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domenica 31 agosto 2008

UGUALI_DIVERSI

Carissime/i,

vi inoltro il programma del primo Festival Uguali_diversi, che si terrà nella bassa reggiana, fra Novellara e Luzzara, fra il 12 e il 14 settembre prossimi, chiedendovi di farlo circolare il più possibile. E' un'occasione importante di confrontarsi su un tema oggi quanto mai delicato e indispensabile... Nel comitato scientifico ci sono il monaco Enzo Bianchi, l'islamologo Paolo Branca e la giornalista Gabriella Caramore.



Altre info in:

www.myspace.com/festivalculture

www.ugualidiversi.com





E grazie di cuore, sperando di incontrarvi nell'occasione!







Brunetto


QUESTA E' LA MAIL CHE MI HA INVIATO L'AMICO BRUNETTO SALVARANI. PURTROPPO HO DEI PROBLEMI TECNICI A RIPORTARE IL PROGRAMMA SUL BLOG, PER CUI CONSIGLIO I LETTORI DI CLICCARE SUI DUE SITI INDICATI. SI TRATTA DI UN'INIZIATIVA VERAMENTE INTERESSANTE...

sabato 30 agosto 2008

VIII edizione della Giornata ecumenica del dialogo cristiano islamico

27 ottobre 2008: VIII edizione della Giornata ecumenica del dialogo cristiano islamico

Auguri ai musulmani per l’inizio del Ramadan Anno Hijri 1429

La gioia del dialogo

Comunicato stampa del 30-8-2008

A tutte le musulmane e a tutti i musulmani d’Italia

Cari Amici, Care Amiche,
fra pochi giorni inizierà il vostro mese di Ramadân. Cogliamo questa occasione sia per formularvi sinceri auguri fraterni per l’inizio di questo mese così importante per la vostra fede, ma che aiuta anche noi cristiani a fare i conti con la nostra fede, sia per sottolineare la necessità di recuperare nei rapporti sociali, nei rapporti interreligiosi, nelle singole comunità di fede come nella società civile la dimensione della gioia, che sembra essere completamente scomparsa dal nostro orizzonte di vita.

Da troppi anni siamo immersi in una guerra mondiale devastante, Iraq, Afghanistan, Medio Oriente, decine di paesi in guerra in Africa, Asia e America del Sud, ex Jugoslavia, ora Georgia, domani chissà.

Il lutto e la violenza entrano nelle nostre case non solo dai notiziari radiotelevisivi ma anche dalla diffusione quotidiana, quartiere per quartiere, dell’odio per chiunque possa essere etichettato come “diverso”.

E’ sempre più diffusa la paura sollecitata anche da ordinanze dei cosiddetti “sindaci sceriffi”, che di fatto negano la possibilità dell’incontro con chiunque, non solo con chi è da essi etichettato come “diverso”.

Crediamo sia giunto il momento di riprenderci tutto intero il nostro diritto alla gioia e di riscoprire “la gioia del dialogo”, dell’incontro con chi ha cultura e/o religione diversa dalla propria. La diversità arricchisce perché aiuta a vivere meglio il mistero della vita.

Anche in questo sono fondamentali le rispettive tradizioni religiose. Nella Bibbia nel libro dei Salmi troviamo l’appello alla concordia: “Oh quant’è bello e quanto è soave che i fratelli abitino insieme nella concordia! ” (Salmo 133,1). E l’umanità è un’unica famiglia. Nel Corano troviamo l’appello a rifiutare il male: “O voi che credete! Entrate tutti nella Pace . Non seguite le tracce di Satana. In verità egli è il vostro dichiarato nemico”. (Corano 2.208) Nella Bibbia cristiana, nella Prima Lettera di Pietro è scritto: «Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici, trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra dal dire il falso; fugga il male e faccia il bene; cerchi la pace e la persegua; perché gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi sono attenti alle loro preghiere; ma la faccia del Signore è contro quelli che fanno il male». (1Pt 3,10-12)

Chi diffonde odio fra le religioni o proclama crociate e promuove blasfemi giuramenti in tal senso non ha nulla di religioso, è un nemico dichiarato di Dio e dell’umanità, non è cristiano né musulmano né di qualsiasi altra religione.

Riprendiamoci perciò il “diritto alla gioia”, cerchiamo di vivere questa dimensione, come abbiamo ampiamente sperimentato negli anni scorsi, il prossimo 27 ottobre 2007 in occasione della VII edizione della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico. “La gioia del dialogo”, che proponiamo come tema della prossima giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico,che da quest’anno si celebrerà sempre il 27 ottobre per darle una più piena dimensione ecumenica ed interreligiosa, crediamo sia la migliore medicina contro il male che troppi interessati mercanti di cannoni diffondono a piene mani per rimpinguare i propri conti in banca.

Buon Ramadân dunque nel segno della gioia per l’incontro con l’altro, chiunque egli sia, da qualunque paese egli provenga.

Shalom - Salaam – Pace

Il comitato organizzatore

Sabato, 30 Agosto 2008

Il sito di riferimento della Giornata è

http://www.ildialogo.org

Per l’elenco delle riviste e associazioni che finora hanno promosso e sostenuto la giornata vedi la seguente pagina web:

http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2007/promotorisesta29062007.htm

Per tutte le notizie, appuntamenti, interventi, materiali per la giornata vedi la pagina web:

http://www.ildialogo.org/islam/cristianoislamico.htm

Per aderire alla Giornata

http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2008/ader28072008.htm

Per scaricare la locandina della Giornata

http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2008/locan29082008.htm



Sabato, 30 agosto 2008
«Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino»
Prima Pagina/Home Page: www.ildialogo.org
Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi
Registrazione Tribunale di Avellino n.337 del 5.3.1996

Note legali --- La redazione


INIZIATIVA SU 'LETTERA A UNA PROFESORESSA'

LETTERA A UNA PROFESSORESSA
(dagli scolari della scuola di Barbiana nel Mugello)

Questo libro non è scritto per gli insegnanti ma per i genitori. E' un invito a organizzarsi. A prima vista sembra scritto da un ragazzo solo. Invece gli autori siamo otto ragazzi della scuola di Barbiana. Altri nostri compagni che sono a lavorare ci hanno aiutato la domenica. Dobbiamo ringraziare prima di tutto il nostro priore che ci ha educati, ci ha insegnato le regole dell'arte a ha diretto i lavori. Poi moltissimi amici che hanno collaborato in altro modo: per la semplificazione del testo, vari genitori. Per la raccolta dei dati statistici, segretari, insegnanti, direttori, presidi, funzionari del ministero e dell'Istat, parroci. Per altre notizie, sindacalisti, giornalisti, amministratori comunali, storici, giuristi

http://www.wandamontanelli.it/block/contenitore/bambini/Letteratura/index.htm

"Lettera a una professoressa, andrebbe ogni tanto riletto per rammentare i nostri privilegi".

Dovrebbe essere consultato dagli insegnanti di ogni grado scolastico e da tutti coloro che sono impegnati in politica per avere sempre presente l'idea di come cambia il mondo visto dal punto di vista dei più deboli".

"Dal tempo in cui i ragazzi hanno scritto "Lettera a una professoressa" la scuola è cambiata. Lentamente cambia e forse migliora. La società però non ha compiuto neanche quei lentissimi passi fatti dalla scuola"."La Costituzione, è stata l'unica certezza, la base dalla quale è nato il percorso formativo dei ragazzi di Barbiana. La nostra Costituzione ha impresso nei loro animi la speranza di un cambiamento possibile verso il meglio e la giustizia sociale. E pensare che alcuni pochi maldestri uomini invasi da un senso di onnipotenza stanno cercando di modificarla in peggio".

Perché non rispondiamo a quei ragazzi? Forza insegnanti, maestre, professori, genitori.
Scrivete un-email all'indirizzo: wmontanelli@libero.it
Possiamo fare una interessante raccolta delle vostre risposte.

http://www.wandamontanelli.it/block/contenitore/bambini/Letteratura/considerazioni.htm#indice
Cerca:
http://www.google.it/search?q=E+allora+o+levarvi+di+mano+ogni+coltello+voti+pagelle+esami+o+organizzare+i+genitori

Buone vacanze, Flavio

venerdì 29 agosto 2008

COS' E' IL M.I.R., MOVIMENTO INTERNAZIONALE DI RICONCILIAZIONE

ECUMENISMO

Il M.I.R. nasce in Italia nel 1952 per iniziativa di Tullio Vinay e Carlo Lupo (valdesi), Ruth e Mario Tassoni (quaccheri). Si impegna sin dall’inizio per la diffusione della teoria e della prassi della nonviolenza e presto raccoglie adesioni anche tra i cattolici. Dagli anni '60 a oggi è attivo a livello nazionale per un ecumenismo di base e per approfondire i fondamenti religiosi della nonviolenza. Ha svolto azione di sensibilizzazione per la Prima Assemblea Ecumenica Europea ("Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato", Basilea 1989), per l'incontro preliminare Assisi 1988, per la Seconda Assemblea Ecumenica Europea (Graz 1997), e per la Diaconia della Pace.

OBIEZIONE DI COSCIENZA E SERVIZIO CIVILE

Il M.I.R. ha sostenuto Giuseppe Gozzini e Fabrizio Fabbrini, primi obiettori cattolici al servizio militare, e si è impegnato per il riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza. Dall'approvazione della legge è convenzionato con il Ministero della Difesa per far espletare agli obiettori il servizio civile nell'attuazione di programmi di formazione alla pace e alla nonviolenza attiva. È stato il Movimento che ha avviato per primo in Italia la Campagna di Obiezione di coscienza alle spese Militari (OSM), nata negli anni '80 e tuttora in atto, e si adopera per far conoscere la Difesa Popolate Nonviolenta (DPN) come alternativa alla difesa armata.
Dopo la fine del servizio militare obbligatorio il MIR ha sostenuto il Servizio Civile Volontario la sede di Torino, ha elaborato progetti sui quali possono impegnarsi dei giovani interessati all'educazione alla pace che scelgono di fare questo tipo di servizio.

ANTINUCLEARE

Già contrario alle armi nucleari, all’inizio degli anni '70 il MIR è stato il primo movimento in Italia a schierarsi contro il nucleare civile. Grazie a numerose iniziative e lotte nonviolente contro le centrali nucleari e a favore dell'uso delle energie alternative, si è giunti al referendum del 1987 nel quale l’Italia ha deciso la definitiva uscita dal nucleare.
Il MIR sostiene la campagna "Fermiamo chi scherza col fuoco atomico".

