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mercoledì 27 agosto 2008

Intervista a padre Ottavio, un'integrazione

Di seguito riporto una mail di padre Ottavio, inviatami per completare l’intervista di Silvia Montevecchi pubblicata qualche post fa…

Ho riletto l'intervista che hai riportato sul tuo blog e che avevo rilasciato a Silvia Montevecchi alcuni anni fa. Ti ringrazio per averla tirata fuori dal cassetto.
Oggi, riconfermando il contenuto, credo che l’intervista sia incompleta senza quest’altra domanda: Quale la risposta dell'EMI alla realtà dell'immigrazione?
Se mi venisse posta, ricordando esplicitamente il titolo dell’intervista (Una chiesa per la globalizzazione dei diritti), risponderei così: Il popolo d'Israele faceva difficoltà ad accettare gli altri popoli che erano chiamati "cani". I cristiani italiani oggi hanno la stessa difficoltà e, di fatto, la condividono con le realtà socio-politiche del nostro tempo. Pertanto gli immigrati sono chiamati "stranieri", "vu cumpra", "spazzatura", “negri” o peggio ancora.
Nel mondo ebraico il profeta Isaia sogna il giorno in cui tutti i popoli verranno con gioia al monte di Gerusalemme (Is. 56,6-7). L'EMI condivide questo sogno dando spazio agli immigrati con libri come "Non chiamatemi uomo di colore" e favorendo con alcune sue collane una scuola in cui la storia, la geografia e non solo, vengano insegnate in chiave interculturale.
Non è sufficiente dare all'immigrato la possibilità di esprimersi. È necessario che qualcuno lo ascolti e per questo urge formare le nuove generazioni a una nuova lettura della storia, della geografia e di quanto altro contribuisca a scoprire che senza l'altro siamo più poveri.
Non è ammissibile che in una chiesa, in una domenica qualsiasi, ci tocchi ascoltare la seguente preghiera: "Preghiamo perché gli immigrati vengano accolti nel rispetto delle regole". L'EMI vuole favorire una mentalità che va al di là di quelle regole che vengono fatte sempre dal più forte. L’EMI vuole mettere al centro la persona in quanto tale proprio come ha fatto Paolo quando ha rimandato a Filemone lo schiavo Onesimo che era fuggito e che quindi, in base alle regole, doveva essere ucciso. Lo rimanda chiedendo a Filemone di accettare Onesimo già non più come schiavo ma come fratello.
Dopo 27 anni ho appena lasciato la direzione dell'EMI ed ora mi trovo a Pesaro per una presenza sul territorio dell'intera regione Marche.
Non è una casualità che i primi tre impegni che affronterò in questi giorni, siano in sintonia con questa prospettiva: l'incontro con le associazioni che fanno capo al Centro Interculturale della Pace (CIP), la partecipazione, a Porto Sant'Elpidio, al convegno su "L'insegnamento interculturale della storia e della geografia" e l'organizzazione per la partecipazione a Roma i giorni 4 e 5 ottobre alle manifestazioni conclusive della Carovana della Pace organizzata dalle forze missionarie presenti in Italia.
Oggi è questa la priorità delle priorità nella nostra società in cui si è tentati di cercare il proprio vantaggio personale individualistico e in cui stiamo perdendo il senso del dissenso che richiede spazi di azione che non sono in sintonia con quelli della maggioranza civile o religiosa. Scriveva Nadia Urbinati (La Repubblica 20/08/08): “Commissioni bipartisan nascono ogni giorno. Servono ad abituarci a pensare che l’opposizione deve saper essere funzionale alla maggioranza, diventare un’opposizione gradita alla maggioranza”. L’EMI non ha mai voluto e mi auguro che mai voglia questo.
Possiamo continuare a parlarne.
23 agosto 2008
p. Ottavio Raimondo

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