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venerdì 30 aprile 2010

Una grande novità:
il blog ha anche una sua pagina facebook.
Visitatela!

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amici savonesi: firmate!!!

pubblico questo vecchio (ma non datato) testo dell'amico Maurizio,

pubblicato in origine sul sito www.ildialogo.org

Il rinnovamento socialista non violento: un primo ritratto di Leonhard Ragaz

A cura di Maurizio Benazzi

Leonhard Ragaz (1868-1945) attraverso la rivista Neue Wege (Nuove vie) riuscirà a rinnovare lo scenario etico-politico e religioso non solo della Svizzera ma anche del socialismo europeo. Ne tracciamo un primo ritratto per comprendere l’opera e l’insegnamento di questo "Gigante" del socialismo cristiano.

Nato nei Grigioni prima del fenomeno dell’industrializzazione, in un contesto socio-culturale segnato dalle istituzioni comunitarie tradizionali delle valli retiche, Ragaz ha concepito una forma di socialismo proudhoniano*, fondato sull’associazione di individui e sulle cooperative di produzione e di consumo. Il capitalismo è visto da lui come il regno di Mammona, conducente alla distruzione dell’attività creatrice di Dio, della vera libertà individuale ma anche delle antiche solidarietà comunali e federali.

E’ dal capitalismo che nascono a ben vedere le guerre, tutte, ivi compresa la lotta di classe.

Influenzato dal luteranesimo di Naumann, confuso dalla lentezza con la quale le chiese della Riforma protestante prendevano coscienza dell’importanza della questione sociale, non volendosi accontentare degli appelli ai padroni alla carità verso gli operai (e per gli operai all’obbedienza verso i padroni), Ragaz ha tentato dopo altri (Lamennais per esempio) una sintesi del messaggio evangelico e del progetto socialista. Logicamente, aderirà dapprima al Gruetli (organizzazione operaia patriottica) di cui condivide i principi di cooperativismo e mutualismo, per poi intraprendere un cammino del tutto personale e nuovo.

Allorquando diventa pastore alla cattedrale di Bale, entrerà in contatto con la popolazione operaia della città renana. Nell’aprile del 1903 uno sciopero di muratori lo vede intervenire pubblicamente a fianco del proletariato, che lui non dispera di riconciliare con l’Evangelo, allorquando l’Evangelo avrà ritrovato la sua vocazione originaria del messaggio rivoluzionario della chiesa delle origini.

Nel novembre 1906 fonda la sua nota rivista di fede socialista e cristiana, attraverso le pagine della quale preciserà il suo pensiero.

Dal 1908 insegna teologia all’Università di Zurigo ed esprime nel suo insegnamento alla Fede la sua sfiducia riguardo le istituzioni ecclesiali ma anche la sua attesa di un rinnovamento comunitario e sociale del cristianesimo (qui proprio nella città culla delle riforme zwingliane del XVI secolo). Ai suoi occhi cristianesimo e socialismo si "fondono" insieme come una forma di profetismo complementare l’uno all’altro.

Intellettuale nel senso pieno del termine, Ragaz sarà anche un attore politico, direttamente impegnato nei conflitti del tempo.

All’epoca dello sciopero generale zurighese del 1912 egli denuncierà l’intervento dell’esercito contro i lavoratori. Il suo articolo su Neue Wege è multicopiato nel partito socialista e gli vale violenti attacchi da parte della stampa c.d. "borghese". Le sue scelte sono però fatte: Ragaz aderisce al PS nell’ottobre del 1913, facendo della sua adesione un vero atto di contrizione: "Entrare nel Partito socialista è riconoscere l’errore l’errore della società, del cristianesimo in particolare" . Ragaz non è il primo pastore a fare il passo dell’adesione al PS ( Paul Brandt e Paul Pfueger l’avevano fatto prima di lui) ma la sua adesione ha un’importanza e una visibilità politica che i precedenti casi non avevano avuto. All’epoca appariva scandalosa per un teologo riconosciuto, un universitario stimato e il redattore di una rivista rispettata.

Senza abbandonare la sua sfiducia verso le istituzioni (il PS finirà per divenirne una) Ragaz manifesta attraverso quest’ adesione la sua volontà di andare verso il popolo, un po’ come i populisti russi della seconda metà del 19° secolo, riprendendo – per descrivere questo popolo - le parole dell’Evangelo delle Beatitudini ma anche quelle di Marx dell’ introduzione alla "Critica del diritto pubblico di Hegel"… "la classe dei sradicati, dei diseredati, dei rigettati, di quelli che sono disprezzati politicamente, religiosamente e moralmente…" "Noi siamo entrati nel socialismo democratico e non violento perché pensiamo di trovare là qualche cosa del Regno di Dio", scrive Ragaz nel 1917. Il Regno di Dio non può che essere quello della Pace; Ragaz sarà dunque pacifista e antimilitarista, poiché socialista e cristiano.

Dopo il congresso dei socialisti a Besançon del 1910, il pastore evangelico ha iniziato ad esprimere il progetto di un socialismo umano e fraterno, capace di restaurare una comunità cristiana delle origini. Ma fu proprio la prima Guerra Mondiale a mettere a dura prova la sua esperienza. Come patriota svizzero fu molto preoccupato della rottura del "Consenso federale" e l’emergere delle solidarietà nazionali (di prossimità culturale, linguistica e politica): ticinese e italofona, alemanna e germanofila, romande e francofona. Contrariamente alla maggioranza degli svizzeri di lingua germanofila e senza dubbio di una buona maggioranza dei socialisti di quei cantoni, Ragaz denuncierà fin dai primi tempi della guerra l’imperialismo tedesco, la violazione della neutralità belga e la germanofonia dello stato maggiore svizzero, senza tra l’altro dimenticare di denunciare il delirio sciovinista della chiesa luterana tedesca (come in fondo anche alla chiesa cattolica francese…).

Ragaz vivrà i primi anni della guerra a Zurigo, ove la sinistra socialista è particolarmente attiva. Fu un luogo privilegiato per il dibattito e la messa a punto delle azioni all’interno del movimento socialista nel suo complesso, per il pacifismo e il movimento antimilitarista. Ragaz partecipa anche al dibattito anche con i lenisti, scontrandosi duramente sull’ipotesi di una guerra civile rivoluzionaria. La posta in gioco sarà a ben vedere anche il controllo della gioventù socialista, fra socialisti cristiani e marxisti. Il tema del dibattito sarà la violenza, il suo uso, la sua funzione ostetrica della storia. Non a caso Lenin quando sarà a Zurigo denuncerà quei pastori "piccoli corvi virtuosi", che noleggiano il pacifismo di Tolstoj. Ragaz condannerà da subito la teoria della violenza rivoluzionaria e prenderà le distanze dalla fraseologia, dal programma e dal suo fondatore (si parlò del ritratto di Gengis-Khan) della IIa Internazionale.

Ragaz teorico del movimento socialista cristiano, attraverso la sua storia personale mostrerà la storia collettiva del movimento operaio socialista in quel periodo. Si iscriverà ai Comitati per la Pace e sosterrà gli obiettori sia politici che religiosi.

Sarà un sostenitore dell’adesione svizzera alla Società delle Nazioni, in favore del diritto e dei buoni propositi umani che sappiano respingere l’impero della violenza e del fanatismo.

Ragaz si ritirerà progressivamente dall’azione politica diretta e pubblica dal 1921 e si impegnerà quasi esclusivamente in un tentativo di impiantazione cristiana nel mondo operaio, a metà cammino fra evangelizzazione e azione culturale.

L’avvento del fascismo e del nazismo ma anche l’impotenza della Società delle Nazioni di fronte alle aggressioni italiane, tedesche e giapponesi mettono a dura prova la sua fiducia nell’Istituzione di Ginevra. Quello che non abbandonerà mai sarà il valore della non violenza anche di fronte alle dittature. Lascerà infatti il PS svizzero quando nel 1935 si accettò il principio della difesa nazionale. Ragaz si trova ancora una volta a discutere con la sinistra socialista di un tempo, ma questa volta come partner di un dialogo aperto, franco e ricco di frutti sul piano etico, umano, politico e sindacale.



Mercoledì, 10 settembre 2003

http://www.ildialogo.org/testimoni/ragazz110092003.htm

mercoledì 28 aprile 2010



Anarchia e libertà

di Noam Chomsky, pubblicato da DataNews, contiene una serie di scritti del famoso linguista americano sul concetto storico di anarchia, e sul cammino del movimento anarchico nella sua storia sino ad oggi. Interessanti inoltre le interviste contenute nel volume, sempre riguardanti il medesimo argomento sopra menzionato, a cura di Tom Lane, Peter Jay, Tomas Ibanez, Kevin Doyle. L’intera operazione editoriale che presento in questa sede, ha il merito di fare un po’ di chiarezza intorno a ciò che concerne le peculiari caratteristiche che occupano i diversi passaggi storicamente e teoreticamente fondanti il pensiero anarchico, come Bakunin, Diego Abad de Santillan, Daniel Guerin, Adolf Fischer. Chomsky, che si dice non anarchico ma compagno di viaggio degli anarchici, parte da una significativa citazione dando voce a Rudolf Rocker, che illustra cosa non possa definirsi anarchia, e dichiara che l’anarchia non è un sistema sociale fisso, ma una chiara tendenza dello sviluppo storico dell’umanità che (…) aspira a che ogni forza sociale e individuale si sviluppi liberamente nella vita. Vengono passati in rassegna i passaggi più salienti della Storia, in cui un pensiero anarchico ha cercato di costituirsi come azione e prassi rivoluzionaria, facendo ad esempio riferimento, all’episodio della Comune di Parigi (1871), quando i lavoratori della capitale francese decisero di abolire la proprietà privata, che era la base della "civilizzazione" portatrice della dominazione oligarchica dei possessori dei mezzi di produzione sui lavoratori oppressi, per portarne un’altra, nuova, più forte, dove i mezzi del sistema produttivo si trasformavano in strumenti di lavoro libero e collettivo. E ancora, l’esimio professore del M.I.T., prende in considerazione le vicende della guerra civile spagnola: " La Guerra civile spagnola è forse l’esempio più importante; dobbiamo però sottolineare che la rivoluzione anarchica che avvenne in buona parte della Spagna, nel 1936, e che assunse varie forme, non fu repentina e spontanea, ma preparata in decenni di lavoro, di organizzazione, di lotte, di sconfitte, e a volte di vittorie. Fu molto significativa. Abbastanza per suscitare l’ira di tutti i grandi sistemi di potere: lo stalinismo, il fascismo, il liberalismo occidentale, la maggioranza delle correnti intellettuali"( pag.41). Perché oggi si possa realizzare nella realtà un progetto di sistema anarchico, sembra alquanto difficile, ma non impossibile secondo Chomsky. E’ vero che si procede per intuizioni in quanto non conosciamo sino in fondo i meccanismi di una iper-complessità sociale come quella in cui oggi ci muoviamo, ma è fuor di discussione che una progressiva azione di discussione, teorizzazione, riflessione portate avanti per un certo lasso di tempo, sui modelli da sviluppare concretamente perché una società anarchica viva e sopravviva sia nel suo interno, che nei rapporti con ciò che è al di fuori del suo sistema, è possibile e plausibile. Abbandonando qualsiasi tentativo revisionista di matrice marxista o socialista, per un’anarchia contemporanea, è necessario pensare ad un tecno-anarchismo sindacalista, di matrice social-volontarista. La liberazione dell’uomo dalle logiche di forza lavoro oppressa e annichilente, portata, attraverso la collettivizzazione dei mezzi di produzione automatizzati, ad una nuova dimensione di sviluppo libero individuale. Il tempo viene liberato dalle logiche del produci-consuma-crepa (come cantava Giovanni Lindo Ferretti) e rimesso fattualmente in una posizione non più costringente ma accogliente la ricerca, lo sviluppo, la comune cooperazione sia nella stretta sfera produttiva,che nell’ambito delle scelte e direzioni politiche da intraprendere collettivamente.

