VII Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamicoLettera alle donne e agli uomini di buona volonta’ in occasione della settima giornata ecumenica del dialogo
Cari amici e amiche, fratelli e sorelle,
il 27 ottobre 2008 celebreremo la settima giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico.
Come sapete, questa iniziativa ormai radicatasi in tutta Italia si ispira al fatto che il 14 dicembre 2001, ultimo venerdì del mese di Ramadan dell’anno 1422 dall’Egira, Giovanni Paolo II chiese a tutti, donne e uomini di buona volontà (nel cuore della guerra in Afghanistan!) di condividere il digiuno di Ramadan. Un messaggio altissimo, inviato significativamente a soli tre mesi dal terribile 11 settembre, che nella strategia pontificia proseguiva quella pedagogia dei gesti con cui egli aveva scelto di porsi di fronte alle fedi altre, sin dai primi tempi del papato. Da allora, quell’ultimo venerdì è divenuto, per molti cristiani di diverse confessioni e musulmani in Italia, la ricorrenza simbolica in cui ritrovarsi, per rilanciare l’urgenza del dialogo. Nonostante tutto! Nonostante questi giorni cattivi che durano da troppo tempo, segnati più dalla pesantezza delle chiusure identitarie e degli individualismi eretti a sistema che dalla leggerezza che il nostro Italo Calvino, nelle sue Lezioni americane, invitava a portare con sé come virtù chiave per il terzo millennio. La differenza, come capita spesso, la può fare l’iniziativa dal basso, che rompe gli schemi delle persone serrate nelle rispettive appartenenze e mette a contatto donne e uomini dei vari credi o senza credo che si ritrovano assieme per dire che non ne possono più di odio, e di religioni strumentalizzate al servizio dei potenti di turno. Ma come rilanciare il tema del dialogo, mentre tale parola rischia il depotenziamento, o addirittura l’insignificanza, a causa del suo abuso e della sua banalizzazione?
LA MEMORIA DI ASSISI
Prima di provare a rispondere, bisogna evidenziare che quest’anno si registra una novità nell’iniziativa sopra citata: invece di svolgersi l’ultimo venerdì di Ramadan, come ormai d’abitudine, la Giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico sarà celebrata il prossimo 27 ottobre, a memoria di quello stesso giorno che, nel lontano 1986, vide riunirsi ad Assisi molti rappresentanti delle religioni mondiali a pregare per la pace. D’ora in poi, per ragioni di praticità (la ricorrenza era mobile, come il calendario islamico, e presto saremmo giunti all’appuntamento in piena estate) la data del 27 ottobre rimarrà fissa, permettendoci di segnare in anticipo la ricorrenza nelle nostre agende.
Appare difficile negare, peraltro, che il popolo del dialogo arrivi a tale scadenza con il fiato corto, per più di una ragione. Non pochi osservatori stanno annotando, anzi, che confronto dialogico fra cristiani e musulmani ha subito, perlomeno alle nostre latitudini, una brusca frenata: da qualche tempo sono drasticamente diminuite le occasioni d’incontro, alcuni laboratori teologici ben avviati sono stati chiusi e persino la terminologia adottata (termini quali dialogo ed ecumenismo) si è fatta sospetta a diverse orecchie, in quanto percepita come pericolosamente prossima a relativismo e sincretismo. C’è scoramento diffuso, stanchezza, disillusione. In controtendenza, andrà citato il processo in atto cominciato un anno fa (13 ottobre 2007) attorno alla lettera dei 138 saggi musulmani inviata ai responsabili delle chiese cristiane, che potrebbe costituire un importante fattore di novità. Nel complesso, tuttavia, si può affermare che sta rischiando seriamente di sfilacciarsi la rete di buone pratiche d’incontri fraterni, conoscenze, amicizie tra le due realtà religiose che, paradossalmente soprattutto dopo il dramma delle Twin Towers, avevano trovato impulso un po’ dappertutto nel nostro Paese.
Viene da chiedersi, allora: dov’è finita quell’operosità nel dialogo, che aveva consentito di approfondire una certa reciproca conoscenza e reso realistica qualche azione comune contro il pregiudizio e i fondamentalismi religiosi da una parte, ma anche per una positiva convivenza in una società sempre più multi e interculturale dall’altra? Non è facile rispondere, o forse sì: si sente ripetere che il vento è cambiato, che sta trionfando il senso di paura nei confronti dell’altro, e che i frutti ottenuti sinora dai dialoghi effettuati sono troppo esigui, per cui risulta naturale scoraggiarsi. Siamo passati dal tempo dell’incontro alla denuncia generalizzata dei suoi rischi; dalla prospettiva di un radunarsi intorno a valori e impegni comuni, dalla proclamazione della libertà religiosa, dalla lotta contro l’islamofobia e qualsiasi forma di razzismo in questi mesi risorgente, alla rivendicazione orgogliosa della propria identità. Fino al martellamento costante dei media e di vari politici imprenditori della paura contro l’edificazione di nuove moschee e luoghi di culto, sempre e in ogni caso visti come potenziali cellule terroristiche.
LE FONDAMENTA DELL’INCONTRO
Questa può essere un’occasione propizia, dunque, per soffermarci, una volta di più, sulle fondamenta dell’incontro interreligioso, nella consapevolezza che non si può mai dare per scontato nulla, di questi tempi.