EDUCAZIONE ALLA PACE E ALLA LEGALITÀ

Dagli anni '60 il MIR organizza in varie città scuole popolari, scuole di pace e manifestazioni in favore dei baraccati e dei terremotati. Oggi le sedi sono impegnate, in collaborazione con le istituzioni locali e regionali, nella realizzazione di incontri e convegni di formazione e di informazione sulla pace, la nonviolenza, un diverso modello di sviluppo. Agli inizi degli anni '90 ha promosso nel Sud, in collaborazione con la Commissione Francescana Giustizia e Pace, seminari sul tema "nonviolenza e criminalità organizzata" guidati da Jean e Hildegard Goss-Mayr, presidenti onorari internazionali del MIR/IFOR. È tra i movimenti che aderiscono all'associazione nazionale antimafia LIBERA.

IL DECENNIO PER L'EDUCAZIONEALLA PACE ED ALLA NONVIOLENZA

La branca italiana del MIR ha contribuito a fondare il Comitato Italiano per il Decennio che si propone di dare attuazione alle deliberazioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che ha proclamato il periodo 2001-2010 Decennio intenazionale per l'educzione alla nonviolenza ed alla pace per i bambini del mondo.
per magggiori informazioni vedi il sito del Comitato Italiano www.decennio.org

CAMPI ESTIVI

Il MIR ha avviato da alcuni anni l'organizzazione di campi estivi di formazione alla nonviolenza.

INIZIATIVE INTERNAZIONALI

Il MIR ha collaborato e mantiene rapporti di collaborazione con Agimi di Otranto (associazione italo-albanese) per azioni di solidarietà in Albania. Attualmente coordina a livello nazionale la Campagna per una soluzione nonviolenta in Kossovo (Campagna Kossovo) e rappresenta l'IFOR nelle conferenze internazionali ONU sulla criminalità organizzata.

COLLABORAZIONE CON ALTRI MOVIMENTI

Il MIR è impegnato nei comitati per la difesa della costituzione (comitati Dossetti), aderisce a campagne e coordinamenti nazionali di associazioni quali Boycott Nestlè, Libera (contro le mafie), Non Uccidere (contro la pena di morte). Collabora con altre associazioni quali Agimi, Beati i Costruttori di Pace, Movimento Nonviolento, Pax Christi. Sostiene campagne internazionali quali "Stop Essay!" contro gli esperimenti nucleari e aderisce a organismi internazionali quali Church and Peace e Balkan Peace Team.

ISCRIZIONE

€ 34 (autoriducibili o aumentabili) su conto corrente postale n. 10667616 intestato a Luciano Benini – Via Belgatto 78 – 61032 FANO (Pesaro). L’iscrizione comprende l’abbonamento alla rivista QUALEVITA.
o in alternativa utilizzando il conto corrente bancario n.118458 presso Banca Popolare Etica,
ABI 05018 CAB 01000 CIN Y
intestato a MIR, via Garibaldi 13, 10122 Torino

INFORMAZIONE

Bimestrale QUALEVITA, Via Buon Consiglio 2 - 67030 TORRE DEI NOLFI (L’Aquila). Abbonamento annuo £. 20.000 su ccp n. 10750677.
E-Mail: sudest@iol.it

PRESIDENTE NAZIONALE

ILARIA CIRIACI E-mail: paoloeilaria@aliceposta.it

SEGRETERIA NAZIONALE

presso la sede di Torino

Via Garibaldi 13 – 10122 TORINO

Tel: 011/532824 – Fax: 011/5158000

E-Mail: segreteria@miritalia.org

Sito WEB: http://www.miritalia.org

PS: altro indirzzo MIR è il seguente:
http://riconciliazione.wordpress.com/

giovedì 28 agosto 2008

L'ANELLO DEBOLE

Premio L’Anello Debole: Radio, TV, Cinema contro l’esclusione sociale

IV edizione – ottobre 2008
(consegna delle opere entro l’8 settembre 2008)

La Comunità di Capodarco intende dare un riconoscimento ai migliori programmi giornalistici radiofonici e televisivi (servizi lunghi, inchieste, reportage, documentari) e ai migliori cortometraggi “della realtà” o di fiction aventi come oggetto tematiche di forte contenuto sociale.
Durata opere ammesse: non inferiore a 3’ e non superiore a 25’.
Giuria: Giancarlo Santalmassi (presidente), Vinicio Albanesi, Pino Corrias, Daniela De Robert, Andrea Pellizzari, Daniele Segre.
Scadenza: 8 settembre 2008.
Bando e dettagli: www.premioanellodebole.it
Segreteria: 0734 681001; e-mail: info@premioanellodebole.it.
Con il contributo di:
Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo

mercoledì 27 agosto 2008

CHE VERGOGNA! FACCIAMO IL TEST ANCHE AI LEGHISTI!

da una mail di dw-intercultura, inviata da Luisa Rizzo


VENETO/SCUOLA: CIAMBETTI(LEGA), TEST D'INGRESSO PER ALUNNI STRANIERI

(ASCA) - Venezia, 26 ago - Pieno appoggio da parte della Lega alla
proposta dell'assessore Donazzan di introdurre quote per gli studenti
stranieri nelle classi. Lo ribadisce il consigliere regionale del Veneto,
Roberto Ciambetti che propone anche test di ingresso per gli alunni
stranieri.

''Non si tratta di discriminazione - precisa il consigliere della Lega -
ma non possiamo pensare di rallentare lo studio e l'apprendimento dei
nostri figli solo perche' all'interno di una classe ci sono alunni che non
riescono a seguire le lezioni in italiano''.

''Ci sono esperienze - afferma Ciambetti - in diverse scuole dove quello
del dialogo e della comprensione della lingua e' diventato un autentico
problema, per gli insegnanti come per gli allievi. Lo aveva gia'
sottolineato il senatore e sindaco di Chiarano, Gianpaolo Vallardi, che
era stato duramente criticato per aver emesso una delibera comunale con la
quale poneva una 'quota stranieri' nelle singole classi.

Vallardi aveva posto all'attenzione su una questione molto delicata:
l'aveva risolta andando incontro alle richieste di molte famiglie del suo
paese, anche se da fuori c'era chi lo aveva tacciato, a torto, di
razzismo''.

Il Consigliere ha poi ribadito di apprezzare l'iniziativa del Ministro
Gelmini che propone nuove valutazioni per gli insegnanti: ''I nostri
giovani hanno bisogno di una scuola che dia loro un'adeguata
preparazione'' res/mcc/bra

(Asca)

http://www.asca.it/moddettregione.php?id=310414&img=&idregione=&nome=&articolo=VENETO/SCUOLA:%20CIAMBETTI(LEGA),%20TEST%20D'INGRESSO%20PER%20ALUNNI%20STRANIERI

COMMENTO MIO:
che la lega si preoccupi della scuola, del grado di istruzione dei suoi alunni e che, soprattutto a bbia a cuore la conoscenza della nostra lingua da parte degli alunni stranieri, tutto ciò le fa molto onore.
Facciamo il test d'ingresso anche ai politici padani: vediamo come cosa e quanto conoscono della nostra storia (vedi la polemica sul volume di storia distribuito in Lombardia); quale il loro livello di padronanza della lingua italiana...
...in ogni caso, consilgio loro di leggersi le parole di don Milani che ho riportato sotto la testata...
Giuliano

Intervista a padre Ottavio, un'integrazione

Di seguito riporto una mail di padre Ottavio, inviatami per completare l’intervista di Silvia Montevecchi pubblicata qualche post fa…

Ho riletto l'intervista che hai riportato sul tuo blog e che avevo rilasciato a Silvia Montevecchi alcuni anni fa. Ti ringrazio per averla tirata fuori dal cassetto.
Oggi, riconfermando il contenuto, credo che l’intervista sia incompleta senza quest’altra domanda: Quale la risposta dell'EMI alla realtà dell'immigrazione?
Se mi venisse posta, ricordando esplicitamente il titolo dell’intervista (Una chiesa per la globalizzazione dei diritti), risponderei così: Il popolo d'Israele faceva difficoltà ad accettare gli altri popoli che erano chiamati "cani". I cristiani italiani oggi hanno la stessa difficoltà e, di fatto, la condividono con le realtà socio-politiche del nostro tempo. Pertanto gli immigrati sono chiamati "stranieri", "vu cumpra", "spazzatura", “negri” o peggio ancora.
Nel mondo ebraico il profeta Isaia sogna il giorno in cui tutti i popoli verranno con gioia al monte di Gerusalemme (Is. 56,6-7). L'EMI condivide questo sogno dando spazio agli immigrati con libri come "Non chiamatemi uomo di colore" e favorendo con alcune sue collane una scuola in cui la storia, la geografia e non solo, vengano insegnate in chiave interculturale.
Non è sufficiente dare all'immigrato la possibilità di esprimersi. È necessario che qualcuno lo ascolti e per questo urge formare le nuove generazioni a una nuova lettura della storia, della geografia e di quanto altro contribuisca a scoprire che senza l'altro siamo più poveri.
Non è ammissibile che in una chiesa, in una domenica qualsiasi, ci tocchi ascoltare la seguente preghiera: "Preghiamo perché gli immigrati vengano accolti nel rispetto delle regole". L'EMI vuole favorire una mentalità che va al di là di quelle regole che vengono fatte sempre dal più forte. L’EMI vuole mettere al centro la persona in quanto tale proprio come ha fatto Paolo quando ha rimandato a Filemone lo schiavo Onesimo che era fuggito e che quindi, in base alle regole, doveva essere ucciso. Lo rimanda chiedendo a Filemone di accettare Onesimo già non più come schiavo ma come fratello.
Dopo 27 anni ho appena lasciato la direzione dell'EMI ed ora mi trovo a Pesaro per una presenza sul territorio dell'intera regione Marche.
Non è una casualità che i primi tre impegni che affronterò in questi giorni, siano in sintonia con questa prospettiva: l'incontro con le associazioni che fanno capo al Centro Interculturale della Pace (CIP), la partecipazione, a Porto Sant'Elpidio, al convegno su "L'insegnamento interculturale della storia e della geografia" e l'organizzazione per la partecipazione a Roma i giorni 4 e 5 ottobre alle manifestazioni conclusive della Carovana della Pace organizzata dalle forze missionarie presenti in Italia.
Oggi è questa la priorità delle priorità nella nostra società in cui si è tentati di cercare il proprio vantaggio personale individualistico e in cui stiamo perdendo il senso del dissenso che richiede spazi di azione che non sono in sintonia con quelli della maggioranza civile o religiosa. Scriveva Nadia Urbinati (La Repubblica 20/08/08): “Commissioni bipartisan nascono ogni giorno. Servono ad abituarci a pensare che l’opposizione deve saper essere funzionale alla maggioranza, diventare un’opposizione gradita alla maggioranza”. L’EMI non ha mai voluto e mi auguro che mai voglia questo.
Possiamo continuare a parlarne.
23 agosto 2008
p. Ottavio Raimondo

lunedì 25 agosto 2008

LE STRAGI E IL SILENZIO

da: NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 557 del 24 agosto 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Sommario di questo numero:
1. Le stragi e il silenzio
2. Pier Francesco Gasparetto: Harold Pinter
3. Carlo Carena presenta "Agostino. Tra etica e religione" di Giulia Sfameni
Gasparro
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di più

