Ringrazio calorosamente Silvia Montevecchi per l’autorizzazione concessa a pubblicare questa intervista a Padre Ottavio Raimondo, mio grande amico e grande personaggio, fondatore e dirigente della EMI di Bologna (intervista già apparsa sul sito www.silviamontevecchi.it) Padre Ottavio Raimondo.
Una Chiesa per la globalizzazione dei diritti
Padre Ottavio Raimondo, comboniano, è il fondatore della Emi, la casa editrice con sede a Bologna che forse per prima in Italia ha sposato e diffuso i temi del NO GLOBAL, dell'alternativa al neoliberismo, del boicottaggio alle multinazionali, ecc. Ha pubblicato titoli del Centro Nuovo Modello di Sviluppo (CNMS) di Francesco Gesualdi, di Gandhi, di don Milani e decine di altri titoli sui temi del interculturali, interetnici, interreligiosi, per la conoscenza dei meccanismi di impoverimento del sud del mondo, sulle culture dei popoli del sud del mondo, delle loro lingue e tradizioni, sulle guerre e le origini delle guerre nei Paesi impoveriti. Ma soprattutto ha pubblicato e continua a pubblicare la testimonianza di vita e il pensiero delle missionarie e dei missionari che vivono “dove nessuno vuol vivere e con chi nessuno vuol vivere”.
I libri EMI sono distribuiti nelle normali librerie, ma soprattutto nella grande fitta rete "della base" che sono i movimenti, le Botteghe del Mondo; il Commercio equo e solidale, le ONG. Da mesi, la Emi inonda Bologna (e non solo) delle bandiere della pace.
P. Ottavio, bolognese di adozione, ma soprattutto cittadino del mondo, per 14 anni missionario in Messico, ci regala la sua immagine della città, tra chiesa e contestazione, tra preghiera e missione. Lo conosco da molto tempo, poiché la Emi ha pubblicato diversi miei lavori, e il nostro incontro ha il sapore dell’amicizia e della fraternità. Questo colloquio avviene nell’autunno del 2002, e mesi dopo, mentre si sfila per la pace e si cercano tutti modi per evitare una guerra all’Iraq, le parole di p. Ottavio sono anche più attuali. [...].
Silvia Montevecchi: padre Ottavio, una domanda a 360°: come quando e soprattutto perché l’Emi è nata a Bologna? Quanto la bolognesità entra nella Emi?
Padre Ottavio: Bene! Nel 1973 quattro istituti missionari decisero di mettere insieme la loro attività editoriale e libraria. Scelsero Bologna perché qui all’epoca esisteva già l’editrice dei comboniani, chiamata Nigrizia (cosa diversa dalla rivista che ha lo stesso nome). Tale editrice si era radicata a Bologna con un carattere di forte bolognesità, in questo senso: era riuscita a captare alcuni momenti significativi della vita culturale e religiosa di Bologna. Ne cito alcuni. In campo religioso con don Arrigo Chieregatti, che all’epoca era giovane prete, l’editrice Nigrizia aveva pubblicato alcuni libri su Charles de Foucauld, i suoi pensieri, la sua spiritualità. Inoltre, Nigrizia si era lanciata in settore molto vivo a Bologna: la musica sacra. Eravamo all’epoca del Concilio Vaticano II, e soprattutto con la chiesa dei Servi si erano pubblicati diversi canti religiosi, dato che allora entrava per la prima volta la messa in lingua italiana. Dunque l’editrice era diventata il punto di riferimento per tutto un impegno liturgico che era in grande fermento ed evoluzione, ad opera soprattutto (oltre naturalmente che al card. Lercaro) di mons. Baroni.
Nigrizia era anche diventato il punto di riferimento per un altro movimento che stava nascendo allora, quello relativo agli scritti di Raoul Follereau. Pubblicò le sue opere in italiano e sostenne l’attività di quel gruppo che poi divenne associazione di aiuto ai malati di lebbra nel mondo e poi l’ONG di cooperazione sanitaria nota come AIFO
[2], con la quale continua ad esserci un ottimo rapporto.
