OBIEZIONE DI COSCIENZA 2009
Giancarla Codrignani giancodri@alice.it
L'abrogazione del servizio militare obbligatorio ha di fatto cancellato dalla coscienza comune il valore dell'obiezione rispetto alla violenza, per molte ragioni ancora ineliminabile, delle istituzioni militari. Ricordo che solo la "leva" era un obbligo iscritto nella Costituzione e, quindi, un vincolo ineliminabile per chi avesse voluto uscire dal pensiero astratto di un ideale di pace e testimoniare la propria dissociazione dalle guerre. Oggi credo che i nonviolenti debbano considerare se non sia giunto il tempo di rinnovare la propria dissociazione da ogni tipo di violenza che sia imposta per obbedienza giurata a coloro che esercitano la professione militare. Anche in democrazia possono essere emanate disposizioni inique da eseguire, piaccia o non piaccia, per obbedienza militare: lo dimostra l'insulto all'umanità della normativa che ha reso l'immigrazione un reato contro i principi del diritto costituzionale italiano e della dichiarazione universale dei diritti umani. La nostra Marina sta eseguendo operazioni di guerra nei confronti di esseri umani, uomini, donne, bambini, che, inermi, chiedono aiuto nel bisogno e nel pericolo estremo.
Sono stata presidente della Lega degli Obiettori di Coscienza (LOC) e mi sono battuta per l'attuazione e, poi, il rinnovo della legge di riferimento. Oggi chiedo che si riprenda a ragionare sulla "coscienza" dei militari che sentono sulla propria pelle il disagio e la difficoltà di dover "essere cattivi" (parole del ministro Maroni) nelle operazioni di respingimento di richiedenti asilo: anche al militare professionista deve essere riconosciuto formalmente il diritto di rifiutarsi di eseguire ordini contrari ai diritti umani. Anche in Israele i "refusenik" hanno sfidato il carcere per non distruggere le case dei palestinesi e commettere atti di devastazione inumana. Forse è tempo che qualche parlamentare che eventualmente sia stato obiettore o che si consideri semplicemente nonviolento/a avanzi una proposta di legge al riguardo. Ma soprattutto è tempo che a tutti i livelli gli italiani e le italiane pensino alla coscienza con cui, se restano nella passività, si fanno complici della violenza inutile delle loro istituzioni.
lunedì 31 agosto 2009
SOLIDARIETA' A DON ALBINO BIZZOTTO.
Oggi, 31 agosto, si compie il 13° giorno di digiuno di don Albino Bizzotto,
prete di Padova, che pubblicamente protesta a Vicenza contro l'ampliamento
della base militare aerea Dal Molin, concessa dallo stato italiano alle
truppe americane. Nella stessa base troverà ospitalità anche un nuovo
organismo militare americano, destinato soprattutto al controllo militare e
politico dell'Africa.
Il decadimento della coscienza etica degli italiani, favorita e sostenuta
dall'attuale governo con leggi discriminatorie e di indole razzista, rischia
di far passare sotto silenzio la protesta, o addirittura di incriminare l'
iniziativa del sacerdote, ben conosciuto per il suo impegno con "Beati i
costruttori di pace". Noi rifiutiamo ogni discriminazione e ogni atto di
violenza contro i più poveri e più deboli. Rifiutiamo anzitutto ogni
strumento di guerra, in coerenza con la Costituzione italiana che "ripudia
la guerra come strumento di soluzione dei conflitti". Invitiamo ad allargare
la solidarietà per don Albino, partecipando, nei modi che ci sono possibili,
alla sua azione pacifica e non violenta.
Toni Revelli, prete torinese.
da una mail dell'amico Enrico Peyretti
Oggi, 31 agosto, si compie il 13° giorno di digiuno di don Albino Bizzotto,
prete di Padova, che pubblicamente protesta a Vicenza contro l'ampliamento
della base militare aerea Dal Molin, concessa dallo stato italiano alle
truppe americane. Nella stessa base troverà ospitalità anche un nuovo
organismo militare americano, destinato soprattutto al controllo militare e
politico dell'Africa.
Il decadimento della coscienza etica degli italiani, favorita e sostenuta
dall'attuale governo con leggi discriminatorie e di indole razzista, rischia
di far passare sotto silenzio la protesta, o addirittura di incriminare l'
iniziativa del sacerdote, ben conosciuto per il suo impegno con "Beati i
costruttori di pace". Noi rifiutiamo ogni discriminazione e ogni atto di
violenza contro i più poveri e più deboli. Rifiutiamo anzitutto ogni
strumento di guerra, in coerenza con la Costituzione italiana che "ripudia
la guerra come strumento di soluzione dei conflitti". Invitiamo ad allargare
la solidarietà per don Albino, partecipando, nei modi che ci sono possibili,
alla sua azione pacifica e non violenta.
Toni Revelli, prete torinese.
da una mail dell'amico Enrico Peyretti
domenica 30 agosto 2009
SMENTITA PREMIO PAPAGIOVANNI A CALDEROLI
pubblichiamo volentieri questa smentita, precisando che era stata pubblicata su facebook (e, dati i tempi...).
ci scusiamo con i reali organizzatori e con i lettori...
SMENTITA PREMIO ALL'ON CALDEROLI
COMUNICATO UFFICIALE DELLA PRESIDENZA
In riferimento alla notizia comunicata da alcuni mezzi d'informazione inmerito all'assegnazione del Premio Giovanni Paolo II all'On. Calderoli, notizia che riporta a tergo i riferimenti della nostra organizzazione,questa presidenza rende noto:
che nessun organo competente da noi delegato ne noi stessi abbiamo assegnato il suddetto riconoscimento. Per il nostro premio, i riconoscimenti speciali vengono assegnati a personaggi del mondo ecclesiastico e di quello laico, in confomita' di voleri con la Delegazione Pontificia per il Santuario di Pompei. A tutt'oggi, non è stato ancora fissato un incontro per stabilire il o i personaggi a cui assegnare il premio. Si tiene a precisare che l'organizzazione sopracitata denomina il suo premio con la seguente dicitura"Premio Internazionale Giovanni Paolo 2°" Questo è alla sua quinta edizione e si tiene a Scafati (SA), in data 17settembre 2009 (come letto nei comunicati). Mentre nel nostro caso, il premio ha come denominazione :"Premio Giovanni Paolo II"con sottotitolo PITTURA, SCULTURA, FOTOGRAFIA, POESIA. Nel marchio originale è citato il nome dell'ideatore ed è alla sua terza edizione. La cerimonia di Premiazione si terra' il 24 aprile2010 al Teatro Di Costanzo Mattiello di Pompei. Pertanto, ne questa Presidenza, né gli organi del premio conoscono i fini e gli scopi di eventuali ed ipotetici manifestazioni che si fregiano di questo nome. Si pregano inoltre gli organi di stampa tutti, che hanno riportato la notizia o che la riporteranno, ad attenersi rigorosamente ad un comportamneto deontologico corretto e professionale, che si informino della fonte originaria della stessa, onde non cadere in denunce, querele e risarcimento danni d'immagine. In ogni caso questa Presidenza, si tutelera' per via legale nei confronti di tutti coloro che hanno usato un'inerzia professionale nel riportare i nostri riferimenti come fonte ufficiale del premio. Tutelandosi anche da coloro che senza le giuste informazioni continuano o continueranno ad inviare sulla nostra posta elettronica mail discriminatorie, offensive e minacciose.
Pompei, 29 agosto 2009
Il Presidente del Premio
Pio Pinto
ci scusiamo con i reali organizzatori e con i lettori...
SMENTITA PREMIO ALL'ON CALDEROLI
COMUNICATO UFFICIALE DELLA PRESIDENZA
In riferimento alla notizia comunicata da alcuni mezzi d'informazione inmerito all'assegnazione del Premio Giovanni Paolo II all'On. Calderoli, notizia che riporta a tergo i riferimenti della nostra organizzazione,questa presidenza rende noto:
che nessun organo competente da noi delegato ne noi stessi abbiamo assegnato il suddetto riconoscimento. Per il nostro premio, i riconoscimenti speciali vengono assegnati a personaggi del mondo ecclesiastico e di quello laico, in confomita' di voleri con la Delegazione Pontificia per il Santuario di Pompei. A tutt'oggi, non è stato ancora fissato un incontro per stabilire il o i personaggi a cui assegnare il premio. Si tiene a precisare che l'organizzazione sopracitata denomina il suo premio con la seguente dicitura"Premio Internazionale Giovanni Paolo 2°" Questo è alla sua quinta edizione e si tiene a Scafati (SA), in data 17settembre 2009 (come letto nei comunicati). Mentre nel nostro caso, il premio ha come denominazione :"Premio Giovanni Paolo II"con sottotitolo PITTURA, SCULTURA, FOTOGRAFIA, POESIA. Nel marchio originale è citato il nome dell'ideatore ed è alla sua terza edizione. La cerimonia di Premiazione si terra' il 24 aprile2010 al Teatro Di Costanzo Mattiello di Pompei. Pertanto, ne questa Presidenza, né gli organi del premio conoscono i fini e gli scopi di eventuali ed ipotetici manifestazioni che si fregiano di questo nome. Si pregano inoltre gli organi di stampa tutti, che hanno riportato la notizia o che la riporteranno, ad attenersi rigorosamente ad un comportamneto deontologico corretto e professionale, che si informino della fonte originaria della stessa, onde non cadere in denunce, querele e risarcimento danni d'immagine. In ogni caso questa Presidenza, si tutelera' per via legale nei confronti di tutti coloro che hanno usato un'inerzia professionale nel riportare i nostri riferimenti come fonte ufficiale del premio. Tutelandosi anche da coloro che senza le giuste informazioni continuano o continueranno ad inviare sulla nostra posta elettronica mail discriminatorie, offensive e minacciose.
Pompei, 29 agosto 2009
Il Presidente del Premio
Pio Pinto
sabato 29 agosto 2009
IL PREMIO PAPA GIOVANNI A CALDEROLI?
Sperando che non sia uno scherzo...
Il 17 settembre il deputato leghista Roberto Calderoli ritirerà il premio “Giovanni Paolo II”. La motivazione riporta testualmente che il premio è stato assegnato al Deputato del Carroccio «per aver nella sua azione politica tutelato e promosso la sacralità della vita in armonia con i principi cristiani e con i valori ereditati dalla dottrina sociale della Chiesa Cattolica».
Riteniamo tale premio un affronto per i tanti Cristiani che quotidianamente portano avanti la loro testimonianza di fede, di solidarietà e di giustizia sociale.
Ricordiamo che Calderoli sposato nel 1998 con rito celtico è separato dalla prima moglie e ha più volte dimostrato la propria intolleranza nei confronti degli immigrati, degli islamici.
Invieremo le nostre rimostranze direttamente alla sede del premio:
A.M.I. Premio “Giovanni PaoloII”
Via Sant Abbondio,31
80045 POMPEI (NA)
premiogiovannipaolo@libero.it
www.premiogiovannipaolosecondo.blogspot.com
PS: allora rivendico il Premio Nobel (per la pace, l'economia, l'astrofisica, fate voi!)
Il 17 settembre il deputato leghista Roberto Calderoli ritirerà il premio “Giovanni Paolo II”. La motivazione riporta testualmente che il premio è stato assegnato al Deputato del Carroccio «per aver nella sua azione politica tutelato e promosso la sacralità della vita in armonia con i principi cristiani e con i valori ereditati dalla dottrina sociale della Chiesa Cattolica».
Riteniamo tale premio un affronto per i tanti Cristiani che quotidianamente portano avanti la loro testimonianza di fede, di solidarietà e di giustizia sociale.
Ricordiamo che Calderoli sposato nel 1998 con rito celtico è separato dalla prima moglie e ha più volte dimostrato la propria intolleranza nei confronti degli immigrati, degli islamici.
Invieremo le nostre rimostranze direttamente alla sede del premio:
A.M.I. Premio “Giovanni PaoloII”
Via Sant Abbondio,31
80045 POMPEI (NA)
premiogiovannipaolo@libero.it
www.premiogiovannipaolosecondo.blogspot.com
PS: allora rivendico il Premio Nobel (per la pace, l'economia, l'astrofisica, fate voi!)
venerdì 28 agosto 2009
LA MORTE DEL PROSSIMO: I CATTOLICI CHE VOTANO LEGA APPOGGIANO LE MINACCE AL VATICANO?
27-08-2009
di Francesco Comina
Nel nord della Lombardia civile furbizie di una certa Sicilia: minacce che sono avvertimenti. "Rivedremo il Concordato" e nelle trame dei vecchi copioni subito la smentita ma il messaggio è arrivato. O con noi a tutti i costi o contro di noi, e allora si vedrà.
Oramai l’intolleranza della Lega ha superato la legge terrena e sta cozzando contro la legge divina. Da norma discriminatrice, negatrice di un diritto cosmopolita alla vita e alla dignità personale, la legge sulla sicurezza ha aperto le maglie del razzismo, del cinismo, della violenza, dell’indifferenza e in certi casi anche della persecuzione. Ha sancito la morte del prossimo e dunque la morte di Dio. Perché non c’è Dio senza il prossimo e non c’è il prossimo senza Dio: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questo. (Mc 12. 29-31).
L’ultima tragedia del Mediterraneo molto di più di un dramma del naufragio di miserabili in cerca di pane, in cerca di vita. la sfida suprema al comandamento divino che si posa sul volto del prossimo e afferma l’esistenza di Dio. Voltarsi dall’altra parte, rinnegare il comandamento dell’amore, evadere dalla responsabilità di riconoscere nel prossimo il volto di Dio, vuol dire molto più di bestemmiare, vuol dire irridere la legge divina, oscurare il cielo e perderlo per sempre.
Ecco perché il conflitto con la Chiesa istituzionale sta tracimando e spaccando l’argine diplomatico sempre così ferreo e rigidamente composto. Non è un caso che monsignor Vegli, presidente del Consiglio pontificio per i migranti, abbia incalzato il ministro Calderoli con parole di fuoco dicendo di sentirsi offeso dalle affermazioni del politico leghista e sottolineando di parlare non a nome personale ma a nome della Santa Sede: "Come capo dicastero ho il grande onore di fare dichiarazioni a nome della Santa Sede".
E non è un caso che l’Avvenire abbia fatto ricorso all’orrore della Shoa per denunciare la morte dei migranti del Mediterraneo. Nell’editoriale Marina Corradi ha scritto: Quando, oggi, leggiamo delle deportazioni degli ebrei sotto il nazismo ci chiediamo: certo, le popolazioni non sapevano; ma quei convogli piombati, le voci, le grida nessuno li vedeva e sentiva? Allora erano il totalitarismo e il terrore, a far chiudere gli occhi. Oggi no. Una quieta, rassegnata indifferenza, se non anche una infastidita avversione. L’Occidente a occhi chiusi". La Padania minaccia: "Pronti a rivedere il concordato". Famiglia Cristiana risponde: "Mare Monstrum".
Perché la Lega è diventata l’interprete più scandaloso della morte del prossimo che si affaccia in Occidente come esito conclusivo della modernità. Lo psicanalista Luigi Zoja ha da poco scritto un libro sull’implosione religiosa del nostro tempo (La morte del prossimo, Einaudi). Dopo la morte di Dio, la morte del prossimo la scomparsa della seconda relazione fondamentale dell’uomo. Scrive Luigi Zoja: "L’uomo cade in una fondamentale solitudine. E’ un orfano senza precedenti nella storia. Lo é in senso verticale – morto il suo Genitore Celeste – ma anche in senso orizzontale: morto chi gli stava vicino, orfano dovunque volti lo sguardo. Circolarmente, questa è la conseguenza ma é anche la causa del rifiutare gli occhi degli altri: in ogni società, guardare i morti causa turbamento."
Lo scontro fra la Lega e il Vaticano potrebbe avere effetti devastanti per il governo. La preoccupazione è palese tanto da impegnare il ministro La Russa in un tentativo di mediazione debolissimo e rischiosissimo. La Chiesa, ha detto il ministro cercando di mediare sul diverbio Calderoli-Vegli, ha il dovere di predicare la carità, l’accoglienza, la compassione. La politica ha il dovere di fare le leggi per il bene della collettività. Come dire: l’etica non può avere implicazioni con la politica. Ma sul versante dell’amore per prossimo il comandamento divino non è un esposto metafisico, ma politico, è un comandamento che lega il cristiano ad una scelta concreta di schieramento contro la legge che vorrebbe rifiutare, emarginare, negare il volto altrui. E in questa ottica si apre una domanda drammatica per la coscienza del cattolico militante leghista: aver fede nel partito mettendo tra parentesi il fulcro del cristianesimo, oppure credere nell’Evangelo e scontrarsi con il cuore nevralgico della politica leghista?
Nel ributtare indietro il prossimo senza riconoscergli i diritti fondamentali che sono poi quelli dell’amore, la Chiesa si accorge che viene travolto il comandamento supremo per cui la fede ha un senso, la comunità dei fedeli ha un suo fondamento, il rito domenicale dello spezzare il pane un suo significato simbolico. E’ in questo donare il corpo e in questo distribuire a tutti il sangue della vita che la comunità ecclesiale ha un suo esito terreno. Tutto il resto è ideologia ed esercizio del potere, anche nella Chiesa stessa. Se non si passa dentro questo evento ultimo rappresentato dalla condivisione della vita e della morte di Cristo, ogni racconto teologico diventa un racconto parziale, insufficiente. E allora la condivisione, la convivialità delle differenze, come diceva il vescovo don Tonino Bello, diventa accoglienza, compassione, gratuità. Insomma, l’amore per il prossimo.
Ribaltando questo amore per il prossimo nella morte del prossimo anche in senso ludico con giochini virtuali incentrati sul respingimento e addirittura l’uccisione dell’altro – come se la relazione con il prossimo fosse un sentimento freddo, inerte, totalmente inumano – la Lega scardina la radice evangelica del cristianesimo e offende lo spirito di accoglienza dello straniero presente in tutti i libri sapienziali delle grandi religioni.
Resta da capire, anche nell’ottica laica perlustrata da Zoja, che fine ha fatto quell’imponente pensiero etico che nella seconda metà del Novecento ha posto fortemente il problema dell’Altro come opzione di crescita pacifica e solidale della comunità internazionale. Quella grande massa critica di intellettuali usciti dalla tragedia della seconda guerra mondiale che ha originato un pensiero plurale, aperto al prossimo, tutto incentrato sul dovere morale di accogliere lo straniero dove andata a finire? A 64 anni dall’orrore di Auschwitz dobbiamo amaramente constatare che fra la spinta unitiva di Eros e quella distruttiva di Thanatos, ha sovente la meglio quella di Thanatos. E che l’indifferenza davanti al volto sofferente e morente del prossimo richiama quella becera e orrida esperienza del volto ebreo preso a schiaffi, torturato, maciullato dai nazisti nell’assoluto silenzio e nella complicità generale del popolo tedesco degli anni Trenta. Ma anche allora si pose il problema di Dio, un dubbio chiaramente descritto in quella stupenda pagina de La notte dello scrittore ebreo premio Nobel per la pace Elie Wiesel: "Tre condannati salgono insieme sulle seggiole della forca. I loro colli vengono avvolti contemporaneamente da nodi scorsoi. "Viva la libertà!" gridano i due adulti. Il piccolo tace. "Dov’è il buon Dio? Dov’è?" domanda qualcuno dietro di me. A un cenno del capo del lager le tre seggiole vengono tolte. Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramonta. "Scopritevi!", urla il capo del lager. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo. "Copritevi!". Poi comincia la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora… Più di una mezz’ora resta così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare: "Dov’è dunque Dio?". E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: "Dov’ é? Eccolo: appeso a quella forca".
Riconoscimento del volto questa la pace, rifiuto del volto, questa la guerra. In fin dei conti il punto di snodo fra il credere e il non credere sta proprio qui. E il cattolico leghista rischia di restarne bloccato per sempre. La Chiesa non può tollerarlo. Credere non enuncia un principio astratto. "Chi crede in Dio ma sceglie la logica della guerra (del rifiuto ndr) é un bestemmiatore, e chi ateo ma sceglie la pace (l’accoglienza ndr) è uno che prega" ( Ernesto Balducci, Il vangelo della pace).
dal sito http://www.domani.arcoiris.tv/
27-08-2009
di Francesco Comina
Nel nord della Lombardia civile furbizie di una certa Sicilia: minacce che sono avvertimenti. "Rivedremo il Concordato" e nelle trame dei vecchi copioni subito la smentita ma il messaggio è arrivato. O con noi a tutti i costi o contro di noi, e allora si vedrà.
Oramai l’intolleranza della Lega ha superato la legge terrena e sta cozzando contro la legge divina. Da norma discriminatrice, negatrice di un diritto cosmopolita alla vita e alla dignità personale, la legge sulla sicurezza ha aperto le maglie del razzismo, del cinismo, della violenza, dell’indifferenza e in certi casi anche della persecuzione. Ha sancito la morte del prossimo e dunque la morte di Dio. Perché non c’è Dio senza il prossimo e non c’è il prossimo senza Dio: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questo. (Mc 12. 29-31).
L’ultima tragedia del Mediterraneo molto di più di un dramma del naufragio di miserabili in cerca di pane, in cerca di vita. la sfida suprema al comandamento divino che si posa sul volto del prossimo e afferma l’esistenza di Dio. Voltarsi dall’altra parte, rinnegare il comandamento dell’amore, evadere dalla responsabilità di riconoscere nel prossimo il volto di Dio, vuol dire molto più di bestemmiare, vuol dire irridere la legge divina, oscurare il cielo e perderlo per sempre.
Ecco perché il conflitto con la Chiesa istituzionale sta tracimando e spaccando l’argine diplomatico sempre così ferreo e rigidamente composto. Non è un caso che monsignor Vegli, presidente del Consiglio pontificio per i migranti, abbia incalzato il ministro Calderoli con parole di fuoco dicendo di sentirsi offeso dalle affermazioni del politico leghista e sottolineando di parlare non a nome personale ma a nome della Santa Sede: "Come capo dicastero ho il grande onore di fare dichiarazioni a nome della Santa Sede".
E non è un caso che l’Avvenire abbia fatto ricorso all’orrore della Shoa per denunciare la morte dei migranti del Mediterraneo. Nell’editoriale Marina Corradi ha scritto: Quando, oggi, leggiamo delle deportazioni degli ebrei sotto il nazismo ci chiediamo: certo, le popolazioni non sapevano; ma quei convogli piombati, le voci, le grida nessuno li vedeva e sentiva? Allora erano il totalitarismo e il terrore, a far chiudere gli occhi. Oggi no. Una quieta, rassegnata indifferenza, se non anche una infastidita avversione. L’Occidente a occhi chiusi". La Padania minaccia: "Pronti a rivedere il concordato". Famiglia Cristiana risponde: "Mare Monstrum".
Perché la Lega è diventata l’interprete più scandaloso della morte del prossimo che si affaccia in Occidente come esito conclusivo della modernità. Lo psicanalista Luigi Zoja ha da poco scritto un libro sull’implosione religiosa del nostro tempo (La morte del prossimo, Einaudi). Dopo la morte di Dio, la morte del prossimo la scomparsa della seconda relazione fondamentale dell’uomo. Scrive Luigi Zoja: "L’uomo cade in una fondamentale solitudine. E’ un orfano senza precedenti nella storia. Lo é in senso verticale – morto il suo Genitore Celeste – ma anche in senso orizzontale: morto chi gli stava vicino, orfano dovunque volti lo sguardo. Circolarmente, questa è la conseguenza ma é anche la causa del rifiutare gli occhi degli altri: in ogni società, guardare i morti causa turbamento."
Lo scontro fra la Lega e il Vaticano potrebbe avere effetti devastanti per il governo. La preoccupazione è palese tanto da impegnare il ministro La Russa in un tentativo di mediazione debolissimo e rischiosissimo. La Chiesa, ha detto il ministro cercando di mediare sul diverbio Calderoli-Vegli, ha il dovere di predicare la carità, l’accoglienza, la compassione. La politica ha il dovere di fare le leggi per il bene della collettività. Come dire: l’etica non può avere implicazioni con la politica. Ma sul versante dell’amore per prossimo il comandamento divino non è un esposto metafisico, ma politico, è un comandamento che lega il cristiano ad una scelta concreta di schieramento contro la legge che vorrebbe rifiutare, emarginare, negare il volto altrui. E in questa ottica si apre una domanda drammatica per la coscienza del cattolico militante leghista: aver fede nel partito mettendo tra parentesi il fulcro del cristianesimo, oppure credere nell’Evangelo e scontrarsi con il cuore nevralgico della politica leghista?
Nel ributtare indietro il prossimo senza riconoscergli i diritti fondamentali che sono poi quelli dell’amore, la Chiesa si accorge che viene travolto il comandamento supremo per cui la fede ha un senso, la comunità dei fedeli ha un suo fondamento, il rito domenicale dello spezzare il pane un suo significato simbolico. E’ in questo donare il corpo e in questo distribuire a tutti il sangue della vita che la comunità ecclesiale ha un suo esito terreno. Tutto il resto è ideologia ed esercizio del potere, anche nella Chiesa stessa. Se non si passa dentro questo evento ultimo rappresentato dalla condivisione della vita e della morte di Cristo, ogni racconto teologico diventa un racconto parziale, insufficiente. E allora la condivisione, la convivialità delle differenze, come diceva il vescovo don Tonino Bello, diventa accoglienza, compassione, gratuità. Insomma, l’amore per il prossimo.