1. EDITORIALE. LE STRAGI E IL SILENZIO

I massacri che in Afghanistan si susseguono non turbano le vacanze dei
pacifisti italiani.
Ne conosciamo i motivi.
Quei sedicenti pacifisti che negli ultimi anni si sono prostituiti al
ministerialismo guerrafondaio e stragista, e che con la loro prostituzione
alla politica degli assassini e dei terroristi di stato hanno favorito il
trionfo della destra totalitaria berlusconiana e la definitiva corruzione e
dissoluzione nella resa al male delle organizzazioni che ereditarono e
tradirono le tradizioni egemoni del movimento operaio in Italia, ovviamente
hanno deciso allora e per sempre che gli afgani potessero essere massacrati
tutti fino all'ultimo.
Lo sappiamo tutti. Noi possiamo anche dirlo. Perché almeno noi - e
pressoché solo noi - a questo crimine non abbiamo preso parte.
*
Chi redige questo foglio pensa che alla guerra occorre opporsi. Occorre
opporsi sempre. Poiché la guerra consiste della commissione di omicidi e
omicidi e omicidi. Poiché la guerra é nemica dell'umanità.
E poiché alla guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista,
mafiosa e totalitaria che é in corso in Afghanistan oscenamente partecipa
anche l'Italia, violando il diritto internazionale e la legalità
costituzionale, occorre che il popolo italiano innanzitutto si batta per far
cessare la partecipazione italiana alla guerra, si batta affinché l'Italia
torni al rispetto della sua stessa Costituzione, si batta per la pace, il
disarmo, la smilitarizzazione dei conflitti, a cominciare dal nostro paese,
a cominciare dal nostro ordinamento giuridico, a cominciare da noi.
*
Cessi la partecipazione italiana alla guerra afgana.
Si impegni l'Italia per la pace con mezzi di pace.
Si impegni l'Italia per salvare le vite anziché sopprimerle.
Si impegni l'Italia per la smilitarizzazione del conflitto.
Si impegni l'Italia per l'umanità.
*
La nonviolenza é la via.
Solo la scelta della nonviolenza puo' salvare l'umanità.

domenica 24 agosto 2008

Intervista a Stella Morra, donna e teologa

DONNE E TEOLOGIA: STELLA MORRA

I mille volti della diversità

Ha alle spalle, risolutive e catalizzanti, le esperienze avviate a Torino dalla lungimiranza intellettuale e pastorale del cardinale Michele Pellegrino e gli incontri con personaggi significativi del pensiero cattolico di quegli anni. Legge criticamente i mondi cui appartiene e li abita nella consapevolezza d'essere una donna di frontiera.

di CETTINA MILITELLO



L'anno di nascita 1956 colloca Stella Morra su un tornante particolare, che non è quello del Concilio né quello del '68, ma degli anni immediatamente seguenti. Anni difficili, anni pesanti, nei quali ciascuno, senza il paracadute di esperienze forti e indelebili, ha provato a cercare vie proprie. Dall'università di Torino e da una laurea in sociologia della religione è così approdata alla teologia.
Erano, come lei stessa ci dice, gli anni della post-contestazione, ovvero, con espressione più pesante, "gli anni di piombo". In questi frangenti una domanda di fondo, non appieno appagata dalle scelte e dalle ricerche intraprese, si è andata via via indirizzando altrimenti. Alle spalle, risolutive e catalizzanti, le esperienze avviate a Torino dalla lungimiranza intellettuale e pastorale del cardinale Michele Pellegrino e gli incontri con personaggi significativi del pensiero cattolico di quegli anni.
Da qui il passaggio a Roma, la fine di un nomadismo sistemico, l'approccio a un mondo del tutto diverso da quello di partenza, con la difficoltà di apprenderne il linguaggio, senza peraltro dismettere il proprio linguaggio nativo. Da sempre impegnata in Azione cattolica da ultimo è stata eletta nel direttivo dell'Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche.
Questi impegni, cui si unisce l'attività di insegnamento, di consulenza e di conferenze, oltre che di pubblicazioni, si sono negli ultimi anni intrecciati con l'onere della tesi dottorale, discussa il 3 giugno 2004 alla Gregoriana, università presso cui insegna già da anni.
È difficile collocare Stella Morra. Lei stessa rifiuta ogni facile posizionamento. E interessata agli studi di genere, ma non accetta etichette femministe. E' approdata allo studio della mistica, ma viene da interessi di teologia fondamentale. Avverte i limiti dell'istituzione, ma non si lascia incantare da panacee movimentiste; legge criticamente i mondi cui appartiene e li abita nella consapevolezza d'essere una donna di frontiera. In questa complessità che non chiede né semplificazioni né omologazioni si colloca la sua adesione al Cti (Coordinamento teologhe italiane, sito Internet www.teologhe.org), di cui è socia fondatrice e del cui direttivo fa parte.

Cara Stella, come sei approdata allo studio della teologia?
«La mia scelta è avvenuta dopo un altro percorso formativo e professionale già compiuto: ho studiato sociologia all'università e ho lavorato un po' come sociologa, poi ho cominciato a insegnare. Solo a 27 anni ho scelto la teologia come "nuovo" ambito di studio».

Che cosa ti ha spinta: l'insoddisfazione, la ricerca di risposte più adeguate?
«Per capire quella che chiamerei "irrequietezza", è necessario ricordare che sono nata nel 1956. Appartengo dunque a una generazione che ha attraversato gli anni della postcontestazione e poi del terrorismo, proprio durante il percorso universitario».

Tu eri a Torino...
«Sì, e a sociologia... Mi aveva portato lì la domanda che è ancora oggi (se pur diversamente) la mia domanda: "Come funzionano le cose? Come funziona il nostro stare insieme? Come funzionano il conflitto e il consenso, la capacità di avere obiettivi comuni, il sentirsi parte di, riconosciuti da...?". In quegli anni, con i compagni di università arrestati, con i morti per terrorismo che erano almeno uno alla settimana, la domanda "Come? Perché?" non era una domanda direttamente metafisica, ma socio-culturale».

Che tipo d'ambiente frequentavi?
«Ho vissuto in prima persona appartenenze che si definivano "rivoluzionarie" e, soprattutto, un percorso femminista, una partecipazione diretta, intessuta di amicizia e sogni sul mondo come lo volevamo... Mi sono molto riconosciuta, quanto alle gioie e ai drammi di quegli anni, in un film come La meglio gioventù. Poi: ancora insoddisfazione per quelle risposte, dolore per la morte, e il dramma posto da una violenza che stava prendendo il sopravvento».

Non esistevano spiragli, incontri alternativi?
«Proprio in quegli anni sono avvenuti gli incontri significativi con un mondo di credenti: dalla Torino del cardinale Michele Pellegrino, all'Ac ancora sotto il soffio conciliare, ad alcune esperienze monastiche...».

Questi incontri hanno spostato la tua domanda...
«Sì, ho cominciato a chiedermi come funzionavano le coscienze e il mondo sotto uno sguardo più grande del nostro».

In questo frangente, quale incontro o evento è stato per te decisivo?
«Decisivo, per fare la scelta di studiare la teologia, è stato l'incontro all'università di Urbino con Italo Mancini e Luigi Sartori, che hanno, con grande delicatezza, disciplinato la mia domanda e le hanno trovato un luogo... E così, lasciati il lavoro e Torino, sono venuta a Roma, in Gregoriana, a studiare teologia».

Non eri un uomo (prete o laico) ma una donna. Come hai reagito?
«È chiaro che giungere in Gregoriana dall'ambiente e dal clima che ho descritto prima è stato un po' uno choc, un trauma. Mi sentivo finita nella bocca del leone, nel cuore della "conservazione". Ma mi hanno conquistato due cose: da una parte la competenza e serietà professionale nel riconoscere il valore dello studiare e del pensare, con grande libertà, e dall'altra l'attenzione alle persone e la cura nel rapporto, che strideva con la fatica che avevo provato di fronte a un mondo in cui le ideologie contavano di più delle persone e del loro dolore».

Avevi rotto con i sogni di prima?
«No, certo. La mia "lingua-madre" era quella delle notti passate a sognare il mondo che avremmo voluto... piuttosto distante da un mondo di "blu e nero" che ho trovato in Gregoriana».

Questo comportava oggettive difficoltà?
«Mi rendo conto oggi che ho, soggettivamente, vissuto con relativamente poche difficoltà quegli anni perché il mio atteggiamento era un po' quello di chi impara una lingua straniera. Non mi aspettavo che fosse riconosciuto il mio modo di sentire e di essere. Ero in un "altro Paese", con la gioia d'imparare la diversità e la curiosità di raccogliere tutto ciò che potevo scoprire. Devo molto a quegli anni e alla divertita, delicata e, a volte stupita, cura dei professori gesuiti, di fronte a questa strana esperienza, per loro, di una donna laica, non solo per diritto canonico, ma anche per cultura».

Ti senti ancora "straniera"?
«Ora, dopo quasi vent'anni, mi sento perfettamente bilingue, con due patrie, e nessuna delle due ha cancellato l'altra. Ma non è forse connaturale al cristianesimo essere cittadini di due città?».

Sul piano strettamente personale le tue scelte hanno costituito un ostacolo o un'opportunità?
«Né ostacolo, né opportunità: le scelte di vita, di affetti, la concretezza sono il luogo dove la vita è come è. Certo, occuparsi di teologia pone condizioni (per esempio il poco denaro che produce), ma quando lavoravo come sociologa avevo altre condizioni, alcune migliori, altre peggiori. E una legge, di incarnazione. Non esistono percorsi di vita che non abbiano costi e vantaggi, che non cerchino forme di quotidianità. Dai venti ai trent'anni ho vissuto grande instabilità concreta, con viaggi, cambiamenti di casa, irrequietezza anche a questo livello. In questi anni della teologia sono più stabile (stupita di vivere nella stessa città già da vent'anni), con affetti e amicizie più durature».