Ha avuto poi altri agganci legati al territorio. Per esempio ha pubblicato libri sulla santa di Bologna: santa Caterina da Bologna. Dunque, le nostre radici, sono legate alla realtà bolognese. Questo ha determinato che nel 1973 i quattro istituti che volevano avviare l’esperienza della nuova casa editrice, l’Editrice Missionaria Italiana (EMI), decidessero di darle sede proprio qui, a Bologna. Questa è la nostra “preistoria”. Il legame della Emi con la città si è via via trasformato. Un altro fattore determinante per la scelta di Bologna è la collocazione geografica della città: così centrale che è di facile accesso da tutta Italia. Questo è stato molto importante dal momento che i soci, da quattro che erano inizialmente, sono diventati quindici, con sedi in zone diverse del paese.
L’Emi ha avuto legami meno forti con la città, rispetto a Nigrizia, perché si è allargata, ha esteso il suo raggio d’azione e ha sviluppato rapporti diversi in altre città. La dimensione interculturale per esempio, ha avuto un maggiore sviluppo a Brescia, grazie anche alla presenza dello CSAM. Per quanto riguarda l’ambito della cooperazione internazionale, lo sviluppo delle relazione è stato maggiore a Milano, per via della presenza e della collaborazione con Mani Tese. Insomma, abbiamo spaziato. Il legame sul territorio rimane, per esempio con la collaborazione con il Comune e in particolare il CD/Lei, sempre in campo interculturale, con la collaborazione con le ONG e le realtà direttamente coinvolte con il Sud del Mondo, con l’immigrazione e l’impegno missionario.
S.M. L’Emi è legata alla Rete Lilliput, anche a Bologna.
p. Ottavio: Sì, senz’altro. L’Emi è stata l’espressione editoriale di questo movimento sin dall’inizio, pubblicandone il primo libro intitolato proprio “La rete di Lilliput”. Anche noi siamo membri del nodo bolognese della rete. Lo appoggiamo perché ci crediamo, e crediamo soprattutto nel coinvolgimento della base, della cittadinanza attiva. Ci piacerebbe aver più contatti anche con altre agenzie del movimento no global, come Attac e altri, ma ci manca personale. Abbiamo rapporti occasionali, non continuativi.
Dal punto di vista civile, sarebbe importante avere maggiori legami col territorio bolognese. Le iniziative sono molte ma manca un’espressione editoriale no profit (come noi) che possa capirle e appoggiarle. Dal punto di vista religioso-ecclesiale, abbiamo cercato – attraverso il Centro Missionario Diocesano ed altri organismi – un dialogo che è nello stesso tempo entusiasmante e difficile. Entusiasmante perché proprio nella dimensione missionaria sono presenti le realtà più vive della chiesa. Difficile perché oggi sembra che prevalgano le iniziative occasionali o di solidarietà rispetto a un impegno continuativo e formativo. Comunque, siamo disponibili.
S.M. Come sono i cambiati i rapporti della Emi con la Chiesa bolognese, negli anni, dai tempi lontani del cardinal Lercaro?
p.Ottavio: Certo, le scelte, potremmo dire la politica, della Chiesa bolognese sono cambiate. Esistono altre realtà editoriali che collaborano maggiormente con la chiesa bolognese. Non sono mancati momenti di collaborazione: in occasione del Congresso eucaristico, abbiamo pubblicato insieme un fascicolo. In generale, sentiamo una certa difficoltà. È appena uscito il libro”Il vescovo del dialogo” su mons. Agostino Baroni, un bolognese che per molti anni è stato arcivescovo a Kartoum. La Presentazione di questo libro è a firma del nostro Cardinale.
