giochi sono fatti, dal Parlamento dove è stata approvata, è passata al Senato, il Quirinale è stato invaso da migliaia di email ma il nostro Caro Presidente dice che non ha voce in capitolo. Ce lo vedete voi il Presidente Pertini firmare queste ultime leggi salva-casta? Io proprio no.
Gli sprechi ci sono, va regolarizzato un pò tutto il pubblico impiego, questo non si mette in dubbio, ma cominciamo da ciò che è superfluo, non dal nostro futuro. Chi non investe sui bambini, futuri cittadini, è un ignorante, un cinico, un approfittatore delle fasce deboli, i bambini non votano.
Io sono positiva per natura, sono certa che gli italiani ce la faranno, ma non restiamo a guardarementre distruggono una scuola, quella elementare, che è il fiore all'occhiello del nostro sistema scolastico, tra le prime cinque nel mondo.
Abbiamo una legge sull'handicap la 104 da far invidia ai migliori paesi democratici industrializzati, ma in Italia viene applicata male perchè non ci sono i fondi.
L'integrazione con gli stranieri la facciamo quotidianamente, sul campo, con i problemi che i politici ottusi ci lasciano. Come si fa a fare integrazione se istituisci delle classi "differenziate", dove metti tutti gli stranieri ad imparare l'italiano. Ma non vi ricorda la legge razziale del '36 quando i bambini ebrei venivano messi da parte?
Scusate lo sfogo, ma rientra negli "obiettivi" di una maestra difendere i propri alunni, ho approfittato di questo mio spazio per dare sfogo alla rabbia, umana, nel vedere l'ignoranza imperante nel nostro Parlamento.
Inviterei i vari Ministri a passare un po' di tempo nelle nostre aule prima di varare un altro bel decreto sulla scuola.
Postato da Floriana in NESSUNO ESCLUSO alle 26 ottobre 2008 5.59
Invito i lettori a inviare testi così li pubblico...
Grazie a tutti i 'commentatori'
Giuliano
sabato 25 ottobre 2008
dal numero odierno de La Nonviolenza in cammino, alcuni testi
Da NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 619 del 25 ottobre 2008
Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Sommario di questo numero:
1. La domandina del facinoroso
2. Diana Napoli: La strana disfatta. Elegia sulla fine della cultura
3. Per il 4 novembre giorno di lutto
4. Luigi Cancrini: La schiava
5. Le anime belle
6. Il poker e il bluff
7. Nicola Tranfaglia ricorda Vittorio Foa
8. Enrico Peyretti presenta "Tutto me stesso prima di morire" di Carlo Massa
9. Enrico Peyretti presenta "La mia vita per la pace" di Max Josef Metzger
10. Enrico Peyretti presenta "Un cattolico a modo suo" di Pietro Scoppola
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di più
2. La prostituta nigeriana che fugge di fronte ad un'auto della polizia e muore travolta da un'auto che va per la sua strada e che nulla poteva fare per evitare questo incidente dovrebbe diventare, in una nazione davvero civile, il simbolo del tempo che stiamo vivendo. Un tempo amaro e crudele. Parigi 1793. I giacobini (la parola che tanto odio suscita in chi oggi da destra ci governa) ottengono dall'Assemblea nazionale la legge che riconosce pari diritti, nella Repubblica nata dalla rivoluzione, ai neri e ai bianchi, ai colonizzatori e ai colonizzati, abolendo di fatto e per la prima volta nella storia dell'uomo la schiavitù. Una schiavitù che sembrava naturale negli Stati Uniti e nell'Inghilterra dove tanto pur si parlava di democrazia, che non creava problemi alla Chiesa Cattolica né alle altre religioni e che fu presto ristabilita in Francia da Napoleone: al tempo in cui Beethoven cancellò la dedica della Sinfonia n. 3, Eroica, fatta al nuovo imperatore dei francesi, strappando, per la rabbia, la prima pagina della sua partitura. Una schiavitù di cui noi cittadini europei pensavamo fosse scomparsa. Una schiavitù di cui la povera ragazza nigeriana ci dice che esiste ancora. Di cui lei può essere considerata un simbolo. Schiavo era, finché la schiavitù era in vigore, un essere umano privo di diritti formali (il diritto di cittadinanza e dunque di voto e di partecipazione alla cosa pubblica) e sostanziali (alla salute e alla casa, al lavoro e all'istruzione). Riconosciuti dalla nostra Costituzione ai cittadini italiani ed europei, questi diritti sono riconosciuti solo in parte e solo per la parte che riguarda i diritti sostanziali agli emigrati regolari. Non sono riconosciuti affatto a quelli irregolari di cui si dimentica tranquillamente (cinicamente, irresponsabilmente) la vicenda (il dramma) che li ha spinti a cercare la solidarietà di uomini e di donne nati in luoghi più protetti (da Dio, dalla fortuna, dal capitale) e che sono da questi costretti a vivere in una condizione perfettamente analoga (e a volte perfino peggiore) a quella degli schiavi. Immersi in una spirale di odio e di diffidenza. Travolti perfino dal punto di vista di quello che un tempo era "il diritto", dalla follia (apparentemente) lucida dei governanti di un Paese che é arrivato a considerare reato o almeno aggravante di reato la loro richiesta d'aiuto (o di asilo). Il loro investire quello che hanno in un viaggio della speranza destinato a distruggere, in una gran parte dei casi, tutti i loro sogni. Dando fondo a tutte le loro risorse. É in questa luce che, ancora una volta, dobbiamo valutare il significato simbolico di questa morte. L'unica risorsa di cui disponeva la povera ragazza di cui nessuno sa neanche il nome erano i suoi vent'anni e la capacità del suo corpo giovane di suscitare un interesse sessuale negli uomini del paese in cui sognava di arrivare. Vendere il proprio corpo per la strada con l'aiuto interessato dei delinquenti che sfruttavano la sua vergogna e la sua sconfitta era, per lei, l'unica possibilità di realizzare il suo sogno. Il suo progetto. Osservata da questo punto di vista la vicenda é il simbolo della condizione della donna e di tanti bambini del terzo mondo per cui prostituirsi, oggi, é un tentativo disperato di sopravvivere: per sé o per la propria famiglia di origine quando chi ti compra paga qualcosa ai tuoi genitori o i tuoi fratelli. Dicendoti chiaro, come in tanti casi é stato provato, che chi ha ricevuto dei soldi per il tuo sacrificio potrebbe subire gravi danni per la tua colpa se tu da chi ti ha pagato tenterai un giorno di liberarti. Di fuggire. L'ultimo riferimento di ordine simbolico della vicenda sta nel contrasto forte fra la freddezza della notizia giornalistica o televisiva e il vero e proprio dramma vissuto dalle persone che hanno investito e ucciso la ragazza che fuggiva. Come se solo la vicinanza alla sofferenza e al corpo della persona potesse dare il senso dell'immensità della tragedia in cui tutti siamo immersi: di cui riusciamo a non accorgerci e a non sapere finché il caso non ci mette di fronte al modo in cui la tragedia si fa ferita o morte, urlo di dolore o silenzio rassegnato. Interrompendo per un attimo, per poche persone, il sogno in cui tutti abbiamo bisogno di credere: l'idea di una società giusta, in cui queste cose non esistono, in cui la schiavitù non esiste più da tempo. L'idea e il sogno che sono gli alleati più potenti di tanti (troppi) che oggi ci governano spingendo la gente (che vota) a non vedere e non pensare. L'idea folle che nasce da tutte queste riflessioni potrebbe essere quella che si basa sul bisogno opposto, il bisogno di vedere e di ricordare. Erigendo un monumento all'emigrato clandestino nel luogo di questa tragedia. Dando il nome della ragazza nigeriana morta in questo modo assurdo ad una strada della città più vicina al luogo della sua morte.
5. EDITORIALE. LE ANIME BELLE
Le anime belle che si indignano con Colin Powell che ammette oggi il tragico errore dello scatenamento della guerra in Iraq che tuttora perdura. Sono le stesse anime belle che da anni appoggiano la guerra in Afghanistan, la guerra terrorista e stragista in Afghanistan, la guerra cui anche l'Italia partecipa in violazione della sua legge fondamentale e del diritto internazionale. Quando al tempo del governo Prodi le anime belle si prostituirono alla guerra, ritennero la legalità costituzionale una variabile dipendente, accettarono di essere mandanti e complici delle stragi, allora, già allora, si fecero complici del fascismo e del crimine organizzato, del terrorismo di stato e di banda, della guerra nemica dell'umanità. La loro indignazione per le malefatte altrui non giova a occultare il crimine loro. Crimine per il quale tanti sedicenti pacifisti e fin pretesi nonviolenti non hanno ancora pronunciato una sola parola di pentimento, così continuando ad essere non solo i complici fedeli serventi delle stragi che proseguono ancora in Afghanistan, ma anche i mallevadori e i maggiordomi del dispiegato eversivo banditismo oggi al potere nel nostro stesso paese contro la stessa popolazione italiana.
*
Occorre opporsi alla guerra. Occorre chiedere l'immediato ripristino della legalità costituzionale. Occorre battersi per il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti. Occorre scegliere la giustizia e la solidarietà con l'umanità intera. Occorre scegliere la verità, la forza della verità, la nonviolenza che sola può salvare l'umanità in questa tragica distretta.
12. PER SAPERNE DI PIÙ
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org/ ; per contatti: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.miritalia.org/ ; per contatti: mir@peacelink.it , luciano.benini@tin.it , sudest@iol.it , paolocand@libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it/ ; per contatti: info@peacelink.it
Numero 619 del 25 ottobre 2008
Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Sommario di questo numero:
1. La domandina del facinoroso
2. Diana Napoli: La strana disfatta. Elegia sulla fine della cultura
3. Per il 4 novembre giorno di lutto
4. Luigi Cancrini: La schiava
5. Le anime belle
6. Il poker e il bluff
7. Nicola Tranfaglia ricorda Vittorio Foa
8. Enrico Peyretti presenta "Tutto me stesso prima di morire" di Carlo Massa
9. Enrico Peyretti presenta "La mia vita per la pace" di Max Josef Metzger
10. Enrico Peyretti presenta "Un cattolico a modo suo" di Pietro Scoppola
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di più
2. La prostituta nigeriana che fugge di fronte ad un'auto della polizia e muore travolta da un'auto che va per la sua strada e che nulla poteva fare per evitare questo incidente dovrebbe diventare, in una nazione davvero civile, il simbolo del tempo che stiamo vivendo. Un tempo amaro e crudele. Parigi 1793. I giacobini (la parola che tanto odio suscita in chi oggi da destra ci governa) ottengono dall'Assemblea nazionale la legge che riconosce pari diritti, nella Repubblica nata dalla rivoluzione, ai neri e ai bianchi, ai colonizzatori e ai colonizzati, abolendo di fatto e per la prima volta nella storia dell'uomo la schiavitù. Una schiavitù che sembrava naturale negli Stati Uniti e nell'Inghilterra dove tanto pur si parlava di democrazia, che non creava problemi alla Chiesa Cattolica né alle altre religioni e che fu presto ristabilita in Francia da Napoleone: al tempo in cui Beethoven cancellò la dedica della Sinfonia n. 3, Eroica, fatta al nuovo imperatore dei francesi, strappando, per la rabbia, la prima pagina della sua partitura. Una schiavitù di cui noi cittadini europei pensavamo fosse scomparsa. Una schiavitù di cui la povera ragazza nigeriana ci dice che esiste ancora. Di cui lei può essere considerata un simbolo. Schiavo era, finché la schiavitù era in vigore, un essere umano privo di diritti formali (il diritto di cittadinanza e dunque di voto e di partecipazione alla cosa pubblica) e sostanziali (alla salute e alla casa, al lavoro e all'istruzione). Riconosciuti dalla nostra Costituzione ai cittadini italiani ed europei, questi diritti sono riconosciuti solo in parte e solo per la parte che riguarda i diritti sostanziali agli emigrati regolari. Non sono riconosciuti affatto a quelli irregolari di cui si dimentica tranquillamente (cinicamente, irresponsabilmente) la vicenda (il dramma) che li ha spinti a cercare la solidarietà di uomini e di donne nati in luoghi più protetti (da Dio, dalla fortuna, dal capitale) e che sono da questi costretti a vivere in una condizione perfettamente analoga (e a volte perfino peggiore) a quella degli schiavi. Immersi in una spirale di odio e di diffidenza. Travolti perfino dal punto di vista di quello che un tempo era "il diritto", dalla follia (apparentemente) lucida dei governanti di un Paese che é arrivato a considerare reato o almeno aggravante di reato la loro richiesta d'aiuto (o di asilo). Il loro investire quello che hanno in un viaggio della speranza destinato a distruggere, in una gran parte dei casi, tutti i loro sogni. Dando fondo a tutte le loro risorse. É in questa luce che, ancora una volta, dobbiamo valutare il significato simbolico di questa morte. L'unica risorsa di cui disponeva la povera ragazza di cui nessuno sa neanche il nome erano i suoi vent'anni e la capacità del suo corpo giovane di suscitare un interesse sessuale negli uomini del paese in cui sognava di arrivare. Vendere il proprio corpo per la strada con l'aiuto interessato dei delinquenti che sfruttavano la sua vergogna e la sua sconfitta era, per lei, l'unica possibilità di realizzare il suo sogno. Il suo progetto. Osservata da questo punto di vista la vicenda é il simbolo della condizione della donna e di tanti bambini del terzo mondo per cui prostituirsi, oggi, é un tentativo disperato di sopravvivere: per sé o per la propria famiglia di origine quando chi ti compra paga qualcosa ai tuoi genitori o i tuoi fratelli. Dicendoti chiaro, come in tanti casi é stato provato, che chi ha ricevuto dei soldi per il tuo sacrificio potrebbe subire gravi danni per la tua colpa se tu da chi ti ha pagato tenterai un giorno di liberarti. Di fuggire. L'ultimo riferimento di ordine simbolico della vicenda sta nel contrasto forte fra la freddezza della notizia giornalistica o televisiva e il vero e proprio dramma vissuto dalle persone che hanno investito e ucciso la ragazza che fuggiva. Come se solo la vicinanza alla sofferenza e al corpo della persona potesse dare il senso dell'immensità della tragedia in cui tutti siamo immersi: di cui riusciamo a non accorgerci e a non sapere finché il caso non ci mette di fronte al modo in cui la tragedia si fa ferita o morte, urlo di dolore o silenzio rassegnato. Interrompendo per un attimo, per poche persone, il sogno in cui tutti abbiamo bisogno di credere: l'idea di una società giusta, in cui queste cose non esistono, in cui la schiavitù non esiste più da tempo. L'idea e il sogno che sono gli alleati più potenti di tanti (troppi) che oggi ci governano spingendo la gente (che vota) a non vedere e non pensare. L'idea folle che nasce da tutte queste riflessioni potrebbe essere quella che si basa sul bisogno opposto, il bisogno di vedere e di ricordare. Erigendo un monumento all'emigrato clandestino nel luogo di questa tragedia. Dando il nome della ragazza nigeriana morta in questo modo assurdo ad una strada della città più vicina al luogo della sua morte.
5. EDITORIALE. LE ANIME BELLE
Le anime belle che si indignano con Colin Powell che ammette oggi il tragico errore dello scatenamento della guerra in Iraq che tuttora perdura. Sono le stesse anime belle che da anni appoggiano la guerra in Afghanistan, la guerra terrorista e stragista in Afghanistan, la guerra cui anche l'Italia partecipa in violazione della sua legge fondamentale e del diritto internazionale. Quando al tempo del governo Prodi le anime belle si prostituirono alla guerra, ritennero la legalità costituzionale una variabile dipendente, accettarono di essere mandanti e complici delle stragi, allora, già allora, si fecero complici del fascismo e del crimine organizzato, del terrorismo di stato e di banda, della guerra nemica dell'umanità. La loro indignazione per le malefatte altrui non giova a occultare il crimine loro. Crimine per il quale tanti sedicenti pacifisti e fin pretesi nonviolenti non hanno ancora pronunciato una sola parola di pentimento, così continuando ad essere non solo i complici fedeli serventi delle stragi che proseguono ancora in Afghanistan, ma anche i mallevadori e i maggiordomi del dispiegato eversivo banditismo oggi al potere nel nostro stesso paese contro la stessa popolazione italiana.
*
Occorre opporsi alla guerra. Occorre chiedere l'immediato ripristino della legalità costituzionale. Occorre battersi per il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti. Occorre scegliere la giustizia e la solidarietà con l'umanità intera. Occorre scegliere la verità, la forza della verità, la nonviolenza che sola può salvare l'umanità in questa tragica distretta.
12. PER SAPERNE DI PIÙ
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org/ ; per contatti: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.miritalia.org/ ; per contatti: mir@peacelink.it , luciano.benini@tin.it , sudest@iol.it , paolocand@libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it/ ; per contatti: info@peacelink.it
Pierre colpisce ancora...e meno male!
La poesia pubblicata nell'ultimo post NON E' DI BRECHT.
Ecco cosa mi scrive Pierre che ringrazio per l'attenzione (e la precisione, anche perchè io sono anni che cerco questa poesia, senza trovarala. Ci credevo, pensavo fosse di Brecht...)
Prima vennero...
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Prima vennero… è una poesia attribuita al pastore Martin Niemöller (1892 – 1984) sull'inattività degli intellettuali tedeschi in seguito all'ascesa al potere dei nazisti e delle purghe dei loro obiettivi scelti, gruppo dopo gruppo. La poesia è ben conosciuta e frequentemente citata, ed è un modello popolare per descrivere i pericoli dell'apatia politica, e come essa alle volte inizi con un odio teso ad impaurire obiettivi e di come alle volte esca fuori controllo.
Indice
1 Controversia sull'origine e sul testo
2 Variazioni nella cultura anglofona
2.1 Influenza
3 Note
4 Altri progetti
5 Collegamenti esterni
Controversia sull'origine e sul testo
Nei paesi di lingua spagnola la poesia è stata spesso erroneamente attribuita a Bertolt Brecht sin dagli anni settanta. L'origine esatta della poesia non è chiara, e almeno uno storico ha suggerito che la poesia sia diventata famosa dopo la scomparsa di Niemöller.[1] Ciò è errato, poiché la poesia era propagandata ampiamente da attivisti sociali negli Stati Uniti almeno dagli anni sessanta per in sostegno dei diritti civili e in opposizione alla Guerra del Vietnam. Ricerche più recenti hanno fatto risalire i sentimenti espressi nella poesia a discorsi tenuti da Niemöller nel 1946.[2] In ogni caso, il testo della poesia rimane controverso: ci sono molte varianti, che si differenziano sia per le persone citate (comunisti, socialisti, ebrei, cattolici, testimoni di Geova, malati incurabili, ecc.), sia per l'ordine in cui sono citate.[3]
Come citato da Richard John Neuhaus nel novembre 2001, quando nel 1971 gli fu chiesta la corretta versione da riportare Niemöller disse che non era molto sicuro di aver detto le famose parole ma, se la gente insisteva nel citarlo, lui avrebbe preferito questa versione che parla di comunisti, socialdemocratici, sindacalisti, me.
Variazioni nella cultura anglofona
Ironicamente, quando il poema fu declamato negli Stati Uniti nel 1950, la prima strofa che si riferiva ai comunisti, era spesso omessa, probabilmente per via della nascita del Maccartismo e della Paura Rossa.
La versione inscritta nel Monumento all'Olocausto del New England a Boston, Massachusetts parla di comunisti, ebrei, sindacalisti, cattolici.
Un'altra variante fu stampata dalla rivista Time il 28 agosto, 1989, commemorando il cinquantesimo anniversario dell'inizio della Seconda Guerra Mondiale. Questa versione parla di comunisti, ebrei, cattolici, me.
La variante che si trova nella maggior parte dei manifesti e poster in lingua inglese parla di socialisti, sindacalisti, ebrei, me.
Influenza
La poesia ha influenzato la canzone "Yellow Triangle" ("Triangolo Giallo") del cantante di musica folk Christy Moore.
Nel 1991 il duo musicale scozzese Hue and Cry parafrasò la poesia in una canzone registrata al Cirque Royale di Bruxelles. La porzione rilevante della canzone era:
When they came for the Jews and the blacks, I turned away (Quando vennero per gli ebrei ed i neri, distolsi gli occhi)
When they came for the writers and the thinkers and the radicals and the protestors, I turned away (Quando vennero per gli scrittori e i pensatori ed i radicali e i dimostranti, distolsi gli occhi)
When they came for the gays, and the minorities, and the utopians, and the dancers, I turned away (Quando vennero per gli omosessuali, per le minoranze, gli utopisti, i ballerini, distolsi gli occhi)
And when they came for me, I turned around and around, and there was nobody left...
(E poi quando vennero per me mi voltai e mi guardai intorno, non era rimasto più nessuno...)
Influenzò anche la canzone "Emigre" degli Anti-Flag. La canzone, registrata nell'album "For Blood and Empire" si riferisce a "First they came…" nella prima strofa:
First they came for the communists, and I did not speak out
Then they came for the socialists, and I did not speak out
Next they came for the trade unionists, and I did not speak out
And then they came for me!
Note
^ Martin Niemöller. Spartus Educational. URL consultato il 16/02/2006.
^ Harold Marcuse. Martin Niemöller. (12 settembre, 2000). URL consultato il 2006-02-16.
^ Per i testi completi si rimanda a Martin Niemöller.
Ecco cosa mi scrive Pierre che ringrazio per l'attenzione (e la precisione, anche perchè io sono anni che cerco questa poesia, senza trovarala. Ci credevo, pensavo fosse di Brecht...)
Prima vennero...
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Prima vennero… è una poesia attribuita al pastore Martin Niemöller (1892 – 1984) sull'inattività degli intellettuali tedeschi in seguito all'ascesa al potere dei nazisti e delle purghe dei loro obiettivi scelti, gruppo dopo gruppo. La poesia è ben conosciuta e frequentemente citata, ed è un modello popolare per descrivere i pericoli dell'apatia politica, e come essa alle volte inizi con un odio teso ad impaurire obiettivi e di come alle volte esca fuori controllo.