Ribaltando questo amore per il prossimo nella morte del prossimo anche in senso ludico con giochini virtuali incentrati sul respingimento e addirittura l’uccisione dell’altro – come se la relazione con il prossimo fosse un sentimento freddo, inerte, totalmente inumano – la Lega scardina la radice evangelica del cristianesimo e offende lo spirito di accoglienza dello straniero presente in tutti i libri sapienziali delle grandi religioni.
Resta da capire, anche nell’ottica laica perlustrata da Zoja, che fine ha fatto quell’imponente pensiero etico che nella seconda metà del Novecento ha posto fortemente il problema dell’Altro come opzione di crescita pacifica e solidale della comunità internazionale. Quella grande massa critica di intellettuali usciti dalla tragedia della seconda guerra mondiale che ha originato un pensiero plurale, aperto al prossimo, tutto incentrato sul dovere morale di accogliere lo straniero dove andata a finire? A 64 anni dall’orrore di Auschwitz dobbiamo amaramente constatare che fra la spinta unitiva di Eros e quella distruttiva di Thanatos, ha sovente la meglio quella di Thanatos. E che l’indifferenza davanti al volto sofferente e morente del prossimo richiama quella becera e orrida esperienza del volto ebreo preso a schiaffi, torturato, maciullato dai nazisti nell’assoluto silenzio e nella complicità generale del popolo tedesco degli anni Trenta. Ma anche allora si pose il problema di Dio, un dubbio chiaramente descritto in quella stupenda pagina de La notte dello scrittore ebreo premio Nobel per la pace Elie Wiesel: "Tre condannati salgono insieme sulle seggiole della forca. I loro colli vengono avvolti contemporaneamente da nodi scorsoi. "Viva la libertà!" gridano i due adulti. Il piccolo tace. "Dov’è il buon Dio? Dov’è?" domanda qualcuno dietro di me. A un cenno del capo del lager le tre seggiole vengono tolte. Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramonta. "Scopritevi!", urla il capo del lager. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo. "Copritevi!". Poi comincia la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora… Più di una mezz’ora resta così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare: "Dov’è dunque Dio?". E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: "Dov’ é? Eccolo: appeso a quella forca".
Riconoscimento del volto questa la pace, rifiuto del volto, questa la guerra. In fin dei conti il punto di snodo fra il credere e il non credere sta proprio qui. E il cattolico leghista rischia di restarne bloccato per sempre. La Chiesa non può tollerarlo. Credere non enuncia un principio astratto. "Chi crede in Dio ma sceglie la logica della guerra (del rifiuto ndr) é un bestemmiatore, e chi ateo ma sceglie la pace (l’accoglienza ndr) è uno che prega" ( Ernesto Balducci, Il vangelo della pace).
dal sito http://www.domani.arcoiris.tv/
giovedì 27 agosto 2009
AL PEGGIO NON C'E' MAI FINE: SEGNALA ANCHE TU L'ENNESIMA SCHIFEZZA LEGHISTA!
Pubblico un intervento di Hamra R. Piccardo sul dovere di segnalazione di questa pagina facebook della lega nord mirano.
Raccontano che Josip Stalin, durante la conferenza di Yalta, che avrebbe determinato, dopo il secondo conflitto mondiale,la spartizione delle sfere d'influenza in Europa (e non solo) ebbe a pronunciare una famosa frase che è la quintessenza dell'incapacità di comprendere i reali rapporti di forza che, oltre il contingente, governano i fatti della storia e degli uomini. A chi gli faceva presente la contrarietà del vaticano rispetto alla sua politica disse "Quante divisioni ha il papa?". Beh, ci è tornato in mente l'episodio leggendo le esternazioni bossiane in merito alle prese di posizioni di settori importanti della Chiesa italiana rispetto alla sciagurata politica nei confronti dei migranti che questo governo sta portando avanti su ispirazione e ricatto leghista.Il tribuno di Cassano Magnago, ha minacciato la revisione del Concordato (salvo poi fare come suo solito una mezza marcia indietro) se la Chiesa non si astiene da criticare il governo sulla questione immigrazione.Volesse mai che questo scontro con la massima istituzione planetaria possa convincere il popolo padano (e altri emuli) a prendere le distanze da tanta protervia? E, più in generale gli italiani, a stigmatizzare adeguatamente e conseguentemente?La fine fatta del sistema che aveva prodotto il dittatore georgiano ci da qualche speranza in proposito.Nel contempo un gruppo di leghisti, (gli stessi che hanno inventato il gioco, poi rimosso, "RESPINGI IL CLANDESTINO"?) cui aderisce anche il capogruppo alla Camera dei deputati Roberto Cota attivano su Face book un gruppo infame che sotto l'insegna del Caroccio affigge l'invito testuale: IMMIGRATI CLANDESTINI, TORTURALI! E' LEGITTIMA DIFESA.Crediamo che ormai sia sia passato, e di molto, il limite della polemica politica, anche ruvida e aspra. Intervenga la magistratura e le istituzioni dello Stato se ancora ne abbiamo uno. L'incitazione alla violenza, alla tortura, alla discriminazione su base razziale sono reati contemplati dal codice penale.Domani stesso darò mandato ai nostri legali di agire in tutte le sedi opportune contro questa aberrazione e ci auguriamo che la società civile italiana tenga alto quell'aggettivo e si comporti di conseguenza.
Accolgo l'invito dell'amico Hamza a segnalate questi razzisti
http://it-it.facebook.com/lega.mirano è importante qualsiasi iniziativa di contrasto di questa deriva xenofoba potenzialemente violenta.
Hamza Roberto Piccardo
Segnalate questi razzisti http://it-it.facebook.com/lega.mirano
è importante qualsiasi iniziativa di contrasto di questa deriva xenofoba potenzialemente violenta.
Raccontano che Josip Stalin, durante la conferenza di Yalta, che avrebbe determinato, dopo il secondo conflitto mondiale,la spartizione delle sfere d'influenza in Europa (e non solo) ebbe a pronunciare una famosa frase che è la quintessenza dell'incapacità di comprendere i reali rapporti di forza che, oltre il contingente, governano i fatti della storia e degli uomini. A chi gli faceva presente la contrarietà del vaticano rispetto alla sua politica disse "Quante divisioni ha il papa?". Beh, ci è tornato in mente l'episodio leggendo le esternazioni bossiane in merito alle prese di posizioni di settori importanti della Chiesa italiana rispetto alla sciagurata politica nei confronti dei migranti che questo governo sta portando avanti su ispirazione e ricatto leghista.Il tribuno di Cassano Magnago, ha minacciato la revisione del Concordato (salvo poi fare come suo solito una mezza marcia indietro) se la Chiesa non si astiene da criticare il governo sulla questione immigrazione.Volesse mai che questo scontro con la massima istituzione planetaria possa convincere il popolo padano (e altri emuli) a prendere le distanze da tanta protervia? E, più in generale gli italiani, a stigmatizzare adeguatamente e conseguentemente?La fine fatta del sistema che aveva prodotto il dittatore georgiano ci da qualche speranza in proposito.Nel contempo un gruppo di leghisti, (gli stessi che hanno inventato il gioco, poi rimosso, "RESPINGI IL CLANDESTINO"?) cui aderisce anche il capogruppo alla Camera dei deputati Roberto Cota attivano su Face book un gruppo infame che sotto l'insegna del Caroccio affigge l'invito testuale: IMMIGRATI CLANDESTINI, TORTURALI! E' LEGITTIMA DIFESA.Crediamo che ormai sia sia passato, e di molto, il limite della polemica politica, anche ruvida e aspra. Intervenga la magistratura e le istituzioni dello Stato se ancora ne abbiamo uno. L'incitazione alla violenza, alla tortura, alla discriminazione su base razziale sono reati contemplati dal codice penale.Domani stesso darò mandato ai nostri legali di agire in tutte le sedi opportune contro questa aberrazione e ci auguriamo che la società civile italiana tenga alto quell'aggettivo e si comporti di conseguenza.
Accolgo l'invito dell'amico Hamza a segnalate questi razzisti
http://it-it.facebook.com/lega.mirano è importante qualsiasi iniziativa di contrasto di questa deriva xenofoba potenzialemente violenta.
Hamza Roberto Piccardo
Segnalate questi razzisti http://it-it.facebook.com/lega.mirano
è importante qualsiasi iniziativa di contrasto di questa deriva xenofoba potenzialemente violenta.
mercoledì 26 agosto 2009
LA CASA DEI PENSIERI 2009
Associazione culturale "La casa dei pensieri"1987.
Da un' idea di Paolo Volponi
Gentilissimi,siamo lieti di inviarVi il programma della rassegna "Liberi di pensare" dedicata a Frank McCourt di Casadeipensieri2009, che si svolgerà dal 28 Agosto al 21 Settembre presso la "Festa dell'Unità di Bologna", al Parco Nord e di cui potrete prendere visione aggiornata sul sito WWW.CASADEIPENSIERI.EU.
Vi aspettiamo numerosi.
RingraziandoVi per l'attenzione Vi rivolgiamo un cordiale saluto,l'Associazione culturale "La casa dei pensieri"Diciannovesima rassegna culturale internazionale estiva di Casadeipensieri Festa dell' Unità, Parco Nord 28 Agosto-21 Settembre Liberi di pensare. Una grande Casadeipensieri per l'Estate 2009 Dedicata a Frank McCourt Con Enzo Jannacci, Carlo Lucarelli, Melania Mazzucco, Eugenio Riccomini, Marc Augé, Brendan O'Carroll.
Sono in gioco diritti e libertà che sembravano acquisiti. Casadeipensieri promuove una vasta serie di incontri per sollecitare consapevolezze e risposte alla crisi della democrazia.Per questo la dedica a Frank McCourt la cui vita, recentemente interrottasi, ha rappresentato la sintesi di apertura sociale e creatività.Lo scrittore e showman irlandese Brendan O'Carroll sarà protagonista il 14 Sett. con i suoi romanzi che ripropongono il sapore della cultura da cui proveniva McCourt.L'antropologo Marc Augé (13 Sett.), una delle voci più alte della ricerca culturale mondiale, lo scrittore colombiano Hector Abad Faciolince (12 Sett.) e il congolese Jadelin Gangbo (14 Sett.) sono le altre star internazionali. La "Targa ricordo di Paolo Volponi" va ad Enzo Jannacci (17 Sett.), uno straordinario protagonista della vita culturale del nostro paese, un grande artista, un uomo libero, ed a Melania Mazzucco ( 5 Sett) per la letteratura.Assegnata invece a Eugenio Riccomini quella per la carriera , in una Serata d'onore, che apre il 28 Agosto la rassegna.La "collana": "Bolognascrive" vede in particolare, (il 9 Sett.), Carlo Lucarelli, Marcello Fois, Simona Vinci, Niva Lorenzini e altri nel dibattito su due riviste, "Letteraria" e "Versodove", e gli incontri con Gregorio Scalise (13 sett.), Valerio Varesi (11 Sett), Alberto Masala (11 Sett), ed è stata proposta con la collaborazione di Giancarlo Sissa e Stefano Tassinari.Alla ricerca politica è dedicato il dibattito con Massimo L. Salvadori (Mart. 8 sett), e Carlo Galli, Alberto Burgio e Piero Ignazi, alla riflessione storica sul "fascismo degli italiani" l'incontro con Patrizia Dogliani (16 sett.) ed al pensiero libero di Simone Weil (19 Sett,) quello con Pier Cesare Bori e Giancarlo Gaeta.La solidarietà all'Abruzzo è al centro dei programmi del 4 Sett, con Concita De Gregorio, Paolo Mastri e la lettura di trenta poeti. Matilde Callari è Sabato 12 Settembre, fra i presentatori di "Percorsi emotivi" un geo-bloig ideato dal Laboratorio Mappe urbane, della Fondazione Istituto Gramsci Emilia-Romagna.Prestigiose presenze dal mondo della musica e del teatro.Fra queste, Virginio Gazzolo (30 Ag), in una multiforme serata dedicata a Galileo ed alla libertà della scienza, con Alberto Righini altri astronomi e fisici e il maestro Francesco De Vita.Ricordiamo i concerti di Dragan Babic e Raffaella Battistini (28 e 30 Ag.), di Luisa Ciciriello, Paolo Bartolucci e Renata Nemola (29 Ag) su Shakespeare e la musica, dove interverrà Alessandra Frabetti con scene dal suo "Shakespeare in death", di Leo De Berardinis, l'interpretazione del "Teatro degli incauti" del "1984" di Orwell, in una serata (15 Sett.) nella quale discuteranno di utopia e libertà Giorgio Celli e Enzo Fontana, ed il recital di Sonila Kaceli, Mirco Mungari e Silvana Strocchi sulla Canzone del Paradiso di Giovanni Pascoli , sulla fine della servitù della gleba che chiude, (il 21 Sett.) in pieno argomento la rassegna 2009, la Casadeipensieri della libertà. Davide FerrariDirettore artistico di Casadeipensieri2009
Liberi di pensare Casadeipensieri2009 dedicata a Frank McCourtIl programmaVENERDI' 28 AGOSTOSALA DIBATTITI CENTRALE Ore 21 Casadeipensieri2009 "Eugenio Riccomini, serata d'onore" "Concerto per Bologna"Dragan Babic, pianoRaffaella Battistini, soprano"Dire dell'arte, capire di noi"Dialogo di Davide Ferrari e Marilena Pasquali con Eugenio Riccomini Andrea De Maria consegna a E. Riccomini la "Targa speciale Casadeipensieri per l'intera opera" 2009.
SABATO 29 AGOSTOSALA CENTRALE Ore 21Casadeipensieri2009"Shakespeare e la musica: da Mendelssohn a Verdi.Nell'occasione del Secondo Centenario della nascita di Felix Mendelssohn Bartholdy" Introduzione critica di Piero Mioli Recital del soprano Luisa Ciciriello e del tenore Paolo Bartolucci Al piano Renata Nemolae Frammenti da "Shakespeare in death" , tributo a Leo De Berardinisregia di Alessandra Frabetti con Alessandra Frabetti e Marcella De MarinisPresiede Marco Coppi
DOMENICA 30 AGOSTOSALA DIBATTITI CENTRALEOre 21Casadeipensieri2009. Anno dell'astronomia"Concerto alle stelle"Dragan Babic, pianoRaffaella Battistini, soprano"Galileo, fra scienza, arti, fede e politica.A 400 anni dalle prime osservazioni con il cannocchiale" Dialogo con Virginio GazzoloFabrizio Bonoli, Alberto Righini, Flavio Fusi PecciCon interventi musicali di Francesco De Vita Presiede Marco CapponiDi A. Righini "Galileo fra scienza, fede e politica", Compositori ed
MERCOLEDI' 2 SETTEMBREPALACUOREore 21"Cento anni dietro un pallone. Il Bologna Football Club"Intervengono Maurizio Cevenini, Alberto Bortolotti, Eraldo Pecci, Carlo Caliceti, Maurizio Degli Esposti ed una delegazione del Bologna F.CPresiede Rosanna Facchini
VENERDI'4 SETTEMBREPALACUOREOre 21Casadeipensieri2009"Scrivere dell'Abruzzo.Solidarietà e dimenticanza"Dialogo con Concita De Gregorio, Paolo Mastri, Pina FascianiDi P.Mastri "3.32 L'Aquila. Gli allarmi inascoltati", Tracce Ed.e"Recital per l'Abruzzo"Letture , tra altri, dei poeti Giancarlo Sissa, Gregorio Scalise, Loredana Magazzeni, Maria Luisa Vezzali, Anna Zoli, Eugenio Mastrorocco, Carla Castelli, Bruno Brunini, Ciprian Daniel Dinu, Giuseppina Rossitto, Davide Monda, Maria Luigia Di Stefano, Andrea Trombini, Elio Talon, Nicola Muschitiello, Linda Altomonte, Mirco Alboresi, Federico Cinti, Marco RibaniSilvia Parma, canto Lupo Angel, recitazione
SABATO 5 SETTEMBRESTAND "Luna nuova. Donne democratiche a Bologna" Ore 21Casadeipensieri2009"Melania Mazzucco, scrittrice."Dialogo di Magda Indiveri con l'autrice.Rossella Lama consegna a Melania G. Mazzucco la "Targa ricordo di Paolo Volponi alla Casadeipensieri" 2009per la letteratura.Voci recitanti Anastasia Costantini e Stefano Cutaia del "Gruppo di lettura San Vitale", diretto da Maria Rosa DamianiPresiede Orianna Mezzetti.In collaborazione con la Conferenza permanente delle donne PD Bologna.DOMENICA 6 SETTEMBREOSTERIA DEL SINDACOOre 18Casadeipensieri2009Bolognascrive"Nascondigli. Un romanzo d'oggi"Dialogo di Patrizia Romagnoli con Samuela BreveglieriPresiede Annarosa AlmiropuloDi S. Breviglieri "Nascondigli", Pendragon Ed.MARTEDI' 8 SETTEMBREPALACUORE Ore 21Casadeipensieri2009"Democrazia, ancora?Crisi della politica e diritti indeboliti"Incontro con Massimo Luigi Salvadori, in dialogo con Carlo Galli, Alberto Burgio e Piero Ignazi.Presiede Gaia LambertiniIn occasione della pubblicazione di "Democrazie senza democrazia" di M. L. Salvadori, Laterza Ed.
MERCOLEDI'9 SETTEMBRELIBRERIA ore 21Casadeipensieri2009Bolognascrive. Incontro con due riviste:"Il linguaggio è una piazza dove ci si incontra: la rivista Versodove"Ne parliamo con Vincenzo Bagnoli, Simona Vinci, Vitaniello Bonito.Presentazione di Giancarlo Sissae"Letteraria. Una rivista di scrittori"Ne parliamo con Stefano Tassinari, Carlo Lucarelli, Marcello Fois, Giampiero RigosiInterviene Niva LorenziniDi M.Fois "Stirpe", EinaudiDi C. Lucarelli "La faccia nascosta della luna", EinaudiDi S.Tassinari "Il vento contro", Marco Tropea Ed.
VENERDI'11 SETTEMBRELIBRERIAOre 21Casadeipensieri2009Bolognascrive"Vita, lavoro e morte di un invisibile. Il paese di Saimir"Dialogo di Gian Mario Anselmi con Valerio VaresiPresiede Leonardo Barcelo'Di V.Varesi "Il paese di Saimir", Collana Verdenero, Edizioni Ambienteore 22 Casadeipensieri2009"L'alfabeto di strade di un poeta"Incontro con Alberto Masala. Presentazione di Giancarlo Sissa Di A. Masala "Alfabeto di strade ( e altre vite)", Il Maestrale Ed.
SABATO 12 SETTEMBRELIBRERIA Ore 18Casadeipensieri2009"Frammenti, amori furtivi, scarti, oblio, ritrovamenti.Incontriamo Hector Abad Faciolince"Sono stati invitati Pino Cacucci, Giovanni G. Marchetti, per un dialogo con lo scrittore Hector Abad Faciolince.Di H. A. Faciolince: "Scarti" Bollati Boringhieri "L'oblio che saremo" Einaudiore 22,30Casadeipensieri2009"Percorsi emotivi. Un blog geografico per le strade di Bologna"Dialogo con Matilde Callari Galli e Massimiliano GeraciPresiede Olivio Romanini
DOMENICA13 SETTEMBRELIBRERIAOre 18Casadeipensieri2009Bolognascrive"Opera-Opera. Un poeta negli anni difficili dell'Italia moderna"dialogo di Pier Damiano Ori, con Gregorio ScalisePresiede Ciro BussettiDi G. Scalise: "Opera-Opera", Luca Sossella Ed.Premio Mondello 2009Ore 21Casadeipensieri2009"Che fine ha fatto il futuro?Il pensiero di Marc Augé "Dialogo di Luigi Lombardi Satriani e Luigi Guerra con Marc AugéPresiede Marilena PillatiDi M.Augé: "Il bello della bicicletta", Bollati Boringhieri Ed."Che fine ha fatto il futuro, dai non luoghi al non tempo", Eleuthera Ed
LUNEDI' 14 SETTEMBREPALACUOREOre 21Casadeipensieri2009"Scrivere, parlare, recitare d'Irlanda. Incontriamo Brendan O'Carroll"Dialogo di Lele Roveri e Luca Guerneri con Brendan O'CarrollDi B. O'Carroll "Agnes Browne nonna", Neri Pozza Ed.Ore 22,30Casadeipensieri2009"Risse, innamoramenti, fughe, tradimenti. Jade Gangbo, scrittore"Dialogo di Fulvio Pezzarossa, con Jadelin Mabiala GangboDi J.M.Gangbo: "Due volte", E/O Ed.
MARTEDI' 15 SETTEMBREPALACUORE Ore 21 Casadeipensieri2009"George Orwell: 1984. Sessanta anni dopo. Fine e necessità dell'utopia."Interventi di Enzo Fontana e Giorgio CelliPresiede Gianni GhiselliScene da 1984, a cura del Teatro degli IncautiInterpretazione di Luca Carboni, Federica Castellini, Simone Toni
MERCOLEDI' 16 SETTEMBRESTAND "Luna nuova. Donne democratiche a Bologna" Ore 21Casadeipensieri2009"Il fascismo degli italiani" Dialogo di Giorgio Tonelli, Elda Guerra e Alice Lomonaco con Patrizia Dogliani, Presiede Massimo MeliconiDi P.Dogliani "Il fascismo degli italiani", UTETIn collaborazione con ANPI e Conferenza permanente delle donne PD Bologna.
GIOVEDI' 17 SETTEMBREPALACUOREore 21Casadeipensieri2009"Un uomo libero. Incontriamo Enzo Jannacci" Dialogo di Toni Jop con Enzo Jannacci.Cesare Sughi consegna la "Targa ricordo di Paolo Volponi alla Casa dei pensieri" 2009In collaborazione con AUSER
SABATO 19 SETTEMBRESTAND "Luna nuova. Donne democratiche a Bologna" Ore 21Casadeipensieri2009"Simone Weil: la specie umana, la natura e la società"Dialogo con Pier Cesare Bori, Giancarlo Gaeta, Raffaella Lamberti, Anna Maria Tagliavini Presiede Giancarla CodrignaniLetture interpretate da Silvana StrocchiIn collaborazione con Conferenza permanente delle donne PD Bologna.
DOMENICA 20 SETTEMBRELIBRERIAOre 18Casadeipensieri2009"La sostenibilità in città. Il paradigma vegetale"Incontro dedicato a Oscar Marchisio.Dialogo con Andrea Segrè e Daniele Ara*A cura di O. Marchisio e D. Ara: "La forma dell'urbano: il paradigma vegetale", Socialmente Ed. * Sara' presente in sala Ornella Pastorelli Marchisio
LUNEDI' 21 SETTEMBRESALA CENTRALEOre 21Casadeipensieri2009"La libertà, la poesia. La Canzone del Paradiso di Giovanni Pascoli.Recital a cento anni dalla pubblicazione"Canto: Sonila KaceliStrumenti: Mirco Mungari Voce recitante: Silvana StrocchiInterventi critici di Emilio Pasquini, Gregorio Scalise, Andrea Battistini
Liberi di pensare Casadeipensieri2009 dedicata a Frank McCourtIl programmaVENERDI' 28 AGOSTOSALA DIBATTITI CENTRALE Ore 21 Casadeipensieri2009 "Eugenio Riccomini, serata d'onore" "Concerto per Bologna"Dragan Babic, pianoRaffaella Battistini, soprano"Dire dell'arte, capire di noi"Dialogo di Davide Ferrari e Marilena Pasquali con Eugenio Riccomini Andrea De Maria consegna a E. Riccomini la "Targa speciale Casadeipensieri per l'intera opera" 2009.
SABATO 29 AGOSTOSALA CENTRALE Ore 21Casadeipensieri2009"Shakespeare e la musica: da Mendelssohn a Verdi.Nell'occasione del Secondo Centenario della nascita di Felix Mendelssohn Bartholdy" Introduzione critica di Piero Mioli Recital del soprano Luisa Ciciriello e del tenore Paolo Bartolucci Al piano Renata Nemolae Frammenti da "Shakespeare in death" , tributo a Leo De Berardinisregia di Alessandra Frabetti con Alessandra Frabetti e Marcella De MarinisPresiede Marco Coppi
DOMENICA 30 AGOSTOSALA DIBATTITI CENTRALEOre 21Casadeipensieri2009. Anno dell'astronomia"Concerto alle stelle"Dragan Babic, pianoRaffaella Battistini, soprano"Galileo, fra scienza, arti, fede e politica.A 400 anni dalle prime osservazioni con il cannocchiale" Dialogo con Virginio GazzoloFabrizio Bonoli, Alberto Righini, Flavio Fusi PecciCon interventi musicali di Francesco De Vita Presiede Marco CapponiDi A. Righini "Galileo fra scienza, fede e politica", Compositori ed
MERCOLEDI' 2 SETTEMBREPALACUOREore 21"Cento anni dietro un pallone. Il Bologna Football Club"Intervengono Maurizio Cevenini, Alberto Bortolotti, Eraldo Pecci, Carlo Caliceti, Maurizio Degli Esposti ed una delegazione del Bologna F.CPresiede Rosanna Facchini
VENERDI'4 SETTEMBREPALACUOREOre 21Casadeipensieri2009"Scrivere dell'Abruzzo.Solidarietà e dimenticanza"Dialogo con Concita De Gregorio, Paolo Mastri, Pina FascianiDi P.Mastri "3.32 L'Aquila. Gli allarmi inascoltati", Tracce Ed.e"Recital per l'Abruzzo"Letture , tra altri, dei poeti Giancarlo Sissa, Gregorio Scalise, Loredana Magazzeni, Maria Luisa Vezzali, Anna Zoli, Eugenio Mastrorocco, Carla Castelli, Bruno Brunini, Ciprian Daniel Dinu, Giuseppina Rossitto, Davide Monda, Maria Luigia Di Stefano, Andrea Trombini, Elio Talon, Nicola Muschitiello, Linda Altomonte, Mirco Alboresi, Federico Cinti, Marco RibaniSilvia Parma, canto Lupo Angel, recitazione
SABATO 5 SETTEMBRESTAND "Luna nuova. Donne democratiche a Bologna" Ore 21Casadeipensieri2009"Melania Mazzucco, scrittrice."Dialogo di Magda Indiveri con l'autrice.Rossella Lama consegna a Melania G. Mazzucco la "Targa ricordo di Paolo Volponi alla Casadeipensieri" 2009per la letteratura.Voci recitanti Anastasia Costantini e Stefano Cutaia del "Gruppo di lettura San Vitale", diretto da Maria Rosa DamianiPresiede Orianna Mezzetti.In collaborazione con la Conferenza permanente delle donne PD Bologna.DOMENICA 6 SETTEMBREOSTERIA DEL SINDACOOre 18Casadeipensieri2009Bolognascrive"Nascondigli. Un romanzo d'oggi"Dialogo di Patrizia Romagnoli con Samuela BreveglieriPresiede Annarosa AlmiropuloDi S. Breviglieri "Nascondigli", Pendragon Ed.MARTEDI' 8 SETTEMBREPALACUORE Ore 21Casadeipensieri2009"Democrazia, ancora?Crisi della politica e diritti indeboliti"Incontro con Massimo Luigi Salvadori, in dialogo con Carlo Galli, Alberto Burgio e Piero Ignazi.Presiede Gaia LambertiniIn occasione della pubblicazione di "Democrazie senza democrazia" di M. L. Salvadori, Laterza Ed.