Più in generale, stiamo assistendo ad un cambiamento profondo nell’ambito dell’animazione missionaria. Fino ad ora, l’animazione missionaria, fatta anche attraverso il libro, è sempre stata qualcosa “in più”, quasi marginale o parallelo - rispetto alla tradizionale pastorale della Chiesa. Qualcosa racchiuso in determinati eventi e momenti, in aggiunta rispetto alle attività “ordinarie” di chiese e parrocchie. Noi oggi stiamo scoprendo, anche motivati dal papa, che la “missione ad gentes” deve diventare il paradigma di ogni attività pastorale e di nuova evangelizzazione. Stiamo pertanto cercando di realizzare una produzione in cui la pastorale ordinaria, abbia in sé, come elemento costitutivo, questa dimensione missionaria, universale. Alcuni esempi: abbiamo pubblicato dei testi di religione per le scuole elementari e medie in cui la religione è proposta non più come valore da conservare, ma come ricchezza da condividere; abbiamo pubblicato alcuni libri in cui la Bibbia è letta, meditata, in chiave pluralistica, per uomini e donne calati in un mondo in cui pensano e vivono al plurale. Una Bibbia letta non solo come un libro di spiritualità per diventare migliori, ma come un entrare nel progetto di Dio, che è un progetto di vita, di libertà, e di dignità per tutti. Altro esempio: una collana intitolata “Comunicare il vangelo in un mondo che cambia”, in cui presentiamo testi che portano a riflettere in modo nuovo sulla fede. Il primo di questi libri è “Sarete miei testimoni”, e il secondo “Perseguiteranno anche voi” (una Chiesa che non è perseguitata… facilmente è una Chiesa che si adagia). E, infine, abbiamo iniziato un’altra collana “Scuola Biblica Parrocchiale” con testi di studio e di commenti biblici curati da Gianni Zaccherini, un bolognese che ha dedicato la sua vita a formare in ogni parte d’Italia gruppi Biblici. Ritengo che siamo alla vigilia di un nuovo dialogo, e non solo con la Chiesa bolognese ma con tutta la Chiesa italiana, proprio perché la missione ad gentes non sarà più vista come un momento saltuario, ma una realtà trasversale, che tocca tutte le aree e le dimensioni della vita ecclesiale.
S.M. Lei ha dato un’impronta molto forte alla Emi. E’ stata tra le prime case editrici italiane a sposare le cause della lotta contro la globalizzazione e lo strapotere delle multinazionali, che schiaccia i poveri della terra. Come è avvenuto questo percorso, tra queste 16 congregazioni che fanno parte della Emi?
p. Ottavio. Innanzitutto uno stimolo forte è venuto dalla Chiesa stessa, dal Concilio Vaticano II, con l’enciclica Gaudium et spes, in cui la visione del mondo è una visione positiva, in cui la Chiesa è chiamata a valorizzare tutte quelle realtà che portano a far sì che il mondo stesso diventi più vivibile e umano. Noi dunque ci siamo lanciati in questa prospettiva proprio come risposta alle indicazioni e alle attese del Concilio. Un secondo aspetto: dopo i “piani decennali di sviluppo” tipici del periodo ’60-70, che sembravano poter risolvere i grandi problemi del mondo, le grandi sfide dei paesi poveri, quando si è visto che tali piani decennali non solo non hanno risolto nulla ma anzi i problemi si sono aggravati, noi abbiamo sentito il bisogno di farci delle domande. PERCHÉ il sud del mondo al quale noi cerchiamo di portare la Buona Notizia, diventa sempre più invivibile, sempre più regno di povertà e sfruttamento, di ingiustizia, di conflitti atroci? Con l’aiuto di ONG e di centri come quello di Francuccio Gesualdi, abbiamo cercato delle risposte e di andare alla radice dei problemi. Ci siamo accorti che la radice dei problemi è nella cultura consumistica, del potere, del possesso delle cose, dell’accumulo, nella cultura insomma capitalistica, neoliberista, chiamiamola come vuoi, del Nord del mondo.