Indice
1 Controversia sull'origine e sul testo
2 Variazioni nella cultura anglofona
2.1 Influenza
3 Note
4 Altri progetti
5 Collegamenti esterni
Controversia sull'origine e sul testo
Nei paesi di lingua spagnola la poesia è stata spesso erroneamente attribuita a Bertolt Brecht sin dagli anni settanta. L'origine esatta della poesia non è chiara, e almeno uno storico ha suggerito che la poesia sia diventata famosa dopo la scomparsa di Niemöller.[1] Ciò è errato, poiché la poesia era propagandata ampiamente da attivisti sociali negli Stati Uniti almeno dagli anni sessanta per in sostegno dei diritti civili e in opposizione alla Guerra del Vietnam. Ricerche più recenti hanno fatto risalire i sentimenti espressi nella poesia a discorsi tenuti da Niemöller nel 1946.[2] In ogni caso, il testo della poesia rimane controverso: ci sono molte varianti, che si differenziano sia per le persone citate (comunisti, socialisti, ebrei, cattolici, testimoni di Geova, malati incurabili, ecc.), sia per l'ordine in cui sono citate.[3]
Come citato da Richard John Neuhaus nel novembre 2001, quando nel 1971 gli fu chiesta la corretta versione da riportare Niemöller disse che non era molto sicuro di aver detto le famose parole ma, se la gente insisteva nel citarlo, lui avrebbe preferito questa versione che parla di comunisti, socialdemocratici, sindacalisti, me.
Variazioni nella cultura anglofona
Ironicamente, quando il poema fu declamato negli Stati Uniti nel 1950, la prima strofa che si riferiva ai comunisti, era spesso omessa, probabilmente per via della nascita del Maccartismo e della Paura Rossa.
La versione inscritta nel Monumento all'Olocausto del New England a Boston, Massachusetts parla di comunisti, ebrei, sindacalisti, cattolici.
Un'altra variante fu stampata dalla rivista Time il 28 agosto, 1989, commemorando il cinquantesimo anniversario dell'inizio della Seconda Guerra Mondiale. Questa versione parla di comunisti, ebrei, cattolici, me.
La variante che si trova nella maggior parte dei manifesti e poster in lingua inglese parla di socialisti, sindacalisti, ebrei, me.
Influenza
La poesia ha influenzato la canzone "Yellow Triangle" ("Triangolo Giallo") del cantante di musica folk Christy Moore.
Nel 1991 il duo musicale scozzese Hue and Cry parafrasò la poesia in una canzone registrata al Cirque Royale di Bruxelles. La porzione rilevante della canzone era:
When they came for the Jews and the blacks, I turned away (Quando vennero per gli ebrei ed i neri, distolsi gli occhi)
When they came for the writers and the thinkers and the radicals and the protestors, I turned away (Quando vennero per gli scrittori e i pensatori ed i radicali e i dimostranti, distolsi gli occhi)
When they came for the gays, and the minorities, and the utopians, and the dancers, I turned away (Quando vennero per gli omosessuali, per le minoranze, gli utopisti, i ballerini, distolsi gli occhi)
And when they came for me, I turned around and around, and there was nobody left...
(E poi quando vennero per me mi voltai e mi guardai intorno, non era rimasto più nessuno...)
Influenzò anche la canzone "Emigre" degli Anti-Flag. La canzone, registrata nell'album "For Blood and Empire" si riferisce a "First they came…" nella prima strofa:
First they came for the communists, and I did not speak out
Then they came for the socialists, and I did not speak out
Next they came for the trade unionists, and I did not speak out
And then they came for me!
Note
^ Martin Niemöller. Spartus Educational. URL consultato il 16/02/2006.
^ Harold Marcuse. Martin Niemöller. (12 settembre, 2000). URL consultato il 2006-02-16.
^ Per i testi completi si rimanda a Martin Niemöller.
giovedì 23 ottobre 2008
Grazie, Pierre
Un gentile lettore, ha letto un precedente blog in cui citavo, a memoria, una poesia di Brecht che non riuscivo più a trovare nei miei libri.
Cordialmente me l'ha inviata e la pubblico, dedicandola a tutti gli ignavi...
Ecco la poesia di Bertolt Brecht:
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare
Meditate, gente, meditate...Davvero viviamo in tempi bui (tanto per ricitare Brecht). Magari non tanto bui come i suoi...ma non c'è male...
Cordialmente me l'ha inviata e la pubblico, dedicandola a tutti gli ignavi...
Ecco la poesia di Bertolt Brecht:
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare
Meditate, gente, meditate...Davvero viviamo in tempi bui (tanto per ricitare Brecht). Magari non tanto bui come i suoi...ma non c'è male...
UNA PRECISAZIONE (PER SILVIO BERLUSCONI)
CARO SILVIO,
IL FATTO CHE ABBIA INTITOLATO (A DIRE IL VERO, NON SONO STATO IO MA QUEI PROTESTANTI DI BIELLA -HO DETTO PROTESTANTI, NON CONTESTATORI, RILASSATI DUNQUE) ALL'OMBRA DI DIO IL PRECEDENTE POST, NON SIGNIFICA CHE L'INIZIATIVA TI RIGUARDASSE IN QUALCHE MODO...
...SE HAI CREDUTO QUESTO, SIGNIFICA CHE, UNA VOLTA TANTO, SEI STATO TU A FRAINTENDERE...
AFFETTUOSAMENTE...
giuliano
IL FATTO CHE ABBIA INTITOLATO (A DIRE IL VERO, NON SONO STATO IO MA QUEI PROTESTANTI DI BIELLA -HO DETTO PROTESTANTI, NON CONTESTATORI, RILASSATI DUNQUE) ALL'OMBRA DI DIO IL PRECEDENTE POST, NON SIGNIFICA CHE L'INIZIATIVA TI RIGUARDASSE IN QUALCHE MODO...
...SE HAI CREDUTO QUESTO, SIGNIFICA CHE, UNA VOLTA TANTO, SEI STATO TU A FRAINTENDERE...
AFFETTUOSAMENTE...
giuliano
LETTERA DI BRUNETTO SALVARANI SULLA VII GIORNATA DEL DIALOGO CRISTIANO ISLAMICO
VII Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamicoLettera alle donne e agli uomini di buona volonta’ in occasione della settima giornata ecumenica del dialogo
Cari amici e amiche, fratelli e sorelle,
il 27 ottobre 2008 celebreremo la settima giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico.
Come sapete, questa iniziativa ormai radicatasi in tutta Italia si ispira al fatto che il 14 dicembre 2001, ultimo venerdì del mese di Ramadan dell’anno 1422 dall’Egira, Giovanni Paolo II chiese a tutti, donne e uomini di buona volontà (nel cuore della guerra in Afghanistan!) di condividere il digiuno di Ramadan. Un messaggio altissimo, inviato significativamente a soli tre mesi dal terribile 11 settembre, che nella strategia pontificia proseguiva quella pedagogia dei gesti con cui egli aveva scelto di porsi di fronte alle fedi altre, sin dai primi tempi del papato. Da allora, quell’ultimo venerdì è divenuto, per molti cristiani di diverse confessioni e musulmani in Italia, la ricorrenza simbolica in cui ritrovarsi, per rilanciare l’urgenza del dialogo. Nonostante tutto! Nonostante questi giorni cattivi che durano da troppo tempo, segnati più dalla pesantezza delle chiusure identitarie e degli individualismi eretti a sistema che dalla leggerezza che il nostro Italo Calvino, nelle sue Lezioni americane, invitava a portare con sé come virtù chiave per il terzo millennio. La differenza, come capita spesso, la può fare l’iniziativa dal basso, che rompe gli schemi delle persone serrate nelle rispettive appartenenze e mette a contatto donne e uomini dei vari credi o senza credo che si ritrovano assieme per dire che non ne possono più di odio, e di religioni strumentalizzate al servizio dei potenti di turno. Ma come rilanciare il tema del dialogo, mentre tale parola rischia il depotenziamento, o addirittura l’insignificanza, a causa del suo abuso e della sua banalizzazione?
LA MEMORIA DI ASSISI
Prima di provare a rispondere, bisogna evidenziare che quest’anno si registra una novità nell’iniziativa sopra citata: invece di svolgersi l’ultimo venerdì di Ramadan, come ormai d’abitudine, la Giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico sarà celebrata il prossimo 27 ottobre, a memoria di quello stesso giorno che, nel lontano 1986, vide riunirsi ad Assisi molti rappresentanti delle religioni mondiali a pregare per la pace. D’ora in poi, per ragioni di praticità (la ricorrenza era mobile, come il calendario islamico, e presto saremmo giunti all’appuntamento in piena estate) la data del 27 ottobre rimarrà fissa, permettendoci di segnare in anticipo la ricorrenza nelle nostre agende.
Appare difficile negare, peraltro, che il popolo del dialogo arrivi a tale scadenza con il fiato corto, per più di una ragione. Non pochi osservatori stanno annotando, anzi, che confronto dialogico fra cristiani e musulmani ha subito, perlomeno alle nostre latitudini, una brusca frenata: da qualche tempo sono drasticamente diminuite le occasioni d’incontro, alcuni laboratori teologici ben avviati sono stati chiusi e persino la terminologia adottata (termini quali dialogo ed ecumenismo) si è fatta sospetta a diverse orecchie, in quanto percepita come pericolosamente prossima a relativismo e sincretismo. C’è scoramento diffuso, stanchezza, disillusione. In controtendenza, andrà citato il processo in atto cominciato un anno fa (13 ottobre 2007) attorno alla lettera dei 138 saggi musulmani inviata ai responsabili delle chiese cristiane, che potrebbe costituire un importante fattore di novità. Nel complesso, tuttavia, si può affermare che sta rischiando seriamente di sfilacciarsi la rete di buone pratiche d’incontri fraterni, conoscenze, amicizie tra le due realtà religiose che, paradossalmente soprattutto dopo il dramma delle Twin Towers, avevano trovato impulso un po’ dappertutto nel nostro Paese.
Viene da chiedersi, allora: dov’è finita quell’operosità nel dialogo, che aveva consentito di approfondire una certa reciproca conoscenza e reso realistica qualche azione comune contro il pregiudizio e i fondamentalismi religiosi da una parte, ma anche per una positiva convivenza in una società sempre più multi e interculturale dall’altra? Non è facile rispondere, o forse sì: si sente ripetere che il vento è cambiato, che sta trionfando il senso di paura nei confronti dell’altro, e che i frutti ottenuti sinora dai dialoghi effettuati sono troppo esigui, per cui risulta naturale scoraggiarsi. Siamo passati dal tempo dell’incontro alla denuncia generalizzata dei suoi rischi; dalla prospettiva di un radunarsi intorno a valori e impegni comuni, dalla proclamazione della libertà religiosa, dalla lotta contro l’islamofobia e qualsiasi forma di razzismo in questi mesi risorgente, alla rivendicazione orgogliosa della propria identità. Fino al martellamento costante dei media e di vari politici imprenditori della paura contro l’edificazione di nuove moschee e luoghi di culto, sempre e in ogni caso visti come potenziali cellule terroristiche.
LE FONDAMENTA DELL’INCONTRO
Questa può essere un’occasione propizia, dunque, per soffermarci, una volta di più, sulle fondamenta dell’incontro interreligioso, nella consapevolezza che non si può mai dare per scontato nulla, di questi tempi.
Mi pare che il criterio centrale per un dialogare fruttuoso, in primo luogo, è di favorire la maturazione di un atteggiamento positivo verso le altre fedi. Si tratta di avviare un cammino che può rivelarsi lungo e complesso: inutile farsi illusioni, ma anche fasciarsi la testa prima di averci provato seriamente, sia chiaro! Ecco dunque qualche indicazione di metodo che aiuterebbe l’incontro, rendendolo meno traumatico. Prima di tutto, il dialogo interreligioso potrà fiorire nell’ambito del riconoscimento che vi sono coinvolti non le religioni (entità astratte) bensì donne e uomini in carne e ossa, con storie, vissuti, sofferenze, peculiari e irripetibili. Non sembri banale, o scontato: quanti errori sono stati compiuti, e continuano a farsi, per una lettura tutta ideologica e metafisica dell’altro! Gli esempi si potrebbero sprecare... andrebbero perciò costruiti momenti di fraternità, in ambienti che favoriscano il contatto effettivo. Operare insieme in qualche settore specifico, affrontando problemi sociali o discriminazioni palesi, aiuterebbe poi a rendere più convincente un rapporto interreligioso. Diffondere esperienze, buone pratiche e testimonianze dirette, agevolerà di certo questo percorso.
Una successiva considerazione riguarda la necessità di investire sulla preparazione e formazione di giovani che intendano svolgere un ruolo di guide e di mediatori sul tema del dialogo nelle diverse comunità di appartenenza. La generazione che ha vissuto appieno il Concilio sta infatti per concludere la sua vicenda terrena, e il rischio di non passare il testimone a quella odierna è forte. Ecco l’urgenza di ricentrare i curricula degli studi teologici facendovi rientrare il dialogo e la conoscenza delle religioni altre, ma coinvolgendo anche la pastorale di parrocchie e movimenti. Bisogna uscire dal falso presupposto per cui il dialogo sarebbe un’attività riservata a specialisti!
La mia e nostra speranza è che il dialogo, sia pure in salita e con le fatiche oggettive (penso anche alle contraddizioni di Sibiu, terza assemblea ecumenica europea, del settembre 2007, o alla ancor scarsa diffusione della Charta Oecumenica) prosegua: in fondo, si tratta di un processo giovane, nato solo pochi anni fa… Per consolidarlo e renderlo realmente efficace, occorrerà individuare nuovi strumenti, nuove formule e nuovi spazi di incontro; ma anche allargare la cerchia di coloro che lo vivono come un’esperienza significativa per la propria vita spirituale e per la convivenza sociale. Insomma un dialogo più partecipato e diretto, con più teologia e più spiritualità. In una società pluralista e accogliente tale dialogo ha anche una valenza esplicitamente sociale, serve a costruire convivenza, solidarietà civile, senso di appartenenza. Una teologa musulmana iraniana che vive in Italia, spesso presente nelle iniziative interreligiose, Shahrzad Housmand, cita volentieri un detto islamico secondo cui “la preghiera non è altro che servire il popolo”. E se è un servizio la preghiera, a maggior ragione può esserlo il dialogo!
“…CHE I FRATELLI VIVANO INSIEME”
Da parte degli organizzatori della Giornata (via via allargatisi, fino a comprendere molte riviste e gruppi impegnati a vario livello) il messaggio è che, proprio oggi, sarà quanto mai necessario non desistere dal cammino intrapreso. A dispetto dei profeti di sventura. Il 27 ottobre 2008, pertanto, rappresenterà senz’altro un nuovo momento di semina. E’ non è casuale che lo slogan con cui si accompagneranno gli eventi di questa settima giornata (sono parecchie decine quelli sinora previsti) sarà la gioia del dialogo: andando, una volta di più, controcorrente, dato che oggi, come dicevamo, ne sono piuttosto sottolineati i pericoli, le ingenuità, i timori. Sì, il frutto più bello del dialogo, come sa chi lo pratica davvero, è proprio quello, umanissimo, della gioia: in primo luogo, la gioia di scoprirsi fratelli e sorelle nonostante le tante differenze, che non vanno sottaciute (e nonostante il cattivo vento contrario). Per renderlo prassi abituale, i credenti nel Dio unico sono chiamati a ritrovare nel cuore di ciascuno il coraggio di sperare, contro ogni speranza.
Con questo spirito, il prossimo 27 ottobre in tanti digiuneremo, discuteremo, ascolteremo, ci chiederemo perdono a vicenda, domanderemo a Dio di aiutarci nel nostro cammino, ci interrogheremo sulle tante difficoltà e sul nostro peccato… e avremo sulla bocca, o perlomeno nell’intimo, le parole del Salmo 133: “Ecco, quanto è buono e quanto è soave/ che i fratelli vivano insieme”. Ma anche quelle del Corano: “In verità i credenti sono fratelli: ristabilite la concordia tra i vostri fratelli e temete Allah” (Sura 49,10).
Con i più fraterni auguri di shalom – salaam - pace
Brunetto Salvarani
Carpi, 23 ottobre 2008
Giovedì, 23 ottobre 2008
Cari amici e amiche, fratelli e sorelle,
il 27 ottobre 2008 celebreremo la settima giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico.
Come sapete, questa iniziativa ormai radicatasi in tutta Italia si ispira al fatto che il 14 dicembre 2001, ultimo venerdì del mese di Ramadan dell’anno 1422 dall’Egira, Giovanni Paolo II chiese a tutti, donne e uomini di buona volontà (nel cuore della guerra in Afghanistan!) di condividere il digiuno di Ramadan. Un messaggio altissimo, inviato significativamente a soli tre mesi dal terribile 11 settembre, che nella strategia pontificia proseguiva quella pedagogia dei gesti con cui egli aveva scelto di porsi di fronte alle fedi altre, sin dai primi tempi del papato. Da allora, quell’ultimo venerdì è divenuto, per molti cristiani di diverse confessioni e musulmani in Italia, la ricorrenza simbolica in cui ritrovarsi, per rilanciare l’urgenza del dialogo. Nonostante tutto! Nonostante questi giorni cattivi che durano da troppo tempo, segnati più dalla pesantezza delle chiusure identitarie e degli individualismi eretti a sistema che dalla leggerezza che il nostro Italo Calvino, nelle sue Lezioni americane, invitava a portare con sé come virtù chiave per il terzo millennio. La differenza, come capita spesso, la può fare l’iniziativa dal basso, che rompe gli schemi delle persone serrate nelle rispettive appartenenze e mette a contatto donne e uomini dei vari credi o senza credo che si ritrovano assieme per dire che non ne possono più di odio, e di religioni strumentalizzate al servizio dei potenti di turno. Ma come rilanciare il tema del dialogo, mentre tale parola rischia il depotenziamento, o addirittura l’insignificanza, a causa del suo abuso e della sua banalizzazione?
LA MEMORIA DI ASSISI
Prima di provare a rispondere, bisogna evidenziare che quest’anno si registra una novità nell’iniziativa sopra citata: invece di svolgersi l’ultimo venerdì di Ramadan, come ormai d’abitudine, la Giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico sarà celebrata il prossimo 27 ottobre, a memoria di quello stesso giorno che, nel lontano 1986, vide riunirsi ad Assisi molti rappresentanti delle religioni mondiali a pregare per la pace. D’ora in poi, per ragioni di praticità (la ricorrenza era mobile, come il calendario islamico, e presto saremmo giunti all’appuntamento in piena estate) la data del 27 ottobre rimarrà fissa, permettendoci di segnare in anticipo la ricorrenza nelle nostre agende.
Appare difficile negare, peraltro, che il popolo del dialogo arrivi a tale scadenza con il fiato corto, per più di una ragione. Non pochi osservatori stanno annotando, anzi, che confronto dialogico fra cristiani e musulmani ha subito, perlomeno alle nostre latitudini, una brusca frenata: da qualche tempo sono drasticamente diminuite le occasioni d’incontro, alcuni laboratori teologici ben avviati sono stati chiusi e persino la terminologia adottata (termini quali dialogo ed ecumenismo) si è fatta sospetta a diverse orecchie, in quanto percepita come pericolosamente prossima a relativismo e sincretismo. C’è scoramento diffuso, stanchezza, disillusione. In controtendenza, andrà citato il processo in atto cominciato un anno fa (13 ottobre 2007) attorno alla lettera dei 138 saggi musulmani inviata ai responsabili delle chiese cristiane, che potrebbe costituire un importante fattore di novità. Nel complesso, tuttavia, si può affermare che sta rischiando seriamente di sfilacciarsi la rete di buone pratiche d’incontri fraterni, conoscenze, amicizie tra le due realtà religiose che, paradossalmente soprattutto dopo il dramma delle Twin Towers, avevano trovato impulso un po’ dappertutto nel nostro Paese.
Viene da chiedersi, allora: dov’è finita quell’operosità nel dialogo, che aveva consentito di approfondire una certa reciproca conoscenza e reso realistica qualche azione comune contro il pregiudizio e i fondamentalismi religiosi da una parte, ma anche per una positiva convivenza in una società sempre più multi e interculturale dall’altra? Non è facile rispondere, o forse sì: si sente ripetere che il vento è cambiato, che sta trionfando il senso di paura nei confronti dell’altro, e che i frutti ottenuti sinora dai dialoghi effettuati sono troppo esigui, per cui risulta naturale scoraggiarsi. Siamo passati dal tempo dell’incontro alla denuncia generalizzata dei suoi rischi; dalla prospettiva di un radunarsi intorno a valori e impegni comuni, dalla proclamazione della libertà religiosa, dalla lotta contro l’islamofobia e qualsiasi forma di razzismo in questi mesi risorgente, alla rivendicazione orgogliosa della propria identità. Fino al martellamento costante dei media e di vari politici imprenditori della paura contro l’edificazione di nuove moschee e luoghi di culto, sempre e in ogni caso visti come potenziali cellule terroristiche.
LE FONDAMENTA DELL’INCONTRO
Questa può essere un’occasione propizia, dunque, per soffermarci, una volta di più, sulle fondamenta dell’incontro interreligioso, nella consapevolezza che non si può mai dare per scontato nulla, di questi tempi.
Mi pare che il criterio centrale per un dialogare fruttuoso, in primo luogo, è di favorire la maturazione di un atteggiamento positivo verso le altre fedi. Si tratta di avviare un cammino che può rivelarsi lungo e complesso: inutile farsi illusioni, ma anche fasciarsi la testa prima di averci provato seriamente, sia chiaro! Ecco dunque qualche indicazione di metodo che aiuterebbe l’incontro, rendendolo meno traumatico. Prima di tutto, il dialogo interreligioso potrà fiorire nell’ambito del riconoscimento che vi sono coinvolti non le religioni (entità astratte) bensì donne e uomini in carne e ossa, con storie, vissuti, sofferenze, peculiari e irripetibili. Non sembri banale, o scontato: quanti errori sono stati compiuti, e continuano a farsi, per una lettura tutta ideologica e metafisica dell’altro! Gli esempi si potrebbero sprecare... andrebbero perciò costruiti momenti di fraternità, in ambienti che favoriscano il contatto effettivo. Operare insieme in qualche settore specifico, affrontando problemi sociali o discriminazioni palesi, aiuterebbe poi a rendere più convincente un rapporto interreligioso. Diffondere esperienze, buone pratiche e testimonianze dirette, agevolerà di certo questo percorso.