MERCOLEDI'9 SETTEMBRELIBRERIA ore 21Casadeipensieri2009Bolognascrive. Incontro con due riviste:"Il linguaggio è una piazza dove ci si incontra: la rivista Versodove"Ne parliamo con Vincenzo Bagnoli, Simona Vinci, Vitaniello Bonito.Presentazione di Giancarlo Sissae"Letteraria. Una rivista di scrittori"Ne parliamo con Stefano Tassinari, Carlo Lucarelli, Marcello Fois, Giampiero RigosiInterviene Niva LorenziniDi M.Fois "Stirpe", EinaudiDi C. Lucarelli "La faccia nascosta della luna", EinaudiDi S.Tassinari "Il vento contro", Marco Tropea Ed.
VENERDI'11 SETTEMBRELIBRERIAOre 21Casadeipensieri2009Bolognascrive"Vita, lavoro e morte di un invisibile. Il paese di Saimir"Dialogo di Gian Mario Anselmi con Valerio VaresiPresiede Leonardo Barcelo'Di V.Varesi "Il paese di Saimir", Collana Verdenero, Edizioni Ambienteore 22 Casadeipensieri2009"L'alfabeto di strade di un poeta"Incontro con Alberto Masala. Presentazione di Giancarlo Sissa Di A. Masala "Alfabeto di strade ( e altre vite)", Il Maestrale Ed.
SABATO 12 SETTEMBRELIBRERIA Ore 18Casadeipensieri2009"Frammenti, amori furtivi, scarti, oblio, ritrovamenti.Incontriamo Hector Abad Faciolince"Sono stati invitati Pino Cacucci, Giovanni G. Marchetti, per un dialogo con lo scrittore Hector Abad Faciolince.Di H. A. Faciolince: "Scarti" Bollati Boringhieri "L'oblio che saremo" Einaudiore 22,30Casadeipensieri2009"Percorsi emotivi. Un blog geografico per le strade di Bologna"Dialogo con Matilde Callari Galli e Massimiliano GeraciPresiede Olivio Romanini
DOMENICA13 SETTEMBRELIBRERIAOre 18Casadeipensieri2009Bolognascrive"Opera-Opera. Un poeta negli anni difficili dell'Italia moderna"dialogo di Pier Damiano Ori, con Gregorio ScalisePresiede Ciro BussettiDi G. Scalise: "Opera-Opera", Luca Sossella Ed.Premio Mondello 2009Ore 21Casadeipensieri2009"Che fine ha fatto il futuro?Il pensiero di Marc Augé "Dialogo di Luigi Lombardi Satriani e Luigi Guerra con Marc AugéPresiede Marilena PillatiDi M.Augé: "Il bello della bicicletta", Bollati Boringhieri Ed."Che fine ha fatto il futuro, dai non luoghi al non tempo", Eleuthera Ed
LUNEDI' 14 SETTEMBREPALACUOREOre 21Casadeipensieri2009"Scrivere, parlare, recitare d'Irlanda. Incontriamo Brendan O'Carroll"Dialogo di Lele Roveri e Luca Guerneri con Brendan O'CarrollDi B. O'Carroll "Agnes Browne nonna", Neri Pozza Ed.Ore 22,30Casadeipensieri2009"Risse, innamoramenti, fughe, tradimenti. Jade Gangbo, scrittore"Dialogo di Fulvio Pezzarossa, con Jadelin Mabiala GangboDi J.M.Gangbo: "Due volte", E/O Ed.
MARTEDI' 15 SETTEMBREPALACUORE Ore 21 Casadeipensieri2009"George Orwell: 1984. Sessanta anni dopo. Fine e necessità dell'utopia."Interventi di Enzo Fontana e Giorgio CelliPresiede Gianni GhiselliScene da 1984, a cura del Teatro degli IncautiInterpretazione di Luca Carboni, Federica Castellini, Simone Toni
MERCOLEDI' 16 SETTEMBRESTAND "Luna nuova. Donne democratiche a Bologna" Ore 21Casadeipensieri2009"Il fascismo degli italiani" Dialogo di Giorgio Tonelli, Elda Guerra e Alice Lomonaco con Patrizia Dogliani, Presiede Massimo MeliconiDi P.Dogliani "Il fascismo degli italiani", UTETIn collaborazione con ANPI e Conferenza permanente delle donne PD Bologna.
GIOVEDI' 17 SETTEMBREPALACUOREore 21Casadeipensieri2009"Un uomo libero. Incontriamo Enzo Jannacci" Dialogo di Toni Jop con Enzo Jannacci.Cesare Sughi consegna la "Targa ricordo di Paolo Volponi alla Casa dei pensieri" 2009In collaborazione con AUSER
SABATO 19 SETTEMBRESTAND "Luna nuova. Donne democratiche a Bologna" Ore 21Casadeipensieri2009"Simone Weil: la specie umana, la natura e la società"Dialogo con Pier Cesare Bori, Giancarlo Gaeta, Raffaella Lamberti, Anna Maria Tagliavini Presiede Giancarla CodrignaniLetture interpretate da Silvana StrocchiIn collaborazione con Conferenza permanente delle donne PD Bologna.
DOMENICA 20 SETTEMBRELIBRERIAOre 18Casadeipensieri2009"La sostenibilità in città. Il paradigma vegetale"Incontro dedicato a Oscar Marchisio.Dialogo con Andrea Segrè e Daniele Ara*A cura di O. Marchisio e D. Ara: "La forma dell'urbano: il paradigma vegetale", Socialmente Ed. * Sara' presente in sala Ornella Pastorelli Marchisio
LUNEDI' 21 SETTEMBRESALA CENTRALEOre 21Casadeipensieri2009"La libertà, la poesia. La Canzone del Paradiso di Giovanni Pascoli.Recital a cento anni dalla pubblicazione"Canto: Sonila KaceliStrumenti: Mirco Mungari Voce recitante: Silvana StrocchiInterventi critici di Emilio Pasquini, Gregorio Scalise, Andrea Battistini
martedì 25 agosto 2009
Fernanda Pivano
"Saltò in alto, sfondò persino il soffitto di tela. E il cuore, divorato dall'amore, andò a far capriole fra le stelle" (George Bataille)
"... il sole cade a picco ... l'asfalto che si scioglie brucia i tacchi alle mie scarpe ... questo cielo ancor sereno sembra esplodere d'estate ..." cantavano un gruppo simbolo del beat italiano, i Nomadi. E in una afosa giornata di agosto è volata via Fernanda Pivano, del beat in Italia precursore e voce. Conobbe Kerouac, Hemingway e tutti i grandi della letteratura libertaria. E cominciarono a sognare. Sogni veri, vissuti, profondi. Impastati di stelle e di polvere, la polvere della strada che Nanda ha attraversato con rara intensità e leggerezza. In punta di piedi le sue traduzioni, i suoi libri, hanno scavato un solco nella cultura italiana. Tenera e dolce, senza mai alzare la voce o cercare di imporsi con tracotanza. E' bastato il cammino, la strada percorsa con i compagni di viaggio più belli.
Un ragazzo genovese, morto anche lui in una calda giornata d'estate di qualche anno fa, scrisse una volta che era "un essere qualunque, con una testa ed un cuore". Ma spesso la testa non interessa e il cuore viene soffocato. Perché non vengono dati spazio ai sentimenti puri, all'amore e alla libertà che dovrebbero ardere in ogni cuore. Cataloghiamo, incaselliamo, intruppiamo le persone. Un errore che spesso viene ripetuto anche nei movimenti, nelle associazioni. Ed una persona viene considerata in quanto militante di quel partito, attivista di quel movimento, iscritto di quell'associazione.. E non perché "ha testa e cuore". Una testa che sogna un futuro migliore, un cuore che ama e arde d'amore. Fernanda è stata soprattutto questo. Una donna capace d'amare, un amore libero perché mai domato da lacci e gabbie.
In tempi nei quali parole come libertà e pace vengono violentate sulla punta dei cannoni, Nanda ha rappresentanto la vera essenza anarchica e libertaria. I pregiudizi borghesi considerano l'anarchia sinonimo di caos e legge della giungla. Non è così. Il simbolo per eccellenza dell'anarchia, la A cerchiata di Proudhon, indica che Anarchy is order, l'Anarchia è l'ordine. Perché chi ama la libertà rispetta quella altrui e dentro di se sogna che un giorno "ogni uomo sarà di buon cuore". E gli uomini di buon cuore, veramente liberi, sanno rispettare, apprezzare, convivere con l'altro. Fernanda è stata tutto questo. Ed anche di più.
Fernanda se ne va in giorni tristi e ipocriti, bugiardi e menzogneri. Nelle stesse ore in cui emergono due gravissime tragedie umanitarie: i fratelli migranti morti nell'indifferenza e nella paura mentre attraversavano il Mediterraneo e i 20 fratelli eritrei assassinati dalla repressione libica. Mentre l'Iraq e l'Afghanistan, teatri del disordine imperiale della guerra e dell'egoismo dei popoli ricchi, sono insanguinati come non mai da immane violenza.
"Quante strade deve percorrere un uomo prima che lo si possa chiamare uomo?"
Ciao Signorina Anarchia, ciao Signora Libertà. Il tuo Amore vivrà sempre come scrigno prezioso nel "buon cuore" di chi sogna...
da una mail di Alessio Di Florio a paxchristi
"... il sole cade a picco ... l'asfalto che si scioglie brucia i tacchi alle mie scarpe ... questo cielo ancor sereno sembra esplodere d'estate ..." cantavano un gruppo simbolo del beat italiano, i Nomadi. E in una afosa giornata di agosto è volata via Fernanda Pivano, del beat in Italia precursore e voce. Conobbe Kerouac, Hemingway e tutti i grandi della letteratura libertaria. E cominciarono a sognare. Sogni veri, vissuti, profondi. Impastati di stelle e di polvere, la polvere della strada che Nanda ha attraversato con rara intensità e leggerezza. In punta di piedi le sue traduzioni, i suoi libri, hanno scavato un solco nella cultura italiana. Tenera e dolce, senza mai alzare la voce o cercare di imporsi con tracotanza. E' bastato il cammino, la strada percorsa con i compagni di viaggio più belli.
Un ragazzo genovese, morto anche lui in una calda giornata d'estate di qualche anno fa, scrisse una volta che era "un essere qualunque, con una testa ed un cuore". Ma spesso la testa non interessa e il cuore viene soffocato. Perché non vengono dati spazio ai sentimenti puri, all'amore e alla libertà che dovrebbero ardere in ogni cuore. Cataloghiamo, incaselliamo, intruppiamo le persone. Un errore che spesso viene ripetuto anche nei movimenti, nelle associazioni. Ed una persona viene considerata in quanto militante di quel partito, attivista di quel movimento, iscritto di quell'associazione.. E non perché "ha testa e cuore". Una testa che sogna un futuro migliore, un cuore che ama e arde d'amore. Fernanda è stata soprattutto questo. Una donna capace d'amare, un amore libero perché mai domato da lacci e gabbie.
In tempi nei quali parole come libertà e pace vengono violentate sulla punta dei cannoni, Nanda ha rappresentanto la vera essenza anarchica e libertaria. I pregiudizi borghesi considerano l'anarchia sinonimo di caos e legge della giungla. Non è così. Il simbolo per eccellenza dell'anarchia, la A cerchiata di Proudhon, indica che Anarchy is order, l'Anarchia è l'ordine. Perché chi ama la libertà rispetta quella altrui e dentro di se sogna che un giorno "ogni uomo sarà di buon cuore". E gli uomini di buon cuore, veramente liberi, sanno rispettare, apprezzare, convivere con l'altro. Fernanda è stata tutto questo. Ed anche di più.
Fernanda se ne va in giorni tristi e ipocriti, bugiardi e menzogneri. Nelle stesse ore in cui emergono due gravissime tragedie umanitarie: i fratelli migranti morti nell'indifferenza e nella paura mentre attraversavano il Mediterraneo e i 20 fratelli eritrei assassinati dalla repressione libica. Mentre l'Iraq e l'Afghanistan, teatri del disordine imperiale della guerra e dell'egoismo dei popoli ricchi, sono insanguinati come non mai da immane violenza.
"Quante strade deve percorrere un uomo prima che lo si possa chiamare uomo?"
Ciao Signorina Anarchia, ciao Signora Libertà. Il tuo Amore vivrà sempre come scrigno prezioso nel "buon cuore" di chi sogna...
da una mail di Alessio Di Florio a paxchristi
domenica 23 agosto 2009
CHI SEMINA VENTO, RACCOGLIE TEMPESTA: DENUNCIATO IL FIGLIO DI BOSSI
Ho scritto a: presidenza@arci.it e ufficiostampa@arci.it questo testo.
Aderite e diffondete.
Ciao, Enrico (da una mail di Enrico Peyretti)
Leggo che l'Arci ha denunciato l'autore, della Lega, del video-gioco che istiga all'odio e alla violenza razziale. Consideratemi sottoscrittore con voi di questa denuncia.
Gradirei ricevere il testo esatto del vostro comunicato, ma già ora, per quanto so, mi associo responsabilmente alla vostra azione giudiziaria.
Enrico Peyretti, Torino
Sin/Ct/Adnkronos, sabato 22 agosto, ore 18.20I
MMIGRATI: ARCI DENUNCIA RENZO BOSSI E LEGA NORD PER VIDEOGAME 'RIMBALZA CLANDESTINO'
Roma - L'Arci denuncia il figlio di Umberto Bossi, Renzo e la Lega Nord per il videogame "Rimbalza il clandestino" presente sul sito ufficiale leghista. "A chi della vita di essere umani fa un gioco, ne irride le tragedie, ne simula la strage per divertimento, mentre le stragi vere si ripetono - spiega Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci - rispondiamo anche appellandoci alla magistratura perché persegua i responsabili. La nostra legislazione prevede ancora, fino a che Bossi non ne imporrà la revisione, il reato di incitamento all'odio razziale. E che altro è questo videogame se non cinico, stupido, barbarico odio razziale? Per questo abbiamo deciso di presentare un esposto alla Procura della Repubblica contro il partito della Lega Nord e contro Renzo Bossi".
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Aderite e diffondete.
Ciao, Enrico (da una mail di Enrico Peyretti)
Leggo che l'Arci ha denunciato l'autore, della Lega, del video-gioco che istiga all'odio e alla violenza razziale. Consideratemi sottoscrittore con voi di questa denuncia.
Gradirei ricevere il testo esatto del vostro comunicato, ma già ora, per quanto so, mi associo responsabilmente alla vostra azione giudiziaria.
Enrico Peyretti, Torino
Sin/Ct/Adnkronos, sabato 22 agosto, ore 18.20I
MMIGRATI: ARCI DENUNCIA RENZO BOSSI E LEGA NORD PER VIDEOGAME 'RIMBALZA CLANDESTINO'
Roma - L'Arci denuncia il figlio di Umberto Bossi, Renzo e la Lega Nord per il videogame "Rimbalza il clandestino" presente sul sito ufficiale leghista. "A chi della vita di essere umani fa un gioco, ne irride le tragedie, ne simula la strage per divertimento, mentre le stragi vere si ripetono - spiega Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci - rispondiamo anche appellandoci alla magistratura perché persegua i responsabili. La nostra legislazione prevede ancora, fino a che Bossi non ne imporrà la revisione, il reato di incitamento all'odio razziale. E che altro è questo videogame se non cinico, stupido, barbarico odio razziale? Per questo abbiamo deciso di presentare un esposto alla Procura della Repubblica contro il partito della Lega Nord e contro Renzo Bossi".
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PICCOLA MA SIGNIFICATIVA VITTORIA: RIMOSSO DA FACEBOOK LA PAGINA CON IL GIOCO (?) RAZZISTA IDEATO DAL FIGLIO DI BOSSI E DA UN SUO AMICO
Renzo Bossi: buon sangue non mente
ECCOVI QUI SOTTO, IN COPIA E INCOLLA, UN ARTICOLO DI REPUBBLICA SUL "DIVO" DEL MOMENTO, IL FIGLIO DI UMBERTO BOSSI, RENZO BOSSI, "CAMPIONE DEL MERITO A SCUOLA" (BOCCIATO 3 VOLTE ALLA MATURITA' PER COLPA DI DOCENTI MERIDIONALI "IGNORANTI" E "INCOMPETENTI", SECONDO L'OPINIONE DEL PADRE "SENATUR"), ANTESIGNANO DELLE NUOVE "SS ITALICHE", AUTORE DEL GAME "RIMBALZA IL CLANDESTINO", UNA VERA OPERA D'ARTE INSERITA NEL SITO UFFICIALE DELLA LEGA NORD SU FACEBOOK.
UN CARO SALUTO Giovanni Falcetta
ECCOVI QUI SOTTO, IN COPIA E INCOLLA, UN ARTICOLO DI REPUBBLICA SUL "DIVO" DEL MOMENTO, IL FIGLIO DI UMBERTO BOSSI, RENZO BOSSI, "CAMPIONE DEL MERITO A SCUOLA" (BOCCIATO 3 VOLTE ALLA MATURITA' PER COLPA DI DOCENTI MERIDIONALI "IGNORANTI" E "INCOMPETENTI", SECONDO L'OPINIONE DEL PADRE "SENATUR"), ANTESIGNANO DELLE NUOVE "SS ITALICHE", AUTORE DEL GAME "RIMBALZA IL CLANDESTINO", UNA VERA OPERA D'ARTE INSERITA NEL SITO UFFICIALE DELLA LEGA NORD SU FACEBOOK.
UN CARO SALUTO Giovanni Falcetta
LA REPUBBLICA del (23 agosto 2009)
CRONACA
I gestori del social network sono intervenuti dopo le polemiche e le proteste
CRONACA
I gestori del social network sono intervenuti dopo le polemiche e le proteste
L'applicazione era scaricabile dalla pagina amministrata dal figlio di Bossi
Utenti contro "Rimbalza il clandestino"Facebook cancella il gioco leghista
di MARCO PASQUA
Le polemiche e l'indignazione che hanno accompagnato la scoperta del gioco razzista "Rimbalza il clandestino" hanno sortito l'effetto desiderato: i gestori di Facebook sono intervenuti, cancellando l'applicazione. Il gioco, scaricabile, fino a ieri sera, dalla pagina ufficiale della Lega Nord, amministrata da Renzo Bossi, figlio di Umberto, sparisce così dal popolare social network, intervenuto dopo le moltissime segnalazioni degli utenti. Già venerdì, sempre su Facebook, era nato il gruppo "facciamo sparire il gioco leghista". In poche ore, ha totalizzato oltre 4700 iscritti e continua a crescere. Moltissimi i clic di denuncia, tramite la stessa pagina di "Rimbalza il clandestino", dove è disponibile, come per tutte le applicazioni di Facebook, un apposito bottoncino "segnala". Il gioco è stato creato agli inizi di questa estate da Fabio Betti, 23enne di Leggiuno, coordinatore dei Giovani Padani del Medio Verbano e amico di Renzo Bossi. I due condividono la passione per l'informatica e, insieme, amministrano la pagina ufficiale della Lega su Facebook. Un gioco che hanno sviluppato insieme e che circola da settimane sui profili dei leghisti. Condividerlo è semplice: basta andare sulla sua pagina, e scegliere di pubblicarlo sotto forma di link. Lo scopo dell'applicazione è respingere le barche con i clandestini a bordo, cliccandoci sopra, e facendole sparire dallo schermo. Più se ne cancellano, e più si va avanti. Perde chi non riesce a contenere l'invasione dei "nemici". In questo caso si riceve il classico messaggio di "game over", insieme a un invito a ritentare la fortuna: "Prova ancora. Vedrai che la prossima volta riuscirai a dimostrare di essere un vero leghista". Sul gruppo creato appositamente su Facebook al fine di far sparire l'odioso passatempo estivo leghista, gli iscritti non hanno avuto dubbi nel definirlo, come ha fatto Anna, "un vergognoso episodio di ignoranza nata dall'ignoranza". Oltre ai commenti diretti contro il figlio di Bossi, molti hanno attaccato la Lega: "Stanno veramente varcando il limite, l'arroganza del potere gli sta dando alla testa. Disperati che muoiono in mare e loro ci giocano sopra, ignobile", ha scritto un utente che si è firmato Carlo, mentre Atta ha manifestato il timore che "tutto passi per una ragazzata". Qualcuno ha proposto: "Iniziamo a denunciare i leghisti per i crimini che stanno compiendo: vilipendio alla Costituzione, incitamento all'odio razziale, crimini contro l'umanità". C'è stato anche chi ha fatto notare che "su Facebook c'è di ben più grave, soprattutto gruppi inneggianti a violenze ben peggiori, contro albanesi, rumeni, gay".
Ovviamente, questa mattina, viene espressa soddisfazione alla notizia che il gioco è stato cancellato. "Meno male che questo scempio è finito. Le vittorie sono queste. Internet permette questo e altro", sottolinea Alessandro. E mentre alcuni parlano di "piccola grande vittoria", altri propongono di proseguire nell'opposizione al gioco: "Essendo ancora presente il link sulla pagina della Lega, segnaliamo anche quella per razzismo". Lo scopo sarebbe far sparire il Carroccio dal social network, cosa complicatissima. "Rimbalza il clandestino" aveva suscitato lo sdegno dell'opposizione, a poche ore dalla notizia dell'ennesima tragedia in mare nella quale, secondo i sopravvissuti, sarebbero morti 73 migranti. Dario Franceschini, segretario del Pd, parlando di un governo "xenofobo e razzista", era stato netto: "Non è più tempo di archiviare tutto ciò come stupidaggini o propaganda estiva: questo si chiama razzismo". Se il capogruppo dell'Udc al Senato, Giampiero D'Alia, aveva sollecitato "l'intervento dell'autorità giudiziaria e del ministro dell'Interno", il responsabile educazione del Pd Giuseppe Fioroni aveva chiesto a tutte le forze politiche di "non sottostare al ricatto della Lega che trasforma, come fa il figlio di Bossi su Facebook, le sofferenze umane in un gioco". Persino il quotidiano spagnolo El Mundo aveva dedicato spazio al passatempo virtuale, titolando: "La Lega nord italiana gioca ad affondare le zattere su Facebook". L'Arci, invece, aveva promosso una denuncia nei confronti della Lega Nord e di Renzo Bossi per istigazione all'odio razziale. Polemiche che, però, non hanno scosso gli amministratori della pagina della Lega Nord. Lo stesso Fabio Betti, intervistato dal quotidiano La provincia di Varese, ha continuato a difendere la sua applicazione: "Ci rivolgiamo a un target giovane, ed è quindi inevitabile dover utilizzare un linguaggio semplificato e uno strumento, il gioco, in grado di attirare l'attenzione".