Hai sempre lavorato in Ac. Come ti senti all'interno di essa?
«L'Ac è stata per me una grande esperienza di "una Chiesa possibile". Le devo l'aver sperimentato misericordia e popolarità, un senso adulto di ecclesialità, senza spiritualismi né efficientismi, una rete di amicizie forti e un senso conciliare della laicità. Devo molto a tante donne, note o meno: mi hanno mostrato, con lo stesso essere tanto diverse tra loro, che "ci sono più cose in cielo e in terra che nella nostra filosofia (e nelle ideologie!)"».

In Ac ti sei trovata a tuo agio anche come donna?
«Dopo gli anni del femminismo ho imparato in Ac i mille volti della differenza: forse sembra strano, ci si aspetterebbe un alto tasso di omologazione in un'associazione così. Non è vero: ho visto nella concretezza convivere con piacere età, sensibilità politiche ed ecclesiali, livelli culturali diversi. Ho incontrato donne più adulte di me, che appartenevano a generazioni che contestavo e con le quali ho avuto l'opportunità d'incontri e percorsi senza ideologia. È stata una grande liberazione! Ho imparato a guardare le "sottili e sommerse linfe della vita" delle donne, passare nelle cose quotidiane e nelle scelte più visibili».

Come definiresti l'opportunità che ti è stata offerta?
«Direi che ho avuto un "luogo di parola", di parola detta, ascoltata, scambiata, di parola lieve e libera... Resto del parere, che avevo anche ai tempi dell'università, che il grande nemico delle donne (e degli uomini!) è la congiura del silenzio, e che il silenzio uccide».

Sei stata eletta nel direttivo dell'Umofc. Ci dici qualcosa anche di questa tua esperienza?
«L'Umofc è l'Unione mondiale delle associazioni femminili cattoliche. Faccio parte del Board in rappresentanza dell'Italia. Un'esperienza interessante per la sua mondialità (cosa significa essere un'associazione cattolica di donne in Timor Est o in Sudafrica?), e per il suo ruolo istituzionale (è un'associazione che fa parte dell'Oic, il coordinamento delle Organizzazioni internazionali cattoliche in relazione al Pontificio consiglio per i laici). Per me è una scuola di pazienza istituzionale, di rispetto per i tempi che non sono quelli che vorremmo, di esercizio di "restare con tutti"».

A contatto con donne così diverse, quali prossimità o distanze hai sperimentato?
«Un grande stupore è stato per me scoprire la mia maggiore consonanza con le donne dei Paesi extraeuropei, piuttosto che con le associazioni europee: forse la collocazione particolare dell'Italia (per la sua storia e il suo contesto ecclesiale, forse per il suo essere "mediterranea", forse per le ferite inferte dall'ideologizzazione degli anni '70 e '80...), ci rende più pacate, più pazienti, più conscie della complessità del reale. Vado scoprendo che avremmo una "tradizione" di donne credenti, che dovrebbe ritrovare un po' di auto stima e la capacità di raccontar si in termini più oggettivi».

Immagino che hai avuto occasione d'incontrare le donne dell'Est...
«Sì, l'esperienza che si sta facendo con le neonate associazioni di donne cattoliche dell'Est europeo è particolarmente interessante... Il rischio che anche in questo ambito vinca più il denaro che la democrazia è davvero molto forte».

Finisci di discutere la tua dissertazione dottorale. Cosa ti ha indotta a sceglierne il tema e l'ambito?
«È, paradossalmente, sempre la stessa domanda, che torna in forme diverse. La mia dissertazione dottorale verte su un autore, Michel de Certeau, gesuita, francese, contemporaneo (è morto nel 1986), che ha studiato l'impatto della modernità sul cristianesimo e viceversa, a partire dalla mistica classica, del '500 e del '600. Michel de Certeau intravede nel "paradigma mistico" (cioè nei modi di essere, di parlare e di fare il cristianesimo propri e originali dei mistici) una via "perdente", ma assai significativa di dialogo tra cristianesimo e modernità nascente. lo ho provato a verificare se questa prospettiva possa fornire elementi per una dinamica ecclesiale nell' oggi, in una modernità compiuta e forse addirittura consumata».

Una tesi di dottorato in teologia comporta spesso anni di lavoro. E stato così anche per te?
«È stata un'avventura lunga, durata circa dieci anni, molto più che un'avventura solo accademica: le mie domande sul funzionamento della realtà e su come si costruiscono luoghi vitali, efficaci per le persone, e come questi luoghi possano essere luoghi della buona Notizia, e insieme luoghi che parlano la lingua e abitano il "corpo" di questo tempo, rimangono le domande che mi guidano e, spero, mi guideranno ancora».

Nella tua fatica hai portato anche il retaggio dei mondi diversi ai quali dici di appartenere?
«La dissertazione dottorale è stata ancora una volta un'esperienza di articolare il mio essere meticcio, il mio "paese d'origine", che non voglio tradire, con le esigenze istituzionali di un luogo accademico, al quale riconosco il diritto di regole proprie. Ed è stato molto bello vedere riconosciuto questo sforzo in sede di difesa della dissertazione. E vedere accolti l'urgenza e centralità della domanda, l'interesse delle tracce reperite a livello di forme istituzionali, forme di autorità, forme della liturgia, ecc.».

Vedi uno sbocco finale?
«Non sono ancora in grado di dire dove questo lavoro condurrà: ora la tesi è pubblicata nella collana delle Tesi Gregoriane, che ha una diffusione accademica, e poi, spero, prenderà la forma di un libro a diffusione più ampia e vedremo se sarà possibile procedere nella ricerca anche con il dialogo con chi vorrà interagire criticamente con questo percorso».

Come ti collochi nell'ambito della teologia elaborata dalle donne?
«Con una battuta vorrei dire che non mi colloco! Ho passato almeno dieci anni della mia vita a "collocarmi", definire e definirmi. Credo di aver imparato, ora, la libertà di lasciare che siano le cose che dico e che faccio a trovarmi un luogo... Mi interessano gli studi di genere e credo nella rilevanza di collocazione storico-culturale che le donne possono giocare, almeno in Occidente, in questo tempo».

Quale tipo di teologia vorresti elaborare?
«Vorrei, senza dover tradire il mio essere donna, che mi fosse possibile fare una teologia per/con uomini e donne. Non amo (più!) occuparmi di temi specifici delle/per le donne e mi pare di vivere, almeno in questo tempo, un'alterità anche rispetto ad alcuni percorsi organizzati delle donne».

Come giudichi allora la ricerca femminista?
«Riconosco con forza il merito e la legittimità di donne che investono di più in una lotta dalla parte delle donne: ancora ce n'è bisogno, credo. Ma non tutti i tempi della vita consentono e chiedono lo stesso livello di compromissione. E credo che sia necessaria una delicata articolazione, per ciascuno di noi, tra storia e biografia, tra analisi della realtà storico-culturale e scelte biografico-personali delle priorità, articolazione che richiederebbe uno spazio ben più ampio per essere anche solo adombrata».

Cosa comporterà allora per la teologia la presenza delle donne?
«Sono convinta che il contributo delle donne alla teologia la sposterà, con il fatto solo dell' esserci, con la fatica che per loro (noi) l'esserci comporta, con le lingue e i corpi che introduce di fatto».

Cosa pensi della Chiesa nell'attuale transizione e quali credi possano essere le strategie migliori?
«Credo che la Chiesa, almeno in Occidente, viva una transizione davvero epocale, oggi, con delle "forme" (solo la definizione di questa parola richiederebbe un vero e proprio saggio) che hanno esaurito il 10ro contributo positivo, forme che si sono andate assestando dal X-XI secolo e hanno avuto la loro crisi tra il XVI e il XVII. Noi siamo alla fine compiuta di questo processo di consunzione. Il concilio Vaticano II ci ha dato i criteri per il rinnovamento. Ma ora abbiamo davanti il compito di "fare" le nuove forme, con una domanda di creatività e di articolazione della fedeltà all' essenziale con la capacità di rischiare il nuovo, che hanno un paragone possibile, secondo me, solo nell'incontro del cristianesimo con la cultura greca del III-IV secolo».

Sono assolutamente d'accordo con te. Ma domina la paura. Ho sentito un collega augurarsi d'essere già morto prima che avvenga il passaggio a nuove forme...
«In situazioni come queste è più o meno normale che le paure, l'incertezza e il sentimento di sperdimento, rischino di avere uno spazio troppo importante; e la tentazione grande, a tutti i livelli, mi pare sia quella di cercare soluzioni (magari geniali) solitarie e veloci. Solo da un lento e paziente lavoro comune che costruisca consensi nelle cose e nei fatti e che alla fine non sia più la forma di uno o di un gruppo, ma ciò che si è limato dall'interazione dei molti, può dare buoni frutti».

Dammi un esempio di ciò di cui, secondo te, avremmo bisogno...
«Sartori dice che avremmo bisogno di una Chiesa plurale e plenaria: trovo davvero che questa sia un' espressione felice per dire la strategia che ci servirebbe, ognuno nel proprio ruolo e secondo la propria responsabilità».

Quale giudizio dai sulla situazione politica internazionale?
«Il giudizio sulla situazione attuale è, necessariamente, complesso e da riarticolare continuamente sulla veloce evoluzione dei fatti. Credo che anche il mondo, dopo la fine dei blocchi contrapposti, veda un tempo di grande transizione e il rischio mi pare essere quello che potenza del denaro da un lato ed egoismi locali dall' altro schiaccino ogni possibilità di un "futuro sostenibile". Mi paiono anche molto interessanti le azioni dei cristiani e le riflessioni dei teologi che lavorano nella direzione dell'incontro ecumenico di Basilea di alcuni anni fa: pace, sviluppo e rispetto del creato come, segni e luoghi del Regno, con la responsabilità che questo implica».

Qualcosa ti preoccupa?
«Sì. Temo (forse per motivi biografici) un'eccessiva e un po' ingenua (e manichea?) fiducia nel "movimento" a scapito di una più faticosa e lenta presenza nei luoghi istituzionali. Occorrerebbe anche qui un dialogo più serrato tra i due "stili" e una presenza qualificata dei credenti in entrambi i campi. E credo anche che a prese di posizione profetiche, per esempio quelle del Papa sulla guerra, dovrebbero corrispondere altrettanto profetici luoghi ordinari di Chiesa».