N.B.


I testi pubblicati in Anarchia e libertà , sono tratti dalla Biblioteca virtual Chomsky , sito libertario Spagnolo, che raccoglie saggi, articoli e interviste di Chomsky:
(www.galeon.com/bychomsky/textos.html).


Oltre che su ZMag ovviamente.


La traduzione è a cura di Manuela Palermi

tratto da

stefanodonno.blogspot.com/

lunedì 26 aprile 2010

Emergency querela Il Giornale e Libero...

Scrive Lorenzo Galbiati alla ml pace@peacelink.it

Ha fatto bene Gino Strada a fare una conferenza con tanto di pagina del Giornale per chiarire l'iniziativa della querela.

IL TITOLO DEL GIORNALE ERA: Gli amici di Strada, confessione shock

Io sono dell'idea che fonti "giornalistiche" come queste debbano essere boicottate in quanto SPAZZATURA, come le ha definite Strada.

Peraltro, può darsi che a loro volta Libero e Giornale querelino Strada per diffamazione:
La Società Europea di Edizioni, editrice del Giornale, ha dato mandato ai propri legali di "intraprendere ogni e più opportuna azione a tutela della propria immagine professionale e reputazone" nei confronti di Gino Strada che ieri mattina "si è espresso, nei confronti della testata, con pesanti e intollerabili giudizi diffamatori".
(Fonte Corriere 2000)

La notizia:

FONTE ANSA

Gino Strada, fondatore di Emergency

MILANO- Gino Strada ha annunciato di aver querelato i quotidiani 'Il Giornale' e 'Libero' per i titoli dei giorni scorsi in cui si diceva che i tre operatori avevano confessato. "Ci aspettiamo un titolo - ha detto Gino Strada - con scritto sono innocenti. Ma la spazzatura non lo farà, continueranno a fare il loro sporco mestiere".

Gino Strada, aprendo la conferenza stampa, ha ricordato l'apertura dell'inchiesta per calunnia contro ignoti da parte della Procura della Repubblica di Roma. Strada ha ricordato che calunnie nei confronti dei tre operatori e di tutta Emergency sono state sollevate anche in Italia e a questo proposito ha mostrato due prime pagine del Giornale di Vittorio Feltri con titoli che annunciavano le confessioni da parte dei tre operatori dell'Ong. "Questa - ha detto Gino Strada - è spazzatura. Adesso ci aspettiamo che facciano un titolo a tutta pagina con la scritta 'Liberi, sono innocenti'" e ha mostrato una pagina virtuale composta da Emergency. "Non lo faranno - ha proseguito Gino Strada - andranno avanti a fare il loro sporco mestiere. Abbiamo querelato anche la mini spazzatura che è Libero". Gino Strada ha quindi assicurato che il primo obiettivo di Emergency ora è quello di riaprire l'ospedale di Lashkar Gah, per continuare a curare i feriti. Alla domanda se temono per la sicurezza, dopo ciò che è accaduto, e se stanno organizzando un diverso sistema per garantire l'incolumità a tutti, Strada ha replicato: "Non possiamo certo chiedere al nostro Governo di mettere parte dei militari attorno al nostro ospedale che, in questo caso, diventerebbe un bersaglio. Stiamo comunque valutando tutte le condizioni di sicurezza anche per capire chi ha organizzato questa sporca provocazione".

"Il nostro obiettivo è quello di riaprire l'ospedale di Lashkar Gah". Lo ha detto Gino Strada nel corso della conferenza stampa. "Stiamo avendo - ha spiegato - contatti con tutte le autorità afghane dalle quali abbiamo ricevuto solidarietà. Il responsabile di Emergency in Afghanistan ieri ha incontrato il vicepresidente che ha garantito l'impegno delle autorità afghane per la riapertura dell'ospedale".

Matteo Dell'Aira, uno degli operatori di Emergency arrestati a Lahkar Gah, è convinto che sia stato ordito un complotto contro Emergency che in Afghanistan oltre a curare i feriti ha fatto conoscere al mondo gli orrori della guerra. "Prima del 10 aprile, giorno dell'arresto - ha spiegato -, non abbiamo avuto alcuna avvisaglia. E' probabilmente corretto dire che quello che è accaduto è accaduto perché abbiamo raccontato la guerra. Ha dato fastidio perché abbiamo raccontato a tutti le storie dei nostri feriti, il 40% dei quali sono bambini. Questo non va dimenticato. Non si raccontano più le barzellette sulla guerra. Cito una frase che non è mia però é significativa e cioé 'la guerra e' odore di sangue, di morte e di merdà. Molti parlano senza mai aver visto i feriti". Anche Dell'Aira ha sottolineato l'impegno che ci sarà da parte di tutta l'Ong per riaprire l'ospedale.

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DA NOTARE: FRATTINI SI AUTOINCENSA

Gino "Strada mi ha ringraziato pubblicamente ed io dico che quei ringraziamenti me li sono meritati": è il commento del ministro degli esteri Franco Frattini ai giornalisti che a Tallinn, gli chiedono se si è pentito della frase pronunciata nelle prime ore dopo l'arresto dei tre operatori di Emergency, in cui affermava che se le accuse contro i tre operatori si fossero rivelate vere sarebbe stata una vergogna per l'Italia. "La mia dichiarazione iniziale ha portato ad un successo che nemmeno gli stessi interessati si aspettavano in tempi così rapidi: diciamo che ho fatto bene a fare quello che ho fatto", afferma Frattini. Per quanto riguarda le attività dell'ospedale, il ministro rileva che ci sono in corso inchieste in Afghanistan e in Italia. In generale, osserva che l'Italia ha sempre sostenuto la libertà di cura negli ospedali che gestisce in giro per il mondo, con il contributo di molte Ong ("non c'é solo Emergency", sottolinea Frattini). "Abbiamo sempre detto che quando si svolgono attività di cura non si chiede né il passaporto né il gruppo di appartenenza del paziente", chiarisce il ministro. "Questa è una regola che è sempre valsa e tutti gli ospedali italiani continueranno a curare in tutte le parti del mondo senza fare differenza tra gruppo e gruppo e persona e persona. Il medico deve curare: questa è una regola su cui noi siamo inflessibili, come è giusto essere".

domenica 25 aprile 2010

25 aprile

Ho 51 anni (52 a novembre). Un passato da militante alle spalle (militante, non 'militonto'). Ho creduto e credo tuttora nella possibilità di creare un mondo diverso, dove il profitto non sia l'unico valore. Comunismo, Socialismo, Anarchismo: oggi parole un po' demodé. Non per me. Credo nella costruzione di un modno migliore, nonostante tutto. Credo nel Socialismo sognato, non nel Socialismo reale, sua tragica parodia (già Bakunin, vero profeta, aveva scritto che il Socialismo senza libertà è la peggiore delle dittature, quindi...).
Silone si definiva 'cristiano senza chiesa, socialista senza partito'. Scherzosamente (?), mi definisco 'cristiano senza partito, socialista senza chiesa'. Oddio, cristiano...diciamo persona che ha il senso del sacro (ma che condivide Gioacchino da Fiore quando affermava che 'Dio ha creato le anime, non le istituzioni) ma non quello della religione, tantomeno rivelata (mi perdonino i miei amici credenti, cristiano, ebrei e musulmani).
Sarebbe bello creare un movimento socialista libertario che non pensi alle poltrone (e già escluderebbe molti ex socialisti craxiani), ma alla giustizia, alla pace, alla solidarietà, all'ambiente.
Oggi è il 25 aprile. La Resistenza è stata il mito fondante della Prima Repubblica che ora quasi si rimpiange: lo diceva Hegel che la storia non si ripete perchè la prima volta è una tragedia, la seconda una farsa. E questa seconda repubblica è una pagliacciata. Dicevo la Resistenza: lotta di liberazione, rivoluzione fallita e tradita, lotta di popolo contro l'oppressore nazifascista. Oggi, per la prima o seconda volta, in tanti anni, non sono andato in manifestazione. Mi sembra una cosa strana. Stanchezza, forse. Rabbia, tanta. Ad Albenga (per 'tradizione' vado il 25 aprile ad Albenga e il 1 maggio a Savona) oggi ci sarebbe stato un rappresentante della sindachessa leghista. E' per questo che non ci sono andato. Pur essendo convinto nonviolento, non so come avrei potuto reagire a un leghista che parla della Resistenza mischiandola magari con la padania...Ho sbagliato, forse. Ma, per una volta, sono stato prudente: non lo faccio più, lo prometto...

http://www.reset-italia.net/2010/04/25/25-aprile-l-altra-italia-resiste/

La giornata precedente a questa data, 25 aprile 2010, si è conclusa con
la Musica delle Cariche di Alleggerimento alla Scala di Milano. La
polizia ha suonato, come insegna l’Ordine: "Scontri a Milano tra alcuni
lavoratori del Teatro alla Scala e diversi agenti della polizia in
tenuta antisommossa. I lavoratori hanno protestato per i tagli al fondo
unico per lo spettacolo. ‘No al decreto infame’ lo slogan che
campeggiava su uno striscione. ‘Assassini’ e ‘Vergogna’ le parole
rivolte contro polizia e carabinieri che impedivano ai manifestanti di
arrivare davanti all’ingresso del teatro. Dopo alcuni momenti di
tensione gli agenti hanno sfoderato i manganelli. Uno dei manifestanti,
colpito al volto, ha iniziato a sanguinare, mentre altri colleghi lo
soccorrevano. Elettricisti, musicisti, tutti gli operatori dello
spettacolo che lavorano al Teatro alla Scala hanno gridato ‘Vergogna,
vergogna’ contro gli agenti che continuavano a presidiare l’ingresso
laterale della Scala. Davanti al teatro anche i lavoratori dell’azienda
Italtel, che rischiano il posto di lavoro".