(23 agosto 2009)
Utenti contro "Rimbalza il clandestino"Facebook cancella il gioco leghista
di MARCO PASQUA
Le polemiche e l'indignazione che hanno accompagnato la scoperta del gioco razzista "Rimbalza il clandestino" hanno sortito l'effetto desiderato: i gestori di Facebook sono intervenuti, cancellando l'applicazione. Il gioco, scaricabile, fino a ieri sera, dalla pagina ufficiale della Lega Nord, amministrata da Renzo Bossi, figlio di Umberto, sparisce così dal popolare social network, intervenuto dopo le moltissime segnalazioni degli utenti. Già venerdì, sempre su Facebook, era nato il gruppo "facciamo sparire il gioco leghista". In poche ore, ha totalizzato oltre 4700 iscritti e continua a crescere. Moltissimi i clic di denuncia, tramite la stessa pagina di "Rimbalza il clandestino", dove è disponibile, come per tutte le applicazioni di Facebook, un apposito bottoncino "segnala". Il gioco è stato creato agli inizi di questa estate da Fabio Betti, 23enne di Leggiuno, coordinatore dei Giovani Padani del Medio Verbano e amico di Renzo Bossi. I due condividono la passione per l'informatica e, insieme, amministrano la pagina ufficiale della Lega su Facebook. Un gioco che hanno sviluppato insieme e che circola da settimane sui profili dei leghisti. Condividerlo è semplice: basta andare sulla sua pagina, e scegliere di pubblicarlo sotto forma di link. Lo scopo dell'applicazione è respingere le barche con i clandestini a bordo, cliccandoci sopra, e facendole sparire dallo schermo. Più se ne cancellano, e più si va avanti. Perde chi non riesce a contenere l'invasione dei "nemici". In questo caso si riceve il classico messaggio di "game over", insieme a un invito a ritentare la fortuna: "Prova ancora. Vedrai che la prossima volta riuscirai a dimostrare di essere un vero leghista". Sul gruppo creato appositamente su Facebook al fine di far sparire l'odioso passatempo estivo leghista, gli iscritti non hanno avuto dubbi nel definirlo, come ha fatto Anna, "un vergognoso episodio di ignoranza nata dall'ignoranza". Oltre ai commenti diretti contro il figlio di Bossi, molti hanno attaccato la Lega: "Stanno veramente varcando il limite, l'arroganza del potere gli sta dando alla testa. Disperati che muoiono in mare e loro ci giocano sopra, ignobile", ha scritto un utente che si è firmato Carlo, mentre Atta ha manifestato il timore che "tutto passi per una ragazzata". Qualcuno ha proposto: "Iniziamo a denunciare i leghisti per i crimini che stanno compiendo: vilipendio alla Costituzione, incitamento all'odio razziale, crimini contro l'umanità". C'è stato anche chi ha fatto notare che "su Facebook c'è di ben più grave, soprattutto gruppi inneggianti a violenze ben peggiori, contro albanesi, rumeni, gay".
Ovviamente, questa mattina, viene espressa soddisfazione alla notizia che il gioco è stato cancellato. "Meno male che questo scempio è finito. Le vittorie sono queste. Internet permette questo e altro", sottolinea Alessandro. E mentre alcuni parlano di "piccola grande vittoria", altri propongono di proseguire nell'opposizione al gioco: "Essendo ancora presente il link sulla pagina della Lega, segnaliamo anche quella per razzismo". Lo scopo sarebbe far sparire il Carroccio dal social network, cosa complicatissima. "Rimbalza il clandestino" aveva suscitato lo sdegno dell'opposizione, a poche ore dalla notizia dell'ennesima tragedia in mare nella quale, secondo i sopravvissuti, sarebbero morti 73 migranti. Dario Franceschini, segretario del Pd, parlando di un governo "xenofobo e razzista", era stato netto: "Non è più tempo di archiviare tutto ciò come stupidaggini o propaganda estiva: questo si chiama razzismo". Se il capogruppo dell'Udc al Senato, Giampiero D'Alia, aveva sollecitato "l'intervento dell'autorità giudiziaria e del ministro dell'Interno", il responsabile educazione del Pd Giuseppe Fioroni aveva chiesto a tutte le forze politiche di "non sottostare al ricatto della Lega che trasforma, come fa il figlio di Bossi su Facebook, le sofferenze umane in un gioco". Persino il quotidiano spagnolo El Mundo aveva dedicato spazio al passatempo virtuale, titolando: "La Lega nord italiana gioca ad affondare le zattere su Facebook". L'Arci, invece, aveva promosso una denuncia nei confronti della Lega Nord e di Renzo Bossi per istigazione all'odio razziale. Polemiche che, però, non hanno scosso gli amministratori della pagina della Lega Nord. Lo stesso Fabio Betti, intervistato dal quotidiano La provincia di Varese, ha continuato a difendere la sua applicazione: "Ci rivolgiamo a un target giovane, ed è quindi inevitabile dover utilizzare un linguaggio semplificato e uno strumento, il gioco, in grado di attirare l'attenzione".
(23 agosto 2009)
MONNEZZA
La storia si ripete: vi ricordate il vescovo Oscar Romrro, nell'udienza con il cardinale Casaroli, nel 1980, pochi mesi prima di essere assassinato quando costui era segretario di stato, affermava che lui, Romero, non poteva improntare la sua predicazione su un anti-comunismo plateale perché verrebbe considerato dai poveri " complice delle ingiustizie dei ricchi, i quali parlano contro il comunismo , non per difendere i principi cristiani, ma solo per difendere i loro interessi patrimoniali". Vi ricorda qualcuno che ci governa?Alcuni rappresentanti della Chiesa sono oggi accanto ai principi di Monsignore ( come veniva chiamato Romero), ma la gerarchia, accanto a chi si pone oggi, come allora?Quando una voce chiara della CEI e del Papa contro la politica dei respingimenti?
Paolo
From: ednran@tele2.itTo: ;
Subject: Monnezza
Date: Sat, 22 Aug 2009 11:41:47 +0200
Dall'amico Paolo ricevo e diffondo per conoscenza.
Grazie a Dio, non solo solo io, tra i preti, a sbandierare la monnezza dei nuovi lanzichenecchi. Buona domenica nonostante tutto. Aldo Caro Aldo Firmo e sottoscrivo
PAOLO TORNAMBE'CAPPELLANO DI BORDO COSTA CROCIERE
Le ultime vicende dimostrano dove portano certe"politiche". Come "rivoli" si sta diffondendo un climache parte dal "capo" e raggiunge tutte le membra.Stiamo diventando un "modello"come ai tempi del fascismoQualche altro seguirà le ormein Europa visto che noi non siamo stati in grado di reagire adeguatamentePurtroppo vedo "nero" all'orizzonteDa più parti aleggia il fantasma dell'"uomo della provvidenza"Questo è "il senso comune"Un senso comune che è stato abbondantementepropagandatoe che ha la sua origine in un "anticomunismo viscerale"di cui la Chiesa e la DC sono i principali protagonisti.Come ben sai, l'anticomunismo "genera mostri"E il mostro non è solo il capo, ma coloro che ne sono conniventie plaudenti.Ormai è "comunista" chiunque si pone in atteggiamento criticonei confronti della "passivizzazione delle masse"Facciamo enorme fatica a vedere un "orizzonte altro"anche se conosco tante realtà che "resistono"ma vengono adeguatamente rimossedalla informazione "minzoliniata".Di idee ce ne sono in giroma vengono accuratamente "selezionate"e "ridicolizzate".Tanto per dire, si fà un gran parlare dei paradisi offshoreCome mai nessuno ha detto che il capoha i suoi denari nascosti in 61 paradisi fiscalie che Tremonti ne è un grande esperto?Io sospetto ormai che Tremonti sia, di fatto, il commercialista del capo.Non è solo Agnelli che ha i suoi "fondi neri"!Anche qui ci troviamo di fronte alla "propaganda"che si rivolgerà nella immancabile "bufala".Ci sarà una giustizia "a ore"la giustizia che deve servire agli interessi del capo.
Un salutoPaolo Tornambe'
Paolo
From: ednran@tele2.itTo: ;
Subject: Monnezza
Date: Sat, 22 Aug 2009 11:41:47 +0200
Dall'amico Paolo ricevo e diffondo per conoscenza.
Grazie a Dio, non solo solo io, tra i preti, a sbandierare la monnezza dei nuovi lanzichenecchi. Buona domenica nonostante tutto. Aldo Caro Aldo Firmo e sottoscrivo
PAOLO TORNAMBE'CAPPELLANO DI BORDO COSTA CROCIERE
Le ultime vicende dimostrano dove portano certe"politiche". Come "rivoli" si sta diffondendo un climache parte dal "capo" e raggiunge tutte le membra.Stiamo diventando un "modello"come ai tempi del fascismoQualche altro seguirà le ormein Europa visto che noi non siamo stati in grado di reagire adeguatamentePurtroppo vedo "nero" all'orizzonteDa più parti aleggia il fantasma dell'"uomo della provvidenza"Questo è "il senso comune"Un senso comune che è stato abbondantementepropagandatoe che ha la sua origine in un "anticomunismo viscerale"di cui la Chiesa e la DC sono i principali protagonisti.Come ben sai, l'anticomunismo "genera mostri"E il mostro non è solo il capo, ma coloro che ne sono conniventie plaudenti.Ormai è "comunista" chiunque si pone in atteggiamento criticonei confronti della "passivizzazione delle masse"Facciamo enorme fatica a vedere un "orizzonte altro"anche se conosco tante realtà che "resistono"ma vengono adeguatamente rimossedalla informazione "minzoliniata".Di idee ce ne sono in giroma vengono accuratamente "selezionate"e "ridicolizzate".Tanto per dire, si fà un gran parlare dei paradisi offshoreCome mai nessuno ha detto che il capoha i suoi denari nascosti in 61 paradisi fiscalie che Tremonti ne è un grande esperto?Io sospetto ormai che Tremonti sia, di fatto, il commercialista del capo.Non è solo Agnelli che ha i suoi "fondi neri"!Anche qui ci troviamo di fronte alla "propaganda"che si rivolgerà nella immancabile "bufala".Ci sarà una giustizia "a ore"la giustizia che deve servire agli interessi del capo.
Un salutoPaolo Tornambe'
sabato 22 agosto 2009
che schifo!!!
FACCIAMO CHIUDERE IL GIOCO "RIMBALZA IL CLANDESTINO"Mentre nel Mediterraneo si cercano i corpi di un`ottantina di eritrei dispersi in mare nella più completa indifferenza DI TUTTI NOI, ecco che sulla pagina di Facebook della Lega Nord ci si può tranquillamente divertire con il gioco "Rimbalza il clandestino". Chi riesce a far sparire più barche con immigrati a bordo, dimostra di essere un "vero leghista". Responsabile del sito è il figlio di Bossi, la "trota" che per ben tre volte è stato bocciato agli esami di maturità, l`erede che ha ricevuto dal padre l`incarico all`Osservatorio sulle Fiere lombarde seguendo l`italica tradizione del nepotismo alla Mastella.Non possiamo, ancora una volta, ridurre tutto ad un gioco, ad una espressione di folklore, ad una ragazzata. Dobbiamo invece esprimere tutta la nostra indignazione per questa grave forma di istigazione alla violenza e all`odio razziale, chiedendo l`intervento dell`autorità giudiziaria e facendo togliere il gioco da Facebook.Fare silenzio ora significa giustificare e condividere coloro che buttano a mare solidarietà, umanità e diritti!
Collegandosi alla pagina di Facebook della Legahttp://apps.facebook.com/rimbalzaclandestino/?_fb_fromhash=10c4e50179ddcbf6e6a5fde5d4d2b193 potete accedere al gioco "Rimbalza il clandestino" che consiste nel cliccare le imbarcazioni di clandestini che attraccano sulle rive italiane e destinarle in qualche modo all'oblio.
Quello che vi chiedo è semplice:
IN BASSO A SINISTRA C'E' LA SCRITTA "SEGNALA" CLICCATECI SOPRA E SEGNALATE QUESTA INCREDIBILE SBANDATA DA TERZO REICH COME "uso di violenza contro persona o gruppo".
Le motivazioni sono tutte vostre, l'importante è togliere di mezzo questa vergognosa applicazione.Confido nell'intelligenza umana e digitale.
GrazieCinzia Fontana, senatrice PD
Collegandosi alla pagina di Facebook della Legahttp://apps.facebook.com/rimbalzaclandestino/?_fb_fromhash=10c4e50179ddcbf6e6a5fde5d4d2b193 potete accedere al gioco "Rimbalza il clandestino" che consiste nel cliccare le imbarcazioni di clandestini che attraccano sulle rive italiane e destinarle in qualche modo all'oblio.
Quello che vi chiedo è semplice:
IN BASSO A SINISTRA C'E' LA SCRITTA "SEGNALA" CLICCATECI SOPRA E SEGNALATE QUESTA INCREDIBILE SBANDATA DA TERZO REICH COME "uso di violenza contro persona o gruppo".
Le motivazioni sono tutte vostre, l'importante è togliere di mezzo questa vergognosa applicazione.Confido nell'intelligenza umana e digitale.
GrazieCinzia Fontana, senatrice PD
venerdì 21 agosto 2009
da www.nigrizia.it
Cari lettori,
segnalo alcune delle notizie pubblicate su www.nigrizia.it e vi invito a andare sul sito per leggere anche gli altri approfondimenti.
...Buona lettura!
Zimbabwe: in arresto 10 deputati dell'opposizione
L'accusa di disturbo della quiete pubblica suona quasi come una provocazione: numerosi gli arresti di deputati dell'Mdc da parte della polizia dello Zimbabwe. Il partito del presidente Robert Mugabe cerca di avere così mano libera in parlamento.
Migranti: silenzio stampa. E diritti.
Il problema dell'immigrazione clandestina è risolto secondo il governo: sulle coste italiane niente più sbarchi. Ma le carrette del mare tentano ancora la sorte: oggi soccorsi 5 migranti eritrei. 75 loro compagni sono morti nella traversata. E nelle carceri libiche continuano le violazioni di diritti umani: almeno 20 migranti somali uccisi nel centro di Bengasi.
Gli stranieri? Non sono ladri di lavoro
Un rapporto della Banca d'Italia smonta una delle tesi su cui si regge 'l'ideologia padana': gli stranieri non rubano il lavoro agli italiani. Anzi: l'ondata migratoria ha aumentato le possibilità di lavoro degli italiani, oltre a sostenere la crescita demografica e il sistema previdenziale.
Berlino 2009: l'Africa che corre
Con l'argento di Janeth Jepkosgei Busienei negli 800 metri femminile il Kenya conquista la terza posizione nel medagliere, dopo Stati Uniti e Giamaica. Mentre sull'atleta sudafricana Caster Semenya, vincitrice dell'oro sulla stessa distanza, pesa l'accusa di essere ermafrodita.
Zambia: il re non è più nudo
É diventato famoso per il suo costoso guardaroba comprato con fondi statali, ma Frederick Chiluba, ex presidente dello Zambia, non è colpevole di corruzione, secondo i giudici di Lusaka. A Londra invece è già stato ha già condannato nel 2007. Nella lotta contro la corruzione e l'impunità, l'Africa ha perso un'altra occasione.
NIGRIZIA - NIGRIZIA MULTIMEDIA - AFRIRADIO -
Vicolo Pozzo, 1 - 37129 Verona
www.nigrizia.it - online@nigrizia.it
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...Buona lettura!
Zimbabwe: in arresto 10 deputati dell'opposizione
L'accusa di disturbo della quiete pubblica suona quasi come una provocazione: numerosi gli arresti di deputati dell'Mdc da parte della polizia dello Zimbabwe. Il partito del presidente Robert Mugabe cerca di avere così mano libera in parlamento.
Migranti: silenzio stampa. E diritti.
Il problema dell'immigrazione clandestina è risolto secondo il governo: sulle coste italiane niente più sbarchi. Ma le carrette del mare tentano ancora la sorte: oggi soccorsi 5 migranti eritrei. 75 loro compagni sono morti nella traversata. E nelle carceri libiche continuano le violazioni di diritti umani: almeno 20 migranti somali uccisi nel centro di Bengasi.
Gli stranieri? Non sono ladri di lavoro
Un rapporto della Banca d'Italia smonta una delle tesi su cui si regge 'l'ideologia padana': gli stranieri non rubano il lavoro agli italiani. Anzi: l'ondata migratoria ha aumentato le possibilità di lavoro degli italiani, oltre a sostenere la crescita demografica e il sistema previdenziale.
Berlino 2009: l'Africa che corre
Con l'argento di Janeth Jepkosgei Busienei negli 800 metri femminile il Kenya conquista la terza posizione nel medagliere, dopo Stati Uniti e Giamaica. Mentre sull'atleta sudafricana Caster Semenya, vincitrice dell'oro sulla stessa distanza, pesa l'accusa di essere ermafrodita.
Zambia: il re non è più nudo
É diventato famoso per il suo costoso guardaroba comprato con fondi statali, ma Frederick Chiluba, ex presidente dello Zambia, non è colpevole di corruzione, secondo i giudici di Lusaka. A Londra invece è già stato ha già condannato nel 2007. Nella lotta contro la corruzione e l'impunità, l'Africa ha perso un'altra occasione.
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CHI E' IL CRIMINALE? CHI E' L'IRREGOLARE?
Chi è il criminale? Chi è l'irregolare?
Chi parte dalle coste africane, sfidando -spesso senza riuscirci- la sorte su barconi malconci o chi promulga leggi razziali che costringono questi poveracci alla clandestinità e spesso alla morte?
chi è il criminale: chi si imbarca o chi dalle proprie barche fa finta di niente, voltandosi dall'altra parte, senza soccorrere chi ha bisogno non solo violando il codice del mare, ma ogni elementare buon senso? L'ho dichiarato più volte: se qualcuno mi chiede aiuto, gli chiedo solo il nome; il suo status giuridico non mi interessa minimamente.
L'ho scritto e detto più volte: invoco l'obiezione di coscienza. Se disgraziatamente noi insegnanti dovessimo denunciare gli irregolari, mi rifiuterò, denunciando i leghisti: la Lega è un partito illegale in quanto persegue fini anticostituzionali (andate sul sito ufficilae: il suo nome è Lega Nord per l'indipendenza della Padania. Reato reato reato: l'Italia è una repeubblica una e indivisibile).
Chiamo tutti all'obieìzione di coscienza, poichè di coscienza si tratta. Criminale è chi nega l'umanità di questa gente.
Chi parte dalle coste africane, sfidando -spesso senza riuscirci- la sorte su barconi malconci o chi promulga leggi razziali che costringono questi poveracci alla clandestinità e spesso alla morte?
chi è il criminale: chi si imbarca o chi dalle proprie barche fa finta di niente, voltandosi dall'altra parte, senza soccorrere chi ha bisogno non solo violando il codice del mare, ma ogni elementare buon senso? L'ho dichiarato più volte: se qualcuno mi chiede aiuto, gli chiedo solo il nome; il suo status giuridico non mi interessa minimamente.
L'ho scritto e detto più volte: invoco l'obiezione di coscienza. Se disgraziatamente noi insegnanti dovessimo denunciare gli irregolari, mi rifiuterò, denunciando i leghisti: la Lega è un partito illegale in quanto persegue fini anticostituzionali (andate sul sito ufficilae: il suo nome è Lega Nord per l'indipendenza della Padania. Reato reato reato: l'Italia è una repeubblica una e indivisibile).
Chiamo tutti all'obieìzione di coscienza, poichè di coscienza si tratta. Criminale è chi nega l'umanità di questa gente.
giovedì 20 agosto 2009
Ramandan, tempo di preghiera
di Patrizia Khadja Dal Monte
Ramadan è tempo di digiuno, di sollecitudine verso gli altri e di preghiera…. “In verità, il Ramadân è per pregare e recitare il Corano”. Alcuni di loro dicevano: “Il Ramadân consiste nel pregare, dare in carità e recitare il Qur’ân”. (Imâm Mâlik e compagni).Il legame tra salât e Ramadan è forte ed evidente, è impensabile eseguire correttamente il digiuno senza assolvere almeno le salât obbligatorie e una delle pratiche più diffuse del periodo di Ramadan consiste proprio nell’intensificare la salât attraverso l’esecuzione della preghiera notturna del tarawîh. Come la salât è il tempo che quotidianamente l’uomo consacra totalmente a Dio, così il Ramadan è il tempo dell’anno specialmente per Dio. Il Profeta, pace e benedizione su di lui, aveva anche l’abitudine di compiere un ritiro durante gli ultimi giorni di questo mese per dedicarsi completamente all’adorazione e alla recitazione coranica: Muslim e Bukhârî riportarono che ‘Aisha riferì che il Profeta, pace e benedizione su di lui, durante gli ultimi giorni di Ramadan, passava la notte a pregare, svegliava la sua famiglia e applicava il suo Izar (ossia si asteneva da ogni relazione sessuale). Secondo la versione di Muslim, ciò accadeva durante gli ultimi dieci giorni.La salât è un saluto adorante rivolto a Dio ed è un unirsi alla grande liturgia che tutto il creato celebra:“Il sole e la luna (si muovono) secondo calcolo ( preciso); la stella e l’albero si prosternano”(LV,5)… LodarLo e adorarLo da esseri umani, liberi e consapevoli insieme con tutte le creature, con una ritualità precisa che si delinea in parole e azioni, inizia con il takbîr (Allahu Akbar) di Allah l’Altissimo e si conclude con il taslîm (il saluto di pace)… come in tutta la teologia islamica il Primo è Dio da Lui discende la pace per l’uomo e la capacità di darla agli altri.“Nel rituale, nelle parole, nei gesti essa riassume tutti i valori della teologia musulmana, giacché ciò che la compone è nel Corano e negli insegnamenti del Profeta: è riconoscere l’unicità di Dio, sottomettersi con fiducia al Suo volere, amarlo sinceramente riconoscersi nella Sua creazione e soprattutto rivolgendosi direttamente a Lui – senza intermediari di sorta – poiché questa è l’essenza autentica dell’Islam.” (Mandel)Anche il digiuno di Ramadan è atto di adorazione, in esso si riconosce la Signoria di Dio sull’universo e sulla propria persona… fluisce nelle pieghe dell’esistenza giorno dopo giorno maggiore consapevolezza dell’Uno, dal Quale tutto discende, e piano piano si percepiscono gli echi del Suo incessante invito al pentimento e al perdono.Come la fede abita nella stessa casa della solidarietà, ed esse sono particolarmente vivide nel mese di Ramadan : «Il Messaggero di Allah (s) era il più generoso degli uomini ed era estremamente generoso a Ramadan, nel momento in cui incontrava Jibrîl ogni notte perché gli insegnasse il Corano. Allora il Messaggero di Allah diveniva più generoso del vento (che porta la pioggia)»,anche la preghiera non è disgiungibile dalla fede e dalla carità (al-iman e al khuluq) :“Non vedi colui che taccia di menzogna il Giudizio? E’ quello stesso che scaccia l’orfano, e non esorta a sfamare il povero. Guai a quelli che fanno l’orazione e sono incuranti nelle proprie azioni, che sono pieni di ostentazione e rifiutano di dare ciò che è utile.” (CVII)e si accende di particolare vigore in questo mese. Come abbiamo detto, si affiancano a quelle obbligatorie nel mese di Ramadan numerose altre raka‘at di notte, che prendono il nome di tarawîh. Esso è sunna sia per gli uomini che per le donne e deve essere fatto dopo l’‘išâ’ e prima del witr, in gruppi di due raka‘a. ‘Âyša ha riportato che il Messaggero di Âllâh (*) non faceva più di undici raka‘a.”(Al Jama’a) E’ consentito farlo anche dopo il witr, sebbene questa non sia la cosa migliore, e fino alla fine della notte.Diversi hadith testimoniano come il Messaggero di Allah lo praticasse e incoraggiasse i suoi compagni a compierlo, grandi i suoi benefici:“Chi prega nelle notti di Ramadân con fede salda e sperando nella ricompensa, tutti i peccati commessi prima, gli saranno perdonati.”( Al Jama’a)
E’ permesso fare il tarawîh sia in gruppo che individualmente. La maggior parte degli ‘Ulemâ’ preferiscono però che si faccia in gruppo. Il Messaggero di Âllâh, pace benedizione su di lui lo faceva in gruppo, ma in modo discontinuo, per evitare che fosse ritenuto obbligatorio.‘Ayša disse: “Il Messaggero di Âllâh (*) fece la salât in moschea e molte persone pregarono con lui. Il giorno successivo fece lo stesso e ancora più persone pregarono con lui. La terza notte le persone si riunirono ma il Messaggero di Âllâh (*) non andò da loro. Al mattino disse: “ Ho visto quello che avete fatto e niente mi ha impedito di venire da voi, eccetto il timore che poteste considerare la salât obbligatoria”. (Al Jama’a, tranne At-Tirmidhî)Non c’è una misura obbligatoria per la recitazione del Corano, ma la maggior parte dei credenti cerca di leggere il Corano per intero almeno una volta durante le preghiere di Tarawih.Ahmad disse: “Recitate del Corano quello che è semplice e non difficile per la gente, in particolar modo nelle notti brevi”. Al-Qâdî disse: “E’ preferibile leggere l’intero Corano una sola volta, in modo che la gente abbia la possibilità di ascoltare l’intero Corano. Non recitate più di una volta le stesse cose, ciò può risultare pesante per le persone. Se però tutti sono d’accordo nel recitare oltre, questo è meglio.”La preghiera del Tarawîh è connotata dunque dal prolungarsi dello sforzo, dalla recitazione di molti versetti coranici e dal compiersi nella notte. La notte ha un forte significato simbolico, essa è il tempo della rivelazione, della discesa del Corano e ancora una volta non possiamo fare a meno di notare come il buio, l’assenza di forme e colori, l’oscurità sia il grembo più favorevole al manifestarsi della luce di Dio:“Invero, lo abbiamo fatto scendere nella Notte del Destino. E chi potrà farti comprendere cos’è la notte del Destino?La Notte del Destino è migliore di mille mesi.In essa discendono gli angeli e lo Spirito, con il permesso del loro Signore, per (fissare) ogni decreto. E’ pace, fino al levarsi dell’alba”(XCVII, 1-5).“Per il libro esplicito: Lo abbiamo fatto scendere in una notte benedetta, in verità siamo Noi ad ammonire…. Siamo noi ad inviare i (messaggeri) (segni della) misericordia del tuo Signore… ma quella gente invece dubita e scherza! (XLIV)E parlando di notti dobbiamo ricordare il dono speciale riservato a colui che si pone in ricerca di questa notte della discesa, Laylatu-al-Qadr:Bukhârî e Muslim riportarono da Abu Hurayra che il Profeta, pace e benedizioni su di lui, disse: «A colui che prega tutta la notte di al-Qadr per fede e pietà, Allah perdonerà i suoi peccati precedenti».