E le donne?
«Le donne potrebbero insegnare molto circa lo stile della tessitura tra diversità e circa la capacità di pensare sé stessi come un parziale...».

So che ami la poesia. Ci citeresti un testo che avverti prossimo al tuo mondo interiore?
«Un piccolo testo di Turoldo mi fa molta compagnia in questi tempi e mi pare dica abbastanza bene il "luogo" interiore da cui oggi guardo il mondo: Tempo è di ritornare poveri / per ritrovare il sapore del pane, / per reggere alla luce del sole / per varcare sereni la notte / e cantare la sete della cerva. / E la gente, l'umile gente / abbia ancora chi l'ascolta, / e trovino udienza le preghiere. / E non chiedere nulla».

Cettina Militello



( intervista pubblicata su Vita pastorale, n.10, ottobre 2004 )
Ringrazio Stella Morra per il permesso accordato e ricordo che il suo sit o, da visitare, è www.stellamorra.eu


sabato 23 agosto 2008

DA NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA

Come al solito riprendo dal quotidiano telematico NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO, n. 556 del 23 agosto 2008 il sommario e tre testi.

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: L'Afghanistan e noi
2. "Peacereporter": Un'atra strage. 76 civili uccisi a Shindand
3. Emanuele Nannini: Strage di civili a Sangin
4. "Peacereporter": Un giorno qualunque di ordinari orrori ed infinite stragi
5. Hannah Arendt: L'educazione
6. Luciana Castellina: La nostra "primavera"
7. Carlo Carena presenta l'"Institutio oratoria" di Quintiliano
8. Maria Paola Guarducci presenta "Confessioni di una giocatrice d'azzardo" di Rayda Jacobs
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di più

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: L'AFGHANISTAN E NOI

Non so se sia più abominevolmente disumana la guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista, mafiosa e totalitaria in Afghanistan, o la nostra glaciale indifferenza che sanguinaria la alimenta.
Perchè quella guerra è anche il nostro paese che la sta conducendo, illegalmente, criminalmente. Perchè l'Italia fa parte della coalizione assassina, in violazione del diritto internazionale, in violazione della legalità costituzionale.
*
Sarebbe così semplice cogliere l'essenziale. Che uccidere è male e salvare le vite è bene. Che la guerra è nemica dell'umanità. Che la pace si costruisce con mezzi di pace. Che occorre il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti. Che una sola è l'umanità. Sarebbe così semplice cogliere
l'essenziale. Per noi italiani basterebbe la Costituzione della Repubblica Italiana a farci da guida e da norma: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
*
Delle stragi afgane il nostro paese, il nostro ordinamento giuridico, il nostro ceto politico che per la partecipazione a quella guerra ha ripetutamente votato, sono pienamente corresponsabili. E sono pienamente corresponsabili anche tutti coloro che avendo nel nostro paese la possibilità di opporsi a questo crimine e a questa follia continuano a tacere, continuano a tacere (o peggio, peggio), e così contribuiscono al massacro.
*
Cessi la partecipazione italiana alla guerra afgana. Torni l'Italia al rispetto della legalità costituzionale e del diritto internazionale.
S'impegni l'Italia per far cessare la guerra.
Cessi nel nostro paese la complicità di massa con la politica hitleriana.

2. AFGHANISTAN. "PEACEREPORTER": UN'ALTRA STRAGE. 76 CIVILI UCCISI A
SHINDAND
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo la seguente notizia del 22 agosto 2008 col titolo "Afghanistan, un'altra strage: 76 civili uccisi in raid aereo Usa a Herat"]

Il ministero dell'Interno afgano ha dichiarato che il bombardamento aereo Usa della scorsa notte su Shindand, nella provincia occidentale di Herat (sotto comando italiano) non ha causato la morte di 30 talebani come annunciato dai comandi Nato, ma ha ucciso ben 76 civili, in maggioranza
donne e bambini.
Saeed Sharif, un anziano membro del locale consiglio tribale, aveva dichiarato che attorno alle due di notte le bombe hanno colpito un edificio affollato di fedeli riuniti per ascoltare una recitazione del Corano.
Secondo un portavoce del ministero della Difesa afgano, il raid aereo è stato ordinato per supportare le truppe Nato a terra che stavano conducendo un'operazione che aveva come obiettivo un comandante talebano, Mullah Sadiq, che secondo i comandi Usa stava preparando un attacco in grande stile contro la base Usa di Ghorian, tra Herat e il confine iraniano.

3. AFGHANISTAN. EMANUELE NANNINI: STRAGE DI CIVILI A SANGIN
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 22 agosto 2008 col titolo "Scene da un matrimonio: truppe inglesi fanno strage di civili. Afghanistan del sud: tank inglesi fanno strage di civili a Sangin, nella provincia di Helmand", il sommario "Lashkargah, giovedì 21 agosto. Un neonato, quattro bambini, una ragazza e quattro donne, una di loro incinta. Tutti colpiti dalle schegge dei razzi che sono caduti sulla loro casa durante una festa di matrimonio, e ricoverati giovedì mattina nel Centro chirurgico di Emergency a Lashkargah. I parenti delle vittime, che nei loro racconti riportano un imprecisato ma notevole numero di morti, denunciano: 'Sono stati i soldati inglesì. Il racconto di un logista di Emergency" e la nota "I luoghi e i fatti descritti dai protagonisti sono stati riportati fedelmente. I nomi dei testimoni sono stati cambiati per proteggere la loro identità". Emanuele Nannini è un operatore di Emergency presente nel Centro chirurgico di Lashkargah, in Afghanistan]

Questo è il periodo migliore dell'anno per sposarsi, il grande caldo è passato e i fiori colorano ancora il paesaggio. La festa inizia il mercoledì e si va avanti per tre giorni ininterrottamente, uomini all'esterno, donne e bambini all'interno, rigorosamente separati. Bisogna affrettarsi, tra poco inizierà il Ramadan.
In un paese in guerra bisogna rinunciare a qualche usanza locale, come sparare in aria colpi di fucile per evitare di diventare un facile bersaglio, e la festa può avere inizio.
Sono le 9,30 a Sangin, provincia di Helmand, sud dell'Afghanistan. Qualcosa è andato storto: le precauzioni non sono bastate, il via vai di moto e macchine ha attirato l'attenzione. "È stata una pattuglia di tank britannici - racconta un testimone - il primo razzo ha colpito una macchina che stava uscendo dalla casa dei festeggiati, gli altri sono stati tutti diretti verso l'edificio in cui si trovavano le donne e i bambini".
Non c'è tempo di pensare e di guardarsi indietro, la prima macchina con due bambine e una donna parte alla volta di Lashkargah, correndo contro il tempo.
Dopo tre ore di viaggio il mullah Baseer arriva all'ospedale di Emergency: la moglie incinta di sei mesi, la figlia di tre anni e la nipote sono in gravi condizioni, ma sopravviveranno. Il vestito bianco della festa è pieno di macchie di sangue, quello che ha visto gli si legge in faccia: "C'erano tre corpi di bambini dilaniati, le gambe erano da una parte e il busto da un'altra. Sono scappato troppo velocemente per rendermi conto di quello che stava succedendo e non volevo vedere nient'altro", racconta toccandosi la lunga barba bianca.
Sabawoon, cugino dello sposo, arriva poco dopo con un'altra macchina con quattro feriti a bordo. La storia che racconta e il dramma nei suoi occhi sono sempre gli stessi: "Gli inglesi erano a due chilometri dal matrimonio e i razzi sono arrivati a poca distanza l'uno dall'altro, non c'è stato il
tempo di scappare e noi uomini all'esterno non abbiamo potuto fare nulla per salvare mogli e figlie". Con lui all'ospedale sono arrivate due zie della sposa, un bambino di tre anni e un neonato di pochi mesi. Hanno corso abbastanza velocemente contro il tempo. Sabawoon poco dopo saprà che anche
la zia, che è stata immediatamente trasferita in sala operatoria, se la caverà.
Le informazioni corrono veloci, non si ha il tempo di farsi troppe domande che l'ultima macchina arriva al cancello. Wadaan è alla guida, è il figlio del mullah Baseer. Con lui in macchina altre due bambine e Bakhtawara, la madre dello sposo. Sono in ritardo, hanno preso una decisione difficile:
anziché correre direttamente all'ospedale di Lashkargah si sono fermati in una piccola clinica a Grishk, a un'ora di distanza dall'ospedale. Il tempo che hanno perso è stato fatale: la madre dello sposo muore pochi minuti dopo essere entrata nel pronto soccorso.
All'esterno dell'ospedale, Bakhtawar, Ghamay e Wadaan sono troppo stanchi per disperarsi e per piangere, insieme portano via il cadavere di Bakhtawara. Ancora vestito a festa.

giovedì 21 agosto 2008

Aldo Capitini: lettera di religione n. 9

IL RINNOVAMENTO NON E’ AFFIDATO
ALLE VECCHIE ISTITUZIONI RELIGIOSE

Lettera di Religione n. 9

Forse mai con la chiarezza di oggi fu possibile vedere la differenza tra le istituzioni e gl'individui; e su questa differenza è bene richiamare l'attenzione, proprio per esigenza religiosa, soprattutto per queste due ragioni:

1. che anche le vecchie istituzioni religiose subiscono questa squalifica;

2. che solo vivendo quella differenza si reagisce alla tentazione di distruggere, con le istituzioni (come si deve) gl'individui (perché anzi, la vita religiosa come la vengo esponendo, li vede tutti esser anche altro che la istituzione a cui appartengono, e li conduce tutti alla liberazione, e perciò attua la nonviolenza).

Non ci si può preparare ad una nuova vita religiosa se non riducendo al minimo i fatti istituzionali di qualsiasi genere...

Le istituzioni, quanto piú si ergono superbe e totalitarie (cioè con la pretesa di abbracciare tutto), tanto piú sono lussuria di potenza e ostacolo diabolicissimo, o storico o umano o mondano che si voglia dire, all'emergere di quella compresenza pura o realtà di tutti, che solo amore e valore ha per confine, e che ha per fondamento incrollabile l'intimità e la libera apertura: spiritus ubi vult spirat (lo spirito soffia dove vuole).