L’ ultima opera di Giacomo Puccini, Turandot, andò in scena alla Scala il
25 aprile del 1926. "Puccini non riuscì a terminarla, inquietamente alla
ricerca di un finale lieto e trionfale per una fiaba sanguinaria. La
sera della ‘prima’, alla morte di Liù, Toscanini annunciò dal podio che
a quel punto della composizione Puccini era morto, e pertanto troncò
l’esecuzione".

Amara me e l’Anarchia leggera sul pentagramma…Torna alla mente quel
Nessun dorma: la Liberazione non trova casa, tantomeno pace, proprio
come chi straniero è ancora cacciato. Resistenza sua Resistenza
nostra, nella Dimora del Tempo sospeso. E’ sempre il 25 aprile, Opera
Incompiuta, esercizio quotidiano.

Doriana Goracci

"Non potendo cantare il mondo che lo escluse, Reb Stein cominciò a
leggerlo nel canto"

Il Fiore della Libertà

sabato 24 aprile 2010

ANGELICAMENTE ANARCHICO E ALTRI LIBRI DI DON GALLO






Angelicamente Anarchico
ed. Mondadori
(Prezzo: €14,00 - iva inclusa)



AUTOBIOGRAFIA - Prefazione di Vasco Rossi.



Il prete rosso, il prete di strada, il prete no-global. Don Andrea Gallo è il fondatore della Comunità di San Benedetto al porto di Genova, un'isola di solidarietà nel cuore di una città con mille problemi, che accoglie tossicodipendenti ma più in generale persone in difficoltà: ex prostitute, ex ladri, uomini e donne in transito da un sesso all'altro.
Figura carismatica, don Andrea Gallo rivela in questo libro il suo pensiero su temi complessi come la lotta alla droga, la liberalizzazione, il new globalismo, la politica, ma lo fa proclamando il suo sentirsi pienamente dentro il solco della Chiesa cattolica e romana. Una vita raccontata per immagini attraverso dei flash su fatti grandi e piccoli che ha vissuto e attraverso le storie delle tante persone che ha incontrato: ex prostitute, ex ladri, uomini e donne in transito da un sesso all'altro come Stella, la cui "piccola storia" apre il libro.
La storia di Stella, un transessuale brasiliano sbarcato a Genova con il sogno di diventare ballerina e il destino di sprecare la sua vita sui marciapiedi.



L'inganno della droga nella società delle dipendenze

di Andrea Gallo

Edizioni Sensibili alle Foglie
2005, p. 104, Euro 12,00



Don Andrea Gallo, partendo dalle sue esperienze sulla strada, ci offre uno strumento essenziale per affrontare le attuali politiche sociali proibizioniste. A. Rodriguez, docente di neurofisiopatologia, esamina le più importanti droghe sul mercato. A. Amendola, docente di sociologia del diritto, mostra le implicazioni pericolose della legislazione proibizionista.



Il fiore pungente
Casa editrice o Caroggio
(Prezzo: €12,39 - iva inclusa)



...Don Andrea Gallo è un "Fiore pungente" che sa riconoscere i "Fiori pungenti" che si muovono nel cielo dei suoi sentieri. Alla luce del giorno quando i suoi passi lo portano a muoversi dove il bisogno chiama; nel buio della notte, by night nel gergo affettuoso della Comunità di San Benedetto, quando i pensieri vorticano nella testa e si avvitano nella ricerca di soluzioni a volte impossibili e non lasciano agli occhi, ancora incollati come l’anima a quella realtà che si vuole vedere, la libertà di chiudersi e riposare. E a questi "Fiori pungenti" dona continuamente riconoscenza e gratitudine; abbiano essi la consistenza della Carta Costituzionale del nostro civile convivere o del Vangelo di Cristo, o formino la lunga schiera dei suoi maestri e formatori a partire da Don Bosco; siano gli uomini che hanno segnato in modo indimenticabile il loro ministero ecclesiale nel nome di Cristo, come Dom Helder Camara o Papa Giovanni XXIII, o si affermino a noi come memoria vivente degli uomini che hanno speso la loro vita per renderla per tutti più degna di essere vissuta come il monaco Dossetti, o Giorgio La Pira, o, il altre latitudini non solo geografiche, Ernesto Che Guevara e Gandhi...

...Io sono certo che le persone che hanno incontrato Don Andrea Gallo si sono sentite amate su questa terra; alcuni forse per un attimo, altri per un periodo più lungo, alcuni per tutta la vita. Tutti lo sentono affiorare dagli angoli più reconditi della memoria ogni tanto. E anche Andrea, può esserne certo, è e sarà amato su questa terra". Dalla presentazione di Angelo Guarnieri.



L'inganno droga
ed.Sensibili alle foglie
(Prezzo: €10,33 - iva inclusa)



Alcool, tabacco, caffè, eroina, ecstasy: sostanze. Alcune legali altre illegali, alcune normalizzate altre demonizzate. Una classificazione invero strana alla cui legittimazione non può essere chiamata alcuna scienza. E che, tuttavia, s’abbatte sui consumatori e miete le sue vittime con la smisurata arroganza di ogni guerra, Don Andrea Gallo, da trent’anni sulla strada a fianco di chi viene colpito dagli "effetti collaterali" di questa guerra alla droga assai più che dalle conseguenze dirette dell’uso di sostanze, c’invita alla decostruzione dei tanti pregiudizi e alla piena consapevolezza dell’inganno. Nel quadro della Teologia della liberazione e sullo sfondo degli insegnamenti di Don Bosco, Don Milani, Giuseppe Dossetti, come anche dagli orientamenti anti-istituzionali di Ronald Laing, Thomas Szasz, Franco Basaglia e tanti altri, egli ci propone un tracciato solidamente antiproibizionista, per la riduzione del danno e del rischio, alla ricerca di una filosofia di liberazione. Tante illuminazioni per ripensare l’Aids, riflettere sul volontariato, avanzare nella critica all’ideologia terapeutica ed alle comunità su di essa fondate: Insieme a tutti gli oppressi. Senza esclusioni. Donne, uomini, preti, religiosi, omosessuali, transessuali, cattolici, ebrei, luterani, valdesi, musulmani, ortodossi, buddisti, atei, agnostici. Tutte le etnie. Uniti tutti per scoprire l’Amicizia tra i popoli della terra.



Bruni Viani
Don Gallo Un Prete da Marciapiede
De Ferrari editore
(Prezzo: €10,33 - iva inclusa)



La vicenda pubblica di Don Andrea Gallo inizia nel 1970 nel quartiere genovese del Carmine quando le sue prediche ("una mano al Vangelo e l' altra al giornale, un piede in chiesa e uno nella strada") scuotono la Curia, al punto che il Cardinale Siri decide di mandarlo in esilio in una parrocchia di periferia. Trent'anni dopo lo stesso Don Gallo è ancora alla guida di una comunità, San Benedetto al Porto, al centro di battaglie sempre nuove. La storia di questo prete, già salesiano e missionario in Brasile, è un percorso a volte tortuoso e accidentato. Con un solo punto fermo: Don Gallo vuole essere sacerdote fino in fondo, fedele alla Chiesa e alla sua missione tra i poveri.



Chinaski Edizioni
€ 14,00
144 p., brossura
2007




Il Libro

In questo suo nuovo libro, Don Andrea Gallo parla delle tematiche a lui più più care: libertà, autodeterminazione dei popoli, uguaglianza, problema droga, immigrazione e lotta al capitalismo selvaggio, focalizzando l’attenzione sul disagio profondo che affligge la società moderna rendendola sempre meno a misura d’uomo.
Pagina dopo pagina si materializza il percorso di un uomo che da sempre "cammina con gli ultimi", un messaggio di solidarietà totalmente cristiano e per questo pervaso da un forte sentimento rivoluzionario.
Il "prete da marciapiede", come lo hanno definito in molti, attraverso i ricordi dei suoi 36 anni d’attività sulle strade, narra a cuore aperto questo suo "camminare domandando" che ancora non si ferma nonostante i 79 anni compiuti.
Da Fabrizio De André a Moni Ovadia, da Manu Chao a Vasco Rossi e Piero Pelù, passando per i Modena City Ramblers e qualche emarginato che ha in sè un messagio importante, il libro si trasforma in una sorta di autentico diario di viaggio di chi ha vissuto l’esistenza non cercando un principio ideologico ma un cammino al fianco di chi non ha voce.




L'autore

Don Andra Gallo nasce a Genova nel 1928.
Sacerdote dal 1959, fonda la Comunità di San Benedetto al Porto nel 1970.
Ha pubblicato diversi libri.
Come tutte le persone veramente eccezionali, crede di essere e comportarsi come chiunque altro.
Se fosse vero il mondo sarebbe un posto migliore.

Federico Traversa nasce a Genova nel 1975.
Nel 2003 è ideatore e conduttore del programma radiofonico "Città delle Luci" che andrà avanti per due anni.
Nel 2004 dà alle stampe il suo primo romanzo, "Il Contorno del Camaleonte", a cui fa seguito "Il Maestro dell’ora Brava" scritto insieme al musicista basco Tonino Carotone.
Attualmente ricopre la carica di responsabile editoriale presso la Chinaski Edizioni.



 



Chinaski Edizioni
www.chinaski-edizioni.com



 



dal sito http://www.sanbenedetto.org



Comunità San Benedetto al Porto



via San Benedetto, 12



tel 0102464543



fax 0102464543

venerdì 23 aprile 2010

Nella puntata di Report che andrà in onda domenica 25 aprile alle 21.30 su RAI TRE si parlerà anche di MAESTRI DI STRADA di Giuliano Marrucci. Barra, San Giovanni, quartieri spagnoli, Rione Traiano. Quartieri di Napoli dove tre bambini su dieci non arrivano a prendere la terza media, diventando prede facili della criminalità sempre a ricerca di manodopera. Contro questa spirale di emarginazione e violenza da dodici anni lottano quotidianamente un gruppo di insegnanti, educatori, psicologi e operatori di strada. Sono i maestri di strada.