Una successiva considerazione riguarda la necessità di investire sulla preparazione e formazione di giovani che intendano svolgere un ruolo di guide e di mediatori sul tema del dialogo nelle diverse comunità di appartenenza. La generazione che ha vissuto appieno il Concilio sta infatti per concludere la sua vicenda terrena, e il rischio di non passare il testimone a quella odierna è forte. Ecco l’urgenza di ricentrare i curricula degli studi teologici facendovi rientrare il dialogo e la conoscenza delle religioni altre, ma coinvolgendo anche la pastorale di parrocchie e movimenti. Bisogna uscire dal falso presupposto per cui il dialogo sarebbe un’attività riservata a specialisti!
La mia e nostra speranza è che il dialogo, sia pure in salita e con le fatiche oggettive (penso anche alle contraddizioni di Sibiu, terza assemblea ecumenica europea, del settembre 2007, o alla ancor scarsa diffusione della Charta Oecumenica) prosegua: in fondo, si tratta di un processo giovane, nato solo pochi anni fa… Per consolidarlo e renderlo realmente efficace, occorrerà individuare nuovi strumenti, nuove formule e nuovi spazi di incontro; ma anche allargare la cerchia di coloro che lo vivono come un’esperienza significativa per la propria vita spirituale e per la convivenza sociale. Insomma un dialogo più partecipato e diretto, con più teologia e più spiritualità. In una società pluralista e accogliente tale dialogo ha anche una valenza esplicitamente sociale, serve a costruire convivenza, solidarietà civile, senso di appartenenza. Una teologa musulmana iraniana che vive in Italia, spesso presente nelle iniziative interreligiose, Shahrzad Housmand, cita volentieri un detto islamico secondo cui “la preghiera non è altro che servire il popolo”. E se è un servizio la preghiera, a maggior ragione può esserlo il dialogo!
“…CHE I FRATELLI VIVANO INSIEME”
Da parte degli organizzatori della Giornata (via via allargatisi, fino a comprendere molte riviste e gruppi impegnati a vario livello) il messaggio è che, proprio oggi, sarà quanto mai necessario non desistere dal cammino intrapreso. A dispetto dei profeti di sventura. Il 27 ottobre 2008, pertanto, rappresenterà senz’altro un nuovo momento di semina. E’ non è casuale che lo slogan con cui si accompagneranno gli eventi di questa settima giornata (sono parecchie decine quelli sinora previsti) sarà la gioia del dialogo: andando, una volta di più, controcorrente, dato che oggi, come dicevamo, ne sono piuttosto sottolineati i pericoli, le ingenuità, i timori. Sì, il frutto più bello del dialogo, come sa chi lo pratica davvero, è proprio quello, umanissimo, della gioia: in primo luogo, la gioia di scoprirsi fratelli e sorelle nonostante le tante differenze, che non vanno sottaciute (e nonostante il cattivo vento contrario). Per renderlo prassi abituale, i credenti nel Dio unico sono chiamati a ritrovare nel cuore di ciascuno il coraggio di sperare, contro ogni speranza.
Con questo spirito, il prossimo 27 ottobre in tanti digiuneremo, discuteremo, ascolteremo, ci chiederemo perdono a vicenda, domanderemo a Dio di aiutarci nel nostro cammino, ci interrogheremo sulle tante difficoltà e sul nostro peccato… e avremo sulla bocca, o perlomeno nell’intimo, le parole del Salmo 133: “Ecco, quanto è buono e quanto è soave/ che i fratelli vivano insieme”. Ma anche quelle del Corano: “In verità i credenti sono fratelli: ristabilite la concordia tra i vostri fratelli e temete Allah” (Sura 49,10).
Con i più fraterni auguri di shalom – salaam - pace
Brunetto Salvarani
Carpi, 23 ottobre 2008
Giovedì, 23 ottobre 2008
mercoledì 22 ottobre 2008
ALL'OMBRA DI DIO
L'ANPI sez. Ticino e l'Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea Novarese, Verbano - Cusio - Ossola
organizzano la conferenza
All'Ombra di Dio
Oleggio - Teatro Comunale25 ottobre 2008
Conferenza del dr. Corrado Mornese sulla persecuzione dei catari e la lotta di fra Dolcino
sala delle Associazioni del Teatro Comunale in Via Roma, 43 a Oleggio
Alla Conferenza seguirà la proiezione del recente documentario della Tv Svizzera
con la regia di Werner Wick "Ammazzateli tutti, Dio riconoscerà i suoi"
e l'esposizione della mostra fotografica "Sentieri Dolciniani"
tratto da http://biellaprotestante.blogspot.com/
martedì 21 ottobre 2008
VII Giornata ecumenica del dialogo cristiano islamico
dagli amici de ildialogo.org ricevo e pubblico
27 ottobre 2008: VII edizione della Giornata ecumenica del dialogo cristiano islamico
La gioia del dialogo
Comunicato stampa del 21-10-2008
Manca una settimana alla celebrazione della VII edizione della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 27 ottobre 2008. Le iniziative previste si sono moltiplicate in varie parti d’Italia, città grandi e piccole del nord come del sud. Alle circa trenta iniziative segnalate lo scorso 20 settembre si sono aggiunte quelle delle città di Faenza, Fiorano, Novellara, Vicenza, Licata, Padova, Trento, Roma, Torino, Genova, Serdiana (CA), Rieti, Torino, Brescia, Comune di Cornuda (Treviso), Milano, Verona, Tregnago (VR), Ravenna, Napoli, Acqui Terme, Caserta, Salerno, Avellino, Cento. Altre iniziative sono previste per gli inizi del mese di novembre. Sono una settantina le associazioni che finora hanno aderito e che promuoveranno iniziative nelle loro città.
Per tutti gli aggiornamenti si veda la pagina web:http://www.ildialogo.org/islam/cristianoislamico.htm .
La giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico riconferma tutta la sua vitalità che poggia sulla iniziativa dal basso e sulla volontà di pace e di accoglienza reciproca che sono radicati nel nostro popolo nonostante i tanti profeti di sventura che, soprattutto dopo la tragedia dell’11 settembre, promuovono la paura e il cosiddetto "scontro di civiltà" . Grande successo, a tale proposito, ha avuto il tema che quest'anno abbiamo proposto, quello de “la gioia del dialogo”, un tema controcorrente, che invita le comunità cristiane e musulmane a superare la paura reciproca che viene diffusa a piene mani da chi ha interesse a difendere i propri privilegi e la propria presunta superiorità. Segnaliamo un importante contributo al dialogo cristiano-islamico che ci è giunto dal Burkina Faso, da Mons. Joachim OUEDRAOGO, Vescovo cattolico di Dori, Presidente della Commissione Episcopale per il dialogo con l’Islam del Burkina / Niger. Nel messaggio di auguri alla Comunità Musulmana del BURKINA FASO per la fine del RAMADAN, mons. Joachim OUEDRAOGO fra l'altro scrive: "Di fronte ad un mondo imbarcato nell’intolleranza socio - culturale e religiosa che crea un clima di paura e di insicurezza ed in cui l’altro diventa un pericolo che genera paura, siamo chiamati, noi credenti, ad avviare un dialogo interreligioso ed interculturale per creare una geopolitica spirituale, vale a dire, entrare nel cuore dell’uomo per seminarvi i germi della tolleranza, del rispetto reciproco, della conoscenza e della riconoscenza dell’altro." Per il testo completo del documento vedere la seguente pagina web: http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2008/bufas21102008.htm. Mons. Joachim OUEDRAOGO è promotore in Burkina Faso, fra l'altro, della realizzazione di “Dudal Jam” (che in lingua peulh significa «scuola di pace» o «centro di pace») che coinvolge cristiani e musulmani del Burkina Faso e che in Italia è appoggiata da una rete di Comuni del Piemonte. Per maggiori dettagli su questa importante iniziativa vi rimandiamo al sito di Cem-mondialità che la sostiene e la diffonde in Italia (CEM - Mondialità, Via Piamarta 9 - Brescia 25121; tel 030-3772780; fax 030-3772781 ; e - mail: cemsegreteria@saveriani.bs.it, http://www.cem.coop)Abbiamo "diritto alla gioia", abbiamo diritto alla diversità che è connaturata con il mistero della vita che insieme, qualsiasi sia il colore della pelle la religione la cultura la nazionalità o l’etnia, possiamo vivere meglio dando un futuro all'umanità. La paura invece è morte come i tanti e terribili fatti di cronaca recenti purtroppo dimostrano.Occorre ritrovare nel cuore di ciascuno il coraggio di sperare, contro ogni speranza. Ed è questo l'augurio che facciamo a quanti il 27 ottobre si riuniranno per celebrare "la gioia del dialogo".Con un sincero augurio diShalom - Salaam – Pace
Il comitato organizzatore
Martedì, 21 ottobre 2008
Il sito di riferimento della Giornata èhttp://www.ildialogo.org
Per l’elenco delle riviste e associazioni che finora hanno promosso e sostenuto la Giornata vedi la seguente pagina web:http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2007/promotorisesta29062007.htm
Per tutte le notizie, appuntamenti, interventi, materiali per la giornata vedi la pagina web:http://www.ildialogo.org/islam/cristianoislamico.htm
Per aderire alla Giornata http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2008/ader28072008.htm
Per scaricare la locandina della Giornata
http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2008/locan29082008.htm
--------------------------------------------------------------------------------
il dialogo - Periodico di Monteforte Irpino
Via Nazionale, 51 - 83024 Monteforte Irpino (AV) - Tel: 333-7043384 / 339-4325220
Email redazione: redazione@ildialogo.org
Email direttore: direttore@ildialogo.org Sito: http://www.ildialogo.org
--------------------------------------------------------------------------------
"Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salera'? Non e' piu' buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini."(Mt 5,13)
"Tutte le valanghe prima di diventare tali erano solo fiocchi di neve"
Abbonarsi ad Adista www.adista.it , Tempi di Fraternita' www.tempidifraternita.it ,
Confronti www.confronti.net , QOL www.qolrivista.it fa bene alla salute
27 ottobre 2008: VII edizione della Giornata ecumenica del dialogo cristiano islamico
La gioia del dialogo
Comunicato stampa del 21-10-2008
Manca una settimana alla celebrazione della VII edizione della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 27 ottobre 2008. Le iniziative previste si sono moltiplicate in varie parti d’Italia, città grandi e piccole del nord come del sud. Alle circa trenta iniziative segnalate lo scorso 20 settembre si sono aggiunte quelle delle città di Faenza, Fiorano, Novellara, Vicenza, Licata, Padova, Trento, Roma, Torino, Genova, Serdiana (CA), Rieti, Torino, Brescia, Comune di Cornuda (Treviso), Milano, Verona, Tregnago (VR), Ravenna, Napoli, Acqui Terme, Caserta, Salerno, Avellino, Cento. Altre iniziative sono previste per gli inizi del mese di novembre. Sono una settantina le associazioni che finora hanno aderito e che promuoveranno iniziative nelle loro città.
Per tutti gli aggiornamenti si veda la pagina web:http://www.ildialogo.org/islam/cristianoislamico.htm .
La giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico riconferma tutta la sua vitalità che poggia sulla iniziativa dal basso e sulla volontà di pace e di accoglienza reciproca che sono radicati nel nostro popolo nonostante i tanti profeti di sventura che, soprattutto dopo la tragedia dell’11 settembre, promuovono la paura e il cosiddetto "scontro di civiltà" . Grande successo, a tale proposito, ha avuto il tema che quest'anno abbiamo proposto, quello de “la gioia del dialogo”, un tema controcorrente, che invita le comunità cristiane e musulmane a superare la paura reciproca che viene diffusa a piene mani da chi ha interesse a difendere i propri privilegi e la propria presunta superiorità. Segnaliamo un importante contributo al dialogo cristiano-islamico che ci è giunto dal Burkina Faso, da Mons. Joachim OUEDRAOGO, Vescovo cattolico di Dori, Presidente della Commissione Episcopale per il dialogo con l’Islam del Burkina / Niger. Nel messaggio di auguri alla Comunità Musulmana del BURKINA FASO per la fine del RAMADAN, mons. Joachim OUEDRAOGO fra l'altro scrive: "Di fronte ad un mondo imbarcato nell’intolleranza socio - culturale e religiosa che crea un clima di paura e di insicurezza ed in cui l’altro diventa un pericolo che genera paura, siamo chiamati, noi credenti, ad avviare un dialogo interreligioso ed interculturale per creare una geopolitica spirituale, vale a dire, entrare nel cuore dell’uomo per seminarvi i germi della tolleranza, del rispetto reciproco, della conoscenza e della riconoscenza dell’altro." Per il testo completo del documento vedere la seguente pagina web: http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2008/bufas21102008.htm. Mons. Joachim OUEDRAOGO è promotore in Burkina Faso, fra l'altro, della realizzazione di “Dudal Jam” (che in lingua peulh significa «scuola di pace» o «centro di pace») che coinvolge cristiani e musulmani del Burkina Faso e che in Italia è appoggiata da una rete di Comuni del Piemonte. Per maggiori dettagli su questa importante iniziativa vi rimandiamo al sito di Cem-mondialità che la sostiene e la diffonde in Italia (CEM - Mondialità, Via Piamarta 9 - Brescia 25121; tel 030-3772780; fax 030-3772781 ; e - mail: cemsegreteria@saveriani.bs.it, http://www.cem.coop)Abbiamo "diritto alla gioia", abbiamo diritto alla diversità che è connaturata con il mistero della vita che insieme, qualsiasi sia il colore della pelle la religione la cultura la nazionalità o l’etnia, possiamo vivere meglio dando un futuro all'umanità. La paura invece è morte come i tanti e terribili fatti di cronaca recenti purtroppo dimostrano.Occorre ritrovare nel cuore di ciascuno il coraggio di sperare, contro ogni speranza. Ed è questo l'augurio che facciamo a quanti il 27 ottobre si riuniranno per celebrare "la gioia del dialogo".Con un sincero augurio diShalom - Salaam – Pace
Il comitato organizzatore
Martedì, 21 ottobre 2008
Il sito di riferimento della Giornata èhttp://www.ildialogo.org
Per l’elenco delle riviste e associazioni che finora hanno promosso e sostenuto la Giornata vedi la seguente pagina web:http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2007/promotorisesta29062007.htm
Per tutte le notizie, appuntamenti, interventi, materiali per la giornata vedi la pagina web:http://www.ildialogo.org/islam/cristianoislamico.htm
Per aderire alla Giornata http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2008/ader28072008.htm
Per scaricare la locandina della Giornata
http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2008/locan29082008.htm
--------------------------------------------------------------------------------
il dialogo - Periodico di Monteforte Irpino
Via Nazionale, 51 - 83024 Monteforte Irpino (AV) - Tel: 333-7043384 / 339-4325220
Email redazione: redazione@ildialogo.org
Email direttore: direttore@ildialogo.org Sito: http://www.ildialogo.org
--------------------------------------------------------------------------------
"Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salera'? Non e' piu' buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini."(Mt 5,13)
"Tutte le valanghe prima di diventare tali erano solo fiocchi di neve"
Abbonarsi ad Adista www.adista.it , Tempi di Fraternita' www.tempidifraternita.it ,
Confronti www.confronti.net , QOL www.qolrivista.it fa bene alla salute
FAMIGLIA CRISTIANA BOCCIA LE CLASSI-PONTE
Famiglia Cristiana boccia le classi-ponte per stranieri proposte dalla Lega. Nell'editoriale d'apertura del numero in edicola il settimanaledelle edizioni Paoline si scaglia contro la Lega affermando che "la 'fantasia padana' non ha piu' limiti, ne' pudore" e parla di vere eproprie "classi ghetto". Si danno "risposte sbagliate a problemi realidi inserimento", dichiara Famiglia Cristiana e "la questione dell'italiano e' solo una scusa: tutti sanno- si legge nell'editoriale-che le cosiddette 'classi di inserimento' non sono efficaci. I risultati migliori si ottengono con classi ordinarie e con ore settimanali di insegnamento della lingua". In Italia questo, in parte, avviene. Lo prevedono le "Linee guida" (2006) dell'allora ministro Moratti per l'accoglienza degli alunni immigrati, approvate anche dalla Lega. "La mozione della Lega, poi, va letta fino in fondo- spiega l'editoriale- prevede che i bambini immigrati, oltre alla lingua italiana, debbano apprendere il 'rispetto di tradizioni territoriali e regionali', della 'diversita' morale e della cultura religiosa del Paese accogliente', il 'sostegno alla vita democratica' e la 'comprensione dei diritti e dei doveri'. Qualcuno sa dire come spiegarlo a un bambino di 5-6 anni, che deve ancora apprendere l'italiano?". Insomma, sottolinea con forza Famiglia Cristiana "si dice 'classi ponte', ma si legge 'classi ghetto'. Negli anni Sessanta- chiude l'articolo- quando bambini napoletani, calabresi o siciliani andavano a scuola a Novara, nessuno s'e' sognato di metterli in una 'classe differenziale' perche' imparassero italiano, usi e tradizioni del Nord, ne' di far loro dei test d'ingresso. Perche' ora ci pensa il novarese Cota?".
ps: da quando in qua, l'inclusione si raggiunge con l'esclusione? il genio (si fa per dire) italico o padano poco importa, supera se stesso...in questa gara verso il peggio...
ps: da quando in qua, l'inclusione si raggiunge con l'esclusione? il genio (si fa per dire) italico o padano poco importa, supera se stesso...in questa gara verso il peggio...
GOFFREDO FOFI: ALDO CAPITINI QUANRANT'ANNI DOPO
[Dal quotidiano "Il mattino" del 19 ottobre 2008 col titolo "Aldo Capitini. Quarant'anni dopo"]
A quarant'anni dalla morte, la figura e il pensiero di Aldo Capitini assumono un valore che cresce in rapporto alla crisi profonda e irrimediabile della politica, della democrazia. Quarant'anni fa era il '68, e tra gli ultimi scritti di Capitini ci sono gli apprezzamenti convinti del movimento degli studenti, la raccomandazione a difendere il valore dei piccoli gruppi e delle assemblee contro l'eventuale risorgere dei partiti e partitini (un'altra amica scomparsa lo stesso anno, Ada Gobetti, scrisse che il '68 partiva di dove la generazione della Resistenza aveva lasciato e ceduto; ma il movimento, di fronte alle difficoltà di crescere e alle enormi e inattese domande di tante parti della società italiana risvegliate dalle sue lotte, scelse altri modelli, e trascurò proprio i maestri che più ne apprezzarono la novità, per ricadere nelle indegnità del modello leninista). È proprio in conseguenza dei fallimenti della politica (e delle proposte che la sinistra ha avanzato di fronte ai cambiamenti della società, da Togliatti a Veltroni passando per Rossanda e Bertinotti) che l'esempio e il pensiero di Capitini acquistano oggi un peso crescente, entrano decisamente nell'attualità e indicano alcuni modi di reagire alla decadenza dell'intera società umana la cui storia ha più che mai il suo perno nel denaro e nelle armi.
Il punto di partenza di Capitini è più valido che mai, ma non guarda soltanto alla realtà sociale, è una pacata rivolta contro le storture della creazione - che, diceva Anna Maria Ortese, "è tarata" -, è una rivolta contro la condizione umana così come essa è, contro i suoi limiti che non sono soltanto sociali. Diceva Capitini, in un brano che non ci si stanca mai di citare: "Quando incontro una persona, e anche un semplice animale, non posso ammettere che poi quell'essere vivente se ne vada nel nulla, muoia e si spenga, prima o poi, come una fiamma. Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non accetto. E se guardo meglio, trovo anche altre ragioni per non accettare la realtà così com'è ora, perché non posso approvare che la bestia più grande divori la bestia più piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realtà fatta così non merita di durare". E infatti, potremmo aggiungere, oggi sembra davvero destinata a non durare. Il "non accetto" di Capitini non è bensì di tipo individuale. Esso avrebbe potuto far suo il motto di Albert Camus "Mi rivolto dunque siamo", con la differenza che Capitini aveva individuato, sulla scia di Gandhi, i modi in cui sarebbe stato possibile, in cui sarebbe tuttora possibile intervenire sulla realtà, cominciando dalle ingiustizie che sono più evidenti, quelle sociali.
Forse il libretto che oggi i giovani bene intenzionati (i "persuasi", secondo il linguaggio di Capitini) dovrebbero conoscere per prima cosa di suo, è l'opuscolo su Le tecniche della nonviolenza che nel '68 Feltrinelli non volle nelle sue edizioni maggiori e relegò alle transitorie e caotiche edizioni della Libreria, l'opuscolo che ristampò "Linea d'ombra" anni dopo e di cui una parte è compresa nella recente antologia sulla disobbedienza civile delle Edizioni dell'Asino, dal titolo molto chiaro di Ribellarsi è giusto. Qui le convinzioni filosofico-religiose di Capitini lo spingono a derivare dai principi della nonviolenza i loro due indispensabili corollari: la nonviolenza non è un atteggiamento di "anime belle" ma un metodo di lotta, la nonviolenza non può agire se non unita alla nonmenzogna e alla noncollaborazione, e cioè, in termini dichiaratamente politici, alla disobbedienza civile.
Capitini credeva nel piccolo gruppo che interviene con i metodi della nonviolenza per far da lievito, provocare, dar l'esempio, difendere chi non ha parola, chiedere l'abolizione delle leggi ingiuste, ovviamente rischiando ostracismi e carceri. È così che si può cambiare la società, e non sparando, non esercitando
anche noi la violenza, non ricorrendo agli ignobili mezzi che il potere si dà. Le tecniche della nonviolenza avanzava proposte molto concrete, che la sinistra ha continuamente trascurato o burlato, finendo come è finita. Ma anche gli stessi nonviolenti le hanno perlopiù trascurate, ed è questo che ha fatto dire a Gunther Anders, partito come nonviolento così come tanti anni prima era partito nonviolento il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, che poi partecipò al fallito attentato a Hitler e venne impiccato dai nazisti, che bisogna trovare modi di reagire nuovi e – visto che la violenza del potere sta portando il mondo alla sua rovina – anche violenti. È, credo, la incapacità di incidere dei gruppi nonviolenti e la loro trascuratezza della disobbedienza civile ad aver spinto Anders a queste conclusioni, che sembrano dimenticare il principio della equivalenza tra i fini e i mezzi; è la trascuratezza di tutta la sinistra per la nonviolenza e i suoi metodi, per la pratica della disobbedienza civile. Da Capitini, oltre alla fondamentale "non-accettazione" del mondo e della società come sono, si possono ancora apprendere i modelli di lotta oggi indispensabili a far rinascere un'opposizione seria e radicale, non compromessa, non consociativa, non corrotta in partenza dagli stessi modelli che impone il potere.