… Perciò tanto piú stona religiosamente che uno che si dice il capo dell'istituzione cattolica (ma io penso che il rinnovamento religioso non sarà opera di un capo, bensí di tutti gli esseri) diffonda parole di soverchio vanto dell'istituzione, come istituzione, e pretenda, nientedimeno, di restaurare cosí lo spirito evangelico, di dare inizio a rifare il mondo dalle fondamenta, e al cambiamento di rotta da tanti desiderato: sono queste frasi del discorso di Pio XII del 10 febbraio 1952. In séguito a questo discorso il capo dell'Azione cattolica scrive commentando e svolgendo: " Siamo caduti molto in basso durante cinque secoli della ribellione protestante ".

Vediamo dunque confermata la tante volte ripetuta autoesaltazione della Chiesa di Roma, l'irreligioso e disgustoso vanto della propria durata nei secoli (come se esso non possa esser fatto ugualmente da tante altre istituzioni storiche, alte e meno alte, e basse, dalla religione ebraica ed altre orientali alla specie dei lupi e degli elefanti e a tanti costumi che durano da millenni), il pagano mito della salvezza di Roma per opera di Maria; e, cosa piú importante, l'accusa alle correnti cristiane non cattoliche; poiché, se si fa una considerazione di costume civile e di moralità, è ben visibile che paesi formati, si può dire, dalla riforma o "ribellione" protestante, come l'Inghilterra, la Svizzera, la Svezia e Norvegia, la Danimarca, l'Olanda, nulla hanno da invidiare alle nazioni cattoliche e particolarmente alla Spagna, dove la Chiesa romana è onnipotente e Maria invocata come patrona.

E se si fa una considerazione di riforma sociale si ha lo stesso risultato, o, per lo meno, una nuova socialità è da raggiungersi e da paesi protestanti e da paesi cattolici (ed anche da altri); se si fa infine una considerazione religiosa, gravissime sono le insufficienze di cattolici ed anche di protestanti, sebbene bisogni dire che questi ultimi si sono in cinque secoli talvolta travagliati piú dei cattolici, romanamente orgogliosi dell'istituzione, per portare avanti o riprendere autentici motivi cristiani, interiorizzandoli con purezza e con un prezioso senso della libertà altrui: insolito questo nei cattolici; i quali, inoltre, per il peso istituzionale del fatto dell'autorità troppo spesso dànno prova di muoversi verso posizioni che dichiarano giuste, anche se tenute da non cattolici, e poi le abbandonano ripiegando all'ubbidienza dell'autorità che li richiama.

Chi legge queste Lettere sa in quali modi si tende ad impostare una riforma religiosa, anche se Pio XII dica, nello stesso discorso, che " non è questo il momento di discutere, di cercare nuovi principi ". Il fatto è che i principi di cui parlo, lavorando per una riforma religiosa, sono nuovi appunto perché il mondo cristiano ha abbandonato quelli originari cristiani a cui, in parti essenziali, questi della riforma di cui parlo sono tanto vicini, e senza dubbio piú vicini che a quelli che tanto mondo cattolico e protestante ha accolto in sé, come quelli della guerra (condotta anche da Papi), della ricchezza, dell'oppressione e uccisione per ideologia (non dice S. Tommaso che l'eretico è a mundo exterminandus per mortem? e Calvino non fece giustiziare Serveto?).

Fate, fate penitenza, cosí come noi tutti la facciamo per tanti peccati ed errori; lasciate andare coteste vecchie denominazioni di cattolico e di protestante o altro che sia, cariche di boria, di colpe e di liti letterali e istituzionali; lasciate i mille particolari giuridici e gli stemmi e i sigilli e le diciture, perché solo il vostro essere interiore dirà a Dio ciò che voi siete, e solo il vostro agire esteriore lo dirà agli uomini.

Scegliete forme modeste e aperte, e perciò discutete (cosí come vorrei fare io, che pur sono peccatore, eretico, e non mi dico cristiano), e se lavorate con altri, prendete il nome di centro (che vuol dire qualche cosa di aperto, che si aggiunge a tutti, e non esclude e non danna nessuno).

… E un'altra prova dell'irreligiosa ostentazione di potenza è l'indicare la complessità e solidità e totalità delle dottrine possedute, dei princípi, dei dogmi, delle soluzioni, ecc. ecc. Che c'entra questo con la religione nella sua purezza? nei suoi inizi di alba e di mattino? non è piuttosto questa la caratteristica delle istituzioni prossime a sfasciarsi (oltre il fatto dei risultati di un esame di quelle "soluzioni" ad una ad una)? Non bastano pochissimi profondi principi a mutare il mondo?

E’ vero che qualche volta incontriamo i sorrisetti cinesi dei rivoluzionari politici; ma in religione è piú grave la baritonale esclamazione dell'assolutezza e grandezza e totalità.

Religioso pare che sia (io ne sono convinto, e vorrei che fosse cosí anche per voi) l'atto del pubblicano peccatore che non si mette nelle prime file e non osa fare il nome di Dio, come fanno i farisei; e forse anche l'atto di chi, parte in silenzio, parte parlando, fa il suo servizio per il rinnovamento della realtà, della società, dell'umanità, ma si sente molte volte, come individuo, di ostacolo al bene che è compiuto dalla intima compresenza di tutti gli altri esseri, nell'unità del creare valori.

Perugia, 13 febbraio 1952

Aldo Capitini, Lettere di religione, in Il Potere di tutti, Firenze, La Nuova Italia, 1969, pp. 221-224

Tratto dal sito www.citinv.it/associazioni/ANAAC/letterereligiose/base9.htm. L’ANAAC è l’Associazione Nazionale Amici di Aldo Capitini il cui sito è ospitato da Città invisibili

INTERVISTA A PADRE OTTAVIO RAIMONDO

Ringrazio calorosamente Silvia Montevecchi per l’autorizzazione concessa a pubblicare questa intervista a Padre Ottavio Raimondo, mio grande amico e grande personaggio, fondatore e dirigente della EMI di Bologna (intervista già apparsa sul sito www.silviamontevecchi.it)

Padre Ottavio Raimondo.
Una Chiesa per la globalizzazione dei diritti
Padre Ottavio Raimondo, comboniano, è il fondatore della Emi, la casa editrice con sede a Bologna che forse per prima in Italia ha sposato e diffuso i temi del NO GLOBAL, dell'alternativa al neoliberismo, del boicottaggio alle multinazionali, ecc. Ha pubblicato titoli del Centro Nuovo Modello di Sviluppo (CNMS) di Francesco Gesualdi, di Gandhi, di don Milani e decine di altri titoli sui temi del interculturali, interetnici, interreligiosi, per la conoscenza dei meccanismi di impoverimento del sud del mondo, sulle culture dei popoli del sud del mondo, delle loro lingue e tradizioni, sulle guerre e le origini delle guerre nei Paesi impoveriti. Ma soprattutto ha pubblicato e continua a pubblicare la testimonianza di vita e il pensiero delle missionarie e dei missionari che vivono “dove nessuno vuol vivere e con chi nessuno vuol vivere”.
I libri EMI sono distribuiti nelle normali librerie, ma soprattutto nella grande fitta rete "della base" che sono i movimenti, le Botteghe del Mondo; il Commercio equo e solidale, le ONG. Da mesi, la Emi inonda Bologna (e non solo) delle bandiere della pace.
P. Ottavio, bolognese di adozione, ma soprattutto cittadino del mondo, per 14 anni missionario in Messico, ci regala la sua immagine della città, tra chiesa e contestazione, tra preghiera e missione. Lo conosco da molto tempo, poiché la Emi ha pubblicato diversi miei lavori, e il nostro incontro ha il sapore dell’amicizia e della fraternità. Questo colloquio avviene nell’autunno del 2002, e mesi dopo, mentre si sfila per la pace e si cercano tutti modi per evitare una guerra all’Iraq, le parole di p. Ottavio sono anche più attuali. [...].

Silvia Montevecchi: padre Ottavio, una domanda a 360°: come quando e soprattutto perché l’Emi è nata a Bologna? Quanto la bolognesità entra nella Emi?
Padre Ottavio: Bene! Nel 1973 quattro istituti missionari decisero di mettere insieme la loro attività editoriale e libraria. Scelsero Bologna perché qui all’epoca esisteva già l’editrice dei comboniani, chiamata Nigrizia (cosa diversa dalla rivista che ha lo stesso nome). Tale editrice si era radicata a Bologna con un carattere di forte bolognesità, in questo senso: era riuscita a captare alcuni momenti significativi della vita culturale e religiosa di Bologna. Ne cito alcuni. In campo religioso con don Arrigo Chieregatti, che all’epoca era giovane prete, l’editrice Nigrizia aveva pubblicato alcuni libri su Charles de Foucauld, i suoi pensieri, la sua spiritualità. Inoltre, Nigrizia si era lanciata in settore molto vivo a Bologna: la musica sacra. Eravamo all’epoca del Concilio Vaticano II, e soprattutto con la chiesa dei Servi si erano pubblicati diversi canti religiosi, dato che allora entrava per la prima volta la messa in lingua italiana. Dunque l’editrice era diventata il punto di riferimento per tutto un impegno liturgico che era in grande fermento ed evoluzione, ad opera soprattutto (oltre naturalmente che al card. Lercaro) di mons. Baroni.
Nigrizia era anche diventato il punto di riferimento per un altro movimento che stava nascendo allora, quello relativo agli scritti di Raoul Follereau. Pubblicò le sue opere in italiano e sostenne l’attività di quel gruppo che poi divenne associazione di aiuto ai malati di lebbra nel mondo e poi l’ONG di cooperazione sanitaria nota come AIFO[2], con la quale continua ad esserci un ottimo rapporto.
Ha avuto poi altri agganci legati al territorio. Per esempio ha pubblicato libri sulla santa di Bologna: santa Caterina da Bologna. Dunque, le nostre radici, sono legate alla realtà bolognese. Questo ha determinato che nel 1973 i quattro istituti che volevano avviare l’esperienza della nuova casa editrice, l’Editrice Missionaria Italiana (EMI), decidessero di darle sede proprio qui, a Bologna. Questa è la nostra “preistoria”. Il legame della Emi con la città si è via via trasformato. Un altro fattore determinante per la scelta di Bologna è la collocazione geografica della città: così centrale che è di facile accesso da tutta Italia. Questo è stato molto importante dal momento che i soci, da quattro che erano inizialmente, sono diventati quindici, con sedi in zone diverse del paese.
L’Emi ha avuto legami meno forti con la città, rispetto a Nigrizia, perché si è allargata, ha esteso il suo raggio d’azione e ha sviluppato rapporti diversi in altre città. La dimensione interculturale per esempio, ha avuto un maggiore sviluppo a Brescia, grazie anche alla presenza dello CSAM. Per quanto riguarda l’ambito della cooperazione internazionale, lo sviluppo delle relazione è stato maggiore a Milano, per via della presenza e della collaborazione con Mani Tese. Insomma, abbiamo spaziato. Il legame sul territorio rimane, per esempio con la collaborazione con il Comune e in particolare il CD/Lei, sempre in campo interculturale, con la collaborazione con le ONG e le realtà direttamente coinvolte con il Sud del Mondo, con l’immigrazione e l’impegno missionario.