Lo sviluppo della riflessione teologica ha contribuito essa pure a dare un orientamento significativo alla nostra riflessione. Sono emerse e si sono sviluppate due dimensioni profonde. Primo: Cristo è venuto a salvare TUTTO l’uomo. Non esiste il corpo diviso dallo spirito, esiste la persona. Secondo: Cristo non è venuto a salvare solo la persona come in dividuo, ma è venuto per salvare l’insieme, la società. Ecco allora la necessità di un annuncio che tocchi tutta la persona, e la necessità di affrontare temi che portano ad un cambiamento non solo dell’individuo come tale, ma della realtà sociale nel suo complesso.
Proprio in questo senso abbiamo dato il via ad una serie di commenti biblici in cui emerge, come direbbe Zanotelli, la visione di un Padre/papà, che è il padre degli schiavi, dei crocefissi della storia. Da qui prendono il via libri come “L’impero svelato”, un commento all’Apocalisse in cui sono contrapposti i miti dell’impero (la pace romana e la pace biblica), di due autori che leggono l’Apocalissi in chiave di liberazione. O il libro “Essere pace”, un commento al vangelo di Giovanni, dove Dio entra nella storia perché l’uomo non solo persegua la pace, ma SIA pace, sia vicinanza. La pace biblica non è semplicemente assenza di guerra, è COMUNIONE, presenza. La croce diventa per noi allora il simbolo dell’unione tra terra e cielo, tra oriente e occidente. Essere pace è creare vicinanza. Il vangelo di Giovanni è proprio in questa prospettiva. Un altro libro in questa prospettiva teologica è “Solleva lo sguardo”, una presentazione e leggere l’Antico Testamento come un invito a sollevare lo sguardo e intessere nuovi rapporti. E quando questi nuovi rapporti non vengono intessuti, ecco allora emergere i profeti, che sono come fruste con cui Dio cerca di risvegliare il suo popolo, e pensa “eh, non è proprio così che me lo ero sognato, quando mi sono messo dalla sua parte facendolo uscire dall’Egitto!”.
S.M. padre Ottavio, mi racconti qualcosa della sua vita. Lei è nato ad Alberga, nel ’41. E’ stato alcuni anni a Bologna, poi 14 anni come missionario in Messico. Poi è tornato a Bologna.
p. Ottavio. Quando sono diventato religioso, ho chiesto che mi fosse concesso di lavorare nell’informazione. Pensavo che mi avrebbero mandato a Verona, alla rivista dei comboniani, Nigrizia. Invece mi mandarono qui, in un giorno del mese di luglio del 1967. Con la mia valigia, arrivai al Meloncello in autobus, dalla stazione. Era un bel periodo per la Chiesa bolognese. Ogni settimana facevo un corso di pastorale con don Dossetti. Ricordo molto bene quell’uomo che aiutava noi preti giovani, io avevo 26 anni, a riflettere sul Concilio Vaticano II, che era appena terminato. A riflettere su nuovi stimoli, sociali, politici, che poi sarebbero sfociati nei movimenti studenteschi del ’68-69. Sentivo in quel tempo che la nostra attività editoriale era molto limitata. Nigrizia aveva dei libri significativi, di Raoul Follereau, ma niente di più, praticamente. Molti compravano i nostri libri soprattutto per fare un’offerta alle missioni. E così, cominciai a darmi da fare con persone significative, come mons. Enrico Bartolucci, divenuto poi vescovo di Esmeraldas, padre Gardini, saveriano, p. Franco Cagnasso del Pime, p. Ersilio D’Errico della Consolata, e altri… per mettere a fuoco la necessità e il modo per dare vita a qualcosa di diverso, di nuovo. Così decidemmo di far nascere l’editrice EMI. Il periodo sperimentale, iniziato il 2 aprile 1973, andò bene con buoni risultati. Nei primi quattro anni di vita, giuridicamente faceva capo ai comboniani, nel 1967 si costituì in cooperativa.
S.M. Quindi lei ha passato un bel pezzo della sua vita qui a Bologna!
p.Ottavio. Eh sì, 12 anni la prima volta, poi dopo il Messico, sono già altri 10. Su 36 anni come prete, 22 li ho passati qui.
