dal numero odierno de La Nonviolenza in cammino, riprendo quest'articolo tratto da il manifesto...
...buona lettura...
RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: DOMANDE ALLE SINISTRE
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 ottobre 2008 col titolo "Domande alle sinistre". Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), inrapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive.
Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti.
Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005; con Manuela Fraire, La perdita, Bollati Boringhieri, Torino 2008. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione eproposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste]
Non credo che una sinistra possa dirsi esistente se di fronte alla piu' grossa crisi del capitalismo dal 1929 non sa che cosa proporre. Questi erano i lumi che la cittadina sprovveduta chiedeva di avere dai leader delle sinistre e dell'opposizione e dagli amici economisti, ma non ne ha avuti. Stando cosi' le cose, mi azzardo ad avanzare alcune osservazioni e proposte elementari che, se sono infondate, spero vengano vigorosamente contraddette.
*Prima osservazione. Perche' le sinistre non si chiedono la ragione per cui non solo le destre thatcheriana e reaganiana ma anch'esse si sono e restano persuase che non c'e' altra via economica da percorrere che non sia la privatizzazione (spesso liquidazione) di tutti i beni pubblici e di gran parte dei servizi, quelli di interesse sociale inclusi? E perche' era giusto incitarli alla concorrenza dentro e fuori i confini nazionali ed europei? Ladestra ha detto che i privati li avrebbero gestiti meglio e che le tariffe si sarebbero abbassate, ma questo non e' successo affatto e in nessun luogo.
*Seconda osservazione. Perche' le sinistre hanno accettato, talvolta mollemente opponendosi, la detassazione delle imprese, delle successioni e delle grandi fortune, togliendo entrate allo stato, nella previsione che i capitali, rimpinguati, sarebbero stati investiti nella produzione? Non e'stato affatto cosi', la produzione non e' mai stata cosi' bassa, fino all'orlo - per esempio in Francia - della recessione.
*Terza osservazione. Perche' le sinistre, che fino a ieri rappresentavano il lavoro dipendente, hanno accettato che per facilitare la crescita si dovessero abbassare, rispetto al passato, i salari mentre lo Stato doveva restringere nella spesa sociale quel tanto che c'era di salario indiretto (vedi, in Italia, finanziaria e protocollo sul welfare dell'anno scorso)? Con l'ovvia conseguenza di una caduta generale del potere di acquisto intutti i ceti dipendenti? Stando cosi' le cose non occorrono grandi discussioni filosofiche sulla crisi della politica.
*Quarta osservazione. Non so se dovunque, ma e' certo che in Italia questa strada ha condotto non solo a una produzione bassa ma non puntata sull'innovazione di prodotto, bensi' al basso costo del lavoro, in questo dando la testa al muro, o cercando le condizioni per delocalizzare, perche' sia nell'Est del nostro continente sia fuori di esso i salari sono ancora piu' bassi che da noi.
*Quinta osservazione. Perche' le sinistre e le loro stesse teste d'uovo non si sono accorte che i capitali, invece che in produzione se ne andavano sia in modo legale sia in modo fraudolento, nella speculazione finanziaria,dandosi a tali demenze che stanno sbaraccando l'intero sistema?
*Ultima osservazione. Perche' le sinistre non sanno dire altro, a mezza bocca o con grandi sorrisi, che i buchi formati dalle banche, dalle assicurazionie dagli hedge fund, mandati a picco per demenza dei loro dirigenti, vengano sanati col denaro pubblico, cioe' quello dei contribuenti, senza chiedere nessuna proprieta' pubblica effettiva in cambio? Suppongo la risposta: nonsi puo' reimmaginare un intervento pubblico perche' si sa che lo stato gestisce malissimo. Gia'. Perche', il privato gestisce bene? Nell'epoca dei"trenta gloriosi", cioe' della partecipazione pubblica e statale, nessuno di questi immensi guasti si e' verificato.
*Dunque in nome di che cosa, che non sia il pregiudizio, non viene oggi riproposta una politica di intervento pubblico? Certo esso implica darsi non solo una linea economica ma un metodo di gestione pubblica pulito, fatto di diritti chiari invece che ottativi. Perche' e' vero che questo e' mancato dando luogo a quelli che sono stati chiamati boiardi di stato e a clientelismi di vario tipo. Un intervento pubblico non sarebbe il socialismo, come qualche ignorantissimo afferma, ma darebbe luogo a unaforma di contrattazione partecipata fra cittadini e istituzioni assai diversa dall'attuale riduzione della democrazia a fiera quinquennale del voto. Chi ci impedisce di metterci a ripensarlo? Nessuno. Chi lo propone? Nessuno. Salvo qualche isolato pensatore americano come Krugman con la riproposizione di un new deal. Chi dirige la musica in Italia e' ancora Berlusconi, con la sua speranza che la "scarsa" modernizzazione delle banche italiane ci salvi dal terremoto.Con maggior ragione si puo' obiettare che una politica di intervento pubblico non si fa da soli, tantomeno in tempi di globalizzazione e dopo che lo stato nazionale si e' consegnato mani e piedi alla Costituzione europea che, sotto il profilo politico, e' flebile, come si e' visto nel caso dei rom e, sotto quello economico, e' superliberista. Da parte mia, obietto che lo spazio europeo puo' essere invece una carta da giocare, per la sua dimensione e la sua moneta unica; vi si potrebbero mettere in atto i processi macroeconomici che oggi un intervento pubblico comporterebbe. Che cosa impedisce che una sinistra possa e debba muoversi su questo terreno su scala continentale? Non penso che mancherebbero le resistenze, e potenti. Ma questo e' il momento per aprire il conflitto con qualche possibilita' di vincere. I lavoratori europei non sarebbero con noi, invece che darsi alla disperazione o consegnarsi alla Lega o al primo Haider che passa perche' gli salvi protezionisticamente l'azienda? La verita' e' che si tratta di una scelta non "economica", ma "politica". Ecco quanto. Naturalmente sono pronta a riflettere su tutte le critiche demolitrici che mi si vorranno inviare.
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