Repliche di questa puntata su Raisat Extra nei seguenti giorni: lunedi' alle 10 e alle 21 e sabato alle 23.

Saluti

Eg.

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martedì 20 aprile 2010

IN RICORDO DI DON TONINO BELLO

Un’ala di riserva

20 aprile 2010 - Renato Sacco

Il 20 aprile 1993 moriva don Tonino Bello, vescovo di Molfetta e
Presidente nazionale di Pax Christi. Un profeta dei nostri giorni.
Tenerne viva la memoria è impegno di tutti. In particolare di Mosaico
di pace, visto che è stato proprio don Tonino a volere questa
rivista, 20 anni fa.
In questi giorni... con i cieli chiusi, la nube e gli aerei che non
volano viene quasi scontato pensare all’ ala di riserva, uno dei
testi più conosciuti di don Tonino.

Pensavo all’ala di riserva per tutte le vittime della guerra, del
terrorismo e di ogni forma di violenza. Per quelle vittime che
Emergency cura (siamo contenti per la liberazione dei 3 in
Afghanistan...) e che il Ministro Frattini domenica ha chiamato
‘malati’. Se le parole hanno un significato, bisogna dire che
Emergency cura le vittime della guerra e che in Afghanistan c’è la
guerra.

Un’ala di riserva per i cacciabombardieri F35 che dovranno essere
assemblati a Cameri (Novara) con una spesa di circa 15 miliardi di
euro. No, per loro non è il caso di invocare un’ala di riserva,
anzi... Anche se probabilmente a Cameri verranno assemblate proprio
le ali, e forse solo un’ala... quella di sinistra. Quasi una beffa
per la nuova amministrazione di Destra della Regione Piemonte. Chissà
se Cota e ancor più Giordano, neo assessore che fa parte anche del
cda di Alenia, daranno ali a questo progetto. Temo di sì.

Un’ala di riserva per tutti quegli uccelli migratori che verranno
sterminati se passa la nuova legge sulla caccia, che alcuni chiamano
‘doppietta libera’.
Ma non si può preoccuparsi degli uccelli migratori senza essere
sconvolti dalla tragedia di tanti migranti. Una tragedia che invece
per il Governo Italiano è una vittoria. "Una vittoria amara –
commenta mons. Nozza direttore della Caritas Italiana – sapere che i
clandestini rispediti al mittente, vengono raccolti nei furgoni come
cani, bastonati e legati e trasportati in campi profughi da
sorveglianti muniti di maschere per gli odori nauseabondi. Una
vittoria amara, se la maggior parte delle donne e molti dei minori
vengono ripetutamente violentati; se i container viaggiano nel
deserto con il loro carico umano per due, tre giorni, senza viveri né
acqua; se ogni anno tre-quattromila persone muoiono perché
abbandonate nel deserto lungo la frontiera libica e altrettante
vengono vendute ai mercanti di schiavi". Sì, qui ci vuole un’ala di
riserva!

Infine un’ala di riserva anche per la banche? Bossi dice che le
prenderà in mano la Lega, almeno quelle del Nord. Forse perchè ha
scoperto la campagna di pressione sulle Banche Armate, promossa anche
da Mosaico di pace, con Nigrizia e Missione oggi? Forse. O forse
perchè ha scoperto che... a parole si vuole essere ‘padroni a casa
nostra’, ma i soldi li facciamo sulla pelle dei poveracci del Sud
mondo, ai quali vendiamo molte armi, pesanti e leggere (nel senso di
pistole e fucili... che comunque uccidono lo stesso). L’export di
armi italiane, nel 2009, è di quasi 5 miliardi di euro. Che affare! E
poi ci si lamenta se la gente scappa da quei Paesi in guerra a cui
noi vendiamo le armi. Sperare che Bossi e la Lega vadano nella
direzione di limitare la vendita di armi? È lecito dubitare. Forse
però qualcuno potrebbe almeno porre la questione, sia dal punto di
vista etico, se non proprio cristiano, visto che la Lega si fa
paladina dei valori cristiani e ha ricevuto anche qualche autorevole
benedizione. Sia dal punto di vista politico. Un’ala di riserva per
la politica di oggi... sarebbe almeno auspicabile.

E infine, un’ala di riserva per ognuno di noi... perchè "Vivere è
abbandonarsi, come un gabbiano, all’ebbrezza del vento. Vivere è
assaporare l’avventura della libertà. Vivere è stendere l’ala,
l’unica ala, con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner
grande come Te."


________________________________________
Mosaico di pace
Via Petronelli n.6
70052 Bisceglie (BA)
tel. 080-395.35.07
fax 080-395.34.50
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sabato 17 aprile 2010


Napoli, padre Zanotelli caricato dalla Polizia. Si opponeva al trasferimento di richiedenti asilo in un CIE


Fonte: Repubblica


"Sono bambini. Li state mandando in un lager. Dovete passare su di me". Ma la furia di chi obbedisce al governo e alla legge che punisce gli immigrati non risparmia neanche un uomo di chiesa, padre Alex Zanotelli. Pur di far partire in fretta in una camionetta i nove africani della "Vera D.", pur di chiudere la questione che ha agitato il porto di Napoli e le coscienze nell’ultima settimana, senza il minimo rispetto hanno buttato a terra persino il sacerdote che difende i diritti civili e si prodiga per l’umanità. Sta bene, il paladino di chi non ha voce e lotta per sopravvivere, ma è tornato a casa addolorato, come chi ha sostenuto una battaglia persa.


Intorno alle 21 la protesta era davanti ai garage della questura in via dei Fiorentini: "Siamo tutti clandestini" gridavano i manifestanti. Organizzazioni umanitarie, centri sociali, la Cgil con Jamal Quoddorack che hanno seguito dall’inizio la vicenda. L’assessore Giulio Riccio e il sindaco Iervolino vanno via aprendo le braccia: "Non c’è niente da fare". Ma Zanotelli resta, con i suoi collaboratori, tra i quali Felicetta Parisi, che è in lacrime. "Li abbiamo visti, li abbiamo visti bene, erano vicino a noi – piange – non c’è alcun dubbio che sono minorenni", riferendosi alla querelle sull’età dei cinque clandestini più giovani, tre dei quali erano stati giudicati maggiorenni dall’ospedale dove erano stati visitati. "Anche secondo il parere dei medici ospedalieri l’età scheletrica era intorno ai 18 anni – dice ancora Parisi – ma ci sono due anni di scarto in quell’analisi. Me ne assumo io la responsabilità. Sono un medico, un pediatra: erano minori. Li hanno spediti in un lager. Questa è una ignominia, una vergogna, viviamo l’epoca della disumanità".


Padre Zanotelli ha salito le scale della questura ed è tornato indietro poco dopo amareggiato: "Non c’è niente da fare, li portano via". Intanto i celerini si radunavano sotto il palazzo. "Dopo ore di trattative, di promesse, all’improvviso è arrivata la celere e abbiamo capito che li avrebbero portati a Brindisi – dice il sacerdote – Eppure c’era la richiesta di asilo politico, il Comune aveva trovato per loro una sistemazione". Zanotelli viene accompagnato dai collaboratori, a proseguire nel racconto è Felicetta Parisi: "Quando Alex è sceso noi ci siamo messi davanti al garage da dove doveva uscire la camionetta – dice – Zanotelli voleva stendersi per terra, voleva protestare contro questo sopruso. E ha detto ai poliziotti: "Nessuno ha chiesto a questa gente che cosa ha fatto nell’ultimo mese, come ha vissuto, di che cosa ha bisogno. È una vergogna. Per me potete passare sul mio corpo, prima di prenderli". Allora è scoppiato un tafferuglio, i poliziotti si sono lanciati verso di noi e Alex è stato scaraventato per terra".


I collaboratori del sacerdote, indignati, denunciano: "Per ore la questura ha portato avanti quello che sembrava un dialogo. Era falso. Per la prima volta Napoli, la città dell’accoglienza e dell’umanità, si è macchiata della strage degli innocenti. Lo sanno tutti i Cie sono dei lager".


tratto da www.altracitta.org

mercoledì 14 aprile 2010

Ho appena ascoltato una gentile signorina parlare a Radio Italia (solo musica italiana, mi raccomando: non contaminiamoci!) annunicare con molta noncalanche una notizia proveniente dalla Provincia di Grosseto: il Sindaco di Castiglion della Pescaia -uno dei borghi più belli e, ahimè, più 'in' del Mediterraneo-, nella sua immensa bontà democratica ha permesso ai 'vu cumprà' (così ha detto la signorina: nenanche Bossi lo usa ancora, forse Borghezio sì) di esercitare ma dovranno avere una 'patente' comunale. E la solerte e gentile signorina, invece di commentare la stronz... dell'iniziativa, ha rassicurato i futuri clienti delle spiagge blasonate che potranno acquistare da questi 'vu cumprà' perchè sono regolari, mica come quegli altri, che 'regolari' non sono (?)...
E' la banalità del male che avanza?

QUANDO FINIRA' QUESTA VERGOGNA?