Un'altra cosa credo infine che sia da imparare da lui: il suo modello di leadership e l'importanza dell' educazione, un modo non di imporre la propria visione ma di aiutare, i "persuasi" e tutti, a contribuire all'impresa comune di trasformazione cercando e sviluppando i propri talenti, non imitando, non adeguandosi.
Tratto da:
==============================
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento settimanale del martedì de "La nonviolenza è in cammino"
Numero 248 del 21 ottobre 2008
A quarant'anni dalla morte, la figura e il pensiero di Aldo Capitini assumono un valore che cresce in rapporto alla crisi profonda e irrimediabile della politica, della democrazia. Quarant'anni fa era il '68, e tra gli ultimi scritti di Capitini ci sono gli apprezzamenti convinti del movimento degli studenti, la raccomandazione a difendere il valore dei piccoli gruppi e delle assemblee contro l'eventuale risorgere dei partiti e partitini (un'altra amica scomparsa lo stesso anno, Ada Gobetti, scrisse che il '68 partiva di dove la generazione della Resistenza aveva lasciato e ceduto; ma il movimento, di fronte alle difficoltà di crescere e alle enormi e inattese domande di tante parti della società italiana risvegliate dalle sue lotte, scelse altri modelli, e trascurò proprio i maestri che più ne apprezzarono la novità, per ricadere nelle indegnità del modello leninista). È proprio in conseguenza dei fallimenti della politica (e delle proposte che la sinistra ha avanzato di fronte ai cambiamenti della società, da Togliatti a Veltroni passando per Rossanda e Bertinotti) che l'esempio e il pensiero di Capitini acquistano oggi un peso crescente, entrano decisamente nell'attualità e indicano alcuni modi di reagire alla decadenza dell'intera società umana la cui storia ha più che mai il suo perno nel denaro e nelle armi.
Il punto di partenza di Capitini è più valido che mai, ma non guarda soltanto alla realtà sociale, è una pacata rivolta contro le storture della creazione - che, diceva Anna Maria Ortese, "è tarata" -, è una rivolta contro la condizione umana così come essa è, contro i suoi limiti che non sono soltanto sociali. Diceva Capitini, in un brano che non ci si stanca mai di citare: "Quando incontro una persona, e anche un semplice animale, non posso ammettere che poi quell'essere vivente se ne vada nel nulla, muoia e si spenga, prima o poi, come una fiamma. Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non accetto. E se guardo meglio, trovo anche altre ragioni per non accettare la realtà così com'è ora, perché non posso approvare che la bestia più grande divori la bestia più piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realtà fatta così non merita di durare". E infatti, potremmo aggiungere, oggi sembra davvero destinata a non durare. Il "non accetto" di Capitini non è bensì di tipo individuale. Esso avrebbe potuto far suo il motto di Albert Camus "Mi rivolto dunque siamo", con la differenza che Capitini aveva individuato, sulla scia di Gandhi, i modi in cui sarebbe stato possibile, in cui sarebbe tuttora possibile intervenire sulla realtà, cominciando dalle ingiustizie che sono più evidenti, quelle sociali.
Forse il libretto che oggi i giovani bene intenzionati (i "persuasi", secondo il linguaggio di Capitini) dovrebbero conoscere per prima cosa di suo, è l'opuscolo su Le tecniche della nonviolenza che nel '68 Feltrinelli non volle nelle sue edizioni maggiori e relegò alle transitorie e caotiche edizioni della Libreria, l'opuscolo che ristampò "Linea d'ombra" anni dopo e di cui una parte è compresa nella recente antologia sulla disobbedienza civile delle Edizioni dell'Asino, dal titolo molto chiaro di Ribellarsi è giusto. Qui le convinzioni filosofico-religiose di Capitini lo spingono a derivare dai principi della nonviolenza i loro due indispensabili corollari: la nonviolenza non è un atteggiamento di "anime belle" ma un metodo di lotta, la nonviolenza non può agire se non unita alla nonmenzogna e alla noncollaborazione, e cioè, in termini dichiaratamente politici, alla disobbedienza civile.
Capitini credeva nel piccolo gruppo che interviene con i metodi della nonviolenza per far da lievito, provocare, dar l'esempio, difendere chi non ha parola, chiedere l'abolizione delle leggi ingiuste, ovviamente rischiando ostracismi e carceri. È così che si può cambiare la società, e non sparando, non esercitando
anche noi la violenza, non ricorrendo agli ignobili mezzi che il potere si dà. Le tecniche della nonviolenza avanzava proposte molto concrete, che la sinistra ha continuamente trascurato o burlato, finendo come è finita. Ma anche gli stessi nonviolenti le hanno perlopiù trascurate, ed è questo che ha fatto dire a Gunther Anders, partito come nonviolento così come tanti anni prima era partito nonviolento il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, che poi partecipò al fallito attentato a Hitler e venne impiccato dai nazisti, che bisogna trovare modi di reagire nuovi e – visto che la violenza del potere sta portando il mondo alla sua rovina – anche violenti. È, credo, la incapacità di incidere dei gruppi nonviolenti e la loro trascuratezza della disobbedienza civile ad aver spinto Anders a queste conclusioni, che sembrano dimenticare il principio della equivalenza tra i fini e i mezzi; è la trascuratezza di tutta la sinistra per la nonviolenza e i suoi metodi, per la pratica della disobbedienza civile. Da Capitini, oltre alla fondamentale "non-accettazione" del mondo e della società come sono, si possono ancora apprendere i modelli di lotta oggi indispensabili a far rinascere un'opposizione seria e radicale, non compromessa, non consociativa, non corrotta in partenza dagli stessi modelli che impone il potere.
Un'altra cosa credo infine che sia da imparare da lui: il suo modello di leadership e l'importanza dell' educazione, un modo non di imporre la propria visione ma di aiutare, i "persuasi" e tutti, a contribuire all'impresa comune di trasformazione cercando e sviluppando i propri talenti, non imitando, non adeguandosi.
Tratto da:
==============================
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento settimanale del martedì de "La nonviolenza è in cammino"
Numero 248 del 21 ottobre 2008
DE DOCTA IGNORANTIA: RISPOSTA AD UN ANONIMO
Cari lettori,
ieri un anonimo ha lasciato il seguente commento al mio post intitolato ‘C’è del marcio in Danimarca’. Lo riporto integralmente, così ognuno potrà gustare la fragranza e la delicatezza dell’anonimo estensore:
Caro Giuliano sei un po' ignorantello. "C'e' del marcio in Danimarca" lo ha detto Shakespeare nell'Amleto e non Brecht. Da allora si usa questa frase per indicare il sospetto di qualcosa di losco in sistemi, istituzioni e relazioni, apparentemente sani e rispettabili quale era la corte di Elsinore, appunto. Perchè limitarsi solo a poche letture, consigliate dal partito e rigorosamente scelte fra quelli di provata fede marxista? Amplia i tuoi orizzonti, studia e impara e ti renderai conto di quanto noiosa e vuota sia la letteratura di propaganda, come quella di Brecht: una mediocre nullità!!
Riporto anche il mio post, per completezza:
C'E' DEL MARCIO IN DANIMARCA (E MI SCUSINO I DANESI...)
Con questa frase, Brecht parlava della Danimarca, dovendo tacere sulla Germania. Ora, non vorrei essere accusato di instaurare parallelismi troppo arditi, anch'io vorrei parlare di un'ipotetica Danimarca.C'è un omino, al potere. Circondato da tanti cortigiani: una vera Signoria -ma senza Rinascimento. L'omino ha televisioni e giornali (stiamo parlando, per carità, dell'ipotetica Danimarca!).L'omino ha una maggioranza parlamentare come nessuno mai prima di lui l'ha avuta. Nessuno in regime democratico, s'intende.Ogni giorno, l'omino ci ripete che non si può più andare avanti così: che l'opposizione è sfascista; che non può governare e via dicendo...ho dimenticato di dire che in quest'ipotetica repubblica danese (qualcuno dirà: ma la Danimarca è una monarchia! Casi della vita!), l'opposizione è quanto mai, come dire, soft, delicata, calma, tranquilla...soporifera, direi. Sì, c'è un altro omino, che in un danese stentato ogni tanto sbraita...ma per il resto potrebbe dormire sogni tranquilli, il primo omino, quello al potere.Chi non potrebbe/dovrebbe dormire sonni tranquilli sono tutti gli altri...che sarebbe anche meglio che si svegliassero!
Giuliano
Commento mio:
Caro anonimo,
hai ragione: mi sono dimenticato –a parte alcuni errori di stampa, ma quelli, si sa, sfuggono anche ai migliori- di specificare che Brecht citava Shakespeare, non potendo parlare liberamente della Germania.
Premesso e ammesso questa dimenticanza (ma forse leggevo Shakespeare ancor prima di te), vorrei ricordarti alcune cosucce, prima che tu, nella tua immensa sapienza, mi rimproveri ancora. Traggo il titolo di questo post (De docta ignorantia: non sono errori di battitura, ma termini latini) da un volume di Nicolò Cusano (terminato nel 1440). Il Cusano non era italiano, ma è nato in quella che oggi è la Germania (il nome originale è Nikolaus Krebs) e scriveva come sovente accadeva ai suoi tempi, in latino e l’opera è, dovresti proprio leggerla: si tratta di un’opera sulla natura e sui limiti della conoscenza umana…
…di solito, non rispondo agli anonimi, perché mi sembrano codardi che non vogliono palesarsi: io ho imparato ad assumermi le mie responsabilità, senza nascondermi…
Il tuo invito a studiare l’ho raccolto da giovane (ora ho 50 anni), leggendo Comenius (che non è un membro del Partito Comunista Polacco, ma un pedagogista ceco del 1600 –oh, prima che tu possa rimproverarmi di nuovo, nato in Moravia nel 1592) che scrive che nella vita bisogna essere attori e non spettatori. E ti assicuro che studio e leggo e scrivo…le menate sul Partito non me le faccio più da quando avevo 20 anni (come scrive Guccini, oh scusa non volevo citare un altro ‘rosso’!), “ a vent’anni si è stupidi davvero!” e per il resto, leggo di tutto e di più: uno dei miei storici preferiti è Franco Cardini, ma tu nella tua sapienza saprai già che non è di sinistra…e uno dei miei romanzieri preferiti è Luis Ferdinand Céline (da non confondere con Céline Dior) mentre uno dei poeti che mi piacciono è Ezra Pound (che non mi sembra fosse iscritto a Rifondazione…
Sul tuo giudizio circa Brecht, eh pazienza, se non ti piace…torna al tuo Pierfrancesco Pingitore…per chi non lo sapesse, quest’ultimop è tra gli autori del Bagaglino, teatro d’avanspettacolo intelligente e raffinato. In passato fu tra coloro che accusarono don Lorenzo Milani di creare la cellula in parrocchia (no, caro anonimo, don Lorenzo non si interessava di biologia…).
Mi scusino i lettori, se rubo ancora spazio e tempo a loro, ma quello che ha scritto l’anonimo mi fa pensare. Io credevo di aver realizzato un blog a più voci (non dico una sinfonia, ma insomma) e non un supplemento della Pravda…
Chi vuol esser lieto sia
Giuliano
ieri un anonimo ha lasciato il seguente commento al mio post intitolato ‘C’è del marcio in Danimarca’. Lo riporto integralmente, così ognuno potrà gustare la fragranza e la delicatezza dell’anonimo estensore:
Caro Giuliano sei un po' ignorantello. "C'e' del marcio in Danimarca" lo ha detto Shakespeare nell'Amleto e non Brecht. Da allora si usa questa frase per indicare il sospetto di qualcosa di losco in sistemi, istituzioni e relazioni, apparentemente sani e rispettabili quale era la corte di Elsinore, appunto. Perchè limitarsi solo a poche letture, consigliate dal partito e rigorosamente scelte fra quelli di provata fede marxista? Amplia i tuoi orizzonti, studia e impara e ti renderai conto di quanto noiosa e vuota sia la letteratura di propaganda, come quella di Brecht: una mediocre nullità!!
Riporto anche il mio post, per completezza:
C'E' DEL MARCIO IN DANIMARCA (E MI SCUSINO I DANESI...)
Con questa frase, Brecht parlava della Danimarca, dovendo tacere sulla Germania. Ora, non vorrei essere accusato di instaurare parallelismi troppo arditi, anch'io vorrei parlare di un'ipotetica Danimarca.C'è un omino, al potere. Circondato da tanti cortigiani: una vera Signoria -ma senza Rinascimento. L'omino ha televisioni e giornali (stiamo parlando, per carità, dell'ipotetica Danimarca!).L'omino ha una maggioranza parlamentare come nessuno mai prima di lui l'ha avuta. Nessuno in regime democratico, s'intende.Ogni giorno, l'omino ci ripete che non si può più andare avanti così: che l'opposizione è sfascista; che non può governare e via dicendo...ho dimenticato di dire che in quest'ipotetica repubblica danese (qualcuno dirà: ma la Danimarca è una monarchia! Casi della vita!), l'opposizione è quanto mai, come dire, soft, delicata, calma, tranquilla...soporifera, direi. Sì, c'è un altro omino, che in un danese stentato ogni tanto sbraita...ma per il resto potrebbe dormire sogni tranquilli, il primo omino, quello al potere.Chi non potrebbe/dovrebbe dormire sonni tranquilli sono tutti gli altri...che sarebbe anche meglio che si svegliassero!
Giuliano
Commento mio:
Caro anonimo,
hai ragione: mi sono dimenticato –a parte alcuni errori di stampa, ma quelli, si sa, sfuggono anche ai migliori- di specificare che Brecht citava Shakespeare, non potendo parlare liberamente della Germania.
Premesso e ammesso questa dimenticanza (ma forse leggevo Shakespeare ancor prima di te), vorrei ricordarti alcune cosucce, prima che tu, nella tua immensa sapienza, mi rimproveri ancora. Traggo il titolo di questo post (De docta ignorantia: non sono errori di battitura, ma termini latini) da un volume di Nicolò Cusano (terminato nel 1440). Il Cusano non era italiano, ma è nato in quella che oggi è la Germania (il nome originale è Nikolaus Krebs) e scriveva come sovente accadeva ai suoi tempi, in latino e l’opera è, dovresti proprio leggerla: si tratta di un’opera sulla natura e sui limiti della conoscenza umana…
…di solito, non rispondo agli anonimi, perché mi sembrano codardi che non vogliono palesarsi: io ho imparato ad assumermi le mie responsabilità, senza nascondermi…
Il tuo invito a studiare l’ho raccolto da giovane (ora ho 50 anni), leggendo Comenius (che non è un membro del Partito Comunista Polacco, ma un pedagogista ceco del 1600 –oh, prima che tu possa rimproverarmi di nuovo, nato in Moravia nel 1592) che scrive che nella vita bisogna essere attori e non spettatori. E ti assicuro che studio e leggo e scrivo…le menate sul Partito non me le faccio più da quando avevo 20 anni (come scrive Guccini, oh scusa non volevo citare un altro ‘rosso’!), “ a vent’anni si è stupidi davvero!” e per il resto, leggo di tutto e di più: uno dei miei storici preferiti è Franco Cardini, ma tu nella tua sapienza saprai già che non è di sinistra…e uno dei miei romanzieri preferiti è Luis Ferdinand Céline (da non confondere con Céline Dior) mentre uno dei poeti che mi piacciono è Ezra Pound (che non mi sembra fosse iscritto a Rifondazione…
Sul tuo giudizio circa Brecht, eh pazienza, se non ti piace…torna al tuo Pierfrancesco Pingitore…per chi non lo sapesse, quest’ultimop è tra gli autori del Bagaglino, teatro d’avanspettacolo intelligente e raffinato. In passato fu tra coloro che accusarono don Lorenzo Milani di creare la cellula in parrocchia (no, caro anonimo, don Lorenzo non si interessava di biologia…).
Mi scusino i lettori, se rubo ancora spazio e tempo a loro, ma quello che ha scritto l’anonimo mi fa pensare. Io credevo di aver realizzato un blog a più voci (non dico una sinfonia, ma insomma) e non un supplemento della Pravda…
Chi vuol esser lieto sia
Giuliano
lunedì 20 ottobre 2008
INDOVINA CHI VIENE A CENA
Sono indignato. E non riesco a rassegnarmi. Ho sempre più spesso la spiacevole sensazione che il nostro Paese stia assurgendo al rango di “laboratorio” per un nuovo modo di governo delle masse. Non il 1984 di Orwell, ma qualcosa di peggiore ed inquietante. Non basta più, infatti, rivedere i valori di democrazia e libertà della nostra storia nata dalla guerra di liberazione, mettendo sullo stesso piano i combattenti partigiani con i repubblichini di Salò. Oggi si vuole condizionare il modo di leggere il presente. Ed il futuro. E lo si fa nel peggiore dei modi: seminando odio e paura.I mezzi di informazione (notoriamente indipendenti e sempre pronti a denunciare i guasti del governo!) non fanno che sottolineare la pericolosità delle nostre città, delle nostre strade, dipingendo un Paese nelle mani della criminalità diffusa, mettendo magari da parte quella organizzata, soprattutto quando i piccoli reati sono commessi da non italiani, dimenticando che le statistiche dimostrano come l’Italia sia un paese tutto sommato tranquillo, o comunque in linea con i paesi cosiddetti civili.
Ricordo, da bambino appena arrivato al Nord dalla natia Sicilia, il dolore che mi dava leggere le notizie di furti o rapine commessi da “Tizio, siciliano”, quasi a sottolineare che la provenienza geografica, in qualche modo a me ignoto, aggravasse o provocasse il reato. Ed oggi anche un incidente stradale in cui sia coinvolto un romeno, o un albanese, sembra più grave di quello commesso da un bergamasco o un imperiese. Perfino l’aumento della partecipazione della Libia nel capitale Unicredito viene dipinta in modo inquietante, dimenticando la partecipazione libica al capitale Fiat, o la presenza di capitali stranieri in pressoché tutte le attività economiche italiane di un certo rilievo. Ma una cosa ostacola il diffondersi dell’odio razziale: i giochi dei bambini, i loro sorrisi innocenti, le classi ormai sempre più multiculturali e multietniche. Ed allora ecco le classi ponte. La divisione, la ghettizzazione del diverso, l’emarginazione. Bisogna evidentemente impedire che, domani, una figlia bianca, cattolica, porti a cena dai genitori un amico nero, e mussulmano, come nel celebre film che da il titolo a questo post. Nel momento in cui la più grande potenza mondiale (o quello che ne resta dopo la cura Bush) potrebbe eleggere come proprio presidente un nero (Dacci dentro Obama, vinci anche per darci una speranza!), noi discutiamo di separare i bambini stranieri da quelli italiani, di obbligare i medici del pronto soccorso a denunciare le persone non in regola col permesso di soggiorno che ricorrono alle loro cure, ad impedire con tutti i mezzi la costruzione di luoghi di culto per altre religioni che non siano quella cattolica, e non per questioni di fede (che già sarebbe odioso), ma solo perché i mussulmani, nella stragrande maggioranza, non hanno diritto di voto!A tutto questo si aggiungano i tagli agli investimenti per la scuola (ma perché si continua a definire riforma quello che è solo un’operazione contabile?) ed il quadro è completo.L’istruzione pubblica, diffusa ed uguale per tutti, ridimensionata. La cultura offesa, piegata agli interessi dei potenti. La capacità di critica annullata, in nome della diffusione di un pensiero unico. E l’affermazione definitiva della televisione, vero unico e solo “maestro unico” della società che, con la paura e l’odio, ci stiamo apprestando a costruire e a vivere!
articolo pubblicato dall'amico Marino Marciano, pubblicato su http://laburismo.blogspot.com
nota mia:
ho già commentato il post di Marino sul suo blog. ovviamente, visto che l'ho ripubblicato, condivido appieno quanto scrive. volevo solo aggiungere che i 'soliti' mezzi di informazione parlano dei capitali arabi che conquistano il mondo. sarà anche vero. ma le aziende italiane all'estero, cosa ci vanno a fare? a compere opere di bene? forse che l'ENEL, tanto per fare un esempio non ha acquisito pacchetti azionari di altre aziende?
e, a proposito di cosiddetti mezzi di infromazione, quando qualche sito pacifista denuncerà il fatto che l'italia possiede armi di distrazione di massa?
