Dall'amico Enrico Peyretti ricevo e pubblico
sorella maria
Spiritualità e storia -- Eremita, in compagnia senza confini
Nella storia della spiritualità del Novecento sta emergendo una singolare figura di donna, sorella Maria dell’eremo di Campello (antico convento francescano tra Spoleto e Foligno). La sua vita, i suoi dialoghi, le sue ampie importanti relazioni vengono un po’ alla volta scoperte, studiate e documentate, al di là della cerchia delle conoscenze dirette. Una preziosa pubblicazione recente è la sua corrispondenza con don Primo Mazzolari, il prete scrittore e predicatore determinante nel fermento cattolico che sfociò nel concilio. Mariangela Maraviglia, l’attenta curatrice di questo carteggio (L’ineffabile fraternità, Ed. Qiqaion, Bose 2007, pp. 377, € 23,00) ha parlato di sorella Maria a St. Jacques il 17 agosto, invitata dalla Baita Albese e dagli amici che vi frequentavano don Michele Do, fino alla sua morte nel 2005, spirito ardente che fu in intensa comunicazione con l’eremita Maria. Riferisco brevi note (con piccole aggiunte mie) dalla lezione di Mariangela Maraviglia, che la pubblicherà in un più ampio studio.
Valeria Pignetti (1875-1961) nasceva a Torino in ambiente liberale mazziniano. Il padre, non credente, le trasmise grande sensibilità morale. Valeria amava la natura più che la preghiera in chiesa. Ascoltò padre Semeria. Si fece suora tra le Francescane missionarie, ma a 44 anni ne uscì per costruire una libera fraternità cristiana, di vita semplice, senza alcuna istituzione né regola (come avrebbero voluto anche Francesco e Chiara). Non regole, ma «consuetudini disciplinate» servivano all’armonia del piccolo gruppo, per realizzare il «sacrum facere», cioè per rendere sacro ogni gesto e azione della vita quotidiana comune: pregare, memorizzare brani e salmi, fare il pane, filare e ricamare, camminare in fila (metafora del cammino comune della vita), ammirare la natura nelle sue stagioni, vivere con tenerezza la compagnia degli animali, leggere insieme a veglia, tenere la corrispondenza.
Fu una piccola realtà, «minore»: non più di sette sorelle, umili, incolte, soltanto alcune colte, due di loro non cattoliche. Maria ristruttura quel convento, fa abbattere una chiesa barocca in disarmonia con il resto. Attorno alla comunità si forma una cerchia di fratelli e sorelle “non conviventi”, alcuni dei quali sono protestanti o non credenti, e continue visite di ospiti, «amici o contrari», in cerca di pace. Maria, malata alla vista, detta le lettere ad Agnese. Dal 1928 al 1947 ha una corrispondenza con Gandhi (17 lettere di Maria, 10 di Gandhi, più altre tra persone delle due rispettive comunità, pubblicate pro manuscripto presso l’eremo nel 1991). Il gandhiano Lanza del Vasto visita l’eremo e vi manda discepoli. Tra i tanti corrispondenti dell’eremo, oltre Mazzolari, sono Aldo Capitini, Giovanni Vannucci, David Turoldo, Michele Do, Ernesto Buonaiuti, Albert Schweitzer, don Orione, Ambrogio Donini (comunista, senatore, storico del cristianesimo, di cui Maria ha grande stima). La sorella si prende cura di giovani preti inquieti e sensibili, tra cui Michele Do e altri che invece lasceranno la chiesa. Fu eremita, Maria, ma tutt’altro che solitaria, tessitrice di una ricca tela di «amicizie senza confini», e di correnti vivissime.
Ogni fermento di vivacità spirituale, di interiorità e intelligenza, di senso storico, di apertura ai tempi, nella chiesa cattolica cadeva allora sotto la condanna del “modernismo” (enciclica Pascendi, 1906). Questa cappa pesò sulla chiesa fino agli anni ’20-’40 del Novecento. Il protestantesimo era il nemico della verità cristiana. I protestanti potevano “ritornare” alla vera chiesa, ma i cattolici non potevano avere dialogo con loro (enciclica Mortalium animos, 1928). Censure, scomuniche, durissimi ostracismi personali schiacciavano ogni movimento. L’eremo di Campello vive in questo clima. Il vescovo locale vieta di accedervi e proibisce che vi si celebri la messa. Il divieto viene tolto nel 1950 dal nuovo vescovo Radossi.