Ahmad e Ibn Mâjah riportarono un hadîth autentificato da Tirmidhi risalente ad ‘Aisha in cui ella chiese: «Oh Messaggero di Allah, se sapessi in che notte sarà la notte di al-Qadr, che cosa dovrei dire?», ed egli le rispose: «Di’: Oh mio Dio, Tu perdoni e Tu ami il perdono, allora perdonami».Gli Ulema’ hanno opinioni differenti circa la data di questa notte, ma la maggior parte ritiene che essa cada nella notte del 27 Ramadan.La preghiera, la recitazione del Corano e il dhikr eseguiti in questa notte sono migliori di quelli eseguiti durante mille mesi al di fuori di questa notte.Ramadan è tempo di preghiera in tutte le sue dimensioni, non solo si moltiplicano le raka’at, ma anche il dikhr si fa più intenso. La parola dhikr (dal verbo dhakara) che letteralmente significa ‘ricordare’, ‘richiamo’ e ‘menzionare’, pronunciare’, è spesso nominato nel Corano in connessione con la salât, come fossero un’unica cosa e ciò ci mostra come una delle funzioni principali della preghiera, oltre al rendere un saluto adorante al Creatore sia quella di svegliare nell’uomo il ricordo di Dio: “AdoraMi ed esegui l’orazione per ricordarti di Me” (XX,14);“Recita ciò che ti è stato rivelato del Libro ed esegui l’orazione. In verità l’orazione preserva dalla turpitudine e da ciò che è riprovevole. Il ricordo di Allah è certo quanto ci sia di più grande…” (XXIX,45),Il termine però ha un senso più ampio, comprende il menzionare il Suo nome, glorificarLo, lodarlo, ricordare la Sua presenza: “Invocate Allah o invocate il Compassionevole, qualunque sia il nome con il quale Lo invochiate, Egli possiede i nomi più belli.” (XVII,110-111).E’ dhikr meditare sulla creazione, leggere il Corano, anzi è uno dei nomi stessi del Corano è adh- Dhikr . Il mese di Ramadan è mese del Corano, memoria della sua discesa, sforzo dei credenti di rimemorarne tutto il contenuto.Chiesero al Messaggero di Allah, pace e benedizione su di lui, quale fosse il dikr migliore ed egli disse: « E’ quello che ha scelto Allah per i Suoi angeli o per i Suoih servi: Subhana Allah wa bi-hamdihi (La lode e il ringraziamento spettano ad Allah)» (riportato da Muslim).Assieme al dikhr si moltiplicano anche i du’ha, invocazione e ricordo s’intrecciano nella vita dei musulmani, tanto più nel mese di Ramadan.Il musulmano confida solo in Dio e sa di poter ricevere da Lui l’aiuto: “A Lui (spetta) la vera invocazione! Quelli che invocano al di fuori di Lui non rispondono loro in alcunché, sono come colui che tende le mani verso l’acqua affinché giunga alla sua bocca, ma essa non vi giunge: vana è l’invocazione dei miscredenti.”L’invocazione è quindi l’espressione massima di fiducia dell’uomo verso Dio, coscienza che Egli è vicino a chi Lo invoca : “Quando il Mio servo Mi invoca io sono vicino a lui”. Nel mese di Ramadan le invocazioni non sono mai rifiutate:Tirmidhi riportò secondo una buona catena di trasmissione che il Profeta, pace e benedizione su di lui, disse: «Tre invocazioni non saranno mai rifiutate: l’invocazione del digiunatore fino al momento in cui interrompe, quella dell’Imam giusto e quella del perseguitato »Ibn Mâja riportò da ‘Abdullah ibn ‘Amr ibn al-‘As che il Profeta, pace e benedizione su di lui, disse: «Il digiunatore ha al momento della rottura del digiuno un’invocazione che non sarà mai rifiutata».Ramadan tempo di preghiera dunque, individuale o in gruppo, ma di più… Perché come disse il Profeta, pace e benedizione su di lui, questo non è un mese come gli altri, si aprono le porte del bene e chiudono quelle del male :«Un mese benedetto è giunto, siete obbligati a digiunarlo. Inoltre, durante questo mese, le porte del Paradiso sono aperte e quelle dell’Inferno sono chiuse, gli shayatin vi sono incatenati. In più, vi troverete una notte che è migliore di mille mesi, colui che viene privato del suo favore è privato di una grande cosa» (riportato da Ahmad, Nisâ’i e Bayhaqi).
Ramadan è tempo di digiuno, di sollecitudine verso gli altri e di preghiera…. “In verità, il Ramadân è per pregare e recitare il Corano”. Alcuni di loro dicevano: “Il Ramadân consiste nel pregare, dare in carità e recitare il Qur’ân”. (Imâm Mâlik e compagni).Il legame tra salât e Ramadan è forte ed evidente, è impensabile eseguire correttamente il digiuno senza assolvere almeno le salât obbligatorie e una delle pratiche più diffuse del periodo di Ramadan consiste proprio nell’intensificare la salât attraverso l’esecuzione della preghiera notturna del tarawîh. Come la salât è il tempo che quotidianamente l’uomo consacra totalmente a Dio, così il Ramadan è il tempo dell’anno specialmente per Dio. Il Profeta, pace e benedizione su di lui, aveva anche l’abitudine di compiere un ritiro durante gli ultimi giorni di questo mese per dedicarsi completamente all’adorazione e alla recitazione coranica: Muslim e Bukhârî riportarono che ‘Aisha riferì che il Profeta, pace e benedizione su di lui, durante gli ultimi giorni di Ramadan, passava la notte a pregare, svegliava la sua famiglia e applicava il suo Izar (ossia si asteneva da ogni relazione sessuale). Secondo la versione di Muslim, ciò accadeva durante gli ultimi dieci giorni.La salât è un saluto adorante rivolto a Dio ed è un unirsi alla grande liturgia che tutto il creato celebra:“Il sole e la luna (si muovono) secondo calcolo ( preciso); la stella e l’albero si prosternano”(LV,5)… LodarLo e adorarLo da esseri umani, liberi e consapevoli insieme con tutte le creature, con una ritualità precisa che si delinea in parole e azioni, inizia con il takbîr (Allahu Akbar) di Allah l’Altissimo e si conclude con il taslîm (il saluto di pace)… come in tutta la teologia islamica il Primo è Dio da Lui discende la pace per l’uomo e la capacità di darla agli altri.“Nel rituale, nelle parole, nei gesti essa riassume tutti i valori della teologia musulmana, giacché ciò che la compone è nel Corano e negli insegnamenti del Profeta: è riconoscere l’unicità di Dio, sottomettersi con fiducia al Suo volere, amarlo sinceramente riconoscersi nella Sua creazione e soprattutto rivolgendosi direttamente a Lui – senza intermediari di sorta – poiché questa è l’essenza autentica dell’Islam.” (Mandel)Anche il digiuno di Ramadan è atto di adorazione, in esso si riconosce la Signoria di Dio sull’universo e sulla propria persona… fluisce nelle pieghe dell’esistenza giorno dopo giorno maggiore consapevolezza dell’Uno, dal Quale tutto discende, e piano piano si percepiscono gli echi del Suo incessante invito al pentimento e al perdono.Come la fede abita nella stessa casa della solidarietà, ed esse sono particolarmente vivide nel mese di Ramadan : «Il Messaggero di Allah (s) era il più generoso degli uomini ed era estremamente generoso a Ramadan, nel momento in cui incontrava Jibrîl ogni notte perché gli insegnasse il Corano. Allora il Messaggero di Allah diveniva più generoso del vento (che porta la pioggia)»,anche la preghiera non è disgiungibile dalla fede e dalla carità (al-iman e al khuluq) :“Non vedi colui che taccia di menzogna il Giudizio? E’ quello stesso che scaccia l’orfano, e non esorta a sfamare il povero. Guai a quelli che fanno l’orazione e sono incuranti nelle proprie azioni, che sono pieni di ostentazione e rifiutano di dare ciò che è utile.” (CVII)e si accende di particolare vigore in questo mese. Come abbiamo detto, si affiancano a quelle obbligatorie nel mese di Ramadan numerose altre raka‘at di notte, che prendono il nome di tarawîh. Esso è sunna sia per gli uomini che per le donne e deve essere fatto dopo l’‘išâ’ e prima del witr, in gruppi di due raka‘a. ‘Âyša ha riportato che il Messaggero di Âllâh (*) non faceva più di undici raka‘a.”(Al Jama’a) E’ consentito farlo anche dopo il witr, sebbene questa non sia la cosa migliore, e fino alla fine della notte.Diversi hadith testimoniano come il Messaggero di Allah lo praticasse e incoraggiasse i suoi compagni a compierlo, grandi i suoi benefici:“Chi prega nelle notti di Ramadân con fede salda e sperando nella ricompensa, tutti i peccati commessi prima, gli saranno perdonati.”( Al Jama’a)
E’ permesso fare il tarawîh sia in gruppo che individualmente. La maggior parte degli ‘Ulemâ’ preferiscono però che si faccia in gruppo. Il Messaggero di Âllâh, pace benedizione su di lui lo faceva in gruppo, ma in modo discontinuo, per evitare che fosse ritenuto obbligatorio.‘Ayša disse: “Il Messaggero di Âllâh (*) fece la salât in moschea e molte persone pregarono con lui. Il giorno successivo fece lo stesso e ancora più persone pregarono con lui. La terza notte le persone si riunirono ma il Messaggero di Âllâh (*) non andò da loro. Al mattino disse: “ Ho visto quello che avete fatto e niente mi ha impedito di venire da voi, eccetto il timore che poteste considerare la salât obbligatoria”. (Al Jama’a, tranne At-Tirmidhî)Non c’è una misura obbligatoria per la recitazione del Corano, ma la maggior parte dei credenti cerca di leggere il Corano per intero almeno una volta durante le preghiere di Tarawih.Ahmad disse: “Recitate del Corano quello che è semplice e non difficile per la gente, in particolar modo nelle notti brevi”. Al-Qâdî disse: “E’ preferibile leggere l’intero Corano una sola volta, in modo che la gente abbia la possibilità di ascoltare l’intero Corano. Non recitate più di una volta le stesse cose, ciò può risultare pesante per le persone. Se però tutti sono d’accordo nel recitare oltre, questo è meglio.”La preghiera del Tarawîh è connotata dunque dal prolungarsi dello sforzo, dalla recitazione di molti versetti coranici e dal compiersi nella notte. La notte ha un forte significato simbolico, essa è il tempo della rivelazione, della discesa del Corano e ancora una volta non possiamo fare a meno di notare come il buio, l’assenza di forme e colori, l’oscurità sia il grembo più favorevole al manifestarsi della luce di Dio:“Invero, lo abbiamo fatto scendere nella Notte del Destino. E chi potrà farti comprendere cos’è la notte del Destino?La Notte del Destino è migliore di mille mesi.In essa discendono gli angeli e lo Spirito, con il permesso del loro Signore, per (fissare) ogni decreto. E’ pace, fino al levarsi dell’alba”(XCVII, 1-5).“Per il libro esplicito: Lo abbiamo fatto scendere in una notte benedetta, in verità siamo Noi ad ammonire…. Siamo noi ad inviare i (messaggeri) (segni della) misericordia del tuo Signore… ma quella gente invece dubita e scherza! (XLIV)E parlando di notti dobbiamo ricordare il dono speciale riservato a colui che si pone in ricerca di questa notte della discesa, Laylatu-al-Qadr:Bukhârî e Muslim riportarono da Abu Hurayra che il Profeta, pace e benedizioni su di lui, disse: «A colui che prega tutta la notte di al-Qadr per fede e pietà, Allah perdonerà i suoi peccati precedenti».
Ahmad e Ibn Mâjah riportarono un hadîth autentificato da Tirmidhi risalente ad ‘Aisha in cui ella chiese: «Oh Messaggero di Allah, se sapessi in che notte sarà la notte di al-Qadr, che cosa dovrei dire?», ed egli le rispose: «Di’: Oh mio Dio, Tu perdoni e Tu ami il perdono, allora perdonami».Gli Ulema’ hanno opinioni differenti circa la data di questa notte, ma la maggior parte ritiene che essa cada nella notte del 27 Ramadan.La preghiera, la recitazione del Corano e il dhikr eseguiti in questa notte sono migliori di quelli eseguiti durante mille mesi al di fuori di questa notte.Ramadan è tempo di preghiera in tutte le sue dimensioni, non solo si moltiplicano le raka’at, ma anche il dikhr si fa più intenso. La parola dhikr (dal verbo dhakara) che letteralmente significa ‘ricordare’, ‘richiamo’ e ‘menzionare’, pronunciare’, è spesso nominato nel Corano in connessione con la salât, come fossero un’unica cosa e ciò ci mostra come una delle funzioni principali della preghiera, oltre al rendere un saluto adorante al Creatore sia quella di svegliare nell’uomo il ricordo di Dio: “AdoraMi ed esegui l’orazione per ricordarti di Me” (XX,14);“Recita ciò che ti è stato rivelato del Libro ed esegui l’orazione. In verità l’orazione preserva dalla turpitudine e da ciò che è riprovevole. Il ricordo di Allah è certo quanto ci sia di più grande…” (XXIX,45),Il termine però ha un senso più ampio, comprende il menzionare il Suo nome, glorificarLo, lodarlo, ricordare la Sua presenza: “Invocate Allah o invocate il Compassionevole, qualunque sia il nome con il quale Lo invochiate, Egli possiede i nomi più belli.” (XVII,110-111).E’ dhikr meditare sulla creazione, leggere il Corano, anzi è uno dei nomi stessi del Corano è adh- Dhikr . Il mese di Ramadan è mese del Corano, memoria della sua discesa, sforzo dei credenti di rimemorarne tutto il contenuto.Chiesero al Messaggero di Allah, pace e benedizione su di lui, quale fosse il dikr migliore ed egli disse: « E’ quello che ha scelto Allah per i Suoi angeli o per i Suoih servi: Subhana Allah wa bi-hamdihi (La lode e il ringraziamento spettano ad Allah)» (riportato da Muslim).Assieme al dikhr si moltiplicano anche i du’ha, invocazione e ricordo s’intrecciano nella vita dei musulmani, tanto più nel mese di Ramadan.Il musulmano confida solo in Dio e sa di poter ricevere da Lui l’aiuto: “A Lui (spetta) la vera invocazione! Quelli che invocano al di fuori di Lui non rispondono loro in alcunché, sono come colui che tende le mani verso l’acqua affinché giunga alla sua bocca, ma essa non vi giunge: vana è l’invocazione dei miscredenti.”L’invocazione è quindi l’espressione massima di fiducia dell’uomo verso Dio, coscienza che Egli è vicino a chi Lo invoca : “Quando il Mio servo Mi invoca io sono vicino a lui”. Nel mese di Ramadan le invocazioni non sono mai rifiutate:Tirmidhi riportò secondo una buona catena di trasmissione che il Profeta, pace e benedizione su di lui, disse: «Tre invocazioni non saranno mai rifiutate: l’invocazione del digiunatore fino al momento in cui interrompe, quella dell’Imam giusto e quella del perseguitato »Ibn Mâja riportò da ‘Abdullah ibn ‘Amr ibn al-‘As che il Profeta, pace e benedizione su di lui, disse: «Il digiunatore ha al momento della rottura del digiuno un’invocazione che non sarà mai rifiutata».Ramadan tempo di preghiera dunque, individuale o in gruppo, ma di più… Perché come disse il Profeta, pace e benedizione su di lui, questo non è un mese come gli altri, si aprono le porte del bene e chiudono quelle del male :«Un mese benedetto è giunto, siete obbligati a digiunarlo. Inoltre, durante questo mese, le porte del Paradiso sono aperte e quelle dell’Inferno sono chiuse, gli shayatin vi sono incatenati. In più, vi troverete una notte che è migliore di mille mesi, colui che viene privato del suo favore è privato di una grande cosa» (riportato da Ahmad, Nisâ’i e Bayhaqi).
mercoledì 19 agosto 2009
IL BRAVO PADANO
Il buon padano medio si sveglia in un letto costruito secondo un modello che ebbe origine nel vicino Oriente, ma che venne modificato nel Nord Europa prima di essere esportato in America. Egli scosta le lenzuola e le coperte che possono essere di cotone, pianta originaria del Vicino Oriente, o di lana di pecora, animale originariamente addomesticato in oriente; o di seta, il cui uso fu scoperto in Cina. Tutti questi materiali sono stati filati e tessuti secondo procedimenti inventati sempre nel vicino Oriente.
Si infila i mocassini, inventati dai pellerossa delle boscose contrade della Costa Orientale e va in bagno, i cui accessori sono un misto di invenzioni europee e americane...Si leva il pigiama, indumento inventato in India e si lava con il sapone, inventato da antiche popolazioni galliche. Poi si fa la barba, rito masochistico che sembra sia derivato dai sumeri o dagli antichi egizi.
Andando a pranzo, si ferma a comprare il giornale, pagando con monete, che sono un'antica invenzione della Lidia. Al ristorante viene in contatto con tutta una serie di elementi presi da diverse culture: il suo piatto è fatto di un tipo di terraglia inventata in Cina; il suo coltello è di acciaio lega ottenuta per la prima volta nell'India del sud; la sua forchetta ha origini medievali italiane e il cucchiaio è un derivato dell'originale romano...
Quando il nostro amico ha finito di mangiare, si appoggia alla spalliera della sedia e fuma, secondo un'usanza degli indiani d'America.
Mentre fuma, legge le notizie del giorno, stampate in un carattere inventato dagli antichi semiti, su un materiale inventato in Cina secondo un procedimento inventato in Germania.
Mentre legge il resoconto dei problemi che agitano l'estero, con un linguaggio indo-europeo, ringrazierà Dio, di origine ebraica, di averlo fatto nascere al cento per cento padano.
Da questo brano (tratto e adattato da Ralph Linton, Lo studio dell'uomo, reperito in Duccio Demetrio, Graziella Favaro, Didattica interculturale, nuovi sguardi, competenze, percorsi, Milano, Franco Angeli, 2004, p. 110) si evince che:
il bravo padano legge (e qui si potrebbero aprire percorsi euristici notevoli per stabilire se effettivamente lo faccia, se legge solo la padania o anche Libero, ecc. lasciando intatti altri dubbi);
il bravo padano da oggi mangerà la minestra con la forchetta (fato che il cucchiaio è di origine romana);
il bravo padano ogni giorno usa elementi o oggetti che derivano in grande parte dall'Asia e, nel caso della scrittura, dal Vicino Oriente;
il bravo padano non può più fare a meno di tutte (o quasi) le cose che utilizza quotidianamente e che non provengono dalla Padania, anche perché questa non è mai esistita...bisognerà dirglielo prima o poi...
Giuliano
Si infila i mocassini, inventati dai pellerossa delle boscose contrade della Costa Orientale e va in bagno, i cui accessori sono un misto di invenzioni europee e americane...Si leva il pigiama, indumento inventato in India e si lava con il sapone, inventato da antiche popolazioni galliche. Poi si fa la barba, rito masochistico che sembra sia derivato dai sumeri o dagli antichi egizi.
Andando a pranzo, si ferma a comprare il giornale, pagando con monete, che sono un'antica invenzione della Lidia. Al ristorante viene in contatto con tutta una serie di elementi presi da diverse culture: il suo piatto è fatto di un tipo di terraglia inventata in Cina; il suo coltello è di acciaio lega ottenuta per la prima volta nell'India del sud; la sua forchetta ha origini medievali italiane e il cucchiaio è un derivato dell'originale romano...
Quando il nostro amico ha finito di mangiare, si appoggia alla spalliera della sedia e fuma, secondo un'usanza degli indiani d'America.
Mentre fuma, legge le notizie del giorno, stampate in un carattere inventato dagli antichi semiti, su un materiale inventato in Cina secondo un procedimento inventato in Germania.
Mentre legge il resoconto dei problemi che agitano l'estero, con un linguaggio indo-europeo, ringrazierà Dio, di origine ebraica, di averlo fatto nascere al cento per cento padano.
Da questo brano (tratto e adattato da Ralph Linton, Lo studio dell'uomo, reperito in Duccio Demetrio, Graziella Favaro, Didattica interculturale, nuovi sguardi, competenze, percorsi, Milano, Franco Angeli, 2004, p. 110) si evince che:
il bravo padano legge (e qui si potrebbero aprire percorsi euristici notevoli per stabilire se effettivamente lo faccia, se legge solo la padania o anche Libero, ecc. lasciando intatti altri dubbi);
il bravo padano da oggi mangerà la minestra con la forchetta (fato che il cucchiaio è di origine romana);
il bravo padano ogni giorno usa elementi o oggetti che derivano in grande parte dall'Asia e, nel caso della scrittura, dal Vicino Oriente;
il bravo padano non può più fare a meno di tutte (o quasi) le cose che utilizza quotidianamente e che non provengono dalla Padania, anche perché questa non è mai esistita...bisognerà dirglielo prima o poi...
Giuliano
LUTTO NEL MONDO DELLA CULTURA. ADDIO A FERNANDA PIVANO
LUTTO NEL MONDO DELLA CULTURA
Addio a Fernanda Pivano, voce italiana della nuova America
Con le sue traduzioni ci ha fatto conoscere gli autori americani del '900, da Edgar Lee Masters a Hemingway, dalla «beat generation» a Dylan. Aveva 92 anni
MILANO - È morta all'età di 92 anni la scrittrice e giornalista Fernanda Pivano. A lei, nata a Genova nel 1917 ma trasferitasi presto a Torino con la famiglia, si deve la conoscenza in Italia dei grandi autori della letteratura americana. Da Edgar Lee Masters a Hemingway, dai poeti e gli scrittori della «beat generation» a Bob Dylan, i più grandi e rappresentativi autori della nuova America sono stati portati ai lettori italiani dalla sua capacità di interpretare, capire, raccontare e descrivere un mondo ancora sconosciuto al pubblico italiano. Di quasi tutti questi autori, Fernanda Pivano è diventata amica e confidente, riuscendo a trasferire nelle versioni italiane delle loro opere, lo spirito più vicino possibile a quello dell'originale. Scrittrice e anche giornalista, è stata a lungo collaboratrice del Corriere della Sera, cui ha regalato interventi e scritti di grande.
Il suo ultimo testo scritto per il Corriere in occasione del suo 92 esimo compleanno, il 18 luglio scorso, era una nostalgica ma anche serena riflessione sulla vecchiaia con tanti ricordi degli scrittori conosciuti nella sua vita. La Pivano si è spenta martedì sera in una clinica privata di Milano, dove era ricoverata da tempo. I funerali si svolgeranno probabilmente venerdì prossimo, a Genova. «È stata una protagonista della cultura italiana» ha scritto il capo dello Stato Giorgio Napolitano in un messaggio di cordoglio alla famiglia.
DALL'ANTOLOGIA DI SPOON RIVER AL PRIMO VIAGGIO NEGLI STATES - La prima parziale traduzione della Pivano della Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters (per Einaudi) risale al 1943. Cinque anni dopo l'incontro a Cortina con Ernest Hemingway, cui la Pivano resterà legata a vita da un rapporto umano e professionale a un tempo. Negli anni seguenti infatti la scrittrice curerà la traduzione dell'intera opera di Hemingway, intensificando l'amicizia con lo scrittore americano. Nel 1949 sposa Ettore Sottsass jr, autore delle foto più belle di tanti viaggi indimenticabili e incontri con gli scrittori beat Allen Ginsberg, Jack Kerouac e Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Neal Cassidy. Ciò che nella letteratura americana la attrae di più, rispetto a quella europea, è la «vecchia, tradizionale differenza fra letteratura pragmatistica e letteratura accademica, fra i fatti della vita e una letteratura libresca basata su indagini psicologiche». Così diceva: «Mi hanno attaccata per non aver mai valutato i libri, ma io mi sono limitata ad amarli, non a valutarli: questo lavoro lo lascio ai professori». Nei sei anni che vanno dal 1949 al 1954 la Pivano si dedica alla traduzione dei principali libri di Francis Scott Fitzgerald (da Tenera è la notte a Il grande Gatsby). Il 1956 è l'anno del primo viaggio negli States.
BOB DYLAN E CHARLES BUKOWSKI - Non solo letteratura,però. La Pivano infatti, che nel 1959 scrive la prefazione a «Sulla strada» di Jack Kerouac, cura nel 1972 l'introduzione alla prima raccolta di testi e traduzioni italiane di Bob Dylan «Blues ballate e canzoni». All'inizio degli anni Ottanta esce la sua intervista a Charles Bukowski (Quello che mi importa è grattarmi sotto le ascelle). La lista degli scrittori americani contemporanei che abbiamo imparato a conoscere grazie al suo contributo è lunga: ci sono gli autori del "dissenso negro", come Richard Wright, e quelli del dissenso non violento degli anni Sessanta (Allen Ginsberg, Jack Kerouac, William Burroughs, Gregory Corso e Lawrence Ferlinghetti) fino a giovani autori come Jay McInerney, Bret Easton Ellis, David Foster Wallace, Chuck Palahniuk e Jonathan Safran Foer, passando appunto da Charles Bukowski e senza dimenticare la sua amicizia con Hemingway.