S.M. L’Emi è legata alla Rete Lilliput, anche a Bologna.
p. Ottavio: Sì, senz’altro. L’Emi è stata l’espressione editoriale di questo movimento sin dall’inizio, pubblicandone il primo libro intitolato proprio “La rete di Lilliput”. Anche noi siamo membri del nodo bolognese della rete. Lo appoggiamo perché ci crediamo, e crediamo soprattutto nel coinvolgimento della base, della cittadinanza attiva. Ci piacerebbe aver più contatti anche con altre agenzie del movimento no global, come Attac e altri, ma ci manca personale. Abbiamo rapporti occasionali, non continuativi.
Dal punto di vista civile, sarebbe importante avere maggiori legami col territorio bolognese. Le iniziative sono molte ma manca un’espressione editoriale no profit (come noi) che possa capirle e appoggiarle. Dal punto di vista religioso-ecclesiale, abbiamo cercato – attraverso il Centro Missionario Diocesano ed altri organismi – un dialogo che è nello stesso tempo entusiasmante e difficile. Entusiasmante perché proprio nella dimensione missionaria sono presenti le realtà più vive della chiesa. Difficile perché oggi sembra che prevalgano le iniziative occasionali o di solidarietà rispetto a un impegno continuativo e formativo. Comunque, siamo disponibili.

S.M. Come sono i cambiati i rapporti della Emi con la Chiesa bolognese, negli anni, dai tempi lontani del cardinal Lercaro?
p.Ottavio: Certo, le scelte, potremmo dire la politica, della Chiesa bolognese sono cambiate. Esistono altre realtà editoriali che collaborano maggiormente con la chiesa bolognese. Non sono mancati momenti di collaborazione: in occasione del Congresso eucaristico, abbiamo pubblicato insieme un fascicolo. In generale, sentiamo una certa difficoltà. È appena uscito il libro”Il vescovo del dialogo” su mons. Agostino Baroni, un bolognese che per molti anni è stato arcivescovo a Kartoum. La Presentazione di questo libro è a firma del nostro Cardinale.
Più in generale, stiamo assistendo ad un cambiamento profondo nell’ambito dell’animazione missionaria. Fino ad ora, l’animazione missionaria, fatta anche attraverso il libro, è sempre stata qualcosa “in più”, quasi marginale o parallelo - rispetto alla tradizionale pastorale della Chiesa. Qualcosa racchiuso in determinati eventi e momenti, in aggiunta rispetto alle attività “ordinarie” di chiese e parrocchie. Noi oggi stiamo scoprendo, anche motivati dal papa, che la “missione ad gentes” deve diventare il paradigma di ogni attività pastorale e di nuova evangelizzazione. Stiamo pertanto cercando di realizzare una produzione in cui la pastorale ordinaria, abbia in sé, come elemento costitutivo, questa dimensione missionaria, universale. Alcuni esempi: abbiamo pubblicato dei testi di religione per le scuole elementari e medie in cui la religione è proposta non più come valore da conservare, ma come ricchezza da condividere; abbiamo pubblicato alcuni libri in cui la Bibbia è letta, meditata, in chiave pluralistica, per uomini e donne calati in un mondo in cui pensano e vivono al plurale. Una Bibbia letta non solo come un libro di spiritualità per diventare migliori, ma come un entrare nel progetto di Dio, che è un progetto di vita, di libertà, e di dignità per tutti. Altro esempio: una collana intitolata “Comunicare il vangelo in un mondo che cambia”, in cui presentiamo testi che portano a riflettere in modo nuovo sulla fede. Il primo di questi libri è “Sarete miei testimoni”, e il secondo “Perseguiteranno anche voi” (una Chiesa che non è perseguitata… facilmente è una Chiesa che si adagia). E, infine, abbiamo iniziato un’altra collana “Scuola Biblica Parrocchiale” con testi di studio e di commenti biblici curati da Gianni Zaccherini, un bolognese che ha dedicato la sua vita a formare in ogni parte d’Italia gruppi Biblici. Ritengo che siamo alla vigilia di un nuovo dialogo, e non solo con la Chiesa bolognese ma con tutta la Chiesa italiana, proprio perché la missione ad gentes non sarà più vista come un momento saltuario, ma una realtà trasversale, che tocca tutte le aree e le dimensioni della vita ecclesiale.

S.M. Lei ha dato un’impronta molto forte alla Emi. E’ stata tra le prime case editrici italiane a sposare le cause della lotta contro la globalizzazione e lo strapotere delle multinazionali, che schiaccia i poveri della terra. Come è avvenuto questo percorso, tra queste 16 congregazioni che fanno parte della Emi?
p. Ottavio. Innanzitutto uno stimolo forte è venuto dalla Chiesa stessa, dal Concilio Vaticano II, con l’enciclica Gaudium et spes, in cui la visione del mondo è una visione positiva, in cui la Chiesa è chiamata a valorizzare tutte quelle realtà che portano a far sì che il mondo stesso diventi più vivibile e umano. Noi dunque ci siamo lanciati in questa prospettiva proprio come risposta alle indicazioni e alle attese del Concilio. Un secondo aspetto: dopo i “piani decennali di sviluppo” tipici del periodo ’60-70, che sembravano poter risolvere i grandi problemi del mondo, le grandi sfide dei paesi poveri, quando si è visto che tali piani decennali non solo non hanno risolto nulla ma anzi i problemi si sono aggravati, noi abbiamo sentito il bisogno di farci delle domande. PERCHÉ il sud del mondo al quale noi cerchiamo di portare la Buona Notizia, diventa sempre più invivibile, sempre più regno di povertà e sfruttamento, di ingiustizia, di conflitti atroci? Con l’aiuto di ONG e di centri come quello di Francuccio Gesualdi, abbiamo cercato delle risposte e di andare alla radice dei problemi. Ci siamo accorti che la radice dei problemi è nella cultura consumistica, del potere, del possesso delle cose, dell’accumulo, nella cultura insomma capitalistica, neoliberista, chiamiamola come vuoi, del Nord del mondo.
Lo sviluppo della riflessione teologica ha contribuito essa pure a dare un orientamento significativo alla nostra riflessione. Sono emerse e si sono sviluppate due dimensioni profonde. Primo: Cristo è venuto a salvare TUTTO l’uomo. Non esiste il corpo diviso dallo spirito, esiste la persona. Secondo: Cristo non è venuto a salvare solo la persona come in dividuo, ma è venuto per salvare l’insieme, la società. Ecco allora la necessità di un annuncio che tocchi tutta la persona, e la necessità di affrontare temi che portano ad un cambiamento non solo dell’individuo come tale, ma della realtà sociale nel suo complesso.
Proprio in questo senso abbiamo dato il via ad una serie di commenti biblici in cui emerge, come direbbe Zanotelli, la visione di un Padre/papà, che è il padre degli schiavi, dei crocefissi della storia. Da qui prendono il via libri come “L’impero svelato”, un commento all’Apocalisse in cui sono contrapposti i miti dell’impero (la pace romana e la pace biblica), di due autori che leggono l’Apocalissi in chiave di liberazione. O il libro “Essere pace”, un commento al vangelo di Giovanni, dove Dio entra nella storia perché l’uomo non solo persegua la pace, ma SIA pace, sia vicinanza. La pace biblica non è semplicemente assenza di guerra, è COMUNIONE, presenza. La croce diventa per noi allora il simbolo dell’unione tra terra e cielo, tra oriente e occidente. Essere pace è creare vicinanza. Il vangelo di Giovanni è proprio in questa prospettiva. Un altro libro in questa prospettiva teologica è “Solleva lo sguardo”, una presentazione e leggere l’Antico Testamento come un invito a sollevare lo sguardo e intessere nuovi rapporti. E quando questi nuovi rapporti non vengono intessuti, ecco allora emergere i profeti, che sono come fruste con cui Dio cerca di risvegliare il suo popolo, e pensa “eh, non è proprio così che me lo ero sognato, quando mi sono messo dalla sua parte facendolo uscire dall’Egitto!”.

S.M. padre Ottavio, mi racconti qualcosa della sua vita. Lei è nato ad Alberga, nel ’41. E’ stato alcuni anni a Bologna, poi 14 anni come missionario in Messico. Poi è tornato a Bologna.
p. Ottavio. Quando sono diventato religioso, ho chiesto che mi fosse concesso di lavorare nell’informazione. Pensavo che mi avrebbero mandato a Verona, alla rivista dei comboniani, Nigrizia. Invece mi mandarono qui, in un giorno del mese di luglio del 1967. Con la mia valigia, arrivai al Meloncello in autobus, dalla stazione. Era un bel periodo per la Chiesa bolognese. Ogni settimana facevo un corso di pastorale con don Dossetti. Ricordo molto bene quell’uomo che aiutava noi preti giovani, io avevo 26 anni, a riflettere sul Concilio Vaticano II, che era appena terminato. A riflettere su nuovi stimoli, sociali, politici, che poi sarebbero sfociati nei movimenti studenteschi del ’68-69. Sentivo in quel tempo che la nostra attività editoriale era molto limitata. Nigrizia aveva dei libri significativi, di Raoul Follereau, ma niente di più, praticamente. Molti compravano i nostri libri soprattutto per fare un’offerta alle missioni. E così, cominciai a darmi da fare con persone significative, come mons. Enrico Bartolucci, divenuto poi vescovo di Esmeraldas, padre Gardini, saveriano, p. Franco Cagnasso del Pime, p. Ersilio D’Errico della Consolata, e altri… per mettere a fuoco la necessità e il modo per dare vita a qualcosa di diverso, di nuovo. Così decidemmo di far nascere l’editrice EMI. Il periodo sperimentale, iniziato il 2 aprile 1973, andò bene con buoni risultati. Nei primi quattro anni di vita, giuridicamente faceva capo ai comboniani, nel 1967 si costituì in cooperativa.

S.M. Quindi lei ha passato un bel pezzo della sua vita qui a Bologna!
p.Ottavio. Eh sì, 12 anni la prima volta, poi dopo il Messico, sono già altri 10. Su 36 anni come prete, 22 li ho passati qui.
S.M. Ama questa città? (…può anche dire di no!)
p.Ottavio, beh, a me interessano più le persone, quindi io amo più i cittadini che la città o le strutture o le cose!