Ricordo, da bambino appena arrivato al Nord dalla natia Sicilia, il dolore che mi dava leggere le notizie di furti o rapine commessi da “Tizio, siciliano”, quasi a sottolineare che la provenienza geografica, in qualche modo a me ignoto, aggravasse o provocasse il reato. Ed oggi anche un incidente stradale in cui sia coinvolto un romeno, o un albanese, sembra più grave di quello commesso da un bergamasco o un imperiese. Perfino l’aumento della partecipazione della Libia nel capitale Unicredito viene dipinta in modo inquietante, dimenticando la partecipazione libica al capitale Fiat, o la presenza di capitali stranieri in pressoché tutte le attività economiche italiane di un certo rilievo. Ma una cosa ostacola il diffondersi dell’odio razziale: i giochi dei bambini, i loro sorrisi innocenti, le classi ormai sempre più multiculturali e multietniche. Ed allora ecco le classi ponte. La divisione, la ghettizzazione del diverso, l’emarginazione. Bisogna evidentemente impedire che, domani, una figlia bianca, cattolica, porti a cena dai genitori un amico nero, e mussulmano, come nel celebre film che da il titolo a questo post. Nel momento in cui la più grande potenza mondiale (o quello che ne resta dopo la cura Bush) potrebbe eleggere come proprio presidente un nero (Dacci dentro Obama, vinci anche per darci una speranza!), noi discutiamo di separare i bambini stranieri da quelli italiani, di obbligare i medici del pronto soccorso a denunciare le persone non in regola col permesso di soggiorno che ricorrono alle loro cure, ad impedire con tutti i mezzi la costruzione di luoghi di culto per altre religioni che non siano quella cattolica, e non per questioni di fede (che già sarebbe odioso), ma solo perché i mussulmani, nella stragrande maggioranza, non hanno diritto di voto!A tutto questo si aggiungano i tagli agli investimenti per la scuola (ma perché si continua a definire riforma quello che è solo un’operazione contabile?) ed il quadro è completo.L’istruzione pubblica, diffusa ed uguale per tutti, ridimensionata. La cultura offesa, piegata agli interessi dei potenti. La capacità di critica annullata, in nome della diffusione di un pensiero unico. E l’affermazione definitiva della televisione, vero unico e solo “maestro unico” della società che, con la paura e l’odio, ci stiamo apprestando a costruire e a vivere!
articolo pubblicato dall'amico Marino Marciano, pubblicato su http://laburismo.blogspot.com
nota mia:
ho già commentato il post di Marino sul suo blog. ovviamente, visto che l'ho ripubblicato, condivido appieno quanto scrive. volevo solo aggiungere che i 'soliti' mezzi di informazione parlano dei capitali arabi che conquistano il mondo. sarà anche vero. ma le aziende italiane all'estero, cosa ci vanno a fare? a compere opere di bene? forse che l'ENEL, tanto per fare un esempio non ha acquisito pacchetti azionari di altre aziende?
e, a proposito di cosiddetti mezzi di infromazione, quando qualche sito pacifista denuncerà il fatto che l'italia possiede armi di distrazione di massa?
domenica 19 ottobre 2008
MAESTRO PONTE
“Oltre il ponte che è in mano nemica….” diceva il ritornello di una canzone partigiana ripresa nel film “C’eravamo tanto amati” e mi è tornata in mente quando ho sentito che il Parlamento ha impegnato il Governo ad istituire le classi ponte. E’ un ragionamento che non fa una piega per chi sta approvando una legge nella quale si prevede di aumentare gli alunni per classe e portare ad una sola le maestre. Con 30/32 alunni per classe come volete che possa la maestra unica riuscire ad insegnare l’italiano agli stranieri? E, responsabilmente si sono risposti: l’unica è fargli l’esame e chi sa l’italiano può restare e chi non lo sa va nella classe ponte. Una maestra ieri sera a Ravarino ad una assemblea sui temi della scuola si chiedeva: ” Ma cosa c’è di là dal ponte? Si sono dimenticati di dirci dove porta quel ponte” Sono d’accordo mi sembra fondamentale rispondere a questa domanda prima di dire se è la strada giusta. Un’altra cosa non ci hanno detto. Chi insegnerà nella classe ponte? La maestra che sa le lingue? Potrebbe essere utile perché nella stessa classe ci saranno marocchini, albanesi, romeni, ghanesi, indiani, serbi, moldavi, cinesi, filippini…..
Verrà fatta una graduatoria? Ma sarà una graduatoria di merito? Per cui ai primi posti andrà la maestra laureata in lingue, quella più brava in italiano, quella che fa imparare a memoria l’inno nazionale. Oppure la classe ponte verrà considerata un reparto di confino (o confine?) una specie di Guantanamo in cui mandare le maestre che hanno avuto contatti con musulmani, quelle che fanno spesso viaggi all’estero e che amano le letterature dei paesi ex colonie europee? Se verrà scelta la strada di mandare nella classe ponte le maestre che dopo i tagli resteranno senza classe ma non potranno essere licenziate perché già di ruolo, insomma gli scarti che rischierebbero di rimanere improduttivi. In questo caso presento la mia autocandidatura per diventare maestro ponte, per insegnare in quelle classi. Infatti non voglio lasciare solo Patric che è appena stato adottato e parla portoghese, Hilal che è un anticipatario, cioè è venuto in prima elementare a cinque anni senza aver frequentato la scuola dell’infanzia, Lin che si illumina tutto solo quando giochiamo con il vocabolario illustrato italo-cinese, Lydia che ha frequentato la scuola dell’infanzia ma che difficilmente supererebbe un esame scritto di italiano.
Il mio sogno sarebbe quello di diventare un maestro passeur, come dicono i francesi, il traghettatore, colui che aiuta a passare di nascosto il confine o le linee nemiche(come traduce il vocabolario per chi non sa il francese). Non mi vergognerei ad essere inserito in una classe di clandestini, di bambini contrabbandieri delle culture e dei giochi. Assicuro che io e loro ci impegneremo al massimo per poter tornare di là insieme agli altri, però dovete dirci con precisione cosa volte che impariamo e non alzarci l’asticella ogni volta che vogliamo saltare dall’altra parte. Speriamo solo che ci lascino giocare in cortile insieme agli altri durante la ricreazione. Perché ho sentito qualcuno dire: la ricreazione è finita.
Arturo Ghinelli
Verrà fatta una graduatoria? Ma sarà una graduatoria di merito? Per cui ai primi posti andrà la maestra laureata in lingue, quella più brava in italiano, quella che fa imparare a memoria l’inno nazionale. Oppure la classe ponte verrà considerata un reparto di confino (o confine?) una specie di Guantanamo in cui mandare le maestre che hanno avuto contatti con musulmani, quelle che fanno spesso viaggi all’estero e che amano le letterature dei paesi ex colonie europee? Se verrà scelta la strada di mandare nella classe ponte le maestre che dopo i tagli resteranno senza classe ma non potranno essere licenziate perché già di ruolo, insomma gli scarti che rischierebbero di rimanere improduttivi. In questo caso presento la mia autocandidatura per diventare maestro ponte, per insegnare in quelle classi. Infatti non voglio lasciare solo Patric che è appena stato adottato e parla portoghese, Hilal che è un anticipatario, cioè è venuto in prima elementare a cinque anni senza aver frequentato la scuola dell’infanzia, Lin che si illumina tutto solo quando giochiamo con il vocabolario illustrato italo-cinese, Lydia che ha frequentato la scuola dell’infanzia ma che difficilmente supererebbe un esame scritto di italiano.
Il mio sogno sarebbe quello di diventare un maestro passeur, come dicono i francesi, il traghettatore, colui che aiuta a passare di nascosto il confine o le linee nemiche(come traduce il vocabolario per chi non sa il francese). Non mi vergognerei ad essere inserito in una classe di clandestini, di bambini contrabbandieri delle culture e dei giochi. Assicuro che io e loro ci impegneremo al massimo per poter tornare di là insieme agli altri, però dovete dirci con precisione cosa volte che impariamo e non alzarci l’asticella ogni volta che vogliamo saltare dall’altra parte. Speriamo solo che ci lascino giocare in cortile insieme agli altri durante la ricreazione. Perché ho sentito qualcuno dire: la ricreazione è finita.
Arturo Ghinelli
LA LEGA E' IL PEGGIO: BREVE REPLICA A MARONI
Leggo su La Repubblica di oggi (v. precedente post) che il ministro Maroni, replicando al Sindaco di Torino ha affermato :
L'Italia è tra i primi Paesi europei per la qualità dell'integrazione. Siamo al settimo posto su 25 paesi dell'Unione e se si considerano i cinque Paesi con il più altotasso di immigrazione (Italia, Regno Unito, Spagna, Germania, Francia), il nostro è al primo posto". Poi aggiunge: "L'Italia dà asilo politico aoltre 8 mila persone all'anno".
Volevo umilmente ricordare al Signor Ministro che se era per la Lega nord, l'Italia era all'ultimo posto, non al primo...
E, a tutti coloro i quali non si indignano perchè pensano che ciò non li riguardi, vorrei ricordare che ogni volta sono stati intaccati i diritti di qualcuno, in poco tempo sono stati intaccati quelli di tutti...
L'Italia è tra i primi Paesi europei per la qualità dell'integrazione. Siamo al settimo posto su 25 paesi dell'Unione e se si considerano i cinque Paesi con il più altotasso di immigrazione (Italia, Regno Unito, Spagna, Germania, Francia), il nostro è al primo posto". Poi aggiunge: "L'Italia dà asilo politico aoltre 8 mila persone all'anno".
Volevo umilmente ricordare al Signor Ministro che se era per la Lega nord, l'Italia era all'ultimo posto, non al primo...
E, a tutti coloro i quali non si indignano perchè pensano che ciò non li riguardi, vorrei ricordare che ogni volta sono stati intaccati i diritti di qualcuno, in poco tempo sono stati intaccati quelli di tutti...
AL PEGGIO NON C'E' MAI FINE: LA LEGA CONTRO L'ASSISTENZA SANITARIA AGLI IRREGOLARI
*ROMA *-
Medici delatori per la polizia. Immigrati irregolari privi di cure mediche gratuite. Monta la protesta contro un emendamento al ddl sicurezza presentato dalla Lega Nord. "Salta il diritto alla salute per gli stranieri", denunciano Medici senza Frontiere, Asgi e Società italiana di medicina delle migrazioni. Su altro fronte il sindaco diTorino, Sergio Chiamparino, accusa: "Le classi differenziate per bambini italiani e stranieri rischiano di far nascere delle banlieu". Ma il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, è di ben altra opinione:"L'Italia è uno dei Paesi che integrano di più". Poi, rivolto allaLibia: "Spero che il governo libico, oltre a pensare a Unicredit, nei prossimi mesi si convinca ad attuare gli accordi sul controllodell'immigrazione già sottoscritti".
Al centro delle polemiche è un emendamento presentato dal Carroccio inSenato, che mira a modificare l'articolo 35 del Testo unico sull'immigrazione. In particolare si vuole cancellare il comma 5, in base al quale "l'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità".
Quale è la logica di questa norma? "Non solo quella di curare l'immigrato irregolare - spiega Salvatore Geraci, presidente della Società italiana di medicina delle migrazioni - ma di tutelare la collettività: il rischio di denuncia contestuale alla prestazione sanitaria spingerebbe infatti a una clandestinità sanitaria pericolosa per l'individuo, ma anche per la popolazione italiana in caso di malattie trasmissibili". Insomma, si rischia di trasformare i medici in delatori.
Non è tutto. L'emendamento leghista mira anche a eliminare la gratuita delle cure per gli stranieri. Critica l'Asgi (Associazione studi giuridici sull' immigrazione): "La previsione di sopprimere la gratuità della prestazione urgente o essenziale erogata agli stranieri non iscritti al servizio sanitario nazionale e privi di risorse economiche sufficienti, cozza con l'articolo 32 della Costituzione, che tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo, garantendo cure gratuite agli indigenti".
Sul piede di guerra anche Medici senza Frontiere, che dal 2003 a oggi ha attivato in Italia 35 ambulatori per stranieri privi di permesso di soggiorno, visitando 18 mila pazienti. "Con questo emendamento leghista -denuncia Antonio Virgilio, capo missione dei progetti italiani di Msf -si mette in seria discussione uno dei diritti fondamentali dell'uomo, quello alla salute".
Sul fronte immigrazione si registra poi lo scontro tra Maroni eChiamparino, intervenuti ieri a Saint Vincent, al convegno di studi della Fondazione Donat-Cattin. A dare fuoco alle polveri è il sindaco diTorino: "Il provvedimento del governo che prevede classi differenziateper bambini italiani e stranieri rischia di essere la base per un fenomeno banlieue".
Il ministro Roberto Maroni replica: "L'Italia è tra i primi Paesi europei per la qualità dell'integrazione. Siamo al settimo posto su 25paesi dell'Unione e se si considerano i cinque Paesi con il più altotasso di immigrazione (Italia, Regno Unito, Spagna, Germania, Francia), il nostro è al primo posto". Poi aggiunge: "L'Italia dà asilo politico aoltre 8 mila persone all'anno". E infine: "Per risolvere il problemadell'immigrazione dalla Libia c'è un modo, occorre che il governo libicoattui un accordo che già c'è".
http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/politica/assistenza-clandestini/assistenza-clandestini/assistenza-clandestini.html
Medici delatori per la polizia. Immigrati irregolari privi di cure mediche gratuite. Monta la protesta contro un emendamento al ddl sicurezza presentato dalla Lega Nord. "Salta il diritto alla salute per gli stranieri", denunciano Medici senza Frontiere, Asgi e Società italiana di medicina delle migrazioni. Su altro fronte il sindaco diTorino, Sergio Chiamparino, accusa: "Le classi differenziate per bambini italiani e stranieri rischiano di far nascere delle banlieu". Ma il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, è di ben altra opinione:"L'Italia è uno dei Paesi che integrano di più". Poi, rivolto allaLibia: "Spero che il governo libico, oltre a pensare a Unicredit, nei prossimi mesi si convinca ad attuare gli accordi sul controllodell'immigrazione già sottoscritti".
Al centro delle polemiche è un emendamento presentato dal Carroccio inSenato, che mira a modificare l'articolo 35 del Testo unico sull'immigrazione. In particolare si vuole cancellare il comma 5, in base al quale "l'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità".
Quale è la logica di questa norma? "Non solo quella di curare l'immigrato irregolare - spiega Salvatore Geraci, presidente della Società italiana di medicina delle migrazioni - ma di tutelare la collettività: il rischio di denuncia contestuale alla prestazione sanitaria spingerebbe infatti a una clandestinità sanitaria pericolosa per l'individuo, ma anche per la popolazione italiana in caso di malattie trasmissibili". Insomma, si rischia di trasformare i medici in delatori.
Non è tutto. L'emendamento leghista mira anche a eliminare la gratuita delle cure per gli stranieri. Critica l'Asgi (Associazione studi giuridici sull' immigrazione): "La previsione di sopprimere la gratuità della prestazione urgente o essenziale erogata agli stranieri non iscritti al servizio sanitario nazionale e privi di risorse economiche sufficienti, cozza con l'articolo 32 della Costituzione, che tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo, garantendo cure gratuite agli indigenti".
Sul piede di guerra anche Medici senza Frontiere, che dal 2003 a oggi ha attivato in Italia 35 ambulatori per stranieri privi di permesso di soggiorno, visitando 18 mila pazienti. "Con questo emendamento leghista -denuncia Antonio Virgilio, capo missione dei progetti italiani di Msf -si mette in seria discussione uno dei diritti fondamentali dell'uomo, quello alla salute".
Sul fronte immigrazione si registra poi lo scontro tra Maroni eChiamparino, intervenuti ieri a Saint Vincent, al convegno di studi della Fondazione Donat-Cattin. A dare fuoco alle polveri è il sindaco diTorino: "Il provvedimento del governo che prevede classi differenziateper bambini italiani e stranieri rischia di essere la base per un fenomeno banlieue".
Il ministro Roberto Maroni replica: "L'Italia è tra i primi Paesi europei per la qualità dell'integrazione. Siamo al settimo posto su 25paesi dell'Unione e se si considerano i cinque Paesi con il più altotasso di immigrazione (Italia, Regno Unito, Spagna, Germania, Francia), il nostro è al primo posto". Poi aggiunge: "L'Italia dà asilo politico aoltre 8 mila persone all'anno". E infine: "Per risolvere il problemadell'immigrazione dalla Libia c'è un modo, occorre che il governo libicoattui un accordo che già c'è".
http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/politica/assistenza-clandestini/assistenza-clandestini/assistenza-clandestini.html
sabato 18 ottobre 2008
ALDO CAPITINI: LA TEORIA DELLA NONVIOLENZA
da:
==============================
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento de "La nonviolenza é in cammino"
Numero 246 del 18 ottobre 2008
In questo numero:
1. Aldo Capitini: Teoria della nonviolenza (parte prima)
2. Et coetera
1. ALDO CAPITINI: TEORIA DELLA NONVIOLENZA (PARTE PRIMA)
[Riproduciamo ancora una volta l'opuscolo che riporta alcuni testi di Aldo Capitini, Teoria della nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1980 (richiedibile presso la redazione di "Azione Nonviolenta", e-mail: azionenonviolenta@sis.it , sito: www.nonviolenti.org )]
Principi di nonviolenza
La nonviolenza risulta dall'insoddisfazione verso ciò che, nella natura, nella società, nell'umanità, si costituisce o si é costituito con la violenza; e dall'impegno a stabilire dal nostro intimo, unità amore con gli esseri umani e non umani, vicini e lontani. La manifestazione più concreta ed anche più evidente di questa unità amore é l'atto di non uccidere questi esseri e di non operare su di loro mediante l'oppressione e la tortura. Questo impegno non é che un punto di partenza (come nessuno nella poesia, nella musica, può pretendere di esaurirle), e le imperfezioni del nostro atto di unità amore non possono essere compensate che dal proposito di essere attivissimi in essa, nel tu che diciamo agli esseri nella loro singola individualità, mai dicendo che basta. La nonviolenza non é l'esecuzione di un ordine, ma é una persuasione che pervade mente, cuore ed agire, ed é un centro aperto: il che significa che ognuno prende l'iniziativa di unità amore senza aspettare che prima tutti si innamorino, e la concreta in modi particolari che egli decide con sincerità, e con dolore per ogni limite e impedimento che lo stato attuale della realtà-società-umanità ancora mette a sviluppare pienamente questa unità con tutti.
Vi sono, dunque, tanti gradi e tante espressioni della nonviolenza, ma, al punto in cui siamo, esse si concentrano in un modo fondamentale, che é di non uccidere esseri umani. Mentre si sta stabilendo, oggi più che mai, anche economicamente politicamente culturalmente, l'unità mondiale dell'umanità, l'atto di affetto all'esistenza di ogni essere umano ci porta al punto di questa unità umana. Verso gli altri esseri viventi ma non umani, come gli animali e le piante, tutto ciò che é fatto nell'affetto e rispetto alla loro esistenza, apre l'unità amore anche a loro e abitua a sentire, di riflesso, il valore del non uccidere esseri più complessi e più simili a noi, come sono gli uomini. La prassi del vegetarianesimo ha perciò grande importanza.
La nonviolenza non é soltanto contro la violenza del presente, ma anche contro quelle del passato; e perciò tende a un rinnovamento della realtà dove il pesce grande mangia il pesce piccolo, della società dove esiste l'oppressione e lo sfruttamento, dell'umanità nella sua chiusura egoistica e nelle sue abitudini conformistiche e gusto della potenza. Ma finché diamo col pensiero e con l'atto la morte, non possiamo protestare contro la realtà che dà la morte. E perché la società non torni sempre oppressiva sotto un nome od un altro, deve cambiare l'uomo e il suo modo di sentire il rapporto con gli altri: la nonviolenza é impegno alla trasformazione più profonda, dalla quale derivano tutte le altre; e perciò non si colloca nella realtà pensando che tutto resti com'é, ma sentendo che tutto può cambiare, e che com'é stata finora la realtà società umanità non era che un tentativo secondo i modi della potenza e della distruzione, e che vien dato un nuovo corso alla vita con i modi dell'unità amore e della compresenza di tutti.
La nonviolenza é in una continua lotta, con le tendenze dell'animo e del corpo e dell'istinto e la paura e la difesa, con la realtà dura, insensibile, crudele, con la società, con l'umanità nelle sue attuali abitudini psichiche: non può fare compromessi con questo mondo cosi com'é, e perciò il suo amore é profondo, ma severo; ama svegliando alla liberazione e sveglia alla liberazione amando; quindi distingue nettamente tra le persone e gli esseri tutti che unisce nell'amore, tutti avviati alla liberazione, e le loro azioni, delitti, peccati, stoltezze, assumendo il compito di aiutare questi esseri ad accorgersi del male, e, se proprio non é possibile altro, contribuendo a liberarli dando, più che é possibile, il bene.
La nonviolenza é attivissima, per conoscere gli aspetti della violenza e smascherarli impavidamente; per supplire all'efficacia dei mezzi violenti col moltiplicare i mezzi nonviolenti, facendo perciò come le bestie piccole che sono più prolifiche delle grandi; per vincere l'accusa e il pericolo intimo che essa sia scelta perché meno faticosa e meno rischiosa; per dare effettivamente un contributo alla società, che ci dà, in altri modi. Altri contributi. Proprio in questo tempo la nonviolenza ha il suo preciso posto nell'indicare una svolta decisiva e nell'inserire il fatto nuovo. Che non si veda un altro impero romano e un altro impero barbarico, e sempre oppressioni e rivolte, nascere e uccidere e morire, e l'uomo dolorante e illusoriamente lieto, perché ancora non ha imparato a fondo quanto dinamismo rinnovatore hanno l'interiorità, la libertà, l'amore. Proprio appassionandoci per l'esistenza degli esseri viventi, rispettandoli più che si può, e dolendoci della loro morte, noi impariamo a sentire immortali i morti e uniti all'intima presenza.
Chi é nonviolento é portato ad avere simpatia particolare con le vittime della realtà attuale, i colpiti dalle ingiustizie, dalle malattie, dalla morte, gli umiliati, gli offesi, gli storpiati, i miti e i silenziosi, e perciò tende a compensare queste persone ed esseri (anche il gatto malato e sfuggito) con maggiore attenzione e affetto, contro la falsa armonia del mondo ottenuta buttando via le vittime. La nonviolenza é impegnata a parlare apertamente su ciò che é male, costi quello che costi, non cedendo mai su questa libertà, e rivendicandola per tutti; e a non associarsi mai a compiere ciò che ritiene il male. Contro imperialismo, tirannia, sfruttamento, invasione, il metodo della nonviolenza é di non collaborare al male; e di creare difficoltà all'esplicazione di quei modi, senza sospendere mai l'amore per le singole persone, anche autrici di quei mali, ma non esaurentisi in essi; così si riconosce di avere un alleato alla solidarietà che si stabilisce tra gli oppressi, nell'intimo stesso degli oppressori.