DE ANDRE' - Nel 1995 la Pivano pubblica la raccolta di saggi Amici scrittori. Bisognerà aspettare ancora sette anni per leggere uno scritto su Fabrizio De Andrè pubblicato all'interno del volume De Andrè il corsaro assieme a Michele Serra e a Cesare G. Romana. Diplomata al decimo anno di conservatorio, pianista, la Pivano (che è stata amica di molti musicisti: Bob Dylan, Lou Reed, Jovanotti) instaura proprio con De Andrè un rapporto speciale (lei considerava lui enfaticamente e con affetto il più grande poeta italiano del secolo e gli ha dedicato un testo che ha il titolo di una canzone del cantautore, La guerra di Piero, con interprete Judith Malina). Nel 2005 raccoglie tutti i suoi testi di letteratura, più di 1.500 pagine, in Pagine americane: narrativa e poesia 1943 - 2005 da Frassinelli. Nel 2008 arrivano in libreria i suoi Diari 1917 - 1971, prima parte della sua autobiografia (Bompiani).
L'AUTOBIOGRAFIA SUL SITO - Nell'autobiografia sul sito ufficiale di Fernanda Pivano si legge: «Quando negli anni '50 Fernanda Pivano si reca per la prima volta negli Stati Uniti è una giovane studiosa innamorata dell'America di quegli anni e desiderosa di incontrare dal vivo, sul campo, i maestri di una narrativa che in Italia si era appena cominciato a conoscere, grazie a Cesare Pavese ed Elio Vittorini. Immediatamente scopre un mondo, di sogni, ideali, valori, che non si stancherà più di celebrare: dal pacifismo di Norman Mailer, maestro riconosciuto della narrativa americana, amato e contemporaneamente odiato dalla beat generation degli anni sessanta, che a lui e al suo antiimperialismo si rifece, all'esempio di inesausta sete di nuovo e di autenticità del mito vivente Ernest Hemingway. Dai guru della beat generation Ginsberg, Kerouac, Corso, Ferlinghetti, uomini che in nome di un'idea di ritorno all'essenzialità dell'Uomo, in contrasto con i pregiudizi del consumismo capitalistico, hanno vissuto e scritto senza distinguere fra arte e vita, a Don DeLillo e ai minimalisti. Un nuovo viaggio americano, insomma, fra le contraddizioni e le speranze segrete di quel grande, osannato e temuto paese che è, da sempre, l'America».
18 agosto 2009
dal sito http://www.corriere.it/cultura/09_agosto_18/pivano_morte_7c20f61e-8c19-11de-a273-00144f02aabc.shtml dove ci sono anche collegamenti ipertestuali
Addio a Fernanda Pivano, voce italiana della nuova America
Con le sue traduzioni ci ha fatto conoscere gli autori americani del '900, da Edgar Lee Masters a Hemingway, dalla «beat generation» a Dylan. Aveva 92 anni
MILANO - È morta all'età di 92 anni la scrittrice e giornalista Fernanda Pivano. A lei, nata a Genova nel 1917 ma trasferitasi presto a Torino con la famiglia, si deve la conoscenza in Italia dei grandi autori della letteratura americana. Da Edgar Lee Masters a Hemingway, dai poeti e gli scrittori della «beat generation» a Bob Dylan, i più grandi e rappresentativi autori della nuova America sono stati portati ai lettori italiani dalla sua capacità di interpretare, capire, raccontare e descrivere un mondo ancora sconosciuto al pubblico italiano. Di quasi tutti questi autori, Fernanda Pivano è diventata amica e confidente, riuscendo a trasferire nelle versioni italiane delle loro opere, lo spirito più vicino possibile a quello dell'originale. Scrittrice e anche giornalista, è stata a lungo collaboratrice del Corriere della Sera, cui ha regalato interventi e scritti di grande.
Il suo ultimo testo scritto per il Corriere in occasione del suo 92 esimo compleanno, il 18 luglio scorso, era una nostalgica ma anche serena riflessione sulla vecchiaia con tanti ricordi degli scrittori conosciuti nella sua vita. La Pivano si è spenta martedì sera in una clinica privata di Milano, dove era ricoverata da tempo. I funerali si svolgeranno probabilmente venerdì prossimo, a Genova. «È stata una protagonista della cultura italiana» ha scritto il capo dello Stato Giorgio Napolitano in un messaggio di cordoglio alla famiglia.
DALL'ANTOLOGIA DI SPOON RIVER AL PRIMO VIAGGIO NEGLI STATES - La prima parziale traduzione della Pivano della Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters (per Einaudi) risale al 1943. Cinque anni dopo l'incontro a Cortina con Ernest Hemingway, cui la Pivano resterà legata a vita da un rapporto umano e professionale a un tempo. Negli anni seguenti infatti la scrittrice curerà la traduzione dell'intera opera di Hemingway, intensificando l'amicizia con lo scrittore americano. Nel 1949 sposa Ettore Sottsass jr, autore delle foto più belle di tanti viaggi indimenticabili e incontri con gli scrittori beat Allen Ginsberg, Jack Kerouac e Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Neal Cassidy. Ciò che nella letteratura americana la attrae di più, rispetto a quella europea, è la «vecchia, tradizionale differenza fra letteratura pragmatistica e letteratura accademica, fra i fatti della vita e una letteratura libresca basata su indagini psicologiche». Così diceva: «Mi hanno attaccata per non aver mai valutato i libri, ma io mi sono limitata ad amarli, non a valutarli: questo lavoro lo lascio ai professori». Nei sei anni che vanno dal 1949 al 1954 la Pivano si dedica alla traduzione dei principali libri di Francis Scott Fitzgerald (da Tenera è la notte a Il grande Gatsby). Il 1956 è l'anno del primo viaggio negli States.
BOB DYLAN E CHARLES BUKOWSKI - Non solo letteratura,però. La Pivano infatti, che nel 1959 scrive la prefazione a «Sulla strada» di Jack Kerouac, cura nel 1972 l'introduzione alla prima raccolta di testi e traduzioni italiane di Bob Dylan «Blues ballate e canzoni». All'inizio degli anni Ottanta esce la sua intervista a Charles Bukowski (Quello che mi importa è grattarmi sotto le ascelle). La lista degli scrittori americani contemporanei che abbiamo imparato a conoscere grazie al suo contributo è lunga: ci sono gli autori del "dissenso negro", come Richard Wright, e quelli del dissenso non violento degli anni Sessanta (Allen Ginsberg, Jack Kerouac, William Burroughs, Gregory Corso e Lawrence Ferlinghetti) fino a giovani autori come Jay McInerney, Bret Easton Ellis, David Foster Wallace, Chuck Palahniuk e Jonathan Safran Foer, passando appunto da Charles Bukowski e senza dimenticare la sua amicizia con Hemingway.
DE ANDRE' - Nel 1995 la Pivano pubblica la raccolta di saggi Amici scrittori. Bisognerà aspettare ancora sette anni per leggere uno scritto su Fabrizio De Andrè pubblicato all'interno del volume De Andrè il corsaro assieme a Michele Serra e a Cesare G. Romana. Diplomata al decimo anno di conservatorio, pianista, la Pivano (che è stata amica di molti musicisti: Bob Dylan, Lou Reed, Jovanotti) instaura proprio con De Andrè un rapporto speciale (lei considerava lui enfaticamente e con affetto il più grande poeta italiano del secolo e gli ha dedicato un testo che ha il titolo di una canzone del cantautore, La guerra di Piero, con interprete Judith Malina). Nel 2005 raccoglie tutti i suoi testi di letteratura, più di 1.500 pagine, in Pagine americane: narrativa e poesia 1943 - 2005 da Frassinelli. Nel 2008 arrivano in libreria i suoi Diari 1917 - 1971, prima parte della sua autobiografia (Bompiani).
L'AUTOBIOGRAFIA SUL SITO - Nell'autobiografia sul sito ufficiale di Fernanda Pivano si legge: «Quando negli anni '50 Fernanda Pivano si reca per la prima volta negli Stati Uniti è una giovane studiosa innamorata dell'America di quegli anni e desiderosa di incontrare dal vivo, sul campo, i maestri di una narrativa che in Italia si era appena cominciato a conoscere, grazie a Cesare Pavese ed Elio Vittorini. Immediatamente scopre un mondo, di sogni, ideali, valori, che non si stancherà più di celebrare: dal pacifismo di Norman Mailer, maestro riconosciuto della narrativa americana, amato e contemporaneamente odiato dalla beat generation degli anni sessanta, che a lui e al suo antiimperialismo si rifece, all'esempio di inesausta sete di nuovo e di autenticità del mito vivente Ernest Hemingway. Dai guru della beat generation Ginsberg, Kerouac, Corso, Ferlinghetti, uomini che in nome di un'idea di ritorno all'essenzialità dell'Uomo, in contrasto con i pregiudizi del consumismo capitalistico, hanno vissuto e scritto senza distinguere fra arte e vita, a Don DeLillo e ai minimalisti. Un nuovo viaggio americano, insomma, fra le contraddizioni e le speranze segrete di quel grande, osannato e temuto paese che è, da sempre, l'America».
18 agosto 2009
dal sito http://www.corriere.it/cultura/09_agosto_18/pivano_morte_7c20f61e-8c19-11de-a273-00144f02aabc.shtml dove ci sono anche collegamenti ipertestuali
sabato 15 agosto 2009
Chiesa Confessante davanti al razzismo
Chiesa Confessante davanti al razzismo
«Disubbidiamo ad una legge ingiusta?», con l’interrogativo, è il titolo di un articolo di Gianluca Fiusco, su Riforma (settimanale delle chiese battiste, metodiste, valdesi), 31 luglio 2009, p. 6 (redazione.torino@riforma.it ).
«Possiamo fare finta di niente davanti ad una legge avversa alla vocazione a cui siamo chiamati? Che il Sinodo si esprima denunciando questa discriminazione “legale”».
L’articolo è una delle voci cristiane che, in numero crescente, esprimono sofferenza e contrarietà alla legislazione discriminatoria e restrittiva dei diritti umani, decisa e attuata dalla maggioranza governativa, con la tolleranza passiva dell’opinione popolare. Anche molti cattolici esprimono questa opposizione, ma stanno cercando i modi pratici, dimostrativi e civilmente resistenti di disobbedire alle leggi razziste ed egoiste. C’è ancora incertezza su come andare oltre le dichiarazioni di principio, con azioni incisive, personali e collettive. L’Autore dell’articolo scrive che dovremmo ora spostare l’attenzione dal piano politico «al piano dell’azione concreta che, come Chiesa di Cristo, siamo chiamati a intraprendere». È urgente che quanti credono nel vangelo diventino «Chiesa Confessante» (è il titolo che presero i cristiani evangelici tedeschi davanti all’idolatria nazista della razza e del sangue tedesco). Non si tratta di imporre un’etica al Parlamento, ma si tratta del dovere della Chiesa di difendere i deboli e le vittime di un “ordine” sociale che vuole la disuguaglianza. La Chiesa deve «non soltanto fasciare le vittime che sono finite in mezzo agli ingranaggi della ruota, ma arrestare gli ingranaggi stessi» (credo che sia una citazione di Bonhoeffer). Le comunità cristiane «hanno forse atteso troppo che si arrivasse a questo punto», anche se in tanti casi hanno aiutato effettivamente «i deboli tra i deboli», per coerenza evangelica. Ormai «persino l’obiezione di coscienza non è sufficiente (…) è necessario il clamore di gesti significativi e incisivi». «Siamo capaci, come Chiesa, di assumerci la responsabilità dell’Evangelo? (…) Siamo disposti ad autodenunciarci e disubbidire a una legge ingiusta, contraria alla chiamata cui noi rispondiamo?». Questo che Fiusco chiede alla sua chiesa metodista e valdese, ognuno di noi cristiani lo chieda alla propria chiesa, se crediamo che Dio ci chiama alla giustizia e fraternità universale. Costituiamo così, insieme, ecumenicamente, la Chiesa Confessante italiana, oggi.L’articolo, infine, fa appello al prossimo Sinodo metodista e valdese: «L’occasione è vicina, il Sinodo è vicino ed è lì che la Chiesa nel suo insieme può assumere una decisione di disobbedienza attiva, assumere la decisione di essere Chiesa Confessante in un tempo di rinnovate violenze e discriminazioni». Mandiamo al Sinodo il nostro fraterno appoggio e sostegno nella decisione.Nell’ambito nonviolento è circolata la proposta di denunciare alla magistratura la “notitia criminis” individuata in queste leggi. Ma pare, purtroppo, che ciò non abbia un reale effetto legale. Consideriamo allora la possibilità di dichiarazioni nostre personali e delle nostre comunità ecclesiali, rivolte ufficialmente al Prefetto, in cui ci si impegna e si promette di disobbedire alle disposizioni discriminatorie, violandole con lealtà, accettando le conseguenze. Cogliamo le occasioni di disobbedienza all’ingiustizia, perché «bisogna obbedire a Dio e alla coscienza prima che alle autorità umane », anche religiose (cfr Atti, 4,19). Le nostre chiese, spesso diplomatiche e compromissorie più che profetiche, devono qualificarsi evangelicamente. Ora Dio ci dà un’occasione di affrontare l’odio e la paura che inquinano la società con una testimonianza di amore e giustizia verso le vittime di discriminazione. Parliamone diffusamente in tutti i luoghi ecclesiali e sociali, per decidere da cristiani, anche insieme ad altre coscienze religiose e morali.
Enrico Peyretti, Torino, 12 agosto 2009
«Disubbidiamo ad una legge ingiusta?», con l’interrogativo, è il titolo di un articolo di Gianluca Fiusco, su Riforma (settimanale delle chiese battiste, metodiste, valdesi), 31 luglio 2009, p. 6 (redazione.torino@riforma.it ).
«Possiamo fare finta di niente davanti ad una legge avversa alla vocazione a cui siamo chiamati? Che il Sinodo si esprima denunciando questa discriminazione “legale”».
L’articolo è una delle voci cristiane che, in numero crescente, esprimono sofferenza e contrarietà alla legislazione discriminatoria e restrittiva dei diritti umani, decisa e attuata dalla maggioranza governativa, con la tolleranza passiva dell’opinione popolare. Anche molti cattolici esprimono questa opposizione, ma stanno cercando i modi pratici, dimostrativi e civilmente resistenti di disobbedire alle leggi razziste ed egoiste. C’è ancora incertezza su come andare oltre le dichiarazioni di principio, con azioni incisive, personali e collettive. L’Autore dell’articolo scrive che dovremmo ora spostare l’attenzione dal piano politico «al piano dell’azione concreta che, come Chiesa di Cristo, siamo chiamati a intraprendere». È urgente che quanti credono nel vangelo diventino «Chiesa Confessante» (è il titolo che presero i cristiani evangelici tedeschi davanti all’idolatria nazista della razza e del sangue tedesco). Non si tratta di imporre un’etica al Parlamento, ma si tratta del dovere della Chiesa di difendere i deboli e le vittime di un “ordine” sociale che vuole la disuguaglianza. La Chiesa deve «non soltanto fasciare le vittime che sono finite in mezzo agli ingranaggi della ruota, ma arrestare gli ingranaggi stessi» (credo che sia una citazione di Bonhoeffer). Le comunità cristiane «hanno forse atteso troppo che si arrivasse a questo punto», anche se in tanti casi hanno aiutato effettivamente «i deboli tra i deboli», per coerenza evangelica. Ormai «persino l’obiezione di coscienza non è sufficiente (…) è necessario il clamore di gesti significativi e incisivi». «Siamo capaci, come Chiesa, di assumerci la responsabilità dell’Evangelo? (…) Siamo disposti ad autodenunciarci e disubbidire a una legge ingiusta, contraria alla chiamata cui noi rispondiamo?». Questo che Fiusco chiede alla sua chiesa metodista e valdese, ognuno di noi cristiani lo chieda alla propria chiesa, se crediamo che Dio ci chiama alla giustizia e fraternità universale. Costituiamo così, insieme, ecumenicamente, la Chiesa Confessante italiana, oggi.L’articolo, infine, fa appello al prossimo Sinodo metodista e valdese: «L’occasione è vicina, il Sinodo è vicino ed è lì che la Chiesa nel suo insieme può assumere una decisione di disobbedienza attiva, assumere la decisione di essere Chiesa Confessante in un tempo di rinnovate violenze e discriminazioni». Mandiamo al Sinodo il nostro fraterno appoggio e sostegno nella decisione.Nell’ambito nonviolento è circolata la proposta di denunciare alla magistratura la “notitia criminis” individuata in queste leggi. Ma pare, purtroppo, che ciò non abbia un reale effetto legale. Consideriamo allora la possibilità di dichiarazioni nostre personali e delle nostre comunità ecclesiali, rivolte ufficialmente al Prefetto, in cui ci si impegna e si promette di disobbedire alle disposizioni discriminatorie, violandole con lealtà, accettando le conseguenze. Cogliamo le occasioni di disobbedienza all’ingiustizia, perché «bisogna obbedire a Dio e alla coscienza prima che alle autorità umane », anche religiose (cfr Atti, 4,19). Le nostre chiese, spesso diplomatiche e compromissorie più che profetiche, devono qualificarsi evangelicamente. Ora Dio ci dà un’occasione di affrontare l’odio e la paura che inquinano la società con una testimonianza di amore e giustizia verso le vittime di discriminazione. Parliamone diffusamente in tutti i luoghi ecclesiali e sociali, per decidere da cristiani, anche insieme ad altre coscienze religiose e morali.
Enrico Peyretti, Torino, 12 agosto 2009
martedì 11 agosto 2009
spiritualità e storia: sorella maria
Dall'amico Enrico Peyretti ricevo e pubblico
sorella maria
Spiritualità e storia -- Eremita, in compagnia senza confini
Nella storia della spiritualità del Novecento sta emergendo una singolare figura di donna, sorella Maria dell’eremo di Campello (antico convento francescano tra Spoleto e Foligno). La sua vita, i suoi dialoghi, le sue ampie importanti relazioni vengono un po’ alla volta scoperte, studiate e documentate, al di là della cerchia delle conoscenze dirette. Una preziosa pubblicazione recente è la sua corrispondenza con don Primo Mazzolari, il prete scrittore e predicatore determinante nel fermento cattolico che sfociò nel concilio. Mariangela Maraviglia, l’attenta curatrice di questo carteggio (L’ineffabile fraternità, Ed. Qiqaion, Bose 2007, pp. 377, € 23,00) ha parlato di sorella Maria a St. Jacques il 17 agosto, invitata dalla Baita Albese e dagli amici che vi frequentavano don Michele Do, fino alla sua morte nel 2005, spirito ardente che fu in intensa comunicazione con l’eremita Maria. Riferisco brevi note (con piccole aggiunte mie) dalla lezione di Mariangela Maraviglia, che la pubblicherà in un più ampio studio.
Valeria Pignetti (1875-1961) nasceva a Torino in ambiente liberale mazziniano. Il padre, non credente, le trasmise grande sensibilità morale. Valeria amava la natura più che la preghiera in chiesa. Ascoltò padre Semeria. Si fece suora tra le Francescane missionarie, ma a 44 anni ne uscì per costruire una libera fraternità cristiana, di vita semplice, senza alcuna istituzione né regola (come avrebbero voluto anche Francesco e Chiara). Non regole, ma «consuetudini disciplinate» servivano all’armonia del piccolo gruppo, per realizzare il «sacrum facere», cioè per rendere sacro ogni gesto e azione della vita quotidiana comune: pregare, memorizzare brani e salmi, fare il pane, filare e ricamare, camminare in fila (metafora del cammino comune della vita), ammirare la natura nelle sue stagioni, vivere con tenerezza la compagnia degli animali, leggere insieme a veglia, tenere la corrispondenza.
Fu una piccola realtà, «minore»: non più di sette sorelle, umili, incolte, soltanto alcune colte, due di loro non cattoliche. Maria ristruttura quel convento, fa abbattere una chiesa barocca in disarmonia con il resto. Attorno alla comunità si forma una cerchia di fratelli e sorelle “non conviventi”, alcuni dei quali sono protestanti o non credenti, e continue visite di ospiti, «amici o contrari», in cerca di pace. Maria, malata alla vista, detta le lettere ad Agnese. Dal 1928 al 1947 ha una corrispondenza con Gandhi (17 lettere di Maria, 10 di Gandhi, più altre tra persone delle due rispettive comunità, pubblicate pro manuscripto presso l’eremo nel 1991). Il gandhiano Lanza del Vasto visita l’eremo e vi manda discepoli. Tra i tanti corrispondenti dell’eremo, oltre Mazzolari, sono Aldo Capitini, Giovanni Vannucci, David Turoldo, Michele Do, Ernesto Buonaiuti, Albert Schweitzer, don Orione, Ambrogio Donini (comunista, senatore, storico del cristianesimo, di cui Maria ha grande stima). La sorella si prende cura di giovani preti inquieti e sensibili, tra cui Michele Do e altri che invece lasceranno la chiesa. Fu eremita, Maria, ma tutt’altro che solitaria, tessitrice di una ricca tela di «amicizie senza confini», e di correnti vivissime.
Ogni fermento di vivacità spirituale, di interiorità e intelligenza, di senso storico, di apertura ai tempi, nella chiesa cattolica cadeva allora sotto la condanna del “modernismo” (enciclica Pascendi, 1906). Questa cappa pesò sulla chiesa fino agli anni ’20-’40 del Novecento. Il protestantesimo era il nemico della verità cristiana. I protestanti potevano “ritornare” alla vera chiesa, ma i cattolici non potevano avere dialogo con loro (enciclica Mortalium animos, 1928). Censure, scomuniche, durissimi ostracismi personali schiacciavano ogni movimento. L’eremo di Campello vive in questo clima. Il vescovo locale vieta di accedervi e proibisce che vi si celebri la messa. Il divieto viene tolto nel 1950 dal nuovo vescovo Radossi.
Gli scritti di sorella Maria sono soltanto lettere, più due fascicoli di detti, raccolti da una sorella. Maria non elabora teorie. Le sue lettere sono sapienza per frammenti: parla della vita quotidiana, con intuizioni di grande intensità. La sua spiritualità è ecumenica, nelle chiese, oltre le chiese. Scrive, in una lunga franca lettera a Pio XII, il 21 giugno 1942: «Ho bisogno di più largo respiro». Si dice “pancristiana” (termine condannato dall’enciclica del 1928). In una lettera del 1924 dice che la chiesa è la comunione di chiunque crede, spera, ama. Si è tanto più cristiani quanto più uniti a tutti, quindi veramente “cattolici” (universali). Ha un rispetto particolare per la chiesa di Roma, la “chiesa madre”, in quanto «presiede all’amore» (Ignazio di Antiochia): in essa è l’elemento sostanziale, che è l’amare di più, perciò non può non essere in comunione con tutti i cercatori di Cristo, «un solo pane con i fratelli che cercano Cristo», «ma anche con il fratello israelita, o pagano, che crede, spera, ama».
Scriveva a Gandhi nel 1928 e1932: «Io sono creatura selvatica e libera in Cristo, e voglio con Lui, con te, con voi, con ogni fratello cercatore di Dio, camminare per i sentieri della verità». «Io sono riconoscente e in venerazione per la Chiesa della mia nascita e della mia famiglia, ma la chiesa del mio cuore è l’invisibile chiesa che sale alle stelle. Che non è divisa da diversità di culti, ma è formata da tutti i cercatori della verità». Gandhi, per lei è «pietra miliare verso la vastità del Regno».
Sorella Maria ha la «religiosità del cuore, l’unica che vale». Impara da tutte le grandi tradizioni religiose. Si definisce “panica”, nel senso di partecipe del tutto, vicina a tutti, a tutto. Percepisce una comunione universale, con un senso dell’infinito, oltre l’umanità, per ogni vita animale e vegetale, per il cosmo. Non si tratta di vaghezza, perché il suo orizzonte è chiaramente cristocentrico. Risponde ad un inquisitore: «Nel Cristo è tutto, egli penetra tutto, omnia in ipso facta sunt». Le creature rivelano Cristo, sono un raggio della sua bellezza. Questo “panismo” è definibile come un «cristocentrismo con irradiazione universale».
Da qui l’esigenza di purificazione della chiesa, di ecumenismo, di libertà e primato della coscienza. Nella lettera a Pio XII racconta che, nel 1927, trovandosi malata in pericolo di vita, il confessore le impose di abiurare la sua grande amicizia con Buonaiuti, lo scomunicato da evitare come un appestato. Maria gli rispose: «Ho sempre cercato di non tradire la mia coscienza. Non potrei farlo in quest’ora estrema». E aggiunge che il prete le diede ugualmente l’assoluzione.
Spicca, secondo me, tra le lettere a Mazzolari, quella del 13 dicembre 1949, in cui gli rimprovera l’accento polemico usato in una discussione con Quasimodo; riguardo a un prete “smarrito” afferma il dovere di rispettare la coscienza che «crede di trovare nell’eresia un maggior lume di vero», tanto più che dovrebbe bastare per fare umili noi cattolici «il tremendo fardello di assurdità costituita dal Vaticano, che è l’insieme di tutti i nostri gravami di stoltizia demoniaca».
Oltre tutte le gerarchie, i dissensi, le istituzioni e le dottrine, Maria cerca la «pura semplicità» e pensa che «nell’ora del vespro brillerà una luce, e tutto sarà chiarito».
Questi squarci su cuori umani semplici, illuminati, puri e nascosti, in cui vive lo Spirito di Dio che riempie tutta la terra e rinnova tutte le cose, rendono piccine e ridicole le beghe e pretese ecclesiastiche. Noi ne riceviamo un soffio di speranza nelle forze di vita che scorrono nel cuore della terra, come falde vitali invisibili, e resistono alle ondate di violenza, di dominio, di cecità che infieriscono anche oggi sul corpo dell’umanità, fino a che brilli una luce di giustizia, di misericordia e salvezza.