Mi pare che il criterio centrale per un dialogare fruttuoso, in primo luogo, è di favorire la maturazione di un atteggiamento positivo verso le altre fedi. Si tratta di avviare un cammino che può rivelarsi lungo e complesso: inutile farsi illusioni, ma anche fasciarsi la testa prima di averci provato seriamente, sia chiaro! Ecco dunque qualche indicazione di metodo che aiuterebbe l’incontro, rendendolo meno traumatico. Prima di tutto, il dialogo interreligioso potrà fiorire nell’ambito del riconoscimento che vi sono coinvolti non le religioni (entità astratte) bensì donne e uomini in carne e ossa, con storie, vissuti, sofferenze, peculiari e irripetibili. Non sembri banale, o scontato: quanti errori sono stati compiuti, e continuano a farsi, per una lettura tutta ideologica e metafisica dell’altro! Gli esempi si potrebbero sprecare... andrebbero perciò costruiti momenti di fraternità, in ambienti che favoriscano il contatto effettivo. Operare insieme in qualche settore specifico, affrontando problemi sociali o discriminazioni palesi, aiuterebbe poi a rendere più convincente un rapporto interreligioso. Diffondere esperienze, buone pratiche e testimonianze dirette, agevolerà di certo questo percorso.
Una successiva considerazione riguarda la necessità di investire sulla preparazione e formazione di giovani che intendano svolgere un ruolo di guide e di mediatori sul tema del dialogo nelle diverse comunità di appartenenza. La generazione che ha vissuto appieno il Concilio sta infatti per concludere la sua vicenda terrena, e il rischio di non passare il testimone a quella odierna è forte. Ecco l’urgenza di ricentrare i curricula degli studi teologici facendovi rientrare il dialogo e la conoscenza delle religioni altre, ma coinvolgendo anche la pastorale di parrocchie e movimenti. Bisogna uscire dal falso presupposto per cui il dialogo sarebbe un’attività riservata a specialisti!
La mia e nostra speranza è che il dialogo, sia pure in salita e con le fatiche oggettive (penso anche alle contraddizioni di Sibiu, terza assemblea ecumenica europea, del settembre 2007, o alla ancor scarsa diffusione della Charta Oecumenica) prosegua: in fondo, si tratta di un processo giovane, nato solo pochi anni fa… Per consolidarlo e renderlo realmente efficace, occorrerà individuare nuovi strumenti, nuove formule e nuovi spazi di incontro; ma anche allargare la cerchia di coloro che lo vivono come un’esperienza significativa per la propria vita spirituale e per la convivenza sociale. Insomma un dialogo più partecipato e diretto, con più teologia e più spiritualità. In una società pluralista e accogliente tale dialogo ha anche una valenza esplicitamente sociale, serve a costruire convivenza, solidarietà civile, senso di appartenenza. Una teologa musulmana iraniana che vive in Italia, spesso presente nelle iniziative interreligiose, Shahrzad Housmand, cita volentieri un detto islamico secondo cui “la preghiera non è altro che servire il popolo”. E se è un servizio la preghiera, a maggior ragione può esserlo il dialogo!
“…CHE I FRATELLI VIVANO INSIEME”
Da parte degli organizzatori della Giornata (via via allargatisi, fino a comprendere molte riviste e gruppi impegnati a vario livello) il messaggio è che, proprio oggi, sarà quanto mai necessario non desistere dal cammino intrapreso. A dispetto dei profeti di sventura. Il 27 ottobre 2008, pertanto, rappresenterà senz’altro un nuovo momento di semina. E’ non è casuale che lo slogan con cui si accompagneranno gli eventi di questa settima giornata (sono parecchie decine quelli sinora previsti) sarà la gioia del dialogo: andando, una volta di più, controcorrente, dato che oggi, come dicevamo, ne sono piuttosto sottolineati i pericoli, le ingenuità, i timori. Sì, il frutto più bello del dialogo, come sa chi lo pratica davvero, è proprio quello, umanissimo, della gioia: in primo luogo, la gioia di scoprirsi fratelli e sorelle nonostante le tante differenze, che non vanno sottaciute (e nonostante il cattivo vento contrario). Per renderlo prassi abituale, i credenti nel Dio unico sono chiamati a ritrovare nel cuore di ciascuno il coraggio di sperare, contro ogni speranza.
Con questo spirito, il prossimo 27 ottobre in tanti digiuneremo, discuteremo, ascolteremo, ci chiederemo perdono a vicenda, domanderemo a Dio di aiutarci nel nostro cammino, ci interrogheremo sulle tante difficoltà e sul nostro peccato… e avremo sulla bocca, o perlomeno nell’intimo, le parole del Salmo 133: “Ecco, quanto è buono e quanto è soave/ che i fratelli vivano insieme”. Ma anche quelle del Corano: “In verità i credenti sono fratelli: ristabilite la concordia tra i vostri fratelli e temete Allah” (Sura 49,10).
Con i più fraterni auguri di shalom – salaam - pace
Brunetto Salvarani
Carpi, 23 ottobre 2008
Giovedì, 23 ottobre 2008
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