Chiedo la cortesia di diffondere e condividere le informazioni che trovate sia qui in basso che al seguente link:

http://napoli.indymedia.org/node/12313

saluti,

Peppe



SEQUESTRO DI IMMIGRATI AL PORTO DI NAPOLI

Una nave attraccata l'8 aprile fa nel porto di Napoli (molo Bausan, nella periferia orientale, verso San Giovanni a Teduccio) è stata fermata perchè aveva a bordo 9 migranti "irregolari". Di queste nove persone, che la polizia di frontiera dichiara di nazionalità ghanese e nigeriana, cinque sono minorenni.
Secondo la ricostruzione accreditata dal comandante della nave si sono nascosti in un container al porto di Abidjan in Costa D'Avorio e avrebbero trascorso così l'intero viaggio.
Non è ben chiaro se in un primo momento il battello sia stato fermato dalla polizia di frontiera per la presenza di immigrati irregolari, o dallo stesso comandante russo di questa grossa nave-merci battente bandiera liberiana, ma di proprietà di una importante compagnia di armatori tedesca, la Peter Dohle di Amburgo. Sta di fatto che dopo aver "scoperto" la presenza dei migranti, il comandante rilevava di non avere più il numero legale per navigare e chiedeva all'Italia di farsene carico. Del resto i minori sono in acque nazionali italiane e hanno diritto di tutela mentre gli adulti dovrebbero (è un loro diritto) potere fare domanda d'asilo. In ogni caso le autorità italiane gli hanno impedito di sbarcare.
La notizia è trapelata solo nella mattinata del 12 aprile, per la protesta dei lavoratori del terminal container, dovuta al fatto che il blocco del molo Bausan aveva interrotto molte delle attività lavorative legate allo scarico merci. Questa è sembrata essere anche l'unica preoccupazione dei media, che hanno trattato molto superficialmente la questione umanitaria dei migranti confinati forzatamente sulla nave sottolineando soltanto la ripresa dei lavori nel terminal, dopo che i "clandestini" sono stati fatti scendere dalla nave.
In realtà le cose non stanno così, anche perchè di sicuro ora la nave è stata fermata e sequestrata dalla stessa magistratura in maniera preventiva rispetto alla eventuale copertura dei danni in seguito alla denuncia del Conateco, il consorzio napoletano terminal container, per il blocco del molo.
Quando il 13 aprile è scoppiata la protesta dei portuali, la mediazione tra polizia e comandante della nave è stata quella di far scendere solo tre dei cinque minori a bordo, esclusivamente per rientrare nel numero massimo di persone che consentisse alla nave di fare manovra. La nave, sempre sotto sequestro, è attraccata così al molo libero 21 dove si trova tutt'ora. A bordo quindi sono ancora ferme sei persone, di cui due minorenni. Mentre i tre che sono sbarcati dovrebbero essere stati trasportati al centro di prima accoglienza per minori in via Salvator Rosa a Napoli, prima di essere condotti in una casa famiglia.
Si è cercato di entrare in contatto con i migranti, facendo notare appunto che i minorenni non possono essere respinti e hanno diritto alla massima tutela da parte dello stato italiano, mentre gli adulti potrebbero voler presentare domanda di asilo o protezione umanitaria. Al momento ogni contatto è stato però impossibile, perchè la polizia di frontiera ha accampato una scusa dopo l'altra, impedendo di fatto che si rispettassero i diritti di queste persone. Domani mattina la Cgil dovrebbe aver ottenuto un incontro col Questore per cercare di sbloccare la situazione. (Sempre che la nave non salpi in nottata, come pure qualche fonte giornalistica sosteneva. Ma non dovrebbe essere così, perchè sotto sequestro).
Abbiamo anche cercato di fare chiarezza con le fonti giornalistiche.
E' chiaro che la visibilità e la pressione sociale su questo ennesimo dramma umanitario sono fondamentali per risolvere positivamente la situazione. Perchè purtroppo non sarebbe la prima volta che vengono violati anche i principi minimi del diritto internazionale.


I tre ragazzi che sono sbarcati ieri dalla nave non sono stati ospitati al centro di prima accoglienza per minori. Con un dispositivo che spesso viene usato in questi casi, la polizia ha fatto fare in ospedale l'esame biometrico del polso in modo da poterli dichiarare non minorenni. Si tratta in realtà di un'esame di scarsa attendibilità e che ha un margine di errore di oltre due anni, mentre le stesse circolari del ministero dell'interno stabiliscono che nel dubbio occorre dare priorità alla tutela del minore. Ma nei fatti è un meccanismo spesso utilizzato. Così i tre, senza mai incontrare un mediatore o un avvocato, sono stati ricondotti alla nave che intanto ha attraccato al molo libero 21.
La compagnia di assicurazione della nave ha coperto con una fidejussione di 400.000 euro i danni del blocco del molo Bausan e il magistrato ha dissequestrato il cargo che però paradossalmente è ancora bloccato in quanto col ritorno dei tre a bordo vengono di nuovo meno le condizioni di sicurezza per viaggiare.
In realtà è probabile che ogni decisione sia ancorata all'incontro chiesto ieri dalla Cgil e dal Forum Antirazzista e che ci sarà oggi alle 17 in via Medina con la presenza del questore e le autorità della polizia di frontiera. Li si capirà l'effettivo orientamento della questura di Napoli e del ministero dell'interno.
Infatti se sarà consentito alle associazioni umanitarie di incontrare i migranti con medici e avvocati, potranno raccogliere le eventuali richieste di asilo politico e protezione umanitaria dei nove e chiedere gli ulteriori accertamenti a tutela della condizione dei ragazzi che hanno dichiarato la minore età. Tutte cose che sono nel diritto di queste persone, ma che sono state più volte violate già in passato, come dimostra la drammatica storia dei respingimenti in mare.
L'altra ipotesi è che prevalga la linea seguita finora, di impedire il contatto coi migranti per non renderli informati delle proprie possibilità. Non è vero quello che si scrive in alcuni articoli sul fatto che non possono presentare domanda d'asilo perchè sono alla frontiera e in acque territoriali italiane, esattamente la condizione standard di un rifugiato che chiede protezione.
Per impedire ogni contatto fino ad ora la motivazione della polizia di frontiera è stata che ci voleva l'autorizzazione del capitano della nave con cui è stato impossibile per noi entrare in contatto diretto. Un chiaro escamotage, dal momento che lo stesso capitano ha tutto l'interesse e la volontà, più volte esternata, di far sbarcare gli immigrati. Possibile infatti che oltre alle motivazioni umanitarie ce ne siano altre di carattere economico, perchè la perdurante presenza a bordo dei migranti, una volta appurata, potrebbe portare al divieto di scalo anche nel porto di Genova, dove la nave è diretta. Infatti, per fortuna, la Vera D non ha a bordo le gabbie in cui vengono a volte rinchiusi gli immigrati trovati sulle navi. Gabbie in cui vengono segregati fino al ritorno nei presunti paesi di origine in spregio a ogni aspetto del diritto internazionale, specie per profughi e rifugiati, ma tranquillizzando così le autorità di frontiera.

martedì 13 aprile 2010

CONSIDERAZIONI INATTUALI (e Emergency)

Solitamente non scrivo di attualità: non bisogna certo essere dei filosofi come Nietzsche per scirvere un pezzo come questo contro l'attualità. Scrivo contro l'attualità perchè non c'è più nulla di effimero dell'attuale. Soprattutto nel mondo della cosiddetta informazione: per qualche giorno tutti parlano di una e una sola notizia (sia essa il Darfur o l'influenza aviara, il terremoto di Haiti o l'AIDS) per poi dimenticarsene e sostituirla con una nuova. E' un vero e proprio consumismo adeguato ai tempi: veloce, superficiale...
...perchè ho parlato di Emergency? Perchè ha ragione Gino Strada: dà fastidio agli afgani e agli italiani. Sta lì, in mezzo alla guerra e mette a nudo la sua schifezza. Donne e bambini martoriati dalle armi dei contendenti, magari dal fuoco amico...non vogliono che qualcuno denunci i misfatti degli alleati...qualcun altro, come il nostro (?) ministro della difesa, non vede l'ora che accadesse qualcosa del genere...e, non a caso, è accaduta...
...e il nostro (?) governo cosa ha fatto? Per prima cosa ha dichiarato che Emergency non c'entra nulla con la Cooperazione ufficiale...per seconda cosa ha accusato Gino Strada di esagerare, parlando di sequestro (e non di arresto), sapendo che il codice penale afgano prevede 15 giorni di tempo tra il fermo e la messa a conoscenza delle imputazioni (del resto lo sapeva benissimo, dal momento che anche gli italiani hanno collaborato a redarre tale codice). Solo dopo si è ricordato di affermare che il governo è garantista...
Si sono dimenticati (il governo e la maggioranza, ma anche tanti militaristi del centro sinistra) che il paese asiatico è in guerra e noi siamo in guerra...una guerra sempre più sporca (dal momento che ora si violano anche gli ospedali...)
I tre sequestrati devono essere liberati subito!
Gli italiani devono andarsene dall'Afghanistan!

lunedì 12 aprile 2010




SABATO 17 - ore 14,30
Appuntamento in piazza Navona ROMA


Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.


Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.


IO STO CON EMERGENCY




Firma l'appello


COMUNICATO STAMPA


Contatti stampa:
press@emergency.it
simonetta@emergency.it


10/04/10 - Tre operatori di Emergency prelevati all'ospedale di Lashkar-gah


Milano, 10 aprile.
Oggi pomeriggio uomini della polizia e dei servizi segreti afgani hanno fatto irruzione nel Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah, nella provincia meridionale di Helmand. Tre dei nostri operatori, cittadini italiani, sono stati prelevati attorno alle 16.30, ora afgana.
Non siamo finora riusciti ad avere un contatto telefonico con loro. Nell’unico contatto avuto con uno dei cellulari in uso ai nostri operatori ha risposto una persona che si è qualificata come ufficiale delle forze armate britanniche e che ha detto che gli italiani stavano bene ma che - al momento - non si poteva parlare con loro.
Altri cinque dei nostri operatori, tra cui quattro italiani e un indiano, sono al momento nell’abitazione dello staff internazionale e sono in costante contatto telefonico con il nostro staff a Milano.
Né le autorità afgane né rappresentanti della coalizione internazionale si sono messe in contatto con noi per spiegarci le ragioni di questo prelevamento.
Abbiamo appreso da un lancio di agenzia dell’Associated Press che alcune persone, tra cui cittadini afgani e "due medici italiani", sarebbero state arrestate con l’accusa di avere complottato per uccidere il governatore della provincia di Helmand.
L’accusa ci sembra francamente ridicola e siamo assolutamente certi che la verità verrà presto accertata.
Fermo restante la libertà del governo afgano, delle forze di polizia afgane e dei servizi di sicurezza di svolgere tutte le indagini del caso, chiediamo l’assoluto rispetto dei diritti dei nostri operatori, locali e internazionali. Si tratta di persone che da anni lavorano, per assicurare cure alla popolazione afgana. Chiediamo pertanto di rispettare i loro diritti, per primo il diritto di comunicare con noi e farci sapere dove si trovano e come stanno.

Emergency è presente in Afganistan dal 1999 con tre centri chirurgici, un centro di maternità, una rete di 28 centri sanitari.
A Lashkar-gah, Emergency è presente dal 2004 con un centro chirurgico per vittime di guerra, che in questi anni ha curato oltre 66mila persone.