S.M. Ama questa città? (…può anche dire di no!)
p.Ottavio, beh, a me interessano più le persone, quindi io amo più i cittadini che la città o le strutture o le cose!
S.M. Cosa le piace dei bolognesi?
p. Ottavio. Due cose mi sembra, fondamentalmente, siano molto belle: la prima, una certa immediatezza, spontaneità, il loro modo di parlare senza paure o chiusure; e poi, a me il bolognese sembra una persona accogliente, aperta. Sono contento che l’Emi abbia la sua sede a Bologna. Ritengo che Bologna potrà essere sempre di più non solo Città Europea della Cultura, come è stata nell’anno 2000, ma una città mondiale, culturalmente planetaria. Sempre cosmopolita. Peccato che la presenza di studenti di altri Paesi, nella nostra Università, non sti8a crescendo, anzi, stia diminuendo!
S.M. Mi ha accennato a due personaggi forti della nostra Chiesa locale, don Giuseppe Dossetti e don Arrigo Chieregatti. Ci sono altri ricordi forti che ha dell’epoca conciliare: persone, luoghi, eventi?
p.Ottavio: Ce ne sarebbero tanti! Ricordo una volta in cui feci una notevole imprudenza! A me interessava far uscire prima possibile un commento sul nuovo rito della Confessione, della Riconciliazione, e riuscii ad avere del materiale tradotto in italiano da una persona che faceva parte della Commissione Riconciliazione. Così lo pubblicai immediatamente. Venne a saperlo il card. Poma e mi fece telefonare dal suo segretario, una sacerdote ancora vivente, mio amico, il quale mi diede …una bella batosta! Infatti il libro venne venduto, ma non un granché perché non ebbe le necessarie presentazioni ufficiali. Io avevo agito approfittando di una conoscenza, ma non era il modo corretto all’interno dell’istituzione. In generale i problemi che esistono con gli altri hanno sempre una radice non secondaria nei nostri atteggiamenti e scelte! Poi ci sono state tante belle esperienze, di tanti incontri , al teatro dell’Antoniano, per esempio, con Aifo dove ha parlato più volte Raoul Follereau. Incontri con parrocchie, con il Cefa, in diverse Feste di quartiere o di partiti. C’era un bellissimo clima culturale, simile a una realtà nuova in costruzione. Una grande vitalità. Vi erano personaggi politici che avevano una grande visione profetica della storia. Bersani ad esempio fu impegnatissimo per far approvare la convenzione di Lomé da parte della Commissione Europea. Quando nel 2000 ho visto le tante iniziative di Bologna come Città europea della cultura, ho gioito. Ho sognato che ritornasse, anche se in modo diverso, la vitalità di allora.
S.M. I movimenti che ci sono adesso, non le danno una sensazione di vitalità?
p. Ottavio. Oggi secondo me, si sente la mancanza dei giovani nelle istituzioni. Le persone cui mi riferivo, preti o politici, allora erano giovani. Adesso mi sembra che ci sia meno ricambio, allora c’era meno calcolo, più immediatezza, quasi un bisogno di lanciarsi verso il nuovo. Ci sono oggi iniziative interessanti ma, non so, la mia impressione è che manca vivacità, creatività. Spero di sbagliarmi.
S.M. Padre Ottavio, vorrei chiederle di spendere qualche parola sul lavoro di don Contiero.