Enrico Peyretti, 18 agosto 2008, modificato il 22
sorella maria
Spiritualità e storia -- Eremita, in compagnia senza confini
Nella storia della spiritualità del Novecento sta emergendo una singolare figura di donna, sorella Maria dell’eremo di Campello (antico convento francescano tra Spoleto e Foligno). La sua vita, i suoi dialoghi, le sue ampie importanti relazioni vengono un po’ alla volta scoperte, studiate e documentate, al di là della cerchia delle conoscenze dirette. Una preziosa pubblicazione recente è la sua corrispondenza con don Primo Mazzolari, il prete scrittore e predicatore determinante nel fermento cattolico che sfociò nel concilio. Mariangela Maraviglia, l’attenta curatrice di questo carteggio (L’ineffabile fraternità, Ed. Qiqaion, Bose 2007, pp. 377, € 23,00) ha parlato di sorella Maria a St. Jacques il 17 agosto, invitata dalla Baita Albese e dagli amici che vi frequentavano don Michele Do, fino alla sua morte nel 2005, spirito ardente che fu in intensa comunicazione con l’eremita Maria. Riferisco brevi note (con piccole aggiunte mie) dalla lezione di Mariangela Maraviglia, che la pubblicherà in un più ampio studio.
Valeria Pignetti (1875-1961) nasceva a Torino in ambiente liberale mazziniano. Il padre, non credente, le trasmise grande sensibilità morale. Valeria amava la natura più che la preghiera in chiesa. Ascoltò padre Semeria. Si fece suora tra le Francescane missionarie, ma a 44 anni ne uscì per costruire una libera fraternità cristiana, di vita semplice, senza alcuna istituzione né regola (come avrebbero voluto anche Francesco e Chiara). Non regole, ma «consuetudini disciplinate» servivano all’armonia del piccolo gruppo, per realizzare il «sacrum facere», cioè per rendere sacro ogni gesto e azione della vita quotidiana comune: pregare, memorizzare brani e salmi, fare il pane, filare e ricamare, camminare in fila (metafora del cammino comune della vita), ammirare la natura nelle sue stagioni, vivere con tenerezza la compagnia degli animali, leggere insieme a veglia, tenere la corrispondenza.
Fu una piccola realtà, «minore»: non più di sette sorelle, umili, incolte, soltanto alcune colte, due di loro non cattoliche. Maria ristruttura quel convento, fa abbattere una chiesa barocca in disarmonia con il resto. Attorno alla comunità si forma una cerchia di fratelli e sorelle “non conviventi”, alcuni dei quali sono protestanti o non credenti, e continue visite di ospiti, «amici o contrari», in cerca di pace. Maria, malata alla vista, detta le lettere ad Agnese. Dal 1928 al 1947 ha una corrispondenza con Gandhi (17 lettere di Maria, 10 di Gandhi, più altre tra persone delle due rispettive comunità, pubblicate pro manuscripto presso l’eremo nel 1991). Il gandhiano Lanza del Vasto visita l’eremo e vi manda discepoli. Tra i tanti corrispondenti dell’eremo, oltre Mazzolari, sono Aldo Capitini, Giovanni Vannucci, David Turoldo, Michele Do, Ernesto Buonaiuti, Albert Schweitzer, don Orione, Ambrogio Donini (comunista, senatore, storico del cristianesimo, di cui Maria ha grande stima). La sorella si prende cura di giovani preti inquieti e sensibili, tra cui Michele Do e altri che invece lasceranno la chiesa. Fu eremita, Maria, ma tutt’altro che solitaria, tessitrice di una ricca tela di «amicizie senza confini», e di correnti vivissime.
Ogni fermento di vivacità spirituale, di interiorità e intelligenza, di senso storico, di apertura ai tempi, nella chiesa cattolica cadeva allora sotto la condanna del “modernismo” (enciclica Pascendi, 1906). Questa cappa pesò sulla chiesa fino agli anni ’20-’40 del Novecento. Il protestantesimo era il nemico della verità cristiana. I protestanti potevano “ritornare” alla vera chiesa, ma i cattolici non potevano avere dialogo con loro (enciclica Mortalium animos, 1928). Censure, scomuniche, durissimi ostracismi personali schiacciavano ogni movimento. L’eremo di Campello vive in questo clima. Il vescovo locale vieta di accedervi e proibisce che vi si celebri la messa. Il divieto viene tolto nel 1950 dal nuovo vescovo Radossi.
Gli scritti di sorella Maria sono soltanto lettere, più due fascicoli di detti, raccolti da una sorella. Maria non elabora teorie. Le sue lettere sono sapienza per frammenti: parla della vita quotidiana, con intuizioni di grande intensità. La sua spiritualità è ecumenica, nelle chiese, oltre le chiese. Scrive, in una lunga franca lettera a Pio XII, il 21 giugno 1942: «Ho bisogno di più largo respiro». Si dice “pancristiana” (termine condannato dall’enciclica del 1928). In una lettera del 1924 dice che la chiesa è la comunione di chiunque crede, spera, ama. Si è tanto più cristiani quanto più uniti a tutti, quindi veramente “cattolici” (universali). Ha un rispetto particolare per la chiesa di Roma, la “chiesa madre”, in quanto «presiede all’amore» (Ignazio di Antiochia): in essa è l’elemento sostanziale, che è l’amare di più, perciò non può non essere in comunione con tutti i cercatori di Cristo, «un solo pane con i fratelli che cercano Cristo», «ma anche con il fratello israelita, o pagano, che crede, spera, ama».
Scriveva a Gandhi nel 1928 e1932: «Io sono creatura selvatica e libera in Cristo, e voglio con Lui, con te, con voi, con ogni fratello cercatore di Dio, camminare per i sentieri della verità». «Io sono riconoscente e in venerazione per la Chiesa della mia nascita e della mia famiglia, ma la chiesa del mio cuore è l’invisibile chiesa che sale alle stelle. Che non è divisa da diversità di culti, ma è formata da tutti i cercatori della verità». Gandhi, per lei è «pietra miliare verso la vastità del Regno».
Sorella Maria ha la «religiosità del cuore, l’unica che vale». Impara da tutte le grandi tradizioni religiose. Si definisce “panica”, nel senso di partecipe del tutto, vicina a tutti, a tutto. Percepisce una comunione universale, con un senso dell’infinito, oltre l’umanità, per ogni vita animale e vegetale, per il cosmo. Non si tratta di vaghezza, perché il suo orizzonte è chiaramente cristocentrico. Risponde ad un inquisitore: «Nel Cristo è tutto, egli penetra tutto, omnia in ipso facta sunt». Le creature rivelano Cristo, sono un raggio della sua bellezza. Questo “panismo” è definibile come un «cristocentrismo con irradiazione universale».
Da qui l’esigenza di purificazione della chiesa, di ecumenismo, di libertà e primato della coscienza. Nella lettera a Pio XII racconta che, nel 1927, trovandosi malata in pericolo di vita, il confessore le impose di abiurare la sua grande amicizia con Buonaiuti, lo scomunicato da evitare come un appestato. Maria gli rispose: «Ho sempre cercato di non tradire la mia coscienza. Non potrei farlo in quest’ora estrema». E aggiunge che il prete le diede ugualmente l’assoluzione.
Spicca, secondo me, tra le lettere a Mazzolari, quella del 13 dicembre 1949, in cui gli rimprovera l’accento polemico usato in una discussione con Quasimodo; riguardo a un prete “smarrito” afferma il dovere di rispettare la coscienza che «crede di trovare nell’eresia un maggior lume di vero», tanto più che dovrebbe bastare per fare umili noi cattolici «il tremendo fardello di assurdità costituita dal Vaticano, che è l’insieme di tutti i nostri gravami di stoltizia demoniaca».
Oltre tutte le gerarchie, i dissensi, le istituzioni e le dottrine, Maria cerca la «pura semplicità» e pensa che «nell’ora del vespro brillerà una luce, e tutto sarà chiarito».
Questi squarci su cuori umani semplici, illuminati, puri e nascosti, in cui vive lo Spirito di Dio che riempie tutta la terra e rinnova tutte le cose, rendono piccine e ridicole le beghe e pretese ecclesiastiche. Noi ne riceviamo un soffio di speranza nelle forze di vita che scorrono nel cuore della terra, come falde vitali invisibili, e resistono alle ondate di violenza, di dominio, di cecità che infieriscono anche oggi sul corpo dell’umanità, fino a che brilli una luce di giustizia, di misericordia e salvezza.
Enrico Peyretti, 18 agosto 2008, modificato il 22
lunedì 10 agosto 2009
APPELLO INTESE RELIGIOSE
La Coalizione
Breve storia e spiegazione della Coalizione per le Intese religiose
La “coalizione per le Intese religiose”, nata il 13 marzo del 2008, è un tavolo di lavoro che riunisce, con il supporto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, i rappresentanti delle Confessioni religiose che hanno un’Intesa pendente con lo Stato italiano: l’Arcidiocesi Ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale, la Chiesa Apostolica in Italia, la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (conosciuti anche come Mormoni), la Chiesa Evangelica Valdese, l’Unione Buddhista Italiana, l’Unione Induista Italiana, l'Unione Italiana Chiese Cristiane Avventiste 7° Giorno.
La Congregazione Italiana dei Testimoni di Geova, invitata a partecipare alla coalizione, ha cortesemente declinato l’invito.
L’obiettivo della coalizione è di sensibilizzare le istituzioni italiane ed i decisori politici affinché siano ratificate, il più velocemente possibile, le Intese religiose già negoziate con il Governo italiano.
Queste Confessioni della coalizione, oramai da decenni, attendono l’approvazione delle loro Intese con lo Stato italiano; questo nonostante la Costituzione, Articolo 8, stabilisca esplicitamente che: “tutte le Confessioni religiose sono egualmente libere di fronte alla legge, hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano, ed i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di Intese con le relative rappresentanze.”
Il 4 aprile del 2007, il Presidente del Consiglio Romano Prodi aveva firmato gli emendamenti delle intese con la Chiesa Valdese e con l'Unione Italiana Chiese Cristiane Avventiste 7° Giorno. In quella data, inoltre, il Presidente del Consiglio aveva firmato sei nuove intese con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, l’Arcidiocesi Ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale, la Chiesa Apostolica in Italia, l’Unione Buddhista Italiana, l’Unione Induista Italiana e la Congregazione Italiana Testimoni di Geova.
Nessuna di queste intese, tuttavia, è mai stata inoltrata al Parlamento per la necessaria ratifica. Questo nonostante tutte le proposte di intese presentate abbiano una storia più che decennale di revisione, discussione ed approvazione in tutte le sedi istituzionali competenti, ed abbiano inoltre ottenuto un largo consenso nei diversi schieramenti politici.
Attraverso questo sito internet la coalizione vuole lanciare un appello per sollecitare con forza la presentazione del disegno di legge governativo delle intese e la pronta ratifica da parte del Parlamento.
Nei mesi scorsi, diversi importanti rappresentanti di tutti i partiti politici sia del centro-destra che del centro-sinistra hanno già aderito a questo appello dichiarandosi assolutamente pronti a appoggiare l’approvazione delle intese in Parlamento.
Per maggiori informazioni rivolgersi alla APCO Worldwide S.p.A., società di consulenza che supporta la Coalizione nelle relazioni Istituzionali e nei rapporti con i media.
Claudio Tanca
Segretario coalizione per le intese religiose
c/o Apco Worldwide S.p.A.
Via dei Condotti 61a00187 Roma
Tel. 06.697.66.61 - Fax. 06.679.23.91
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La “coalizione per le Intese religiose”, nata il 13 marzo del 2008, è un tavolo di lavoro che riunisce, con il supporto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, i rappresentanti delle Confessioni religiose che hanno un’Intesa pendente con lo Stato italiano: l’Arcidiocesi Ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale, la Chiesa Apostolica in Italia, la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (conosciuti anche come Mormoni), la Chiesa Evangelica Valdese, l’Unione Buddhista Italiana, l’Unione Induista Italiana, l'Unione Italiana Chiese Cristiane Avventiste 7° Giorno.
La Congregazione Italiana dei Testimoni di Geova, invitata a partecipare alla coalizione, ha cortesemente declinato l’invito.
L’obiettivo della coalizione è di sensibilizzare le istituzioni italiane ed i decisori politici affinché siano ratificate, il più velocemente possibile, le Intese religiose già negoziate con il Governo italiano.
Queste Confessioni della coalizione, oramai da decenni, attendono l’approvazione delle loro Intese con lo Stato italiano; questo nonostante la Costituzione, Articolo 8, stabilisca esplicitamente che: “tutte le Confessioni religiose sono egualmente libere di fronte alla legge, hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano, ed i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di Intese con le relative rappresentanze.”
Il 4 aprile del 2007, il Presidente del Consiglio Romano Prodi aveva firmato gli emendamenti delle intese con la Chiesa Valdese e con l'Unione Italiana Chiese Cristiane Avventiste 7° Giorno. In quella data, inoltre, il Presidente del Consiglio aveva firmato sei nuove intese con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, l’Arcidiocesi Ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale, la Chiesa Apostolica in Italia, l’Unione Buddhista Italiana, l’Unione Induista Italiana e la Congregazione Italiana Testimoni di Geova.
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sabato 8 agosto 2009
PELLEGRINAGGIO NAZARET GERUSALEMME: TRA PALME E LIMONI
Inizi di luglio. Giornata calorosa e soleggiata con una bellissima luce mediterranea. Partenza alle prime luci dell’alba con un pulmino pubblico per Nazaret. Il villaggio di Gesù sarà la prima tappa del nostro pellegrinaggio che ci vedrà impegnati sulle strade assolate della Galilea e della Palestina. Andrea Manzardo, amico dai tempi del seminario e laico comboniano, mi ha appena raggiunto in Terra Santa per condividere questo sogno e pellegrinaggio di vita.
Un sogno un po’ pazzo
Camminare a piedi da Nazaret a Gerusalemme (alla fine saranno circa 200km) costeggiando tutto il lago di Tiberiade o il cosidetto lago di Gesù e attraversando la Samaria, oggi chiamata Cisgiordania la zona occupata per arrivare alla Città Santa per le tre grandi religioni. Desiderio entusiasmante e allo stesso tempo audace. Tutte le persone e amici alle quali abbiamo confidato questo progetto ci guardavano un po’ stralunati ma allo stesso tempo con un po’ di “ammirazione”. Di solito i pellegrinaggi in queste terre si fanno in mesi diversi da quello di luglio che è infuocato, senza nuvole e vento. Ma i pellegrinaggi a piedi non si fanno per propria gloria, anzi!
L’obiettivo del nostro camminare sulle strade di Gesù, degli Apostoli e dei primi cristiani era cercare le nostre radici cristiane e della nostra fede. Allo stesso tempo volevamo offrire in modo speciale questo tempo, sudore, solidarietà, per pregare e intercedere per eventi importanti per noi come uomini, cristiani e missionari: il Capitolo Generale dei Missionari Comboniani di settembre 2009 e il Sinodo Africano che si terrà a Roma in ottobre 2009. La Missione della Chiesa e l’Africa! Dimensioni dell’oggi guardando al futuro!
Alle radici della fede pellegrinando
Che cosa spinge noi e il credente di ogni tempo ad intraprendere il viaggio verso Gerusalemme e la Terra Santa? C’è di solito una spinta interiore, un atteggiamento spirituale e una speciale grazia di Dio. Non è stato estraneo, naturalmente, l’aspetto umano: il sogno, il desiderio, la volontà ma anche le parole e l’esempio di tante altre persone, lo stimolo proveniente tanto dalla Bibbia e dalle letture personali quanto dai vari e molteplici canali d’informazione. Il pellegrinaggio non è un evento fugace o un fatto moderno, ma è un’esperienza millenaria.Sempre, intraprendendo un pellegrinaggio ci mettiamo sulle orme di tanti altri personaggi e santi, uomini e donne che da millenni hanno vissuto questa esperienza.
Un pellegrino ha bisogno che i luoghi non solo gli ricordino una storia passata, ma che siano carichi di spiritualità. Gli svelino cioè un messaggio ancora presente, una testimonianza di vita che egli può raggiungere superando la barriera del tempo, mediante la fede del suo cuore.
Ed è proprio con questa consapevolezza e fiducia di seguire orme tracciate da Gesù, dagli apostoli, dai santi e personaggi di ogni genere che ci siamo messi in viaggio. Anche di Daniele Comboni che venne in questa Terra per “cercare Dio e la Chiesa” sapendo che qui nacque la Chiesa e la Missione Universale. Lui giovane missionario alla prima partenza per l’Africa che la Provvidenza portò “per caso” e con viaggio gratuito insieme ad altri due compagni di viaggio dell’Istituto Mazza in questa Terra per una decina di giorni che gli fece esclamare di Gesù: “Fanciulletto in Egitto, solitario a Nazaret, evangelizzatore in Palestina, divide con i poveri la sua sorte.”
Ma prima di San Daniele Comboni molti si sono susseguiti e hanno lasciato i loro importanti diari e scritti che formano oggi la Tradizione della Chiesa e le prime testimonianze di fede. Prima ancora che l’impero romano permettesse la religione ufficiale cristiana (313 d.C.), i pellegrini si mettevano in cammino per visitare le tombe degli apostoli, dei martiri, e i luoghi santi delle terre bibliche. Dalle terre d’Europa a quelle del Medio oriente. E questo fatto ci ha fatto penetrare dentro la storia, la geografia biblica e la cultura di tante persone che hanno scritto la Storia incarnandola e partendo dalle proprie radici di fede.
Il più famoso tra gli antichi diari di pellegrinaggio in Terra Santa è l’opera di una donna originaria della Galizia, una provincia della Spagna. Si chiamava Egeria,pellegrina del IV° secolo d.C.. Essa viaggiava per conoscere le scritture e i luoghi santi dove sono state scritte. Infatti essa scrisse: “Vedevo infatti molti santi monaci che venivano da quel posto Gerusalemme per visitare i luoghi santi e per pregare. Essi parlandomi di quei medesimi e singoli luoghi, mi fecero venire il desiderio di affrontare quella fatica, se fatica può propriamente dirsi quella di chi vede realizzarsi il proprio desiderio.” (Itinerario, XIII, 1)
Anche s.Gerolamo, che in Terra Santa venne per tradurre la Sacra Scrittura, ci sorprende con parole attualissime nel Libro delle Cronache: “Chi ha visto la Giudea con i suoi occhi e chi conosce i siti delle antiche città, i loro nomi siano essi gli stessi oppure siano cambiati, guarderà molto più chiaramente alle Sacre Scritture” (PL 29, 401). E’ una sensazione confermata e che diventa sempre più chiara anche per chi è stato per un lungo o breve momenti su questi luoghi nel corso dei secoli.
Fin dai primi secoli cristiani, fede, teologia e liturgia si richiamano alla memoria storica di Gesù a Betlemme, a Nazaret e soprattutto a Gerusalemme. I primi pellegrini di cui abbiamo memoria venivano in Terra Santa spinti dal desiderio di avere un contatto diretto con i luoghi cosidetti “Santi” che già conoscevano dalla lettura dell’Antico Testamento e del Vangelo. Più tardi i pellegrini presero a venire per vedere e pregare, per conoscere i luoghi della redenzione ed edificarsi nella loro fede, riattualizzando nel contatto con i luoghi dove i fatti si erano svolti, la presenza redentrice e salvatrice di Cristo. In questo contesto di sacralizzazione della Terra Santa, non meraviglia l’uso teologico fattone da Cirillo vescovo di Gerusalemme nelle sue catechesi ai neofiti nei primi secoli: “Molti sono i veri testimoni di Cristo…. Testimonia il luogo della mangiatoia…Tra i fiumi rende testimonianza il Giordano; tra i mari quello di Tiberiade… Testimonia il santo legno della croce fino ad oggi visibile in mezzo a noi… Testimonia il Getsemani…Testimonia questo santo Golgota elevato….Testimonia il santissimo sepolcro e la pietra che ancora oggi si trova per terra…Testimonia il santo Monte degli Olivi da cui ascese al Padre…” (Catechesi, X, 19).
Le radici della nostra fede cristiana si trovano nella Bibbia e nel giudaismo. Il pellegrinaggio, prima di essere un’esperienza cristiana, è stata un’esperienza giudaica per millenni. Tre volte all’anno tutti i maschi dovevano salire a Gerusalemme, non solo per “vedere Dio” ma anche per “essere visti dal Signore”. Gli ebrei, eccetto quelli della Giudea, compivano il pellegrinaggio a Gerusalemme non tre volte, ma forse una o due volte l’anno; quelli appartenenti alla Diaspora venivano di solito, solo per la Pentecoste. Il pellegrino doveva camminare (il pellegrinaggio si chiamava in ebraico regalim, regel= il piede) cinque giorni se veniva dalla Galilea, un giorno se veniva dalla Giudea. Camminavano lungo il Giordano, per avere possiblità di lavarsi e per evitare i Samaritani, loro nemici. A Gerico tutti si ritrovavano assieme e facevano la salita a Gerusalemme cantando i Salmi delle ascensioni che corrispondono ora nella Bibbia alla sequenza dal salmo 120 al 134 e qualche altro salmo sparso. Il pellegrinaggio era chiamato ‘aliyah (salita), un salita geografica accompagnata da una salita spirituale. La salita verso la Città Santa e il suo Tempio.
La catechesi che si dava in quel tempo al pellegrino ricordava però che ogni uomo è un Tempio. S.Paolo , giudeo e fariseo, parla infatti del Tempio del corpo in 1Cor 6,19. Il pellegrino, dopo il pellegrinaggio, doveva portare la luce di Dio agli altri. Doveva imparare a sorridere perchè è colui che ha riscoperto la gioia. Tutti insegnamenti ancora oggi molto validi per tutte le religioni ma anche per i pellegrini dell’oggi.
Nella catechesi della festa delle Capanne ciascuno doveva abitare sotto le tende facendo memoria che il popolo nell’uscita dall’Egitto non aveva sulla terra una dimora stabile e fissa. Ma doveva portare con sé anche un ramo di palma, un limone (etrog), un ramo di salice e un ramo di mirto. Insomma portare il profumo della natura e di Dio che passa dagli uni agli altri. Ma ciascuno di noi porta in sé la sua palma e il suo etrog. La palma corrisponde alla spina dorsale e l’etrog (limone) profumato è il cuore. Il pellegrino veniva quindi invitato a fare un esame di coscienza: i suoi pensieri e il suo cuore devono essere buoni se vuole salire sulla montagna del Signore.
Ogni pellegrinaggio, quindi, deve essere allora un’occasione per ritrovare queste radici, con la ricchezza della Parola di Dio con il senso giudaico della preghiera e del primato di Dio nella vita quotidiana. Ma anche contestualizzandolo nel tempo in cui stiamo vivendo pieno di oppressione, ingiustizie e di sangue innocente versato dai popoli palestinese e israeliano.
I volti del pellegrinaggio
È da molto tempo che vivo l’esperienza del pellegrinaggio. Ho fatto migliaia di kilometri in giro per l’Italia e l’Africa. Questo della Terra Santa mi pareva un grande sogno quasi irrealizzabile. E invece eccomi qua. La cosa che più mi affascina nei tanti pellegrinaggi vissuti sono gli incontri e i volti e le storie che il Signore mi ha posto “per caso” sul cammino, sulla strada, nel riposo e nella condivisione.
Il primo giorno a Nazaret abbiamo conosciuto un autista palestinese di taxi. Alì ci raccontava dei grandi sacrifici per mantenere agli studi universitari i suoi 4 figli. Tre di loro ragazze. Sicuramente li considera il suo tesoro nascosto e tutti qui in Palestina fanno di tutto per far continuare gli studi ai figli. E’ tutto ciò che gli rimane per sperare in un futuro diverso per loro.
E poi Samir, un rivenditore di souvenir che gentilmente mi racconta delle grandi difficoltà che incontrano oggi a Nazaret. I pellegrini sono diminuiti. Ormai i cristiani sono rimasti il 25% dell’intera popolazione. Un tempo era la maggioranza. Ma lui continua a resistere ma all’estero ci sono tanti altri figli e parenti che cercano di aiutare il suo negozio. Con Andrea abbiamo toccato con mano l’ospitalità calorosa e gentilezza del popolo palestinese
Mattino seguente alzata prestissimo. Per strada non c’è nessuno. Solo noi e qualche cane che passano sulla strada. La meta di oggi è Tiberiade sul lago omonimo. Ci arriviamo verso le 11 di mattino. Un solleone e il catrame che sprigiona una calura da forno. Siamo esausti. Nel pomeriggio incontriamo due giovani pellegrine francesi: Raphaelle e Elisabet. Stavano rientrando dal loro viaggio dal Monte Sinai in Egitto e dalla Giordania. Ci siamo scambiati le nostre esperienze e le scoperte di questo entusiasmante tempo. Anche loro sono rimaste affascinate dal mondo dei beduini del deserto con i quali sono rimaste qualche tempo.