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SUGGERISCO DI DARE IL 5 PER 1000 A EMERGENCY...

sabato 10 aprile 2010

COMUNICATO STAMPA

DELITTI DI RADIO

Danilo Dolci, Peppino Impastato, Mauro Rostagno

Cassino, 12 e 13 aprile 2010

Delitti di radio. Libertà di espressione e storia giudiziaria nell’esperienza delle radio libere in Italia intende approfondire la vicenda di alcuni esempi celebri ma anche in parte trascurati di radio e televisioni private nell’Italia degli anni Settanta: la Radio Libera di Danilo Dolci, Radio Aut di Peppino Impastato e la Televisione trapanese di Mauro Rostagno. L’appuntamento è per lunedì 12 aprile (ore 10.00/17.00), presso l’aula magna dell’Università di Cassino, e martedì 13 aprile (10.00/14.00), presso l’aula magna di Ingegneria.

L’iniziativa, a cura di Pasquale Beneduce, docente di storia della proprietà intellettuale in Europa presso l’Università di Cassino, intende ripercorrere la cronaca drammatica e ancora poco nota dei fatti e delle ragioni dei “giorni delle radio libere” – a partire da quella di Dolci, della quale ricorre proprio in questi giorni il quarantennale – attraverso l’ausilio di testimoni e protagonisti di quei giorni: Pino Lombardo, collaboratore di Dolci nella programmazione del 25 marzo 1970, e Amico Dolci, autore delle musiche di quella storica trasmissione; Salvo Vitale, amico di Peppino Impastato e collaboratore di Radio Aut; Gianni Di Malta e Carla Rostagno, a proposito dell’esperienza televisiva di Mauro Rostagno.

Un’indagine che cercherà di far interagire diversi punti di vista, con il contributo di giuristi (fra i quali i giudici Alessandra Tudino e Antonio Ingroia), filosofi, letterati (fra questi Giuseppe Barone, studioso di Dolci), storici, giornalisti, documentaristi (come Alberto Castiglione, autore di importanti film su Dolci e Rostagno).

I lavori verranno scanditi dalla presentazione di fonti inedite d’archivio, di registrazioni dei giorni delle radio e dalla proiezione di documentari d’autore.

L’obiettivo è quello di mettere a fuoco una riflessione sulla ricerca, praticata dalle radio libere italiane, di un linguaggio comunicativo senza precedenti, non unidirezionale, non autoritario, ma interattivo e nonviolento. Questo linguaggio da un lato intercetta un pubblico nuovo (i senza voce, i giovani, le donne), dall’altro prova a rendere sempre più visibili gli assetti antichi della corruzione delle classi dirigenti e i codici delle organizzazioni criminali e mafiose, attraverso un approccio culturale, inedito e apertissimo, che va ben oltre il giudizio moralistico e il paradigma esclusivamente giudiziario nella lettura della storia del paese.

Ulteriori temi del convegno – che si giova del patrocinio del Centro per lo sviluppo creativo Danilo Dolci, dell’Università di Cassino e dell’Ordine forense di Cassino – saranno la proprietà intellettuale della “parola parlata” nelle radio, il monopolio televisivo, le sentenze liberatorie della Corte costituzionale, il dibattito sulla libertà d’antenna e di informazione.

Per informazioni: Pasquale Beneduce: pasqualebeneduce@libero.it – 380.758.74.54.

Segreteria organizzativa: Evelyn Lanni evelynlanni@libero.it – 333.210.67.97 – 0776.299.39.52.


giovedì 8 aprile 2010

Tratto da http://rete-eco.it/
Ebrei contro l’occupazione

GLI EFFETTI DELLE CONTINUE INTERRUZIONI DI ENERGIA ELETTRICA A GAZA
Martedì 06 Aprile 2010 18:09 Max Ajl

Associazione di Amicizia Italo-Palestinese, 6 aprile 2010

"Le interruzioni di corrente elettrica rendono privo di speranza il futuro dei profughi di Gaz
a"

Di notte, a Gaza, gli stretti vicoli dei campi profughi risuonano rumorosamente per il fracasso nel bel mezzo dell’oscurità. Il fracasso è dato dal rumore fatto da piccoli generatori. Le famiglie nei campi e molti negozi nei campi e nelle città, fanno assegnamento per l’elettricità su tali dispositivi portatili durante le interruzioni persistenti che travagliano oggigiorno la Striscia di Gaza. Essi rappresentano una mediocre sostituzione dell’energia fornita dalla stazione centrale di elettricità, o lo sarebbero, se tutti a Gaza potessero permetterseli. Ma non ne sono in grado, in particolar modo le famiglie che vivono nei campi profughi. Loro, fanno affidamento invece sulle candele.



Una famiglia di questo tipo è quella di Abdel Karim. Essi vivono nel campo profughi di Jabaliya, nel tratto centro-settentrionale di Gaza. Jabaliya è un labirinto super-affollato. E’ uno degli otto campi profughi di Gaza, il più esteso. Secondo l’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency) esso ospita 108.000 persone, il 10 % della popolazione di Gaza, i quattro decimi dell’1 % del già insignificante continente di Gaza. La densità della popolazione di Jabaliya è di 74.000 esseri umani per chilometro quadrato.

Entrai nella casa di Abdel Karim circa alle 8:30 pomeridiane. Il sole era tramontato da parecchio tempo. La stanza era illuminata debolmente. Di fronte a me c’erano tre piccoli tavoli, l’altezza giusta per quando bambini piccoli lavorano stando in ginocchio sul terreno. I quattro figli di Abdel erano allineati accanto a questi tavoli: tre figlie, Maram, di 13 anni; Imam, di 10; Riham di 8 e poi Mohammed di 6 anni. I tavoli erano rozzi, ricostruiti da pezzi di rottame – due di essi erano proprio pezzi lisci di legno su materiale da imballaggio. Il terzo era dato da una lastra di metallo piano ribattuto in cima ad un banchetto. Sopra ai tavoli c’erano alcune candele. Non sufficienti.

Non c’erano candele a sufficienza perché con uno shekel – Gaza usa di norma moneta israeliana – puoi comprare due candele. Le candele bruciano abbastanza velocemente, e quando una famiglia non ha quasi alcuna entrata di denaro, la differenza tra due candele accese e tre candele accese costituisce una grande differenza. Ma due candele producevano la luce estremamente pallida, grazie alla quale i figli di Abdel stavano facendo i loro compiti per casa, scrivendo nei loro quaderni di scuola mentre Abdel li guardava.

I suoi bambini cercano di studiare le loro cose più difficili, ma è duro. Lui mi dice che alle 10 pomeridiane la luce continua a traballare restando accesa fino alle 5 di mattina. Per una parte di questo tempo i suoi figli restano svegli e lavorano quando essi dovrebbero dormire. Abdel chiede "una soluzione che provenga dal mondo esterno", mentre i suoi bambini vanno male a scuola, e la loro vista si deteriora per una luce di candela così debole da non permettermi di fare fotografie. Essi "non hanno alcuna speranza."

Abdel mi racconta una storia familiare, familiare perché ricorre più volte a Jabaliya e in tutta gaza. Egli è disoccupato perché è privo di risorse, troppo pigro per trovare lavoro, troppo privo di iniziativa per aiutare Gaza a trasformarsi in una Dubai del Mediterraneo. La percentuale di disoccupazione non è oltre il 50 % a Gaza a causa della pigrizia. Abdel e tanti altri uomini come lui sono disoccupati perché lavoravano abitualmente in Israele.

Ma poi loro lo impedirono. La politica di chiusura di Israele venne messa in pratica nel 1993, molto prima dell’esplosione della seconda Intifada. A causa della politica di chiusura, la gente proveniente da Gaza non poteva più entrare in Israele per lavorare come aveva fatto per decenni. Come scrive Sara Roy dell’Università di Harvard, la principale esperta su Gaza, , "La politica di chiusura è risultata così distruttiva solo perché il processo trentennale di integrazione dell’economia di Gaza con quella di Israele ha reso l’economia locale profondamente dipendente." Quando, nel 1993, il confine venne chiuso in una morsa serrata, " l’auto-sostentamento non era più ulteriormente possibile – in quanto venivano a mancare i mezzi. Decenni di espropriazioni e di de-instituzionalizzazione da tanto tempo hanno privato la Palestina del suo potenziale di sviluppo, garantendo che non avrebbe potuto emergere alcuna struttura economica (e quindi politica) in grado di sopravvivere."

Abdel dipende completamente dall’UNRWA per il cibo, l’acqua e per l’assistenza sanitaria, ma l’UNRWA non può creare una infrastruttura economica dove non ce n’è alcuna, e neppure può importare combustibile o riparare la centrale elettrica rotta che costringe Imam e le sue sorelle a studiare senza l’uso perfino della luce elettrica.

Questo problema è precedente all’Operazione Piombo Fuso. Sin dai bombardamenti dell’estate 2006, quando Israele attaccò lo stabilimento per la produzione di energia elettrica di Gaza, un attacco che Amnesty International dichiarò rappresentare un "crimine di guerra", Gaza ha subito oscuramenti totali intermittenti. La Striscia necessita di circa 240 megawatt di energia elettrica, di più nei periodi di punta estivi. Metà proviene da Israele, circa un terzo, verosimilmente dall’impianto della centrale, e 17 megawatt dall’Egitto. Lo stabilimento per la produzione di elettricità di Gaza ha tre turbine. La sua produzione, prima di Piombo Fuso, era di 80 megawatt. Per produrre un tale risultato esso ha bisogno settimanalmente di 3,5 milioni di litri di diesel. I numeri non hanno senso, e perfino prima delle recenti carenze, l’erogazione di elettricità era insufficiente.

Quantunque l’assedio israeliano abbia avuto inizio nel 2006, la chiusura è divenuta veramente più stretta nell’ottobre del 2007. Sin da allora, Israele ha ristretto le quantità di diesel industriale ammesse entro Gaza attraverso il posto di attraversamento di Nahal Oz. L’Unione Europea paga questo diesel. Non è possibile utilizzare il diesel che entra passando attraverso i tunnel, per due motivi dovuti sia alle esigenze di limitazione dell’UE per le modalità con cui essa versa i finanziamenti, come pure perché il combustibile deve essere modificato in rapporto alle necessità tecniche della centrale.