p. Ottavio. Don Contiero lo conosco da molti anni. Lui è un uomo che ha saputo fare un passo dopo l’altro, un passo dopo l’altro, sempre nella stessa direzione. Che ha creduto. Ha creduto nei giovani. E loro infatti gli sono ancora molto legati. Gli vogliono bene come un papà. Si preoccupano che prenda le medicine che devono prendere… e questo mi fa invidia perché mi domando se quando sarò vecchio avrò qualcuno che mi cura come i giovani curano don Contiero. La sua presenza all’interno dell’università bolognese, non è mai stata una presenza moralistica. E’ stata sempre propositiva, di apertura al nuovo. 30 anni fa, appena morto don Milani, lui già faceva gli incontri all’università su don Milani! E poi i viaggi in Africa… Lui davvero è stato un uomo giovane dentro, aperto, uomo del dialogo. Quanti libri di politica aveva nella sua biblioteca! Lui sapeva leggere il Vangelo incarnandolo nello spirito del nostro tempo. Lui, possiamo definirlo anche come battitore solitario, ma è stato ed è un grande uomo, che ha lasciato una traccia profonda. Basta vedere i giovani che lo hanno seguito e che lo seguono. E oggi, pur non potendo più fare delle iniziative, quando lo incontri e gli parli delle sfide del mondo d’oggi, oppure gli parli di qualche persona che ha conosciuto, gli si illuminano gli occhi. E non ti chiede bazzeccole. La sua prima e insistente domanda è sempre su qualche missionario, sull’Africa, sui giovani.
S.M. Mi ha detto che vuole partecipare ai festeggiamenti per il Ramadan. Come pensa di farlo?
p. Ottavio. Siamo ormai alla fine del Ramadan, so che i festeggiamenti in città saranno molti. A Bologna ci sarà a dicembre un incontro tra cattolici, protestanti, musulmani, alla chiesa Valdese, ma ho l’impressione che questi incontri siano ad un certo livello, e non coinvolgano la base. Sogno invece qualcosa che coinvolga la gente. E che di questi incontri ve ne siano molti in Italia. A Modena c’è stato un convegno di studi sui rapporti cristiano-islamici promosso dalle ACLI. A Carpi, Brunetto Salvarani, porta avanti il discorso sul dialogo cristiano islamico. Nella nostra regione ci sono molte iniziative al riguardo. Che tali iniziative non manchino nella nostra città e che siano gesti significativi, di dialogo; gesti realizzati insieme.
S.M. Come rispondono i bolognesi agli appelli lanciati dalla Emi, in generale: finanza etica, globalizzazione, dialogo interreligioso…? Rispetto alle altre città in cui lavorate voglio dire.
p. Ottavio. Certo il consumismo è aumentato anche qui, come ovunque. Ma grazie alla schiettezza dei bolognesi, io credo e spero che vi sia spazio per lo sviluppo di gruppi per realizzazione di ciò che noi chiamiamo nuovi stili di vita. Vi sono molti fermenti, nonostante manchino gli stimoli: a livello sociale, politico, anche religioso. Dicendo che mancano gli stimoli a livello istituzionale sono molto ottimista! Vorrei dire a chi ha responsabilità di riflettere bene sulle conseguenze negative che può avere un tale tipo di chiusura! Una cosa importante però, su cui voglio aggiungere qualcosa parlando di Bologna, è l’aspetto scolastico. In tutta Italia la scuola è l’ambiente in cui vi è maggiore apertura all’interculturalità, ma a Bologna ci sono stimoli maggiori. Il CD/Lei senz’altro è molto positivo in tal senso, ma anche le scuole singolarmente, gli insegnanti vengono qui a titolo personale, a cercare materiale. Molti nostri libri sono nati nella scuola bolognese (per esempio tutta la serie del “Lessico”: cinese, urdu, serbo-croato, albanese…). Io credo che nella scuola qui, statale e locale, anche privata, vi sia un’attenzione particolare alle tematiche dell’incontro. E questo dà speranza. Perché è lì che sono i giovani, e dove avviene l’incontro tra il nativo, e l’immigrato.
Per ulteriori informazioni sulla casa editrice si veda
http://www.emi.it/
[2] L’associazione ha sede a Bologna, pubblica il mensile “Amici dei Lebbrosi”, celebra la Giornata Mondiale dei Malati che cade ogni anno l’ultima domenica di gennaio. Per ulteriori informazioni si veda
http://www.aifo.it/www.silviamontevecchi.it/storiebolognesi/pOttavio.htmHome pageAltre "Storie bolognesi""©SilviaMontevecchi