Nel 2009 la presidenza del G8 spetterà all’Italia. In vista del summit che dovrebbe tenersi alla Maddalena la campagna di mobilitazione della società civile sarà coordinata dalla ong toscana Ucodep insieme ad Oxfam International (la più grande ong del mondo). Una bella soddisfazione per tutta la Toscana, ma anche una grande responsabilità per gli organizzatori in un’epoca in cui solo i disordini fanno notizia. Il primo impegno sarà garantire il carattere pacifico della mobilitazione. Prevenire la violenza non è un obiettivo impossibile: lo ha dimostrato il Social Forum di Firenze davanti agli occhi del mondo. Ma in che contesto si svilupperà la campagna internazionale? Il G8 sta per compiere il suo trentatreesimo compleanno, ma anche se il numero 33 evoca numerosi significati simbolici - non ci sarà molto da festeggiare. I summit G8 - sempre più incapaci di risolvere le sfide che attraversano il mondo - si limitano ad offrire un palcoscenico mediatico ai potenti di turno. Il G8 è innanzitutto logoro per la sua composizione: dal “club dei Grandi" sono esclusi il Brasile, l’India e la Cina, con i loro 2 miliardi e 634 milioni di cittadini. Se il G8 sembra aver perso la sua funzione, anche la spinta della società civile pare completamente esaurita. Il Social forum di Firenze e le sue bandiere per la pace sono un ricordo sbiadito, come se appartenessero ad un'altra epoca storica. 5 anni fa a Firenze sembrava tutto più semplice. Molti studiosi - sbagliando - pensavano che il mondo stesse diventando sempre più unipolare e che i processi di globalizzazione avrebbero consolidato il predominio degli Stati Uniti. Quella previsione era profondamente sbagliata tant’è che negli studi internazionali si usa sempre più spesso l’espressione “mondo post americano” (anche se gli USA conservano la loro primacy militare). Gli slogan no global sono passati di moda perché i giovani si sono trovati dinanzi una realtà diversa da quella che gli era stata raccontata ai Social Forum. Oggi il mondo è sempre più multipolare, pieno di contraddizioni, molto più complicato da decifrare. Chi non ne fosse convinto legga le cronache di questi ultime settimane. Lula chiede un fondo mondiale di 21 miliardi di dollari per interrompere la deforestazione dell’Amazzonia (il più grande polmone del mondo) perché gli agricoltori brasiliani hanno, viceversa, necessità di terre da coltivare. E che dire dell’India? A Doha la più grande democrazia del mondo sfida frontalmente l’Occidente facendo saltare gli accordi commerciali del WTO, ma negli stessi giorni firma un accordo con gli Stati Uniti per rafforzare il proprio arsenale nucleare nel tentativo di controbilanciare l’ascesa della potenza cinese. L’Iran risuscita l’antico fronte dei paesi non allineati (30 anni fa prediletto da Tito) coinvolgendo 118 paesi nel supporto alle
proprie ambizioni nucleari. Contemporaneamente la Conferenza Islamica rivendica un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza e la Serbia sostiene di aver convinto la maggioranza dei membri ONU a contrastare l’indipendenza del Kosovo. Passano pochi giorni e la Russia affianca alla potentissima Gazprom (l’azienda di stato per il gas e il petrolio) una nuova società pubblica per l’esportazione di grano nella speranza di garantirsi un’analoga influenza nel commercio internazionale dei cereali; tutto ciò avviene mentre Putin spedisce bombardieri, armata rossa e cosacchi a stroncare sul nascere le azzardate avventure dell’esercito georgiano nell’Ossezia del Sud. Ultima - e questa volta ottima - notizia della settimana: il Pentagono nega al Ministro Barak il permesso di sorvolare i cieli dell’Iraq, bloccando la tentazione israeliana di bombardare l’Iran. A chi non è bastata la cerimonia olimpica di Pechino queste scarne note di cronaca parlano chiaro: qualcosa di profondo è mutato negli equilibri di potere del pianeta. Ma sinora l’impostazione culturale “neoidealista” ha impedito ai movimenti ed agli intellettuali no global di cogliere l’importanza di questi mutamenti sistemici. I loro manifesti si limitano a citare gli obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite, ma non si domandano se, come, quando e soprattutto chi sia in grado di raggiungerli. Si dimentica insomma che il successo delle politiche dipende, innanzitutto, dalla politica; la complessa attività umana in cui si intrecciano: ambizioni dei leader e rivalità tra gli Stati, competizione tra interessi economici, ricerca tecnologica e sfruttamento delle risorse naturali, mobilitazioni sociali e forza delle idee (e della comunicazione). Per non alimentare illusioni sarà bene che Ucodep ed Oxfam - prima di lanciare la campagna per il G8 alla Maddalena - stimolino tutti i soggetti- le università in primis - a compiere analisi aggiornate sulle complesse dinamiche politiche che influenzano gli equilibri del mondo. Studiare queste dinamiche è indispensabile se vogliamo comprendere le cose che non ci piacciono. Non ci piacciono la povertà, i prezzi fuori controllo, le carestie, le catastrofi ambientali, le crisi finanziarie, il