Per diversi mesi, nessuna quantità di diesel era entrata a Gaza, ma nel gennaio del 2008 lo stato di Israele si impegnò di permettere il rifornimento a Gaza di 2,2 milioni di litri di diesel a causa di un’azione legale intentata da Gisha, il Centro Legale per la Libertà di Movimento, una ONG israeliana che patrocina la difesa dei diritti dei palestinesi, in particolar modo di quei palestinesi che abitano nella Striscia di Gaza. La Corte Suprema di Giustizia ha ritenuto che 2,2 milioni di litri si configurino come il "minimo umanitario"

In seguito, per un certo tempo, la Centrale elettrica funzionò con il 63% del carburante richiesto con una produzione giornaliera di 55 – 65 megawatt, invece della sua resa massima di 80 megawatt. Gisha aggiunge che " questa quantità limitata ha di fatto impedito che la centrale elettrica approvvigionasse le sue stesse riserve." Ciò sta a significare che quando Israele non trasporta carburante oltre il confine, non resta alcuna scorta di riserva. La centrale elettrica cessa l’attività.

Raramente Israele si adegua alle sentenze della Corte Suprema di Giustizia, secondo Paltrade, che controlla la quantità di carburante il cui ingresso a Gaza attraverso Nahal Oz viene autorizzato da parte di Israele. Nel periodo compreso tra il 21 febbraio e il 20 di marzo, quando incontrai Abdel ed i suoi figli, in una settimana era stato concesso il permesso per circa 1,25 milioni di litri di carburante. Circa il 57 % del "minimo umanitario". Ne consegue che le persistenti interruzioni complete della luce possono avere una durata tra le 8 e le 12 ore e i bambini devono studiare al buio per nessun altra ragione che sono palestinesi e che il governo israeliano non si preoccupa di autorizzare l’accesso di diesel in quantità sufficiente per fornire loro qualcosa di così banale come il carburante diesel.

Chiedo ad Abdel se posso porre alcune domande ad Imam. Lui dice di sì. Le chiedo che cosa vorrebbe essere quando fosse cresciuta. Lei vorrebbe diventare una dottoressa, in modo da poter essere di aiuto al suo popolo. Molti bambini desiderano essere dei medici, in tutto il mondo, ma molte persone mi hanno detto che a Gaza tutti i bambini vogliono diventare qualcosa che sarà di aiuto al loro popolo o alle loro famiglie: ingegneri, medici, vigili del fuoco. Non vogliono diventare degli atleti professionisti o dei ballerini o dei musicisti. Imam probabilmente non diventerà un medico, ma nei campi profughi di Gaza i bambini perfino sognano in un modo funzionale. Le ho chiesto se lei ha un messaggio per il mondo al di fuori. Si domanda continuamente di chiarire, di precisare, perché lei continua a dare una risposta un po’ strana, forse perché non comprende la domanda. Forse no. Lei vuole "essere uguale ai bambini del mondo esterno; loro hanno la luce elettrica; loro hanno luoghi sicuri." Imam ha trascorso metà della sua vita in una prigione ed è sopravvissuta a diversi massacri. Lei ha Jabaliya.



Testo inglese in http://www.truthout.org/power-outages-dim-future-gaza-refugees58222 - tradotto da Mariano Mingarelli


da una mail di

pace@peacelink.it

 

mercoledì 7 aprile 2010

Franco Zunino e don Gallo


Questo blog consiglia di aderire all'appello: Vogliamo Franco Zunino in Regione (Liguria).

Perchè è una brava persona ed è competente. Se vi sembra poco, guardetevi attorno...


diventa fan di Vogliamo Franco Zunino Assessore in Regione.

Per maggiori informazioni e per confermare l'invito, segui il link in basso:
http://www.facebook.com/n/?pages%2FVogliamo-Franco-Zunino-Assessore-in-Regione%2F116276808387118&mid=2265042G52d57454G19fc350G4c&n_m=giulianofalco%40gmail.com


INTERCULTURA E IMMIGRAZIONE.

Dall’integrazione all’interazione

di Laura Tussi

Per intercultura intendiamo tutti i contatti tra culture diverse, di cui i fenomeni migratori sono solo un aspetto, anche se molto importante.

L'intercultura, oltre al caso dell'immigrazione di stranieri in Italia e lo spostamento di persone in altri paesi, comprende anche ogni genere di scambi di informazioni, di idee e di esperienze tra aree diverse del pianeta, perché essa non riguarda solo gli immigrati, gli altri, ma noi stessi e le modalità in cui guardiamo e viviamo il mondo e come, in realtà, siamo trascinati dalle potenti correnti di mutamento in corso su tutto il pianeta.

Nella prospettiva interculturale, il fenomeno delle immigrazioni e gli imponenti processi migratori in atto nel nostro Paese sono da considerare come un'opportunità per i migranti e per le società che li ricevono, in quanto in un'ottica interculturale il fenomeno migratorio appare molto vario.

Per intercultura non si intende solo immigrazione, ma diaspore, ossia persone e gruppi che si spostano tra paesi diversi, seguendo i cicli stagionali di lavoro, le necessità familiari, le scadenze scolastiche, i progetti matrimoniali e altro ancora.

La prospettiva di apertura, confronto e dialogo tra culture vede la pluralità identitaria come una ricchezza e per questo non si pone come esclusivo obiettivo l’integrazione, che è un'idea prodotta da una concezione inadeguata della civiltà e della pretesa di superiorità morale del mondo occidentale sugli altri, dove l'integrazione, appunto, risulta un obiettivo impossibile, perché la pluralità di lingue, religioni, musiche, culture, tradizioni è un bene da tutelare in un'ottica di interazione, anziché di assimilazione e omologazione ad un modello consolidato nel tempo e prestabilito dall’Occidente.

La prospettiva interculturale respinge il presupposto dell'idea che la cultura sia una realtà monolitica, in quanto essa è un insieme di narrazioni condivise, contestate, negoziate.

Partecipando e interagendo con una cultura risulta possibile sperimentare tradizioni, riti, storie, rituali e simboli, strumenti e condizioni materiali di vita, attraverso molteplici narrazioni.

L'identità si costituisce nella relazione con l'altro da sé, con la famiglia, gli amici, i gruppi sociali reali e virtuali e la concezione aperta all’accoglienza genera un'idea d'identità opposta al pensiero fondamentalista, ossia se le società umane non sono omogenee e separate, ma differenziate e caratterizzate da confini permeabili, allora le identità delle persone e dei gruppi non si prospettano come recinti da difendere dalla cattiva influenza dell'esterno e dell'estraneo, ma diventano ambiti di scambio, di dialogo e interazione.

Le persone non hanno diverse identità, ma le costruiscono nelle relazioni quotidiane con gli altri, usando vari strumenti con cui interagiscono con l'ambiente fisico e sociale, come il loro corpo, gli oggetti, le conversazioni, i discorsi e le narrazioni, in un approccio discorsivo, dialettico e dialogico, dove la narrazione non è vista come una produzione mentale individuale, ma come creatività sociale, dialogica, come strumento per riflettere collaborativamente sulle situazioni.

L'identità prodotta dalle narrazioni è plurale, ma non necessariamente coerente, perché gli eventi narrati possono essere dolorosi e difficili da riferire, in quanto i migranti che hanno vissuto esperienze traumatiche producono narrazioni frammentarie, lacunose, confuse e fondate su esperienze contrastanti, in incoerenze e silenzi tipici delle identità diasporiche.

L'educazione interculturale pone come condizione la rinuncia all’etnocentrismo occidentale e la ricerca multiculturale evidenzia le differenze tra comunità, gruppi e categorie sociali, apprezzando le diversità, senza renderle delle barriere impenetrabili, in cui si cerca di osservare come funzionano gli scambi tra persone e gruppi differenti.

La contrapposizione tra autoctoni e migranti è consueta, in quanto è sufficiente imparare dai mass media a ragionare per stereotipi e pregiudizi, dimenticando la storia e gli scambi continui nella vita quotidiana, dove fare intercultura significa superare la visione delle differenze morali come compartimenti separati.

L'approccio interculturale indica come non cristallizzare le differenze, in una prospettiva pedagogica che assuma la dimensione internazionale del sapere, in un'ottica relazionale e dinamica nelle teorie e nelle prassi formative, studiando l'altro nelle interazioni tra scambi pacifici e conflitti violenti.

La gigantesca ibridazione di popoli e culture ha provocato la diffusione di società composite, in cui convivono gruppi umani di diversa provenienza, dove si cerca faticosamente di trovare un equilibrio tra la condivisione di valori comuni e le diverse appartenenze sociali e culturali.

Il multiculturalismo vorrebbe suggerire una prospettiva di interazione dinamica tra comunità differenti, in un'ibridazione che assuma i caratteri dialettici dell'interculturalità dove il conflitto non si trasformi in razzismo e la coesistenza possa evolversi in intrecci positivi tra soggetti diversi, capaci di realizzare una cittadinanza planetaria aperta, nel riconoscimento positivo della diversità culturale, il cui risvolto è posto nel riconoscimento di una comune umanità di comunicazione, comprensione, scambio e relazioni dialogiche.

La pedagogia interculturale si preoccupa fondamentalmente dell'inserimento degli alunni stranieri nella scuola, e, in generale, dei soggetti stranieri, anche adulti, nei sistemi formativi e nelle relazioni educative tra migranti e autoctoni, interrogandosi criticamente in merito ai saperi trasmessi dalle istituzioni formative.

Ogni esperienza educativa, in realtà è interculturale, perché è incontro di modi di essere, di visioni del mondo, di caratteristiche personali e sociali diverse, con lo scopo di contribuire all'educazione e interazione di individui differenti per motivi linguistici, etnici, religiosi ed altro, perché imparino a convivere senza conflitti e riuscendo a gestire pacificamente il contrasto reciproco. Gardner con la teoria delle intelligenze multiple offre un contributo prezioso per un intervento educativo capace di valorizzare le diversità individuali degli studenti.

L'introduzione dell'autonomia scolastica nel nostro ordinamento sottolinea la funzione attiva della scuola che è invitata a corrispondere alle esigenze formative dei diversi alunni e del territorio e questa impostazione è risultata feconda nel campo dell'inserimento dei ragazzi stranieri nel contesto educativo e interculturale.

Gli studenti stranieri possono così vedere l'apprezzamento per il loro corredo cognitivo ed esperienziale attraverso il ricorso, da parte dei docenti, a un'offerta formativa individualizzata che sappia apprezzare le loro più svariate qualità creative e cognitive.

