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venerdì 4 settembre 2009



"Conta le stelle se puoi", una saga ebraica al premio Campiello


Intervista alla scrittrice Elena Loewenthal


Il 3 settembre del 1962 il romanzo La Tregua di Primo Levi si aggiudicava il Campiello nella prima edizione del premio voluto dagli Industriali veneti. Quasi mezzo secolo dopo il mondo ebraico torna alla ribalta del più prestigioso riconoscimento letterario italiano che sarà assegnato domani sera con una cerimonia alla Fenice. Nella cinquina dei finalisti siede infatti Elena Loewenthal (nell'immagine), che ha conquistato il cuore di tantissimi lettori con il suo Conta le stelle se puoi (Einaudi, 263 pagine, 17.50 euro) in cui la scrittrice, traduttrice e studiosa torinese, grande esperta di cose ebraiche, narra la saga di una famiglia ebraica piemontese partendo dal giovanissimo Moisè che a fine Ottocento lascia il paesino con il suo carretto di stracci. Una saga, quella dei Levi, che sfugge al destino della storia grazie a uno scarto surreale dell’autrice che immagina la morte del Duce donando così alla famiglia lunga vita e prosperità.
La traiettoria da La Tregua, che narrava il ritorno a casa di un reduce dai campi di sterminio, a Conta le stelle se puoi, che per lo spazio di un romanzo estromette dalla Storia la Shoah, descrive un arco di grande suggestione (e non a caso il riferimento di Loewenthal all’opera di Primo Levi è costante). Snodo centrale di questo percorso, la diffusione in Italia della cultura ebraica e della letteratura israeliana, fenomeno di cui Elena Loewenthal è stata una dei grandi protagonisti. "Venticinque anni fa – racconta – i libri israeliani non arrivavano nemmeno sui tavoli egli editori. Poi c’è stato l’exploit com’era avvenuto in precedenza anche in altri paesi europei e negli Stati Uniti. Pensiamo ad esempio cos’hanno significato per la letteratura americana autori come Bellow, Malamud o Roth".
Perché l’Italia si è accorta della letteratura israeliana più tardi degli altri?
Abbiamo forse una vocazione più provincialistica. Poi conta il fatto che la nostra realtà ebraica è numericamente piuttosto ridotta.
Come si spiega il boom editoriale degli scrittori israeliani? Una moda passeggera o qualcosa di più profondo?
E’ un bisogno culturale. Vi è un forte interesse del pubblico per la realtà ebraica, percepita al tempo stesso come vicina e lontana. Quando il lettore si avvicina alla Bibbia o a certi autori scopre infatti delle affinità profonde perché la cultura ebraica è alla base della nostra civiltà quanto la cultura classica. Con l’unica differenza che la Bibbia di solito non viene insegnata nelle scuole. Questa familiarità si accompagna a una sensazione opposta perché il mondo ebraico risulta, in certo suo modo di ragionare o in certe espressioni, portatore di estraneità.
Il suo lavoro e la diffusione della cultura ebraica in Italia sono strettamente intrecciati.
Sono due percorsi paralleli. Sono cresciuta in una totale integrazione con la società circostante. Finché a 12 anni ho sentito il bisogno di recuperare la mia identità ebraica. Ho iniziato a chiedere ai miei e a studiare. E’ stato un impulso forte e doloroso che nel corso del tempo mi ha portato alla scoperta della cultura ebraica, allo studio dell’ebraico biblico e alle traduzioni, perché per me il tramite è stata la lingua, all’attività di divulgazione e alla narrazione. Ho sempre avuto modo di lavorare spinta da una profonda motivazione.
Il che è una fortuna immensa.
Senz’altro. La mia vita professionale, le mie riflessioni, sentimenti ed emozioni s’intrecciano in modo profondo. Dei ragazzi mi hanno chiesto un giorno cosa succede se capita di fare esattamente ciò che si desidera. Ho risposto che a me accade ogni giorno, con gioia e divertimento.
Che rapporto c’è fra tradurre e narrare?
Sono due aspetti diversi della scrittura che per me procedono in parallelo e mi piacciono egualmente. La traduzione mi dà grande slancio. Quand’ho finito di tradurre "Storia di amore e di tenebra" di Amos Oz ho pianto. Avevo la certezza che mai mi sarebbe capitata di nuovo un’esperienza così profondamente coinvolgente. Poi fra traduzione e narrativa vi è un rapporto osmotico. Devo molto alla scrittura di traduzione nella ricerca di una non sciatteria della lingua.
Cosa c’è ancora da scoprire della letteratura ebraica?
Molto. Tutto Agnon, ad esempio. O gli autori che compongono il background della scrittura ebraica, ad esempio Bialik.
Veniamo a "Conta le stelle se puoi" che al Campiello ha ottenuto l’unanimità della giuria dei letterati. Perché la decisione di eliminare la Shoah dalla storia?
Noi generazioni successive non possiamo darne una testimonianza diretta. L’unica via per fuggire da questa nostra inadeguatezza è rassegnarsi al silenzio, il che non vuol dire eliminare la Shoah dalla memoria e dall’educazione. Basta però con le testimonianze indirette e con la teoria. Per avere un sussulto emotivo o emozionale è sufficiente Primo Levi. Negli ultimi anni quando mi invitano a parlare di quanto è accaduto propongo proprio la rilettura di alcune sue pagine.


Daniela Gross


tratto da L'Unione informa, periodico telematico dell'UCEI - Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (per contatti info@ucei.it)

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