Chi é persuaso della nonviolenza tende alla comunità aperta, e perciò a mettere in comune il più largamente le sue iniziative di lavoro, la proprietà, non sfruttatrice, che egli possiede, la cultura partecipando e celebrando i valori culturali con altre persone), la libertà (favorendola con altri in assemblee nonviolente per il controllo e lo sviluppo amministrativo della vita). (Principi elaborati per il Centro di Perugia per la Nonviolenza costituito nel 1952)
*
La nonviolenza nella prospettiva individuale e in quella sociale
La nonviolenza é lotta Agli uomini usciti dalle guerre, agli animi che sentono il peso di un'immensa stanchezza e il bisogno di un riposo che talvolta é perfino sogno di annullamento e più spesso é idoleggiamento di uno stato lento, comodo, col gusto di piaceri che non vengano tolti; prospettare l'idea e le conseguenze della nonviolenza produce un urto doloroso; ed essi domandano tra stizziti e allarmati: "ma é cosi difficile ricomporre una vita tranquilla, una casa, un orario giornaliero, e la fruizione dei beni della terra; e bisogna invece affrontare un problema cosi sconcertante e paradossale? Noi vogliamo la pace, l'umanità vuole, merita la pace". Penso che questa gente abbia una sensazione esatta. É un errore credere che la nonviolenza sia pace, ordine, lavoro e sonno tranquillo, matrimoni e figli in grande abbondanza, nulla di spezzato nelle case, nessuna ammaccatura nel proprio corpo. La nonviolenza non é l'antitesi letterale e simmetrica della guerra: qui tutto infranto, lì tutto intatto. La nonviolenza é guerra anch'essa, o, per dir meglio, lotta, una lotta continua contro le situazioni circostanti, le leggi esistenti, le abitudini altrui e proprie, contro il proprio animo e il subcosciente, contro i propri sogni, che sono pieni, insieme, di paura e di violenza disperata.
La nonviolenza significa esser preparati a vedere il caos intorno, il disordine sociale, la prepotenza dei malvagi, significa prospettarsi una situazione tormentosa. La nonviolenza fa bene a non promettere nulla del mondo, tranne la croce. E quegli uomini che dicevo prima non vogliono la croce: disfatti o disorientati preferirebbero ritagliarsi una parte anonima della vita, con uno stipendio immancabile, e frequenti "bicchierini" per tirare avanti. Gli uomini, la civiltà infine del "bicchierino" per reggere; e il bicchierino può essere liquore, fumo, vincita di lotteria, vita sensuale, un appoggio insomma che ci sia realmente, un qualche cosa di sensibile, che dica all'uomo attraverso un piacere: tu sei. Questi uomini furono ingannati perfettamente dal fascismo, il quale di rado era scomodo, ma nell'insieme ordinato e piacevole; e quando divenne pieno di punte problematiche quegli uomini gli si ribellarono contro con una sincerità tale come se gli fossero stati avversi dall'inizio.
Per scoprire l'inganno del fascismo sarebbe bisognato non prendere l'ordine per cosa assoluta; e per reagire sarebbe bisognato non prendere per cosa assoluta il comodo proprio e circostante. I regimi politici che assicurano comunque un ordine trovano sempre moltissimi che li accettano, senza badare se l'ordine esterno non é tradito potenzialmente da una mentalità sopraffattrice e avventuriera. Si diceva durante il fascismo: "Nel '21 c'era il disordine, scioperi, i treni non partivano; il fascismo ha stabilito l'ordine, la concordia tra capitale e lavoro". E si diceva cosa insulsa; perché il fascismo non risolse i problemi del dopoguerra, quelli che generavano il "disordine"; e se delle due fazioni avesse invece trionfato la socialista, avrebbe essa stabilito il suo ordine; e allora é da discutere sull'essenza, sulla qualificazione dell'ordine: ordine fascista o ordine socialista? Che cosa fosse l'ordine fascista si poteva intrinsecamente già vedere con l'occhio alla sua sostanza morale; ma si vide nel fatto: partirono, sì, i treni, ma sono partite poi anche le stazioni.
La nonviolenza non é appoggio all'ingiustizia
Ma oltre l'equivoco della nonviolenza come pace, io vorrei chiarire e dissipare un altro equivoco, che é ancor più insinuante e pericoloso. Nella lotta politica e sociale, necessaria in una società di ingiustizia e di privilegi, la nonviolenza fa tirare un sospiro di sollievo ai tiranni di ogni specie; e questo sospiro di sollievo é per noi oltremodo tormentoso. Se la nonviolenza dovesse essere interpretata, o comunque risolversi in un'acquiescenza all'ingiustizia, a quella violenza di secoli cristallizzata in potere e in privilegi decorati ora di una apparente legittimità, non ci sarebbe una più tentatrice sollecitazione a metterla in dubbio ed
abbandonarla. La nonviolenza non é soltanto rifiuto della violenza attuale, ma è diffidenza contro il risultato ingiusto di una violenza passata. Di quanto più di violenza é carico un regime capitalistico o tirannico, tanto più il nonviolento entra in stato di diffidenza verso di esso. Bisogna aver ben chiaro che la nonviolenza non colloca dalla parte dei conservatori e dei carabinieri, ma proprio dalla parte dei propagatori di una società migliore, portando qui il suo metodo e la sua realtà. Il nonviolento che si fa cortigiano é disgustoso: migliore é allora il tirannicida, Armodio, Aristogitone, Bruto. Due grandi nonviolenti come Gesù Cristo e San Francesco si collocarono dalla parte degli umiliati e degli offesi. La nonviolenza é il punto della tensione più profonda del sovvertimento di una società inadeguata.
La nonviolenza é attiva e modesta
Perciò, e cosi chiariamo il terzo equivoco, la nonviolenza é attivissima. La nonviolenza é prova di sovrabbondanza interiore, per cui all'uso della violenza che sarebbe ovvio, naturale, possibilissimo, viene sostituita, per ulteriore ricerca e sforzo, la nonviolenza.
Sarebbe anche qui falsificazione intendere il nonviolento come un pedante occupato esclusivamente a torcere il volto davanti ad ogni menomo atto violento, senza addentrarsi nella vita e nei suoi motivi. Tra il nonviolento inerte e il soldato che si esercita faticosamente ed arrischia, la possibilità di un valore morale é più nel secondo che nel primo. Il nonviolento deve essere attivissimo sia per conoscere le ragioni della violenza, per individuare la violenza implicita che si ammanta di legalità e smascherarla impavidamente; sia per supplire all'efficacia dei mezzi violenti con il moltiplicarsi dei mezzi nonviolenti, facendo come le bestie piccole che sono più prolifiche (e anche sopravvivono alle specie delle bestie grandi); sia per vincere l'accusa e il pericolo intimo che la nonviolenza venga scelta perché meno faticosa e meno rischiosa: il nonviolento deve portarsi alla punta di ogni azione, di ogni causa giusta, appunto per curare il proprio sentimento che potrebbe stagnare e per farsi perdonare dalla società la propria singolarità. É noto che gli obbiettori di coscienza (cioé coloro che non hanno voluto collaborare alla coscrizione) sono stati uccisi a migliaia dai governi totalitari; e dove sono stati tollerati, hanno chiesto spesso servizi rischiosi e dolorosi, per esempio di sottoporsi agli esperimenti medici o di raccogliere i feriti nelle prime linee. E infine sarà opportuno chiarire anche un quarto equivoco, che cioé il nonviolento pretenda essere superiore per il suo atto di nonviolenza. Non é l'atto di nonviolenza per se stesso, ma tutto ciò che sta con esso e all'origine di esso, che può costituire un valore. L'animo, l'intenzione, l'amore, gli sforzi fatti, quanto di proprio sacrificio ci sia stato messo: qui é il valore sia dell'atto di violenza che dell'atto di nonviolenza. É evidentissimo che tra colui che per evitare l'uccisione di un bambino si slanciasse con l'arma in mano a difenderlo a rischio di essere ucciso egli stesso, e il nonviolento che se ne stesse ben lontano e inerte, avrebbe maggior valore il primo, quando il secondo non si fosse gettato tra l'uccisore e il bambino a persuadere ed anche a offrire il suo corpo, avanti a quello del bambino, al colpo mortale.
Concetti e modi della nonviolenza
Chiariti e dissolti questi equivoci, sarà bene ora prender contatto con il concetto stesso della nonviolenza. Violenza é un concetto relativo all'oggetto sul quale si esercita una certa azione. Quanto meno io considero quell'oggetto in ciò che esso é per se stesso, tanto più mi avvio alla violenza contro di esso. La nonviolenza é una presa di contatto col mondo circostante nella sua varietà di cose, di esseri subumani, e di esseri umani, é un destarsi di attenzione alle singole individualità di tutti questi oggetti circostanti per porsi un problema: "che cosa é questo singolo oggetto? qual é la sua caratteristica, la sua vita, la sua libertà, il suo formarsi dal di dentro?".
É la sospensione dell'attivismo che consideri tutto, senza eccezione, come mezzo, fino a quei casi tipici che sono come il lusso e il gioco di questo attivismo, come l'incendio di Roma da parte di Nerone per vederne la bellezza, o il letto su cui il brigante greco Procuste stendeva i suoi prigionieri stirandoli o stroncandoli secondo che fossero più corti o più lunghi. Sospensione di attivismo che é attivissima moltiplicazione d'attenzione, d'interesse, di affetto, potenziamento della vita interiore proprio mediante questo collegamento in atto di tutto il reale nelle sue innumerevoli individuazioni con l'intimo nostro. Ma questo non é che un punto di partenza, perché di qui comincia un movimento, una tensione. Ad una parte degli oggetti assegno un compito di collaborazione, prendendo interamente su di me la definizione del fine del lavoro con cui essi collaborano; e questi oggetti chiamo cose. Nei riguardi delle "cose" io non mi pongo altro dovere che di adoperarle bene, di chiamarle a collaborare ad atti di cui assumo la responsabilità; e la malvagità sta non nell'usare l'acqua per un bagno, ma se nel bagno affogo il bambino, invece di lavarlo semplicemente, buttando l'acqua ad altro destino. Per il carbone fossile stare nell'interno della terra o muovere una locomotiva può essere indifferente, come per la pietra che sta nel monte, in un monumento o come polvere sulle strade. Può darsi che un giorno il nostro occhio scopra altro e diventi possibile ridurre il campo delle cose, stabilendo con alcune di esse un rapporto di collaborazione meno imperioso e meno antropocentrico: é un problema questo non vano, e di un orizzonte vastissimo, schiuso proprio dal principio della nonviolenza, che é inquietudine continua, passione mai saziata di interesse per le individualità. Vi é poi il gruppo di esseri subumani. E c'é come un gruppo di passaggio in tutti quegli esseri di minima vita, microrganismi e microbi, rispetto ai quali non possiamo fare che una valutazione di "cose" sempre però con quella speranza e quel problema, che nuove indagini e nuove intuizioni permettano una collaborazione migliore: chissà, per esempio, che non si riesca a trovare il modo di volgere a benefica l'azione malefica di molti microbi.
Ma quando incontriamo vite più sviluppate, individualità con cui è possibile stabilire un rapporto complesso, qui sentiamo la gioia di salvarci con più ragione dalla considerazione di "cose". Ciò non toglie che ci si possa interessare a cose minime, rispettarle nel loro essere; che io possa appassionarmi all'individualità di quella farfalla che ho visto nel boschetto e che vivrà oramai una settimana, di quel filo d'erba, di quel sasso. Questo prova che la nonviolenza, essendo unità-amore é espressione nostra, é collocazione e scelta volontaria, non un dogma; e ognuno può a sua ispirazione (Spiritus ubi vult spirat) dirigerla. San Francesco voleva che l'ortolano non lavorasse tutto l'orto, ma ne lasciasse una parte dove le così dette erbacce potessero crescere liberamente, perché per lui la spontaneità di quel crescere, la bellezza di quelle erbe, e che esse attestassero e lodassero Dio, era la stessa cosa. E cosi egli preferiva che l'albero si tagliasse lasciandogli la radice e la possibilità di crescere nuovamente.
Noi possiamo su tutta la scala degli esseri non umani istituire a noi stessi delle direttive, che anche se non sempre attuate, provano che in noi vive un problema, una passione, una direzione. Preferire, per esempio, di regalare piante intere piuttosto che fiori, rinunciare alla caccia, adoperarsi per addomesticare bestie selvagge. Il vegetarianesimo, per esempio, é una cospicua scelta che viene fatta nel campo degli esseri subumani. Si decide di rinunciare al cibo che comporti uccisione di animali; e con ciò stesso muta il nostro modo di avvicinarsi ad essi, il nostro modo di considerarli; si accetta sorridendo ma con fermezza l'apparente stranezza che galline e pecore, dopo averci dato uova e lana, "muoiano di vecchiaia": si amplia, al posto della violenza spietata alle sofferenze e all'uccisione, quel piano di collaborazione in cui consiste l'incremento della civiltà. Questa "sospensione" introdotta nella leggerezza sterminatrice e nella freddezza utilitaria si riflette in accrescimento di valore interiore. Ma c'é di più e forse di meglio. Io debbo confessare che, pur avendo un notevole interesse all'esistenza degli animali, mi decisi al vegetarianesimo nel 1932, quando, nell'opposizione al fascismo, mi convinsi che l'esitazione ad uccidere animali, avrebbe fatto risaltare ancor meglio l'importanza del rispetto dell'esistenza umana.
Consideriamo, dunque, la nonviolenza in questi gradi anteriori come un addestramento che ha due atteggiamenti, quello di considerare ciò che è altro da noi come "cosa" ma con l'impegno a servirsene per un fine degno e alto; e l'atteggiamento di considerarlo come "esistente", rispettato e amato perciò come tale. Due atteggiamenti, come ho detto, non rigidi, ma in dialettica, in travaglio, e appunto perciò prova della vitalità interiore di un appassionamento. Ma sia come un prologo al mondo umano. Noi sappiamo che tutte le volte che in pedagogia ci si é posti il problema del più basso, di ciò che é infimo, si é fatto un grande passo: quando si é cercata l'educazione dei deficienti, o dei molto piccoli o dei molto poveri, si sono scoperti sempre metodi che hanno dato risultati prodigiosi applicati agli altri.
E cosi in questo prologo ci siamo posti dei temi: portiamoli ora nel mondo umano, e sentiremo una risonanza grandiosa. Riguardo ad esseri umani la nonviolenza é l'appello continuo e intenso alla comprensione, alla spontaneità, alla capacità che ha l'altro essere umano di giungere ad una decisione razionale. Nel campo umano la dedizione a questo appello ha un fondamento più saldo che per ogni altro essere: basta che io pensi che colui che incontro, potrebbe essere mio figlio: nulla di eccezionale in questo sentimento di genitura, per la somiglianza umana che c'é tra noi. Del resto, io penso che sempre nei riguardi di un essere umano debbo richiamarmi a un punto interno in cui io mi senta madre di lui; che debbo abituarmi a costituire costantemente questo atteggiamento nel mio intimo; che, insomma, almeno per una volta, esaurite e sfogate se si vuole, tutte le altre possibilità, io debbo domandarmi: "ma mi sono anche considerato pur per un istante madre di costui? come agirei se fossi sua madre, certo una madre non stolta, ma pronta a vedere che cosa c'é a favore di lui, a sperare per lui?". La nonviolenza, porgendo l'appello alla razionalità altrui, é anche un potenziamento del tu, e dell'interesse a che l'altro viva, si svolga, e come un generarlo dall'intimo nostro, una gioia perché l'altro esiste, un appassionamento alla radice. Come noi potremmo avvicinarci all'infinita miseria degli esseri umani, alle loro limitazioni, curare le loro infermità, sopportarli, se non portassimo un infinito compiacimento che l'altro esiste e proprio come essere umano? In questo atto si va oltre lo stato di felicità e infelicità, e si vive il sacro per cui ogni essere che viene alla luce entra in qualche cosa di positivo, di là dalla sua miseria e dalla sua grandezza. Lo spirito lo tocca, e io posso raggiungerlo col mio atto: qui siamo nella presenza religiosa, che é più di ogni limitatezza, deformità, malattia, bruttezza. La nonviolenza mi fa risaltare l'importanza dell'atto col quale mi avvicino ad uno, atto di presenza aperta, superiore alla felicità o infelicità, a ciò che può accadermi o accadergli.
E se io voglio che l'altro sia in un certo modo, il ripudio dei mezzi violenti mi induce ad una tensione interiore perché io anzitutto viva quello che voglio dall'altro, perché io prenda su di me il compito di attuare quel meglio, di portarmi a quel grado, di purificarmi, di sacrificarmi, fino al sacrificio supremo di dare l'atto di nonviolenza al posto dell'atto di violenza, e di trasferire con atto d'amore nell'intimo dell'altro il punto a cui ero giunto. In questa nonviolenza si attua la fede nell'unità di tutti, e nell'efficacia che ciò a cui mi tendo io (o ciò per cui io prego, per dirla nei termini tradizionali) influisce su di un altro, pur lontano, quanto più di sacrificio e di purezza interiore io vi metto. Sarebbe più agevole che con un mezzo esteriore e violento io agissi sull'altro, ma quanto perderei di interiorità, di qualità!
Attuazione della nonviolenza
Un principio che sta dentro l'atto della nonviolenza é la potente sollecitazione dell'impegno della propria persona. La radice della nonviolenza sta nell'essere nonviolento, internamente, prima dell'atto rivolto agli altri; e anche questo conferma che la nonviolenza non é un atto puntuale, ma una disposizione, una formazione, un'educazione, un'intenzione, un insieme. Se la nonviolenza é promovimento della tua razionalità, della tua bontà, della tua spiritualità superiore, bisogna che io anzitutto mi tenda alla mansuetudine e alla ragionevolezza. Non si può insegnare la nonviolenza con l'odio e le fucilate. Se io voglio che tu agisca da persuaso interiormente, bisogna che io prima sia in tutto persuaso e non retore. Se io voglio che nel mondo ci sia qualche cosa, e in questo caso, un atto di unità-amore insistente fino anche al sacrificio, se non ci metti tu questo atto, o ancora non ce lo metti, ce lo metto io.
Quanto ai modi dell'attuazione della nonviolenza io vorrei sottrarli a quella casistica che sorge per ogni proposito di azione, e anche per questo. Tutti quelli che hanno esperienza di questo proposito, hanno anche esperienza di una lunga discussione con se stessi e con gli altri sui casi, sui modi. Più di quindici anni di questa esperienza mi hanno confermato che é lo spirito che conta, ed é l'approfondimento di questo che fa progredire la civiltà.
C'é una scala di attuazione, una scelta, una creazione; non é un dogma e un ordine di chissà chi: la nonviolenza é una creazione che uno attua. Ci può essere un'attuazione così meticolosa da far sorridere; e non c'è nulla di male. Una civiltà che consuma tanto suo tempo in mille cose futili e fatue, può ben consumarlo in questo campo. C'é un eccesso e un ridicolo che é in funzione del sublime. Un discepolo di San Francesco aveva spinto così oltre il precetto dell'imitazione della santità, che ripeteva ogni atto che vedesse fare al Santo, perfino sputare. E San Francesco ne sorrideva. Tutti sappiamo che vi sono diverse interpretazioni e attuazioni della nonviolenza, fino a quella che non si può parlare di "violenza" quando si colpisce per diritto e a giusta ragione. Io qui esporrò l'interpretazione che risulta dalla mia esperienza. Considererei come un grande dolore se nel momento della morte di un qualsiasi essere umano io non desiderassi con tutte le mie forze che quella morte non avvenisse.
Non posso accettare come veramente mio il mondo dove le persone cadono come oggetti, ma quello dove tutti sono soggetti, vivono, si svolgono. Se non sentissi sempre questo, se avessi fatto qualche eccezione a questo, oggi dovrei moltipllcare la mia tensione per riparare al passato. E realmente io debbo riparare al passato, che oltre che mio, é di tutte le civiltà trascorse; e, istruito da questa insufficienza, oggi non sono tanto disposto a farmi sorprendere dall'indifferenza, e sto attento perché non perda questa passione fondamentale ad ogni momento in cui la morte si manifesta in questa realtà. Perciò é inutile che io raccolga armi vicino a me e mi addestri ad usarle, se so già quale sarebbe la mia posizione domani. Da questo si riflette uno stimolo ad atteggiare il mio fare in modo che senta di non poter far conto su mezzi violenti, e che a mia disposizione non c'é che il prestigio dell'esempio, l'intima trasparenza, la razionalità della persuasione, la forza dell'anima. Potrò, a parte il ripudio della uccisione, ricorrere a dei mezzi che diminuiscano l'effetto della violenza dell'altro, specialmente se in uno stato di furia; ma sempre tali che non lo mettano in uno stato di tortura né in uno stravolgimento della sua possibilità di razionalità. L'importante é che in quel momento io mi immedesimi col problema dell'altro, e della sua formazione verso la libertà, la razionalità, la bontà; e che, assicurate queste dalla parte mia, mi rifiuti ai mezzi che la turbino nell'altro. La tortura, cioé che io provochi in te il dolore per ottenere qualche cosa da te, che senza la tortura mi rifiuteresti, non è per me giustificata da nulla, perché io non voglio mai provocare il dolore, ma riparare al dolore: essere non al punto in cui si causa il dolore (che è questa realtà e il mondo della limitatezza), ma al punto in cui si supera il dolore, che é la realtà autentica, il mondo del valore. Se questo mondo é la mia croce, ma io sono più del mondo, sono dall'infinito. Come davanti alla morte, cosi davanti alla sofferenza di un altro, ho la passione di essere non dalla parte del mondo ma del sopramondo eterno che qui si apre, non dalla materia ma dalla forma, non dall'esteriorità ma dall'interiorità, non con un Dio che batte, ma con un Dio che porta nel valore dell'amore che sempre si accresce, e che, come la libertà, non esiste, se non si fa ancora più amore, ancora più libertà.