S.M. Cosa le piace dei bolognesi?
p. Ottavio. Due cose mi sembra, fondamentalmente, siano molto belle: la prima, una certa immediatezza, spontaneità, il loro modo di parlare senza paure o chiusure; e poi, a me il bolognese sembra una persona accogliente, aperta. Sono contento che l’Emi abbia la sua sede a Bologna. Ritengo che Bologna potrà essere sempre di più non solo Città Europea della Cultura, come è stata nell’anno 2000, ma una città mondiale, culturalmente planetaria. Sempre cosmopolita. Peccato che la presenza di studenti di altri Paesi, nella nostra Università, non sti8a crescendo, anzi, stia diminuendo!

S.M. Mi ha accennato a due personaggi forti della nostra Chiesa locale, don Giuseppe Dossetti e don Arrigo Chieregatti. Ci sono altri ricordi forti che ha dell’epoca conciliare: persone, luoghi, eventi?
p.Ottavio: Ce ne sarebbero tanti! Ricordo una volta in cui feci una notevole imprudenza! A me interessava far uscire prima possibile un commento sul nuovo rito della Confessione, della Riconciliazione, e riuscii ad avere del materiale tradotto in italiano da una persona che faceva parte della Commissione Riconciliazione. Così lo pubblicai immediatamente. Venne a saperlo il card. Poma e mi fece telefonare dal suo segretario, una sacerdote ancora vivente, mio amico, il quale mi diede …una bella batosta! Infatti il libro venne venduto, ma non un granché perché non ebbe le necessarie presentazioni ufficiali. Io avevo agito approfittando di una conoscenza, ma non era il modo corretto all’interno dell’istituzione. In generale i problemi che esistono con gli altri hanno sempre una radice non secondaria nei nostri atteggiamenti e scelte! Poi ci sono state tante belle esperienze, di tanti incontri , al teatro dell’Antoniano, per esempio, con Aifo dove ha parlato più volte Raoul Follereau. Incontri con parrocchie, con il Cefa, in diverse Feste di quartiere o di partiti. C’era un bellissimo clima culturale, simile a una realtà nuova in costruzione. Una grande vitalità. Vi erano personaggi politici che avevano una grande visione profetica della storia. Bersani ad esempio fu impegnatissimo per far approvare la convenzione di Lomé da parte della Commissione Europea. Quando nel 2000 ho visto le tante iniziative di Bologna come Città europea della cultura, ho gioito. Ho sognato che ritornasse, anche se in modo diverso, la vitalità di allora.

S.M. I movimenti che ci sono adesso, non le danno una sensazione di vitalità?
p. Ottavio. Oggi secondo me, si sente la mancanza dei giovani nelle istituzioni. Le persone cui mi riferivo, preti o politici, allora erano giovani. Adesso mi sembra che ci sia meno ricambio, allora c’era meno calcolo, più immediatezza, quasi un bisogno di lanciarsi verso il nuovo. Ci sono oggi iniziative interessanti ma, non so, la mia impressione è che manca vivacità, creatività. Spero di sbagliarmi.

S.M. Padre Ottavio, vorrei chiederle di spendere qualche parola sul lavoro di don Contiero.
p. Ottavio. Don Contiero lo conosco da molti anni. Lui è un uomo che ha saputo fare un passo dopo l’altro, un passo dopo l’altro, sempre nella stessa direzione. Che ha creduto. Ha creduto nei giovani. E loro infatti gli sono ancora molto legati. Gli vogliono bene come un papà. Si preoccupano che prenda le medicine che devono prendere… e questo mi fa invidia perché mi domando se quando sarò vecchio avrò qualcuno che mi cura come i giovani curano don Contiero. La sua presenza all’interno dell’università bolognese, non è mai stata una presenza moralistica. E’ stata sempre propositiva, di apertura al nuovo. 30 anni fa, appena morto don Milani, lui già faceva gli incontri all’università su don Milani! E poi i viaggi in Africa… Lui davvero è stato un uomo giovane dentro, aperto, uomo del dialogo. Quanti libri di politica aveva nella sua biblioteca! Lui sapeva leggere il Vangelo incarnandolo nello spirito del nostro tempo. Lui, possiamo definirlo anche come battitore solitario, ma è stato ed è un grande uomo, che ha lasciato una traccia profonda. Basta vedere i giovani che lo hanno seguito e che lo seguono. E oggi, pur non potendo più fare delle iniziative, quando lo incontri e gli parli delle sfide del mondo d’oggi, oppure gli parli di qualche persona che ha conosciuto, gli si illuminano gli occhi. E non ti chiede bazzeccole. La sua prima e insistente domanda è sempre su qualche missionario, sull’Africa, sui giovani.

S.M. Mi ha detto che vuole partecipare ai festeggiamenti per il Ramadan. Come pensa di farlo?
p. Ottavio. Siamo ormai alla fine del Ramadan, so che i festeggiamenti in città saranno molti. A Bologna ci sarà a dicembre un incontro tra cattolici, protestanti, musulmani, alla chiesa Valdese, ma ho l’impressione che questi incontri siano ad un certo livello, e non coinvolgano la base. Sogno invece qualcosa che coinvolga la gente. E che di questi incontri ve ne siano molti in Italia. A Modena c’è stato un convegno di studi sui rapporti cristiano-islamici promosso dalle ACLI. A Carpi, Brunetto Salvarani, porta avanti il discorso sul dialogo cristiano islamico. Nella nostra regione ci sono molte iniziative al riguardo. Che tali iniziative non manchino nella nostra città e che siano gesti significativi, di dialogo; gesti realizzati insieme.

S.M. Come rispondono i bolognesi agli appelli lanciati dalla Emi, in generale: finanza etica, globalizzazione, dialogo interreligioso…? Rispetto alle altre città in cui lavorate voglio dire.
p. Ottavio. Certo il consumismo è aumentato anche qui, come ovunque. Ma grazie alla schiettezza dei bolognesi, io credo e spero che vi sia spazio per lo sviluppo di gruppi per realizzazione di ciò che noi chiamiamo nuovi stili di vita. Vi sono molti fermenti, nonostante manchino gli stimoli: a livello sociale, politico, anche religioso. Dicendo che mancano gli stimoli a livello istituzionale sono molto ottimista! Vorrei dire a chi ha responsabilità di riflettere bene sulle conseguenze negative che può avere un tale tipo di chiusura! Una cosa importante però, su cui voglio aggiungere qualcosa parlando di Bologna, è l’aspetto scolastico. In tutta Italia la scuola è l’ambiente in cui vi è maggiore apertura all’interculturalità, ma a Bologna ci sono stimoli maggiori. Il CD/Lei senz’altro è molto positivo in tal senso, ma anche le scuole singolarmente, gli insegnanti vengono qui a titolo personale, a cercare materiale. Molti nostri libri sono nati nella scuola bolognese (per esempio tutta la serie del “Lessico”: cinese, urdu, serbo-croato, albanese…). Io credo che nella scuola qui, statale e locale, anche privata, vi sia un’attenzione particolare alle tematiche dell’incontro. E questo dà speranza. Perché è lì che sono i giovani, e dove avviene l’incontro tra il nativo, e l’immigrato.

Per ulteriori informazioni sulla casa editrice si veda http://www.emi.it/


[2]
L’associazione ha sede a Bologna, pubblica il mensile “Amici dei Lebbrosi”, celebra la Giornata Mondiale dei Malati che cade ogni anno l’ultima domenica di gennaio. Per ulteriori informazioni si veda http://www.aifo.it/
www.silviamontevecchi.it/storiebolognesi/pOttavio.htm
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martedì 19 agosto 2008

CONTRO TUTTE LE GUERRE, A PARTIRE DA QUELLA IN GEORGIA...


Beati i costruttori di pace
Associazione Nazionale di Volontariato - Onlus
Iscritta al Registro Regionale delle OO.VV. (L. Reg. Veneto n° 40/93)
con D.P.G.R. n° 46 del 12/2/98 (N° Classificazione PD0331)
Associata al Dipartimento di Pubblica Informazione delle Nazioni Unite



Insieme per la pace, contro la guerra nel Caucaso

Il Caucaso non ci è familiare. E’ successo con la Cecenia; sta accadendo con l’Ossezia del Sud e con la Georgia. Sul piano politico c’è un intrico difficile da dipanare e non sappiamo come andrà a finire.

Ma c’è la guerra.

Abbiamo appena ricordato il peggiore, ma non l’unico, olocausto di civili in un’azione di guerra: gli oltre 200.000 morti causati da due sole bombe, sganciate il 6 e il 9 agosto 1945 su Hiroshima e Nagasaki.

Sempre in un agosto distratto dal caldo e dalle vacanze, dobbiamo constatare che ancora una volta di mira vengono prese le città, bombardate, cannoneggiate, invase, con grande abbondanza di uccisi, feriti, sfollati e rifugiati. Lasciamo ad altri le analisi strategiche. Le potenze, grandi o piccole che siano, stanno dimostrando ancora una volta il loro disprezzo del diritto internazionale, la loro arroganza verso le istituzioni internazionali, che hanno il mandato di affrontare tutti i conflitti fra Stati al fine di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”.

I tentativi da tutte le parti di affermare l’inefficacia dell’ONU, le recenti proposte tese a superare l’ONU con coalizioni allargate agli Stati consenzienti, perseguono solo la negazione del diritto internazionale, la pretesa di scriversi le regole da soli con la prepotenza.

A noi interessano il punto di vista e la storia dei colpiti, lo shock che segnerà per sempre la loro vita, le condizioni inumane in cui da subito sono costretti a vivere. Abbiamo sperato che la situazione si risolvesse con velocità, che alle parole corrispondessero i fatti e si rientrasse nell’ambito della legalità internazionale. Siamo invece agli irrigidimenti, ai dispetti, ai ricatti e a una complicazione assurda. Non possiamo continuare ad attendere.

Qualcuno ha chiesto dove sono i pacifisti. Chiediamo che nessuno deleghi la responsabilità della pace, obiettivo e impegno per tutti. Per questo invitiamo tutte le persone ad uscire insieme e porre in tutte le città dei segni che esprimano l’urgenza di far cessare le azioni militari nel Caucaso e la necessità di ripristinare la legalità internazionale.

A Padova saremo in piazza venerdì 22 agosto alle ore 19.

Beati i costruttori di pace


Padova, 19 agosto 2008