Gli scritti di sorella Maria sono soltanto lettere, più due fascicoli di detti, raccolti da una sorella. Maria non elabora teorie. Le sue lettere sono sapienza per frammenti: parla della vita quotidiana, con intuizioni di grande intensità. La sua spiritualità è ecumenica, nelle chiese, oltre le chiese. Scrive, in una lunga franca lettera a Pio XII, il 21 giugno 1942: «Ho bisogno di più largo respiro». Si dice “pancristiana” (termine condannato dall’enciclica del 1928). In una lettera del 1924 dice che la chiesa è la comunione di chiunque crede, spera, ama. Si è tanto più cristiani quanto più uniti a tutti, quindi veramente “cattolici” (universali). Ha un rispetto particolare per la chiesa di Roma, la “chiesa madre”, in quanto «presiede all’amore» (Ignazio di Antiochia): in essa è l’elemento sostanziale, che è l’amare di più, perciò non può non essere in comunione con tutti i cercatori di Cristo, «un solo pane con i fratelli che cercano Cristo», «ma anche con il fratello israelita, o pagano, che crede, spera, ama».
Scriveva a Gandhi nel 1928 e1932: «Io sono creatura selvatica e libera in Cristo, e voglio con Lui, con te, con voi, con ogni fratello cercatore di Dio, camminare per i sentieri della verità». «Io sono riconoscente e in venerazione per la Chiesa della mia nascita e della mia famiglia, ma la chiesa del mio cuore è l’invisibile chiesa che sale alle stelle. Che non è divisa da diversità di culti, ma è formata da tutti i cercatori della verità». Gandhi, per lei è «pietra miliare verso la vastità del Regno».
Sorella Maria ha la «religiosità del cuore, l’unica che vale». Impara da tutte le grandi tradizioni religiose. Si definisce “panica”, nel senso di partecipe del tutto, vicina a tutti, a tutto. Percepisce una comunione universale, con un senso dell’infinito, oltre l’umanità, per ogni vita animale e vegetale, per il cosmo. Non si tratta di vaghezza, perché il suo orizzonte è chiaramente cristocentrico. Risponde ad un inquisitore: «Nel Cristo è tutto, egli penetra tutto, omnia in ipso facta sunt». Le creature rivelano Cristo, sono un raggio della sua bellezza. Questo “panismo” è definibile come un «cristocentrismo con irradiazione universale».
Da qui l’esigenza di purificazione della chiesa, di ecumenismo, di libertà e primato della coscienza. Nella lettera a Pio XII racconta che, nel 1927, trovandosi malata in pericolo di vita, il confessore le impose di abiurare la sua grande amicizia con Buonaiuti, lo scomunicato da evitare come un appestato. Maria gli rispose: «Ho sempre cercato di non tradire la mia coscienza. Non potrei farlo in quest’ora estrema». E aggiunge che il prete le diede ugualmente l’assoluzione.
Spicca, secondo me, tra le lettere a Mazzolari, quella del 13 dicembre 1949, in cui gli rimprovera l’accento polemico usato in una discussione con Quasimodo; riguardo a un prete “smarrito” afferma il dovere di rispettare la coscienza che «crede di trovare nell’eresia un maggior lume di vero», tanto più che dovrebbe bastare per fare umili noi cattolici «il tremendo fardello di assurdità costituita dal Vaticano, che è l’insieme di tutti i nostri gravami di stoltizia demoniaca».
Oltre tutte le gerarchie, i dissensi, le istituzioni e le dottrine, Maria cerca la «pura semplicità» e pensa che «nell’ora del vespro brillerà una luce, e tutto sarà chiarito».
Questi squarci su cuori umani semplici, illuminati, puri e nascosti, in cui vive lo Spirito di Dio che riempie tutta la terra e rinnova tutte le cose, rendono piccine e ridicole le beghe e pretese ecclesiastiche. Noi ne riceviamo un soffio di speranza nelle forze di vita che scorrono nel cuore della terra, come falde vitali invisibili, e resistono alle ondate di violenza, di dominio, di cecità che infieriscono anche oggi sul corpo dell’umanità, fino a che brilli una luce di giustizia, di misericordia e salvezza.
Enrico Peyretti, 18 agosto 2008, modificato il 22
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