La nonviolenza e la società
A questo punto, dopo aver guardato la cosa dall'individuo, bisogna guardarla dalla società; altrimenti mi si potrebbe dire che tutto quello che ho detto é "prima della nascita della società, dello Stato". L'obbiezione più formidabile é questa: "non faccio questione di me come singolo, della mia difesa, della mia esistenza, ma della società, del suo ordine, della norma che io debbo sostenere e contribuire a tener viva, per cui non é lecito che uno si serva della violenza: come potrò far questo senza l'uso della forza? come potrà avvenir questo se il cittadino manca al suo dovere di riconoscere la necessità dell'uso della forza in qualche caso? Una società non ha connessione senza l'uso parco e regolato della forza". Qui debbo richiamare quel carattere drammatico della nonviolenza del quale ho parlato all'inizio. Ho già detto che per intendere la nonviolenza bisogna lasciar di guardare l'ordine, la compostezza, la pace: bisogna, invece, prender sù risolutamente una responsabilità, che può essere anche in mezzo all'avversione e al biasimo; é una scelta severa e tremenda. La nonviolenza non é per conservare alcuna cosa di questo mondo, sia dell'individuo o della società: non il piacere, il comodo, la casa, il letto, la roba, la vita, le cose fatte, costruite, l'ordine sociale, la regolarità dei servizi pubblici, l'esistenza dei cari, degl'innocenti. Non é un accrescimento di sicurezza che tutte queste cose permangano; anzi è una rinuncia interiore a questa sicurezza; é in potenza la morte di tutto questo. É la possibilità di perdere tutto ciò che é nel mondo, il Memento mori, non immaginazione oziosa, ma legato a un impegno, a un'azione. Perché nello stesso tempo la nonviolenza afferma un valore; ed é dunque atto, resurrezione. La società col suo ordine, la vita con i suoi oggetti, non possono costituire quell'assoluto che si imponga indiscutibile e tolga la possibilità di un contributo, di un'iniziativa. Siamo davanti, in questo tempo, ad una società impiantata così che vorrei chiamarla "la società dei pubblici servizi", una società pratica, del tempo dell'attivismo, del tempo dei molti aspetti del vivere, delle varie cose. I pubblici servizi esigono una difesa di essi con tutti i mezzi; e questo non é la società come concetto eterno: non é che un tipo della società della vita, corrisponde a una scelta che l'uomo di oggi fa: il che non esclude che si possa fare un'altra scelta, presentare un altro tipo. Il significato religioso della nonviolenza sta proprio nel preparare un altro tipo, un'altra realtà. É evidente che se si volesse configurare la società non con la trama interna della difesa dei pubblici servizi, ma con la trama interna della celebrazione di atti di infinito tu alle persone, tutta la prospettiva muterebbe. La società romana aveva per trama la tutela dei diritti del civis, la società cristiana aveva per trama la fruizione dei carismi divini. La società non é un qualche cosa di staccato da me. E perciò come io, in quanto individuo, ho il dovere di interiorizzarla e di rendermi conto delle sue ragioni, ho anche il diritto di andare eventualmente oltre di essa. Non quando io fossi ribelle, disordinato, ex lege, per natura; ma se seguo le leggi che ritengo giuste, se attuo ciò che é ordine, se continuamente utilizzo l'esperienza tradizionale della società, posso bene, quando sia in gioco un valore, quando nel resto della mia vita sia solito a stare in guardia contro il gusto personale e l'originalità di proposito, innovare, prendere un'iniziativa, dare un contributo, e in questo caso sentire, vivere, e far vivere, che la vera società é oltre quella dell'ordine sociale, della difesa dei diritti, del mantenimento dei pubblici servizi; ma é oltre, nel regno degli spiriti, cioé dei soggetti, cioé dell'amore da instaurare subito a costo di sacrifici. Accanto ad una società che usa la guerra come via alla pace, la violenza come via all'amore, la dittatura come via alla libertà, la religione mi porta ad anticipare di colpo il fine nel mezzo; e ad attuare comunque, qui e subito, pace, amore, libertà. La religione é impazienza dell'attendere il fine; e oggi che l'universo, il tempo, lo spazio, non sono sentiti in dualismo stabile con l'infinito e l'eterno, porremo noi questo dualismo nella società tra il mezzo e il fine?
Il limite del realismo
Se si ostenta la natura umana nel suo fondo utilitario e violento, nelle sue forze brute, che vanno continuamente represse e indirizzate, ma che sono insopprimibili, la persuasione della nonviolenza non nega senz'altro questo, non chiude gli occhi come lo struzzo per non vedere il nemico; e riconosce che la situazione é drammatica, quasi sempre drammatica, e ne accetta le conseguenze. Però porta con sé una fede, che ha tanta conferma nella attuale concezione della realtà fisica; la fede che tutto ciò che é un dato non é un continuum senza interruzione, ma é come a respiri con intervalli, nei quali é possibile inserire altro. Con quale certezza possiamo noi dire che quella cosa é sempre cosi? Questa sospensione della continuità si può applicare alla politica, per cui viene a risultare insufficiente e quasi ingenuo, quel certo realismo di tipo machiavellico che non tiene conto degli intervalli in cui é possibile far agire forze d'altra provenienza: quel realismo é una specie di imitazione della natura in ritardo. E così per quella natura che é la psiche, alla quale si vorrebbe applicare solidità e costanza invece di un ritmo di respiri e di tentativi con intervalli e possibilità di inserzione di temi e forze e prospettive diverse. La nonviolenza é fede in questa possibilità di intromissione miracolosa e rinnovatrice, per lo meno a suggerire e far rivivere una certa realtà diversa. Accettiamo che la civiltà culmini nel culto attivo dei valori, e che le forme della civiltà siano insufficienti quando sono principalmente amministrative, giuridiche, diffonditrici più che produttrici di valori. Ma se la nonviolenza é nella sua radice, nella sua intenzione, nella zolla che la sostiene, un valore, ha ben il diritto di chiedere che la civiltà attuale si allarghi a comprenderlo. Quando si segue un valore si scopre sempre qualche cosa, una realtà anche maggiore della cercata, come Colombo che ritrovò non le Indie, ma scoprì un nuovo continente. Lo so, si può perdere tutto; ma si può approfondire la conferma che la vita da un punto di vista religioso é eterna presenza aperta nel mondo, quanto più vivendo dall'intimo i valori e la loro pace, tanto più incontrando asprezze, disagi nelle cose e nel corpo, colpi simili alla morte. Non per pochi aspetti la civiltà attuale sembra perdere il senso della distinzione tra il valore, che é fine, e il resto, che é mezzo; e conquista e difende quelli che sarebbero semplici mezzi come se essi fossero valori. Si mette, certe volte, tutto nella conquista e nella difesa, e si tratta anche di cose fatue; tanto più é importante stabilire una prospettiva, e mostrare che si é capaci, per un valore, di perdere tutto il resto. Mostrare, ho detto intendendo: non soltanto agli altri, ma a se stessi, perché anzitutto la nonviolenza ha un carattere di edificazione interiore. Ciò non é contro il principio dell'estensione della razionalità. Si può e si deve accettare che la razionalità nell'uomo e nella società si estenda sempre, e che l'uomo si faccia sempre più autonomo, e la società sempre più democratica. Ma ad un tratto potrebbe avvenire, e avviene, che si sospende la razionalità e la democrazia con un atto di violenza. Il metodo religioso, invece, contrappone l'atto e l'esempio di nonviolenza, aggiunto ad arricchire la razionalità e la democrazia. Rendiamo la società sempre più democratica promovendo la razionalità, l'autogoverno, lo scambio razionale, il controllo e lo sviluppo etico, civile, economico di tutti; e in questa società aggiungiamo persone o gruppi che costituiscano centri religiosi.
Tutti quelli che hanno parlato di nonviolenza nella esperienza etico-religiosa di millenni hanno sentito più o meno consapevolmente che la vita offre difficoltà e fatiche, che ogni giorno ha la sua pena, e che se ci si vive dentro semplicemente lottando, ma divisi l'uno dall'altro, non basta; che se invece si attua anche una intima e superiore unità, di apertura sincera, di aiuto incondizionato, di sostituzione, tra noi, del bene al posto del male, allora la realtà della lotta con le asprezze può essere sostenuta, integrata, superata. E alle reazioni moderne alla nonviolenza, reazioni, per esempio, del Marx e del Sorel in nome dello sviluppo sociale, noi diciamo: ebbene, permetteteci di vedere questo flusso storico da un intimo, di aggiungere questa presenza.
(Da Il problema religioso attuale, 1948)
(Parte prima - Continua)
==============================
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento de "La nonviolenza é in cammino"
Numero 246 del 18 ottobre 2008
In questo numero:
1. Aldo Capitini: Teoria della nonviolenza (parte prima)
2. Et coetera
1. ALDO CAPITINI: TEORIA DELLA NONVIOLENZA (PARTE PRIMA)
[Riproduciamo ancora una volta l'opuscolo che riporta alcuni testi di Aldo Capitini, Teoria della nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1980 (richiedibile presso la redazione di "Azione Nonviolenta", e-mail: azionenonviolenta@sis.it , sito: www.nonviolenti.org )]
Principi di nonviolenza
La nonviolenza risulta dall'insoddisfazione verso ciò che, nella natura, nella società, nell'umanità, si costituisce o si é costituito con la violenza; e dall'impegno a stabilire dal nostro intimo, unità amore con gli esseri umani e non umani, vicini e lontani. La manifestazione più concreta ed anche più evidente di questa unità amore é l'atto di non uccidere questi esseri e di non operare su di loro mediante l'oppressione e la tortura. Questo impegno non é che un punto di partenza (come nessuno nella poesia, nella musica, può pretendere di esaurirle), e le imperfezioni del nostro atto di unità amore non possono essere compensate che dal proposito di essere attivissimi in essa, nel tu che diciamo agli esseri nella loro singola individualità, mai dicendo che basta. La nonviolenza non é l'esecuzione di un ordine, ma é una persuasione che pervade mente, cuore ed agire, ed é un centro aperto: il che significa che ognuno prende l'iniziativa di unità amore senza aspettare che prima tutti si innamorino, e la concreta in modi particolari che egli decide con sincerità, e con dolore per ogni limite e impedimento che lo stato attuale della realtà-società-umanità ancora mette a sviluppare pienamente questa unità con tutti.
Vi sono, dunque, tanti gradi e tante espressioni della nonviolenza, ma, al punto in cui siamo, esse si concentrano in un modo fondamentale, che é di non uccidere esseri umani. Mentre si sta stabilendo, oggi più che mai, anche economicamente politicamente culturalmente, l'unità mondiale dell'umanità, l'atto di affetto all'esistenza di ogni essere umano ci porta al punto di questa unità umana. Verso gli altri esseri viventi ma non umani, come gli animali e le piante, tutto ciò che é fatto nell'affetto e rispetto alla loro esistenza, apre l'unità amore anche a loro e abitua a sentire, di riflesso, il valore del non uccidere esseri più complessi e più simili a noi, come sono gli uomini. La prassi del vegetarianesimo ha perciò grande importanza.
La nonviolenza non é soltanto contro la violenza del presente, ma anche contro quelle del passato; e perciò tende a un rinnovamento della realtà dove il pesce grande mangia il pesce piccolo, della società dove esiste l'oppressione e lo sfruttamento, dell'umanità nella sua chiusura egoistica e nelle sue abitudini conformistiche e gusto della potenza. Ma finché diamo col pensiero e con l'atto la morte, non possiamo protestare contro la realtà che dà la morte. E perché la società non torni sempre oppressiva sotto un nome od un altro, deve cambiare l'uomo e il suo modo di sentire il rapporto con gli altri: la nonviolenza é impegno alla trasformazione più profonda, dalla quale derivano tutte le altre; e perciò non si colloca nella realtà pensando che tutto resti com'é, ma sentendo che tutto può cambiare, e che com'é stata finora la realtà società umanità non era che un tentativo secondo i modi della potenza e della distruzione, e che vien dato un nuovo corso alla vita con i modi dell'unità amore e della compresenza di tutti.
La nonviolenza é in una continua lotta, con le tendenze dell'animo e del corpo e dell'istinto e la paura e la difesa, con la realtà dura, insensibile, crudele, con la società, con l'umanità nelle sue attuali abitudini psichiche: non può fare compromessi con questo mondo cosi com'é, e perciò il suo amore é profondo, ma severo; ama svegliando alla liberazione e sveglia alla liberazione amando; quindi distingue nettamente tra le persone e gli esseri tutti che unisce nell'amore, tutti avviati alla liberazione, e le loro azioni, delitti, peccati, stoltezze, assumendo il compito di aiutare questi esseri ad accorgersi del male, e, se proprio non é possibile altro, contribuendo a liberarli dando, più che é possibile, il bene.
La nonviolenza é attivissima, per conoscere gli aspetti della violenza e smascherarli impavidamente; per supplire all'efficacia dei mezzi violenti col moltiplicare i mezzi nonviolenti, facendo perciò come le bestie piccole che sono più prolifiche delle grandi; per vincere l'accusa e il pericolo intimo che essa sia scelta perché meno faticosa e meno rischiosa; per dare effettivamente un contributo alla società, che ci dà, in altri modi. Altri contributi. Proprio in questo tempo la nonviolenza ha il suo preciso posto nell'indicare una svolta decisiva e nell'inserire il fatto nuovo. Che non si veda un altro impero romano e un altro impero barbarico, e sempre oppressioni e rivolte, nascere e uccidere e morire, e l'uomo dolorante e illusoriamente lieto, perché ancora non ha imparato a fondo quanto dinamismo rinnovatore hanno l'interiorità, la libertà, l'amore. Proprio appassionandoci per l'esistenza degli esseri viventi, rispettandoli più che si può, e dolendoci della loro morte, noi impariamo a sentire immortali i morti e uniti all'intima presenza.
Chi é nonviolento é portato ad avere simpatia particolare con le vittime della realtà attuale, i colpiti dalle ingiustizie, dalle malattie, dalla morte, gli umiliati, gli offesi, gli storpiati, i miti e i silenziosi, e perciò tende a compensare queste persone ed esseri (anche il gatto malato e sfuggito) con maggiore attenzione e affetto, contro la falsa armonia del mondo ottenuta buttando via le vittime. La nonviolenza é impegnata a parlare apertamente su ciò che é male, costi quello che costi, non cedendo mai su questa libertà, e rivendicandola per tutti; e a non associarsi mai a compiere ciò che ritiene il male. Contro imperialismo, tirannia, sfruttamento, invasione, il metodo della nonviolenza é di non collaborare al male; e di creare difficoltà all'esplicazione di quei modi, senza sospendere mai l'amore per le singole persone, anche autrici di quei mali, ma non esaurentisi in essi; così si riconosce di avere un alleato alla solidarietà che si stabilisce tra gli oppressi, nell'intimo stesso degli oppressori.
Chi é persuaso della nonviolenza tende alla comunità aperta, e perciò a mettere in comune il più largamente le sue iniziative di lavoro, la proprietà, non sfruttatrice, che egli possiede, la cultura partecipando e celebrando i valori culturali con altre persone), la libertà (favorendola con altri in assemblee nonviolente per il controllo e lo sviluppo amministrativo della vita). (Principi elaborati per il Centro di Perugia per la Nonviolenza costituito nel 1952)
*
La nonviolenza nella prospettiva individuale e in quella sociale
La nonviolenza é lotta Agli uomini usciti dalle guerre, agli animi che sentono il peso di un'immensa stanchezza e il bisogno di un riposo che talvolta é perfino sogno di annullamento e più spesso é idoleggiamento di uno stato lento, comodo, col gusto di piaceri che non vengano tolti; prospettare l'idea e le conseguenze della nonviolenza produce un urto doloroso; ed essi domandano tra stizziti e allarmati: "ma é cosi difficile ricomporre una vita tranquilla, una casa, un orario giornaliero, e la fruizione dei beni della terra; e bisogna invece affrontare un problema cosi sconcertante e paradossale? Noi vogliamo la pace, l'umanità vuole, merita la pace". Penso che questa gente abbia una sensazione esatta. É un errore credere che la nonviolenza sia pace, ordine, lavoro e sonno tranquillo, matrimoni e figli in grande abbondanza, nulla di spezzato nelle case, nessuna ammaccatura nel proprio corpo. La nonviolenza non é l'antitesi letterale e simmetrica della guerra: qui tutto infranto, lì tutto intatto. La nonviolenza é guerra anch'essa, o, per dir meglio, lotta, una lotta continua contro le situazioni circostanti, le leggi esistenti, le abitudini altrui e proprie, contro il proprio animo e il subcosciente, contro i propri sogni, che sono pieni, insieme, di paura e di violenza disperata.
La nonviolenza significa esser preparati a vedere il caos intorno, il disordine sociale, la prepotenza dei malvagi, significa prospettarsi una situazione tormentosa. La nonviolenza fa bene a non promettere nulla del mondo, tranne la croce. E quegli uomini che dicevo prima non vogliono la croce: disfatti o disorientati preferirebbero ritagliarsi una parte anonima della vita, con uno stipendio immancabile, e frequenti "bicchierini" per tirare avanti. Gli uomini, la civiltà infine del "bicchierino" per reggere; e il bicchierino può essere liquore, fumo, vincita di lotteria, vita sensuale, un appoggio insomma che ci sia realmente, un qualche cosa di sensibile, che dica all'uomo attraverso un piacere: tu sei. Questi uomini furono ingannati perfettamente dal fascismo, il quale di rado era scomodo, ma nell'insieme ordinato e piacevole; e quando divenne pieno di punte problematiche quegli uomini gli si ribellarono contro con una sincerità tale come se gli fossero stati avversi dall'inizio.
Per scoprire l'inganno del fascismo sarebbe bisognato non prendere l'ordine per cosa assoluta; e per reagire sarebbe bisognato non prendere per cosa assoluta il comodo proprio e circostante. I regimi politici che assicurano comunque un ordine trovano sempre moltissimi che li accettano, senza badare se l'ordine esterno non é tradito potenzialmente da una mentalità sopraffattrice e avventuriera. Si diceva durante il fascismo: "Nel '21 c'era il disordine, scioperi, i treni non partivano; il fascismo ha stabilito l'ordine, la concordia tra capitale e lavoro". E si diceva cosa insulsa; perché il fascismo non risolse i problemi del dopoguerra, quelli che generavano il "disordine"; e se delle due fazioni avesse invece trionfato la socialista, avrebbe essa stabilito il suo ordine; e allora é da discutere sull'essenza, sulla qualificazione dell'ordine: ordine fascista o ordine socialista? Che cosa fosse l'ordine fascista si poteva intrinsecamente già vedere con l'occhio alla sua sostanza morale; ma si vide nel fatto: partirono, sì, i treni, ma sono partite poi anche le stazioni.
La nonviolenza non é appoggio all'ingiustizia
Ma oltre l'equivoco della nonviolenza come pace, io vorrei chiarire e dissipare un altro equivoco, che é ancor più insinuante e pericoloso. Nella lotta politica e sociale, necessaria in una società di ingiustizia e di privilegi, la nonviolenza fa tirare un sospiro di sollievo ai tiranni di ogni specie; e questo sospiro di sollievo é per noi oltremodo tormentoso. Se la nonviolenza dovesse essere interpretata, o comunque risolversi in un'acquiescenza all'ingiustizia, a quella violenza di secoli cristallizzata in potere e in privilegi decorati ora di una apparente legittimità, non ci sarebbe una più tentatrice sollecitazione a metterla in dubbio ed
abbandonarla. La nonviolenza non é soltanto rifiuto della violenza attuale, ma è diffidenza contro il risultato ingiusto di una violenza passata. Di quanto più di violenza é carico un regime capitalistico o tirannico, tanto più il nonviolento entra in stato di diffidenza verso di esso. Bisogna aver ben chiaro che la nonviolenza non colloca dalla parte dei conservatori e dei carabinieri, ma proprio dalla parte dei propagatori di una società migliore, portando qui il suo metodo e la sua realtà. Il nonviolento che si fa cortigiano é disgustoso: migliore é allora il tirannicida, Armodio, Aristogitone, Bruto. Due grandi nonviolenti come Gesù Cristo e San Francesco si collocarono dalla parte degli umiliati e degli offesi. La nonviolenza é il punto della tensione più profonda del sovvertimento di una società inadeguata.
La nonviolenza é attiva e modesta
Perciò, e cosi chiariamo il terzo equivoco, la nonviolenza é attivissima. La nonviolenza é prova di sovrabbondanza interiore, per cui all'uso della violenza che sarebbe ovvio, naturale, possibilissimo, viene sostituita, per ulteriore ricerca e sforzo, la nonviolenza.
Sarebbe anche qui falsificazione intendere il nonviolento come un pedante occupato esclusivamente a torcere il volto davanti ad ogni menomo atto violento, senza addentrarsi nella vita e nei suoi motivi. Tra il nonviolento inerte e il soldato che si esercita faticosamente ed arrischia, la possibilità di un valore morale é più nel secondo che nel primo. Il nonviolento deve essere attivissimo sia per conoscere le ragioni della violenza, per individuare la violenza implicita che si ammanta di legalità e smascherarla impavidamente; sia per supplire all'efficacia dei mezzi violenti con il moltiplicarsi dei mezzi nonviolenti, facendo come le bestie piccole che sono più prolifiche (e anche sopravvivono alle specie delle bestie grandi); sia per vincere l'accusa e il pericolo intimo che la nonviolenza venga scelta perché meno faticosa e meno rischiosa: il nonviolento deve portarsi alla punta di ogni azione, di ogni causa giusta, appunto per curare il proprio sentimento che potrebbe stagnare e per farsi perdonare dalla società la propria singolarità. É noto che gli obbiettori di coscienza (cioé coloro che non hanno voluto collaborare alla coscrizione) sono stati uccisi a migliaia dai governi totalitari; e dove sono stati tollerati, hanno chiesto spesso servizi rischiosi e dolorosi, per esempio di sottoporsi agli esperimenti medici o di raccogliere i feriti nelle prime linee. E infine sarà opportuno chiarire anche un quarto equivoco, che cioé il nonviolento pretenda essere superiore per il suo atto di nonviolenza. Non é l'atto di nonviolenza per se stesso, ma tutto ciò che sta con esso e all'origine di esso, che può costituire un valore. L'animo, l'intenzione, l'amore, gli sforzi fatti, quanto di proprio sacrificio ci sia stato messo: qui é il valore sia dell'atto di violenza che dell'atto di nonviolenza. É evidentissimo che tra colui che per evitare l'uccisione di un bambino si slanciasse con l'arma in mano a difenderlo a rischio di essere ucciso egli stesso, e il nonviolento che se ne stesse ben lontano e inerte, avrebbe maggior valore il primo, quando il secondo non si fosse gettato tra l'uccisore e il bambino a persuadere ed anche a offrire il suo corpo, avanti a quello del bambino, al colpo mortale.