terrorismo, il Caucaso o la Somalia in guerra… Ai giovani non piace questa drammatica turbolenza; allora perché i ragazzi no global sono spariti insieme alle migliaia di bandiere della pace? Al Social Forum di Firenze erano in tanti e c’era tanta voglia di fare; poi è subentrata la delusione: impotenza fisiologica quando la retorica scambia “il dover essere” con “la realtà dell’essere”. Eppure, al netto delle frasi fatte, dei mille stereotipi, della demagogia antiamericana - i ragazzi in marcia nel 2002 erano portatori di un nocciolo di verità: l’allarme rosso sul futuro del pianeta. La campagna per il prossimo G8 a presidenza italiana potrebbe utilmente raccogliere questo allarme. Questa volta, però, evitiamo le illusioni razionalistiche (come se bastasse aver ragione o trovare le ricette giuste per risolvere i problemi del mondo). Il nostro pianeta - per quanto globalizzato ed interdipendente - è ancora animato dall’interagire degli interessi nazionali degli Stati e dalle ambizioni politiche, economiche (e talora religiose) delle rispettive leadership. E accanto agli Stati si muove un numero crescente e rilevante di attori non statali: dalle grandi corporation multinazionali alle comunità scientifiche, dai media tradizionali alla galassia del web, dai gruppi terroristici e della criminalità organizzata alle grandi ONG transnazionali (Oxfam compresa). Senza cogliere le mille interazioni tra questa molteplicità di forze, senza approfondire le dinamiche di potere tra gli attori ricadremmo facilmente in una nuova miopia culturale. Miopia che può esprimersi in tante forme diverse: dalla ingenua retorica cosmopolita del “cittadino del mondo” alla chiave iperlocalista sia essa declinata nella versione “first local!” del progressista Vermont o in quella più gretta del municipalismo leghista. Allora che fare? Cominciamo con l’invitare i giovani, il mondo accademico e le associazioni non governative di tutti continenti (non soltanto noi, “soliti noti” occidentali) a studiare e pensare "sine ira ac studio" il futuro del mondo. E smettiamola di favoleggiare su un mondo privo di convenienze economiche, ambizioni di potere, orgoglio nazionale e passioni identitarie. L’interrogativo è come e a che cosa applicare la forza delle ambizioni e la voglia di primeggiare? Nell’incerto futuro ecologico del nostro pianeta, i popoli, i territori - non ultime le città - sentiranno sempre più forte la voglia di sopravvivere (che è anche la più intensa delle energie vitali). Per le città (se non vogliono
diventare i killer del creato) l’imperativo sarà quello di rivoluzionare la propria organizzazione urbana in modo da ridurre drasticamente l’inquinamento, promuovere il risparmio energetico, privilegiare le fonti rinnovabili, creare nuovi parchi e aree verdi. Una rivoluzione che dagli infissi delle finestre e dall’impianti di riscaldamento della nostra casa si irradia a mille altri aspetti della vita urbana: la riscoperta della bicicletta, le city car per i taxi, l’uso intelligente del web 2 nelle pubbliche amministrazioni, l’utilizzo sociale dei prodotti alimentari in scadenza nei negozi dell’ Unicoop, ecc,ecc... Con tante azioni combinate la città eco sostenibile potrà finalmente privilegiare la qualità della vita dei suoi cittadini contribuendo alla riduzione delle emissioni nocive. Peccato che - a differenza di Friburgo - sino ad oggi Firenze non abbia ambito a diventare la capitale mondiale delle città eco sostenibili. Ecco la missione del nuovo sindaco. All’unica persona che ha avuto il coraggio di dichiararsi, Daniela Lastri, ma anche agli altri esponenti PD di cui si sussurra, Vannino Chiti, Graziano Cioni, Matteo Renzi e Lapo Pistelli chiedo: non sarebbe l’ora che Firenze diventi una città meno grigia (non solo per lo smog) e più ambiziosa? A Denis Verdini ed ai suoi collaboratori di centro destra un invito ad evitare che come al solito Tremonti non si metta di mezzo e tiri fuori i fondi per la legge speciale da utilizzare a questo scopo. Oggi passeggiando nel caos del centro è difficile crederci, ma Firenze potrebbe davvero candidarsi al ruolo di capitale mondiale delle città eco sostenibili diventando così lo spazio urbano (e la vetrina) dove sperimentare le più avanzate scoperte scientifiche ed imprenditoriali del mondo. La città ne ha il pieno diritto in nome del proprio peculiare umanesimo che ne fece dal 15° secolo una grande capitale, aperta e creativa. Da qui si irradiò in tutta Europa il Dna della civiltà moderna nel gusto, nella scienza, nelle arti, nell'economia e nella politica. Nel secolo post americano la fragile identità europea può ricercare le proprie radici nell'apertura culturale dell’umanesimo fiorentino al di là dei retorici richiami al cristianesimo ed all’illuminismo in cui da opposti fronti si pretende di definirla e circoscriverla.
(da una mail di Marco Meyer)
piccola aggiunta personale: fu in questa occasione che Oriana Fallaci aveva predetto la distruzione di Firenze da parte dei no global, sbagliando in pieno la previsione...
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