La scoperta e la valorizzazione di culture altre e di persone portatrici di diversi caratteri e provenienze originarie avviene in un contesto di relazione con gli autoctoni, ponendo in discussione anche i nostri contesti di appartenenza, dove lo straniero ci interroga in merito ai vissuti nella scuola, nei saperi e nei metodi educativi che invitano a ripensare la nostra identità, la nostra storia e la nostra cultura, perché riconoscere la diversità dell'altro significa anche riconoscere le nostre diversità, le nostre alterità, le nostre mancanze, i nostri difetti.

L'Occidente deve rendersi consapevole che la sua storia non è monoculturale e monoetnica, in quanto siamo frutto di contaminazioni di popoli e culture e l’Islam è parte fondante della nostra civiltà.

Laura Tussi

giovedì 1 aprile 2010

Carissime amiche, cari amici,
molti di voi saranno già iscritti a Bocche Scucite; a quelli che ancora non lo fossero, chiedo di iscriversi: le notizie che abbiamo dalla Palestina sono notizie di parte: troppo spesso non si accenna alla continua occupazione illegale di terre da parte di coloni israeliani, si sottolineano, invece, le azioni di contrasto dei palestinesi. Questa non è informazione, ma disinformazione; Bocche scucite cerca di fare della contro informazione, è almeno, necessario conoscere anche questa voce.
Come vedete c'è una buona notizia: che a Bruxelles nasce il tribunale Russell per la Palestina, a tutti noi il vigilare perché non rimanga solo sulla carta, ma entri in attività anche se Israele ha sempre dimostrato di non tener conto delle risoluzioni che lo criticano.
Buona lettura
Paolo Bertagnolli

 

Date: Thu, 1 Apr 2010 02:05:00 +0200
Subject: Newsletter BoccheScucite n.99
From: nandyno@libero.it
CC: nandino.capovilla@gmail.com

...a Bruxelles

nasce il Tribunale Russell per la Palestina (Comitati in tutto il mondo e sentenze per condannare le violazioni impunite contro la legalità internazionale)

...a Shufat

l'esercito continua a sparare alla gente (il dott. Salim, da musulmano, augura a BoccheScucite: "Vi auguro una Pasqua che mentre ricorda Gesù che soffre e muore, non ci faccia più vedere gente innocente che soffre e muore!")

...da Trento a Palermo

finalmente sta "girando" la notizia della convocazione del 12 aprile a Verona a prestare la nostra indignazione contro l'apartheid denunciato con grande coraggio nello storico documento "Kairos Palestina"

in allegato

BoccheScucite n.99 - 1 aprile 2010

...dappertutto

si inventano forme di protesta nonviolenta per boicottare i prodotti che non sono "israeliani" perchè prodotti nelle colonie che occupano la Palestina

...a Beit Jala

continuano ad arrivare, sugli ultimi rami dei limoni che resistono nel giardino di Nasser, centinaia di nostre fotografie, commentate da singoli, gruppi di scout e giovanissimi di Azione cattolica (uno ci ha scritto sopra: "Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni se ne stiano in silenzio", Burke)

...PER QUESTO la vostra newsletter Bocchescucite non poteva non arrivare al NUMERO 100 moltiplicandosi in mille nuovi canali di comunicazione e denuncia sempre più diffusa e approfondita. Perchè in quest'occasione non fai il semplicissimo proposito di FAR ISCRIVERE ALTRI TRE NUOVI amici? Diventeremmo immediatamente quasi 10.000 lettori!


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Per maggiori opzioni, visita questo gruppo all'indirizzo
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Da Bocche Scucite, un articolo: questi debbono essere letti.

Provate ad immaginare che, al posto Amir, Hassan, Anas, ecc. (e quell'eccetera non vuol esesere un "non contano"), vi siano i vostri figli o, per quelli della mia età i nostri nipoti; come potremmo dormire in pace? Riusciremmo ancora a non odiare?

Paolo

Foto con dedica

Non riesce ad arrivare alla fine della telefonata senza scoppiare a piangere, il nostro dolce e forte dottor Salim, che prova a descriverci l'angoscia delle famiglie di Shufat che si consumano nell'attesa del rilascio di ben 150 ragazzini, arrestati in questi giorni tra i vicoli stretti e maleodoranti del campo.

Proprio mentre vengono appese centinaia di nostre fotografie di solidarietà sui rami degli alberi di limoni rimasti ancora con le radici nella terra di Nasser, a Beit Jala, pochi chilometri più in là, a Shufat, si scatena la furia violenta dei soldati che "ogni giorno, dalla mattina alla sera, per un'intera settimana -racconta a BoccheScucite Salim- hanno invaso il campo seminando il terrore.

Quanti di voi che leggete siete stati ospitati in casa di Salim e quante storie di soprusi quotidiani avete ascoltato dal suo parlare pacato, sottolineato dal sincero sorriso che si allunga sui baffi del volto. "Che bello sentirvi, Come state voi in Italia?" "Bene Salim, ma raccontaci di voi, della tua famiglia".

"I soldati arrivavano tutte le mattine molto presto e chiudevano completamente l'unico checkpoint che permette a circa 7.000 persone di andare ogni giorno a lavorare a Gerusalemme. Dopo poche ore, montava la rabbia e ci sentivamo tutti soffocati nella gabbia del nostro campo, abitato da 32.000 persone. Iniziavano poi le provocazioni ai ragazzini, con le jeep e le sassaiole da parte di nostri giovani. Purtroppo hanno usato di tutto contro la gente... molti tipi di gas e di armi le ho raccolte anch'io e non le avevo mai viste. Pallottole cosiddette "di gomma" e "bombe sonore", proprio come quella che mi ha colpito. Mi hanno preso ad una gamba e per fortuna ho potuto fermare l'infezione ricoverandomi in ospedale. Ma il mio dolore non è nulla rispetto a quello dei genitori dei 150 ragazzini che sono stati arrestati e che a tutt'oggi devono ancora essere rilasciati. Dicono che l'esercito, dopo aver sconvolto le vite di questi ragazzi e compromesso illoro futuro, pretenderà una "penale" di 5.000 shekel per ogni ragazzo liberato!"

Dedichiamo questo Editoriale di Bocchescucite a tutte quelle mamme che piangono e aspettano... e al futuro di quei ragazzini che vedono davanti a loro solo la ferocia di chi li opprime, da sempre, da quando sono venuti al mondo... Ma forse anche noi che scriviamo, abituati a tale ferocia, stiamo smarrendo la misura di questo ripetuto crimine. E leggiamo distrattamente l'ultimo articolo di Gideon Levy da Gerusalemme (Haaretz, 25 marzo):

"Quel timido ragazzo che entra ha un sorriso dolce sul volto. E' appena tornato a casa da scuola, portando la cartella sulle spalle e subito si getta tra le braccia di sua madre. Questa mattina è andato a scuola in lacrime, come succede sempre più spesso. Nel pomeriggio resta in casa, non ha voglia di vedere gli amici. Qualche giorno fa, di notte, ha iniziato a gridare: "Al- Yahud, Al-Yahud". Rivede ancora quella scena: un cane che abbaia, legato alla sua mano, per lunghe interminabili ore, dopo che i soldati lo avevano arrestato per la strada. I soldati lo hanno fatto sedere su una panchina di metallo vicino al loro posto di guardia e lo hanno lasciato lì per sette ore - ammanettato, bendato, senza nulla da mangiare o da bere, senza gabinetto, fino a tarda sera. Quando è rientrato a casa era distrutto e ricordando quei pantaloni bagnati di urina, nei dieci giorni seguenti non prendeva sonno la notte, anche se era a letto con sua madre. I soldati hanno sempre meno pietà i ragazzini palestinesi. Amir, di appena 11 anni, è stato arrestato e ammanettato per ore con l'accusa di lanciare pietre ai soldati, mentre suo fratello Hassan, 13 anni e mezzo, che fa la terza media, è stato portato nel carcere di Ofer, dove è stato detenuto per otto giorni, trascorrendo le sue giornate di carcere in una cella con detenuti adulti -proibito da ogni legge. Prima di essere chiuso in cella gli hanno chiesto: "Sei di Fatah o di Hamas?" Hassan ha detto di Hamas. Così il ragazzino è andato a finire con detenuti di Hamas. Naturalmente -ma questo è normale- nessuno ha pensato di informare i suoi genitori." dedichiamo queste righe ad Anas, ragazzo palestinese di Abu Dis, che ogni giorno tenacemente cerca di recarsi a Betlemme a studiare italiano. Il 16 marzo Anas è arrivato in ritardo a scuola. Perchè? Lo ha spiegato la sua prof, Caterina Donattini, in una lettera accorata a Il Manifesto (17 marzo). Anche Anas, come centinaia di ragazzi palestinesi in questi giorni, è stato arbitrariamente ed impunemente arrestato e picchiato dai soldati dell'esercito israeliano, mentre faceva la fila al checkpoint: "Lo hanno portato in una piccola stanza, di cui ogni check point è fornito, e in quattro hanno iniziato a picchiarlo selvaggiamente. Lo hanno schiaffeggiato, gli hanno sbattuto i fucili addosso, infine lo hanno lasciato partire. Anas accasciato su quella sedia. Le sue lacrime, il suo onore, il suo valore, la sua intelligenza feriti. Che vergogna, che rabbia infinita che sento, una rabbia che non vuole sentire ragioni e che forse non avrei sentito se ne avessi semplicemente letto su un giornale. L'ingiustizia infatti ha occhi, mente e lacrime vere. Volevo portarlo all'ospedale, Anas non ha voluto: «Anche questa lezione devo lasciarmi rubare?». (…) Vorrei che gli studenti si immedesimassero in Anas. Vorrei che gli insegnanti, i professori italiani, immaginassero di ricevere il migliore dei propri studenti, una mattina, in classe, percosso e ferito nell'anima. Questa la Palestina di oggi, un regime di apartheid contro cui noi occidentali siamo chiamati a reagire".

Dedichiamo queste poche, stanche parole a Muhammad e Saleh, di 17 e 21 anni, certi che non le leggeranno mai, perché qualche mattina fa sono stati fatti a pezzi da un missile israeliano mentre raccoglievano la legna, a Gaza.

Affidiamo queste storie di ingiustizia senza fine alle mani forti e impazienti di N., 15 anni, sicuri che, mentre appenderà i volti di quanti dall'Italia stanno inviando la loro foto al giardino dei limoni sradicati, dedicherà questo gesto di nonviolenza creativa a tutti quei suoi coetanei che hanno pagato e continuano a pagare la loro voglia di crescere e di vivere liberi con il sangue e l'oppressione.


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ringrazio l'amico Paolo per la segnalazione