Concetti e modi della nonviolenza
Chiariti e dissolti questi equivoci, sarà bene ora prender contatto con il concetto stesso della nonviolenza. Violenza é un concetto relativo all'oggetto sul quale si esercita una certa azione. Quanto meno io considero quell'oggetto in ciò che esso é per se stesso, tanto più mi avvio alla violenza contro di esso. La nonviolenza é una presa di contatto col mondo circostante nella sua varietà di cose, di esseri subumani, e di esseri umani, é un destarsi di attenzione alle singole individualità di tutti questi oggetti circostanti per porsi un problema: "che cosa é questo singolo oggetto? qual é la sua caratteristica, la sua vita, la sua libertà, il suo formarsi dal di dentro?".
É la sospensione dell'attivismo che consideri tutto, senza eccezione, come mezzo, fino a quei casi tipici che sono come il lusso e il gioco di questo attivismo, come l'incendio di Roma da parte di Nerone per vederne la bellezza, o il letto su cui il brigante greco Procuste stendeva i suoi prigionieri stirandoli o stroncandoli secondo che fossero più corti o più lunghi. Sospensione di attivismo che é attivissima moltiplicazione d'attenzione, d'interesse, di affetto, potenziamento della vita interiore proprio mediante questo collegamento in atto di tutto il reale nelle sue innumerevoli individuazioni con l'intimo nostro. Ma questo non é che un punto di partenza, perché di qui comincia un movimento, una tensione. Ad una parte degli oggetti assegno un compito di collaborazione, prendendo interamente su di me la definizione del fine del lavoro con cui essi collaborano; e questi oggetti chiamo cose. Nei riguardi delle "cose" io non mi pongo altro dovere che di adoperarle bene, di chiamarle a collaborare ad atti di cui assumo la responsabilità; e la malvagità sta non nell'usare l'acqua per un bagno, ma se nel bagno affogo il bambino, invece di lavarlo semplicemente, buttando l'acqua ad altro destino. Per il carbone fossile stare nell'interno della terra o muovere una locomotiva può essere indifferente, come per la pietra che sta nel monte, in un monumento o come polvere sulle strade. Può darsi che un giorno il nostro occhio scopra altro e diventi possibile ridurre il campo delle cose, stabilendo con alcune di esse un rapporto di collaborazione meno imperioso e meno antropocentrico: é un problema questo non vano, e di un orizzonte vastissimo, schiuso proprio dal principio della nonviolenza, che é inquietudine continua, passione mai saziata di interesse per le individualità. Vi é poi il gruppo di esseri subumani. E c'é come un gruppo di passaggio in tutti quegli esseri di minima vita, microrganismi e microbi, rispetto ai quali non possiamo fare che una valutazione di "cose" sempre però con quella speranza e quel problema, che nuove indagini e nuove intuizioni permettano una collaborazione migliore: chissà, per esempio, che non si riesca a trovare il modo di volgere a benefica l'azione malefica di molti microbi.
Ma quando incontriamo vite più sviluppate, individualità con cui è possibile stabilire un rapporto complesso, qui sentiamo la gioia di salvarci con più ragione dalla considerazione di "cose". Ciò non toglie che ci si possa interessare a cose minime, rispettarle nel loro essere; che io possa appassionarmi all'individualità di quella farfalla che ho visto nel boschetto e che vivrà oramai una settimana, di quel filo d'erba, di quel sasso. Questo prova che la nonviolenza, essendo unità-amore é espressione nostra, é collocazione e scelta volontaria, non un dogma; e ognuno può a sua ispirazione (Spiritus ubi vult spirat) dirigerla. San Francesco voleva che l'ortolano non lavorasse tutto l'orto, ma ne lasciasse una parte dove le così dette erbacce potessero crescere liberamente, perché per lui la spontaneità di quel crescere, la bellezza di quelle erbe, e che esse attestassero e lodassero Dio, era la stessa cosa. E cosi egli preferiva che l'albero si tagliasse lasciandogli la radice e la possibilità di crescere nuovamente.
Noi possiamo su tutta la scala degli esseri non umani istituire a noi stessi delle direttive, che anche se non sempre attuate, provano che in noi vive un problema, una passione, una direzione. Preferire, per esempio, di regalare piante intere piuttosto che fiori, rinunciare alla caccia, adoperarsi per addomesticare bestie selvagge. Il vegetarianesimo, per esempio, é una cospicua scelta che viene fatta nel campo degli esseri subumani. Si decide di rinunciare al cibo che comporti uccisione di animali; e con ciò stesso muta il nostro modo di avvicinarsi ad essi, il nostro modo di considerarli; si accetta sorridendo ma con fermezza l'apparente stranezza che galline e pecore, dopo averci dato uova e lana, "muoiano di vecchiaia": si amplia, al posto della violenza spietata alle sofferenze e all'uccisione, quel piano di collaborazione in cui consiste l'incremento della civiltà. Questa "sospensione" introdotta nella leggerezza sterminatrice e nella freddezza utilitaria si riflette in accrescimento di valore interiore. Ma c'é di più e forse di meglio. Io debbo confessare che, pur avendo un notevole interesse all'esistenza degli animali, mi decisi al vegetarianesimo nel 1932, quando, nell'opposizione al fascismo, mi convinsi che l'esitazione ad uccidere animali, avrebbe fatto risaltare ancor meglio l'importanza del rispetto dell'esistenza umana.
Consideriamo, dunque, la nonviolenza in questi gradi anteriori come un addestramento che ha due atteggiamenti, quello di considerare ciò che è altro da noi come "cosa" ma con l'impegno a servirsene per un fine degno e alto; e l'atteggiamento di considerarlo come "esistente", rispettato e amato perciò come tale. Due atteggiamenti, come ho detto, non rigidi, ma in dialettica, in travaglio, e appunto perciò prova della vitalità interiore di un appassionamento. Ma sia come un prologo al mondo umano. Noi sappiamo che tutte le volte che in pedagogia ci si é posti il problema del più basso, di ciò che é infimo, si é fatto un grande passo: quando si é cercata l'educazione dei deficienti, o dei molto piccoli o dei molto poveri, si sono scoperti sempre metodi che hanno dato risultati prodigiosi applicati agli altri.
E cosi in questo prologo ci siamo posti dei temi: portiamoli ora nel mondo umano, e sentiremo una risonanza grandiosa. Riguardo ad esseri umani la nonviolenza é l'appello continuo e intenso alla comprensione, alla spontaneità, alla capacità che ha l'altro essere umano di giungere ad una decisione razionale. Nel campo umano la dedizione a questo appello ha un fondamento più saldo che per ogni altro essere: basta che io pensi che colui che incontro, potrebbe essere mio figlio: nulla di eccezionale in questo sentimento di genitura, per la somiglianza umana che c'é tra noi. Del resto, io penso che sempre nei riguardi di un essere umano debbo richiamarmi a un punto interno in cui io mi senta madre di lui; che debbo abituarmi a costituire costantemente questo atteggiamento nel mio intimo; che, insomma, almeno per una volta, esaurite e sfogate se si vuole, tutte le altre possibilità, io debbo domandarmi: "ma mi sono anche considerato pur per un istante madre di costui? come agirei se fossi sua madre, certo una madre non stolta, ma pronta a vedere che cosa c'é a favore di lui, a sperare per lui?". La nonviolenza, porgendo l'appello alla razionalità altrui, é anche un potenziamento del tu, e dell'interesse a che l'altro viva, si svolga, e come un generarlo dall'intimo nostro, una gioia perché l'altro esiste, un appassionamento alla radice. Come noi potremmo avvicinarci all'infinita miseria degli esseri umani, alle loro limitazioni, curare le loro infermità, sopportarli, se non portassimo un infinito compiacimento che l'altro esiste e proprio come essere umano? In questo atto si va oltre lo stato di felicità e infelicità, e si vive il sacro per cui ogni essere che viene alla luce entra in qualche cosa di positivo, di là dalla sua miseria e dalla sua grandezza. Lo spirito lo tocca, e io posso raggiungerlo col mio atto: qui siamo nella presenza religiosa, che é più di ogni limitatezza, deformità, malattia, bruttezza. La nonviolenza mi fa risaltare l'importanza dell'atto col quale mi avvicino ad uno, atto di presenza aperta, superiore alla felicità o infelicità, a ciò che può accadermi o accadergli.
E se io voglio che l'altro sia in un certo modo, il ripudio dei mezzi violenti mi induce ad una tensione interiore perché io anzitutto viva quello che voglio dall'altro, perché io prenda su di me il compito di attuare quel meglio, di portarmi a quel grado, di purificarmi, di sacrificarmi, fino al sacrificio supremo di dare l'atto di nonviolenza al posto dell'atto di violenza, e di trasferire con atto d'amore nell'intimo dell'altro il punto a cui ero giunto. In questa nonviolenza si attua la fede nell'unità di tutti, e nell'efficacia che ciò a cui mi tendo io (o ciò per cui io prego, per dirla nei termini tradizionali) influisce su di un altro, pur lontano, quanto più di sacrificio e di purezza interiore io vi metto. Sarebbe più agevole che con un mezzo esteriore e violento io agissi sull'altro, ma quanto perderei di interiorità, di qualità!
Attuazione della nonviolenza
Un principio che sta dentro l'atto della nonviolenza é la potente sollecitazione dell'impegno della propria persona. La radice della nonviolenza sta nell'essere nonviolento, internamente, prima dell'atto rivolto agli altri; e anche questo conferma che la nonviolenza non é un atto puntuale, ma una disposizione, una formazione, un'educazione, un'intenzione, un insieme. Se la nonviolenza é promovimento della tua razionalità, della tua bontà, della tua spiritualità superiore, bisogna che io anzitutto mi tenda alla mansuetudine e alla ragionevolezza. Non si può insegnare la nonviolenza con l'odio e le fucilate. Se io voglio che tu agisca da persuaso interiormente, bisogna che io prima sia in tutto persuaso e non retore. Se io voglio che nel mondo ci sia qualche cosa, e in questo caso, un atto di unità-amore insistente fino anche al sacrificio, se non ci metti tu questo atto, o ancora non ce lo metti, ce lo metto io.
Quanto ai modi dell'attuazione della nonviolenza io vorrei sottrarli a quella casistica che sorge per ogni proposito di azione, e anche per questo. Tutti quelli che hanno esperienza di questo proposito, hanno anche esperienza di una lunga discussione con se stessi e con gli altri sui casi, sui modi. Più di quindici anni di questa esperienza mi hanno confermato che é lo spirito che conta, ed é l'approfondimento di questo che fa progredire la civiltà.
C'é una scala di attuazione, una scelta, una creazione; non é un dogma e un ordine di chissà chi: la nonviolenza é una creazione che uno attua. Ci può essere un'attuazione così meticolosa da far sorridere; e non c'è nulla di male. Una civiltà che consuma tanto suo tempo in mille cose futili e fatue, può ben consumarlo in questo campo. C'é un eccesso e un ridicolo che é in funzione del sublime. Un discepolo di San Francesco aveva spinto così oltre il precetto dell'imitazione della santità, che ripeteva ogni atto che vedesse fare al Santo, perfino sputare. E San Francesco ne sorrideva. Tutti sappiamo che vi sono diverse interpretazioni e attuazioni della nonviolenza, fino a quella che non si può parlare di "violenza" quando si colpisce per diritto e a giusta ragione. Io qui esporrò l'interpretazione che risulta dalla mia esperienza. Considererei come un grande dolore se nel momento della morte di un qualsiasi essere umano io non desiderassi con tutte le mie forze che quella morte non avvenisse.
Non posso accettare come veramente mio il mondo dove le persone cadono come oggetti, ma quello dove tutti sono soggetti, vivono, si svolgono. Se non sentissi sempre questo, se avessi fatto qualche eccezione a questo, oggi dovrei moltipllcare la mia tensione per riparare al passato. E realmente io debbo riparare al passato, che oltre che mio, é di tutte le civiltà trascorse; e, istruito da questa insufficienza, oggi non sono tanto disposto a farmi sorprendere dall'indifferenza, e sto attento perché non perda questa passione fondamentale ad ogni momento in cui la morte si manifesta in questa realtà. Perciò é inutile che io raccolga armi vicino a me e mi addestri ad usarle, se so già quale sarebbe la mia posizione domani. Da questo si riflette uno stimolo ad atteggiare il mio fare in modo che senta di non poter far conto su mezzi violenti, e che a mia disposizione non c'é che il prestigio dell'esempio, l'intima trasparenza, la razionalità della persuasione, la forza dell'anima. Potrò, a parte il ripudio della uccisione, ricorrere a dei mezzi che diminuiscano l'effetto della violenza dell'altro, specialmente se in uno stato di furia; ma sempre tali che non lo mettano in uno stato di tortura né in uno stravolgimento della sua possibilità di razionalità. L'importante é che in quel momento io mi immedesimi col problema dell'altro, e della sua formazione verso la libertà, la razionalità, la bontà; e che, assicurate queste dalla parte mia, mi rifiuti ai mezzi che la turbino nell'altro. La tortura, cioé che io provochi in te il dolore per ottenere qualche cosa da te, che senza la tortura mi rifiuteresti, non è per me giustificata da nulla, perché io non voglio mai provocare il dolore, ma riparare al dolore: essere non al punto in cui si causa il dolore (che è questa realtà e il mondo della limitatezza), ma al punto in cui si supera il dolore, che é la realtà autentica, il mondo del valore. Se questo mondo é la mia croce, ma io sono più del mondo, sono dall'infinito. Come davanti alla morte, cosi davanti alla sofferenza di un altro, ho la passione di essere non dalla parte del mondo ma del sopramondo eterno che qui si apre, non dalla materia ma dalla forma, non dall'esteriorità ma dall'interiorità, non con un Dio che batte, ma con un Dio che porta nel valore dell'amore che sempre si accresce, e che, come la libertà, non esiste, se non si fa ancora più amore, ancora più libertà.
La nonviolenza e la società
A questo punto, dopo aver guardato la cosa dall'individuo, bisogna guardarla dalla società; altrimenti mi si potrebbe dire che tutto quello che ho detto é "prima della nascita della società, dello Stato". L'obbiezione più formidabile é questa: "non faccio questione di me come singolo, della mia difesa, della mia esistenza, ma della società, del suo ordine, della norma che io debbo sostenere e contribuire a tener viva, per cui non é lecito che uno si serva della violenza: come potrò far questo senza l'uso della forza? come potrà avvenir questo se il cittadino manca al suo dovere di riconoscere la necessità dell'uso della forza in qualche caso? Una società non ha connessione senza l'uso parco e regolato della forza". Qui debbo richiamare quel carattere drammatico della nonviolenza del quale ho parlato all'inizio. Ho già detto che per intendere la nonviolenza bisogna lasciar di guardare l'ordine, la compostezza, la pace: bisogna, invece, prender sù risolutamente una responsabilità, che può essere anche in mezzo all'avversione e al biasimo; é una scelta severa e tremenda. La nonviolenza non é per conservare alcuna cosa di questo mondo, sia dell'individuo o della società: non il piacere, il comodo, la casa, il letto, la roba, la vita, le cose fatte, costruite, l'ordine sociale, la regolarità dei servizi pubblici, l'esistenza dei cari, degl'innocenti. Non é un accrescimento di sicurezza che tutte queste cose permangano; anzi è una rinuncia interiore a questa sicurezza; é in potenza la morte di tutto questo. É la possibilità di perdere tutto ciò che é nel mondo, il Memento mori, non immaginazione oziosa, ma legato a un impegno, a un'azione. Perché nello stesso tempo la nonviolenza afferma un valore; ed é dunque atto, resurrezione. La società col suo ordine, la vita con i suoi oggetti, non possono costituire quell'assoluto che si imponga indiscutibile e tolga la possibilità di un contributo, di un'iniziativa. Siamo davanti, in questo tempo, ad una società impiantata così che vorrei chiamarla "la società dei pubblici servizi", una società pratica, del tempo dell'attivismo, del tempo dei molti aspetti del vivere, delle varie cose. I pubblici servizi esigono una difesa di essi con tutti i mezzi; e questo non é la società come concetto eterno: non é che un tipo della società della vita, corrisponde a una scelta che l'uomo di oggi fa: il che non esclude che si possa fare un'altra scelta, presentare un altro tipo. Il significato religioso della nonviolenza sta proprio nel preparare un altro tipo, un'altra realtà. É evidente che se si volesse configurare la società non con la trama interna della difesa dei pubblici servizi, ma con la trama interna della celebrazione di atti di infinito tu alle persone, tutta la prospettiva muterebbe. La società romana aveva per trama la tutela dei diritti del civis, la società cristiana aveva per trama la fruizione dei carismi divini. La società non é un qualche cosa di staccato da me. E perciò come io, in quanto individuo, ho il dovere di interiorizzarla e di rendermi conto delle sue ragioni, ho anche il diritto di andare eventualmente oltre di essa. Non quando io fossi ribelle, disordinato, ex lege, per natura; ma se seguo le leggi che ritengo giuste, se attuo ciò che é ordine, se continuamente utilizzo l'esperienza tradizionale della società, posso bene, quando sia in gioco un valore, quando nel resto della mia vita sia solito a stare in guardia contro il gusto personale e l'originalità di proposito, innovare, prendere un'iniziativa, dare un contributo, e in questo caso sentire, vivere, e far vivere, che la vera società é oltre quella dell'ordine sociale, della difesa dei diritti, del mantenimento dei pubblici servizi; ma é oltre, nel regno degli spiriti, cioé dei soggetti, cioé dell'amore da instaurare subito a costo di sacrifici. Accanto ad una società che usa la guerra come via alla pace, la violenza come via all'amore, la dittatura come via alla libertà, la religione mi porta ad anticipare di colpo il fine nel mezzo; e ad attuare comunque, qui e subito, pace, amore, libertà. La religione é impazienza dell'attendere il fine; e oggi che l'universo, il tempo, lo spazio, non sono sentiti in dualismo stabile con l'infinito e l'eterno, porremo noi questo dualismo nella società tra il mezzo e il fine?
Il limite del realismo
Se si ostenta la natura umana nel suo fondo utilitario e violento, nelle sue forze brute, che vanno continuamente represse e indirizzate, ma che sono insopprimibili, la persuasione della nonviolenza non nega senz'altro questo, non chiude gli occhi come lo struzzo per non vedere il nemico; e riconosce che la situazione é drammatica, quasi sempre drammatica, e ne accetta le conseguenze. Però porta con sé una fede, che ha tanta conferma nella attuale concezione della realtà fisica; la fede che tutto ciò che é un dato non é un continuum senza interruzione, ma é come a respiri con intervalli, nei quali é possibile inserire altro. Con quale certezza possiamo noi dire che quella cosa é sempre cosi? Questa sospensione della continuità si può applicare alla politica, per cui viene a risultare insufficiente e quasi ingenuo, quel certo realismo di tipo machiavellico che non tiene conto degli intervalli in cui é possibile far agire forze d'altra provenienza: quel realismo é una specie di imitazione della natura in ritardo. E così per quella natura che é la psiche, alla quale si vorrebbe applicare solidità e costanza invece di un ritmo di respiri e di tentativi con intervalli e possibilità di inserzione di temi e forze e prospettive diverse. La nonviolenza é fede in questa possibilità di intromissione miracolosa e rinnovatrice, per lo meno a suggerire e far rivivere una certa realtà diversa. Accettiamo che la civiltà culmini nel culto attivo dei valori, e che le forme della civiltà siano insufficienti quando sono principalmente amministrative, giuridiche, diffonditrici più che produttrici di valori. Ma se la nonviolenza é nella sua radice, nella sua intenzione, nella zolla che la sostiene, un valore, ha ben il diritto di chiedere che la civiltà attuale si allarghi a comprenderlo. Quando si segue un valore si scopre sempre qualche cosa, una realtà anche maggiore della cercata, come Colombo che ritrovò non le Indie, ma scoprì un nuovo continente. Lo so, si può perdere tutto; ma si può approfondire la conferma che la vita da un punto di vista religioso é eterna presenza aperta nel mondo, quanto più vivendo dall'intimo i valori e la loro pace, tanto più incontrando asprezze, disagi nelle cose e nel corpo, colpi simili alla morte. Non per pochi aspetti la civiltà attuale sembra perdere il senso della distinzione tra il valore, che é fine, e il resto, che é mezzo; e conquista e difende quelli che sarebbero semplici mezzi come se essi fossero valori. Si mette, certe volte, tutto nella conquista e nella difesa, e si tratta anche di cose fatue; tanto più é importante stabilire una prospettiva, e mostrare che si é capaci, per un valore, di perdere tutto il resto. Mostrare, ho detto intendendo: non soltanto agli altri, ma a se stessi, perché anzitutto la nonviolenza ha un carattere di edificazione interiore. Ciò non é contro il principio dell'estensione della razionalità. Si può e si deve accettare che la razionalità nell'uomo e nella società si estenda sempre, e che l'uomo si faccia sempre più autonomo, e la società sempre più democratica. Ma ad un tratto potrebbe avvenire, e avviene, che si sospende la razionalità e la democrazia con un atto di violenza. Il metodo religioso, invece, contrappone l'atto e l'esempio di nonviolenza, aggiunto ad arricchire la razionalità e la democrazia. Rendiamo la società sempre più democratica promovendo la razionalità, l'autogoverno, lo scambio razionale, il controllo e lo sviluppo etico, civile, economico di tutti; e in questa società aggiungiamo persone o gruppi che costituiscano centri religiosi.
Tutti quelli che hanno parlato di nonviolenza nella esperienza etico-religiosa di millenni hanno sentito più o meno consapevolmente che la vita offre difficoltà e fatiche, che ogni giorno ha la sua pena, e che se ci si vive dentro semplicemente lottando, ma divisi l'uno dall'altro, non basta; che se invece si attua anche una intima e superiore unità, di apertura sincera, di aiuto incondizionato, di sostituzione, tra noi, del bene al posto del male, allora la realtà della lotta con le asprezze può essere sostenuta, integrata, superata. E alle reazioni moderne alla nonviolenza, reazioni, per esempio, del Marx e del Sorel in nome dello sviluppo sociale, noi diciamo: ebbene, permetteteci di vedere questo flusso storico da un intimo, di aggiungere questa presenza.
(Da Il problema religioso attuale, 1948)
(Parte prima - Continua)
Iscriviti a:
Post (Atom)