Partenza l’indomani molto presto. Le prime luci dell’alba ci trovano già in viaggio ad assaporare la bellezza della nascita del sole sul lago di Gesù. Chissà quante volte Lui stesso sia rimasto in attesa di questa stupenda luce che gli ricordava il Padre, la Creazione e la bellezza del mondo. La tappa oggi sarà Tabga, il luogo del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e del primato di Pietro. Saremo ospiti di una congregazione religiosa che ha la sua casa proprio di fronte al lago. Luogo stupendo e silenzioso. Ci accolgono suor Caterina e Virina, una volontaria tedesca. Ci riposiamo e verso sera celebriamo l’eucaristia. Decidiamo di celebrarla proprio in riva al lago che è proprio nel loro giardino. Scelgo il brano della moltiplicazione dei pani e dei pesci, proprio per ricordare il luogo dove stiamo vivendo questa eucaristia-ringraziamento. Virina, la volontaria si aggiunge “per caso” a noi per la messa. Finisco di leggere il vangelo della moltiplicazione e mi siedo. Proprio in quel momento nel silenzio meditativo sopraggiunge un gruppo di persone che chiedono di restare alla messa. La Parola diventa sempre vissuta e spezzata e il Popolo di Dio si moltiplica. La realtà ci comunica che il “caso” non esiste. L’eucaristia ci tocca il cuore e la nostra condivisione della Parola è profonda.
Il giorno successivo ci avviamo per Cafarnao, la città dove Gesù compì molti miracoli e si trasferì da Nazaret per iniziare il suo ministero insieme ai suoi discepoli. Visitiamo le rovine della casa di Pietro e della sinagoga. Preghiamo e chiediamo a Pietro di accompagnarci nel cammino della vita insegnandoci la sua passione e audacia. Decidiamo di proseguire verso Ein Gev, un kibbutz israeliano dall’altra parte del lago. Verso la metà mattinata il sole è già alto. L’aria si fa molto calda e irrespirabile. Per accellerare l’arrivo chiediamo un passaggio e in sequenza incontriamo diversi israeliani che gentilmente ci danno un passaggio. Un giovane ebreo molto serio epoco espansivo. Un allenatore di calcio vestito da militare che si accende quando gli diciamo che siamo italiani. Adora il calcio italiano e la nostra nazionale di calcio. Una ragazza di un kibbutz che ci spiega che di solito chi dà i passaggi in macchina sono le persone dei kibbutz visto che anche loro molto spesso lo chiedono. Il kibbutz non è altro che un villaggio-comune dove gli abitanti hanno scelto di vivere là con la loro famiglia. Un lavoro comune nei campi e in città ma si condivide la vita sociale con una propria gerarchia molto legata allo Stato. Se ne può trovare in diverse parti del paese. Sono stati alla base della fondazione dello Stato di Israele. Oggi sono molto meno presenti.
La ragazza ci lascia vicino ad una fermata di un autobus. Quasi immediatamente, sembra quasi seguendo le parole della ragazza precedente, dal kibbutz ci raccoglie Igan. E’un giovane rasta israeliano. E’ felice di darci un passaggio. Un comun denominatore di tutti coloro che ci davano un passaggio era la macchina molto malconcia. Ma a noi non interessava lo stato del mezzo ma la disponibilità e amicizia delle persone incontrate. Ci importava la vivacità e la disponibilità di queste persone. Igan, in particolar modo, ci racconta un po’ la vita dei kibbuz. Ci fa tante domande. È interessato a conoscerci e a scambiare idee. Credo che la vita nel kibbutz sia un pò chiusa e con le solite facce. Arriviamo in serata a Beit Shean.
A Beit Shean mostro ad Andrea uno dei siti archeologici più belli e interessanti di Israele. Qui ci sono ruderi che risalgono all’Era Calcolitica cioè circa 4-5 mila anni fa. Lo splendore di questa città è proprio il periodo cristiano dell’Impero Bizantino verso il 3-4 secolo d.C.. La città poteva contare già a quei tempi dai 40 ai 50 mila abitanti, in maggior parte cristiani. I vari imperi che si sono susseguiti hanno fatto di questa città un punto di incontro e di scontro. Bellissima cittadina e resti imponenti: teatro, tempio, bagni pubblici, strade romane e tanto altro. Concludiamo la nostra visita ed entriamo in un supermercato per comprare qualcosa da mangiare. Mentre stiamo arrabattandoci con le scritte tutte strettamente in ebraico, si avvicina a noi un giovane ben vestito con un ebraico molto stretto. Diciamo che non riusciamo a capire nulla. Allora comincia a parlare inglese e ci chiede da dove veniamo. Alla risposta : “dall’Italia” subito parte un invito a bere un caffè espresso nel suo ufficio. Infatti Vittorio è il giovane direttore del supermercato. Molto cordiale e gentile ci racconta della sua famiglia e dei suoi figli. Suo nonno era ebreo-italiano e durante la seconda guerra mondiale dovette fuggire da Livorno per andare in Libia dove ci rimase qualche anno. Ma poi dopo la guerra si trasferì in Francia con la famiglia. Poi il papà di Vittorio decise qualche anno più tardi di ritornare in Israele quando i primi appelli del nuovo governo israeliano invitavano gli ebrei della diaspora a tornare nella terra promessa. Così Vittorio ora è un israeliano a tutti gli effetti così pure la sua famiglia. Una grande ammirazione per l’Italia e della nostra cultura e ricchezza culturale. Ci intrattiene davvero in maniera brillante e nel raccontarsi ci regala anche uno spaccato di vita israeliana. Insieme ad un suo amico ci invita per il giorno seguente a prendere un caffè di nuovo. Ma noi dobbiamo proseguire verso Jenin, la prossima tappa cioè i Territori dell’Autonomia Palestinese e Samaria. Ci guardano stralunati e esterrefatti. Ci chiedono perché vogliamo passare di là. Ci dicono che è troppo pericoloso. Gli spieghiamo che siamo in pellegrinaggio a piedi e in autostop e che vogliamo passare nei luoghi delle nostre tradizioni cristiane. Infatti a Jenin e a Nablus sono situati il pozzo di Giacobbe e della Samaritana. Rimangono allibiti per la nostra determinazione ma continuano a chiederci di passare dalla strada 90 che costeggia il fiume Giordano e arriva a Gerico. Si legge sui loro volti la curiosità ma anche il compatimento perché per loro quei territori sono invalicabili. A loro è vietato oltrepassare la “frontiera” controllata solo dai soldati israeliani. Gli diciamo di accompagnarci nella preghiera e loro rimangono esterrefatti.
Il giorno successivo sempre partenza alle ore ancora notturne per sfruttare il fresco e il silenzio della notte. Vediamo un alba stupenda che si impone sui Monti Gilboa dove il re Saul, il primo re d’Israele, venne ucciso con i suoi figli. Dopo qualche ora di cammino il sole è già alto e bollente in cielo. Decidiamo di chiedere un autostop visto che la strada per Jenin è ancora lunga. Arriviamo ad un bivio obbligato e cominciamo a chiedere un passaggio. A un certo punto vediamo spuntare dall’altra parte della strada e avvicinarsi verso di noi un giovane- adulto robusto con una maglietta che porta una grande farfalla e un borsello di pelle a tracolla. Ci saluta e ci fa un grande sorriso. Ma si mette davanti a noi. Così decidiamo di desistere e di lasciare lui chiedere un passaggio. Ma si avvicina ulteriormente a noi e ci chiede in ebraico se siamo del kibbutz. Noi rispondiamo negativamente. Allora ci chiede da dove veniamo. Di nuovo: “dall’Italia…”! Appena finito di dirlo, lui comincia a squarciagola a cantare questa canzone: “Lasciatemi cantare, lasciatemi l’ammore!!” e ci chiede se la conosciamo. In effetti è la versione un po’ ritoccata da Avi (si chiama così) riveduta e corretta di una canzone di Toto Cotugno. Comincia a farci domande e nel frattempo fa gesti un po’ strani ai camionisti e a chi passa. In effetti Avi è un giovane con qualche” diversità” ma non si vergogna di mostrarlo. L’unico problema è che le macchine non si fermano quando lui fa i suoi gesti. E così noi non possiamo proseguire per il nostro pellegrinaggio. Cerchiamo di dialogare con lui ma continua a cantare il solito ritornello che ora è diventato il suo preferito. Finalmente una macchiana si ferma e parlotta con lui per qualche minuto. Poi si chiudono le porte e via. Anche noi tiriamo un sospiro di sollievo e ci avviamo verso Jenin.
Arriviamo a jenin. Ma prima di entrare in città bisogna fare il grande check-point militare. Praticamente un immenso capannone dove all’interno vi sono tanti sgabuzzini con i soldati che controllano i palestinesi che passano dal territorio Israeliano a quello Palestinese e viceversa. Tanti giovani soldati e soldatesse. Tanti fucili. Anche per noi ci mettiamo in fila per entrare. Quando è il nostro turno ci dicono che non possiamo entrare. Chiediamo di parlare con i superiori. Ci dicono che dobbiamo fare una richiesta due o tre giorni prima di entrare e poi si vedrà se il permesso verrà accordato. Niente da fare. Non ci lasciano passare. Siamo delusi ma d’altronde sapevamo già che passare questi posti della Cisgiordania non era facile. Al di là del muro c’è tanta sofferenza e ingiustizia che pochi conoscono.Un territorio e la sua popolazione messi in ginocchio da un’oppressione organizzata e costante da oltre 60 anni di occupazione. E non è ancora finita! La violenza, il sopruso e mancanza di rispetto la fanno da padroni in questi ambienti.
Decidiamo di tornare ad Afula, una cittadina distante circa 15 km da questa zona. Pernottiamo là e il giorno seguente partenza per Haifa. Una cittadina molto bella e moderna. Il più importante porto del paese con la sede mondiale della religione Baha’i con il suo stupendo giardino a terrazze che si affaccia proprio di fronte al mar Mediterraneo. Haifa è stata costruita sul monte Carmelo famoso in tempi biblici per essere il luogo dove viveva il profeta Elia. Su questo verdeggiante monte egli chiese a Dio di fulminare con il fuoco circa 500 falsi profeti che rifiutavano di riconoscere l’unico vero Dio. Chiediamo ospitalità alla comunità dei Carmelitani scalzi che gestiscono il santuario della Madonna del Carmelo e la grotta di Elia. Un’accoglienza stupenda e davvero in amicizia e fraternità. Tanta allegria e racconti di missione: dall’Africa, al Giappone, dall’Italia al Libano. La loro vicinanza e condivisione ci incoraggia ancor di più a vivere questo pellegrinaggio con una gratuità totale nella preghiera e nell’accogliere ogni cosa dalla Provvidenza.
Lasciamo Haifa nella notte ancora buia. Ci mettiamo in cammino. Siamo proprio sul mare Mediterraneo e ne siamo anche contenti. L’aria è già cambiata. Tira una brezza mattutina leggera. Sembra quella del profeta. In quella comunità religiosa, siamo pienamente convinti che abbiamo vissuto uno dei tanti doni dello Spirito. Ci immettiamo sulla statale. Rare macchine passano veloci nella notte. Il mare lo sentiamo vicino con le sue onde. Allora decidiamo di camminare sulla riva del mare proprio sul bagna-asciuga. È affascinante camminare in silenzio con le onde che ci bagnano i sandali. E’ spontaneo ringraziare e pregare il Signore per le meraviglie della creazione e della grande opportunità che ci dà di essere lì. Non per sé stessi ma a nome e per conto di molti. Camminare insieme nonostante la lontanza.
Mentre il sole cresce all’orizzonte la spiaggia comincia ad affollarsi di gente che fa jogging in riva al mare. Ci guardano molto incuriositi vedendo due persone che con zaino in spalla camminano vicino al mare. Ci godiamo questo cammino di 19 km che ci porterà ad Atlit. E’un piccolo paese dove in riva al mare esiste un Castrum Peregrinorum, un castello crociato costruito nel 12° secolo. Fu anche l’ultimo baluardo prima della ritirata dei crociati cristiani dopo le sconfitte da parte dei Mamelucchi che avevano conquistato i territori della Terra Santa. Fu anche un punto di riferimento per i pellegrini di quel tempo che giungevano a visitare i luoghi sacri. Il paesaggio è molto suggestivo e decidiamo di fermarci a un piccolo bar per prenderci un caffè prima di continuare verso Cesarea Marittima.
Beviamo in nostro caffè in santa pace e ci riposiamo un attimo. Chiediamo qualcosa a qualche cliente del bar. Ci si avvicina un uomo con un evidente handicap alla parte destra del corpo. Si chiama Moti. È israeliano ma conosce bene l’italiano e altre quattro lingue. Ci racconta di essere stato direttore di compagnie armatrici italiane di navi a Venezia e Genova. Viveva a Milano con la sua famiglia. Quello che ci colpisce di quest’uomo è che stava conversando in amicizia nel bar in arabo con altri palestinesi. E infatti sarà uno dei personaggi che caratterizzerà il pellegrinaggio. Ci racconta della sua vita e dell’ictus che l’ha parzialmente paralizzato. Ma conoscendolo di più ti accorgi che l’ictus ha portato non solo l’handicap ma anche una benedizione per molte persone.
Ci invita a visitare la zona con la sua macchina speciale e automatica. Ci racconta della guerra del 1948 dove i palestinesi persero molte terre. Ci accompagna ad un paese sulle colline, un tempo palestinese e ora occupato da artisti israeliani che lo hanno abbellito e reso molto attraente. Ma dove sono andati a finire gli antichi abitanti del posto? Ci spiega del dolore di queste famiglie palestinesi, circa un trecento persone. Oggi vivono nascoste dentro una valle più in su del vecchio villaggio, quasi sul cucuzzolo della collina. Passiamo davanti ad un kibbutz gestito da una comunità religiosa ebrea. Le strade , le case e l’ambiente sembrano davvero molto belle. Passiamo all’esterno del villaggio e incontriamo la stalla comunitaria con centinaia di mucche con ventilatori giganti per il gran caldo che imperversa. Ci racconta che fino all’anno scorso il villaggio palestinese che è esattamente a qualche chilometro dalla stalla non arrivava l’elettricità. I palestinesi si lamentavano perché vedevano che gli animali stavano meglio di loro in tutti i sensi. La strada diventa quasi impraticabile.
Arriviamo ad un paesello arroccato sulla collina. Tante case incomplete in cemento quasi una sopra l’altra. C’è una piccola scuola-asilo. Moti ci spiega che lui viene a dare lezione di inglese perché con quella lingua possono esprimersi meglio e rivendicare i propri diritti anche con chi viene da fuori. Tutta la gente del villaggio lo saluta e gli parla in arabo. Ci fermiamo ad un piccolo bar che lui stesso ha aiutato ad aprire in quel luogo. Il gestore è accogliente ed è uno degli studenti del corso di inglese di Moti. E così cerchiamo di comunicare con lui direttamente. Moti ci racconta delle grandi sofferenze e delle lotte che questa gente deve subire per restare qui. Lui cerca di dare una mano soprattutto contro la volontà della sua famiglia e dei suoi amici che non vedono bene questa attività.
Ci riporta a casa sua e così conosciamo la sua famiglia: mamma e moglie. Una padre marinaio russo con una moglie tedesca, ebrei in diaspora che sono rientrati dopo la dichiarazione dello Stato di Israele. Una famiglia molto originale e numerosa. La mamma ci racconta dei momenti di grande povertà che aveva vissuto agli inizi dopo il ritorno in Israele. Un dramma quello dell’olocausto degli ebrei durante la seconda guerra mondiale che continuava nella povertà anche nella “terra promessa”. Ma ora sembra che le parti si siano invertite con il popolo palestinese. Bisogna cercare di trovare il bandolo della matassa così complicata di questo conflitto che continuerà a mietere vittime innocenti senza raggiungere una pace vera.
Moti ci svela molte cose sulla vita del popolo israeliano. Ci accompagna alla stazione e mentre aspettiamo il treno ci mostra tanti giovani soldati che con fucile vanno verso Tel Aviv. E si chiede: “Ma chi è l’ebreo-Israeliano oggi?” Lui misto tedesco-russo. E ci fa riconoscere attraverso i lineamenti dei giovani che ci passano davanti le varie provenienze: russi, yemeniti, tedeschi, latino-americani, spagnoli, etiopi, nordafricani e tanti altri. Un popolo con tante razze. Un popolo che potrebbe essere esempio per la sua composizione ma che soffre di integrazione. Come sarà il futuro? È con questa domanda che lasciamo Moti, amico israeliano che ci ha insegnato molto.
Arriviamo a Cesarea Marittima al sito archeologico. Qui Erode il Grande costruì la sua reggia proprio sulla roccia del mar Mediterraneo. Ora il suo palazzo sontuoso è scomparso tra i flutti del mare. Il sito è stato allargato durante i secoli dagli altri conquistatori che si sono susseguiti nelle conquiste. E allora trovi l’ippodromo romano dove correvano le bighe, il castello crociato, la moschea Mamelucca e le chiese Bizantine, il teatro romano più conservato del paese. Insomma la storia è passata di qui. E a Cesarea Marittima seguendo gli Atti degli Apostoli, fu rinchiuso per due anni in prigione anche S.Paolo. Attendeva di essere trasferito a Roma dove lui, giudeo e cittadino romano, aveva chiesto di essere portato davanti all’imperatore per essere giudicato. Poi la storia la conosciamo anche noi.
Il nostro pellegrinaggio non poteva non raggiungere anche l’altro apostolo importante della Chiesa: S.Pietro. Così come ultima tappa prima del nostro rientro a Gerusalemme ci siamo avviati verso Giaffa (in ebraico Yafo). Una cittadina oggi ma la parte antica non ha perso quel fascino e il richiamo ai ricordi di navi fatiscenti ma costanti che solcavano questo piccolo porto di Terra Santa. Pietro qui su di una terrazza ricevette la visione che anche i popoli pagani era accolti alla mensa del Signore (Atti 10). Non vi erano più cibi immondi che precludevano ai pagani di diventare cristiani.Qui Pietro ricevette i messi di Cornelio, centurione della Coorte chiamata “Italica” che venivano a sollecitarlo affinchè si recasse da lui a Cesarea dove attendeva la rivelazione delle verità divine. Ma anche il miracolo della “risurrezione” di Tabita ci fanno conoscere un Pietro ormai aperto ai popoli. E qui nasce la Chiesa Universale e la Missione.
Sulle orme di Daniele Comboni
Anche qui a Giaffa ci è passato il nostro Daniele Comboni per andare a Gerusalemme. Ci ha lasciato una descrizione quasi dettagliata di come quel viaggio non programmato inciderà fortemente sulla sua vita personale e di missionario. Lui che aveva deciso nel suo cuore di donare completamente la sua vita all’Africa e agli Africani.
Il pellegrinaggio ci ha portato a concludere da dove avevamo iniziato: il Santo Sepolcro a Gerusalemme. Il luogo dove Gesù il Cristo ha ridonato a tutti Speranza e nuova Vita. Abbiamo portato nella preghiera costante le gioie e le sofferenze, i dolori e le speranze di tante persone incontrate in questo meraviglioso pellegrinaggio da Nazaret a Gerusalemme. Ma anche le speranze e le attese di tanti missionari che dal capitolo Comboniano si aspetta nuova forza, spinta e audacia per la missione del nuovo millennio. Ma anche le speranze e le attese per il Sinodo Africano che rifletterà su valori fondamentali per la Chiesa e per la società africana: Pace, Giustizia e Riconciliazione. Il continente amato da Comboni. La Perla nera della Chiesa. C’è bisogno di verità e giustizia per essere testimoni autentici del Vangelo che libera.
La Chiesa universale cioè la Palma, la spina dorsale del Popolo Univerale di Dio. La Missione cioè l’Etrog, il limone. Il cuore della passione e il profumo di Cristo da portare nel mondo con gioia, sacrificio e testimonianza. E chi meglio di San Daniele Comboni può capire questi simboli così importanti? Le palme delle oasi nei deserti da lui attraversati nei suoi pellegrinaggi missionari in Africa. E i tanti limoni del suo piccolo paese, Limone sul Garda, con i quali la sua famiglia poteva sopravvivere. Una storia che si ripete e che ci rilancia con grande passione e nuovo spirito missionario.
p. DANIELE MOSCHETTI
Missionario Comboniano
Un sogno un po’ pazzo
Camminare a piedi da Nazaret a Gerusalemme (alla fine saranno circa 200km) costeggiando tutto il lago di Tiberiade o il cosidetto lago di Gesù e attraversando la Samaria, oggi chiamata Cisgiordania la zona occupata per arrivare alla Città Santa per le tre grandi religioni. Desiderio entusiasmante e allo stesso tempo audace. Tutte le persone e amici alle quali abbiamo confidato questo progetto ci guardavano un po’ stralunati ma allo stesso tempo con un po’ di “ammirazione”. Di solito i pellegrinaggi in queste terre si fanno in mesi diversi da quello di luglio che è infuocato, senza nuvole e vento. Ma i pellegrinaggi a piedi non si fanno per propria gloria, anzi!
L’obiettivo del nostro camminare sulle strade di Gesù, degli Apostoli e dei primi cristiani era cercare le nostre radici cristiane e della nostra fede. Allo stesso tempo volevamo offrire in modo speciale questo tempo, sudore, solidarietà, per pregare e intercedere per eventi importanti per noi come uomini, cristiani e missionari: il Capitolo Generale dei Missionari Comboniani di settembre 2009 e il Sinodo Africano che si terrà a Roma in ottobre 2009. La Missione della Chiesa e l’Africa! Dimensioni dell’oggi guardando al futuro!
Alle radici della fede pellegrinando
Che cosa spinge noi e il credente di ogni tempo ad intraprendere il viaggio verso Gerusalemme e la Terra Santa? C’è di solito una spinta interiore, un atteggiamento spirituale e una speciale grazia di Dio. Non è stato estraneo, naturalmente, l’aspetto umano: il sogno, il desiderio, la volontà ma anche le parole e l’esempio di tante altre persone, lo stimolo proveniente tanto dalla Bibbia e dalle letture personali quanto dai vari e molteplici canali d’informazione. Il pellegrinaggio non è un evento fugace o un fatto moderno, ma è un’esperienza millenaria.Sempre, intraprendendo un pellegrinaggio ci mettiamo sulle orme di tanti altri personaggi e santi, uomini e donne che da millenni hanno vissuto questa esperienza.
Un pellegrino ha bisogno che i luoghi non solo gli ricordino una storia passata, ma che siano carichi di spiritualità. Gli svelino cioè un messaggio ancora presente, una testimonianza di vita che egli può raggiungere superando la barriera del tempo, mediante la fede del suo cuore.
Ed è proprio con questa consapevolezza e fiducia di seguire orme tracciate da Gesù, dagli apostoli, dai santi e personaggi di ogni genere che ci siamo messi in viaggio. Anche di Daniele Comboni che venne in questa Terra per “cercare Dio e la Chiesa” sapendo che qui nacque la Chiesa e la Missione Universale. Lui giovane missionario alla prima partenza per l’Africa che la Provvidenza portò “per caso” e con viaggio gratuito insieme ad altri due compagni di viaggio dell’Istituto Mazza in questa Terra per una decina di giorni che gli fece esclamare di Gesù: “Fanciulletto in Egitto, solitario a Nazaret, evangelizzatore in Palestina, divide con i poveri la sua sorte.”
Ma prima di San Daniele Comboni molti si sono susseguiti e hanno lasciato i loro importanti diari e scritti che formano oggi la Tradizione della Chiesa e le prime testimonianze di fede. Prima ancora che l’impero romano permettesse la religione ufficiale cristiana (313 d.C.), i pellegrini si mettevano in cammino per visitare le tombe degli apostoli, dei martiri, e i luoghi santi delle terre bibliche. Dalle terre d’Europa a quelle del Medio oriente. E questo fatto ci ha fatto penetrare dentro la storia, la geografia biblica e la cultura di tante persone che hanno scritto la Storia incarnandola e partendo dalle proprie radici di fede.
Il più famoso tra gli antichi diari di pellegrinaggio in Terra Santa è l’opera di una donna originaria della Galizia, una provincia della Spagna. Si chiamava Egeria,pellegrina del IV° secolo d.C.. Essa viaggiava per conoscere le scritture e i luoghi santi dove sono state scritte. Infatti essa scrisse: “Vedevo infatti molti santi monaci che venivano da quel posto Gerusalemme per visitare i luoghi santi e per pregare. Essi parlandomi di quei medesimi e singoli luoghi, mi fecero venire il desiderio di affrontare quella fatica, se fatica può propriamente dirsi quella di chi vede realizzarsi il proprio desiderio.” (Itinerario, XIII, 1)
Anche s.Gerolamo, che in Terra Santa venne per tradurre la Sacra Scrittura, ci sorprende con parole attualissime nel Libro delle Cronache: “Chi ha visto la Giudea con i suoi occhi e chi conosce i siti delle antiche città, i loro nomi siano essi gli stessi oppure siano cambiati, guarderà molto più chiaramente alle Sacre Scritture” (PL 29, 401). E’ una sensazione confermata e che diventa sempre più chiara anche per chi è stato per un lungo o breve momenti su questi luoghi nel corso dei secoli.
Fin dai primi secoli cristiani, fede, teologia e liturgia si richiamano alla memoria storica di Gesù a Betlemme, a Nazaret e soprattutto a Gerusalemme. I primi pellegrini di cui abbiamo memoria venivano in Terra Santa spinti dal desiderio di avere un contatto diretto con i luoghi cosidetti “Santi” che già conoscevano dalla lettura dell’Antico Testamento e del Vangelo. Più tardi i pellegrini presero a venire per vedere e pregare, per conoscere i luoghi della redenzione ed edificarsi nella loro fede, riattualizzando nel contatto con i luoghi dove i fatti si erano svolti, la presenza redentrice e salvatrice di Cristo. In questo contesto di sacralizzazione della Terra Santa, non meraviglia l’uso teologico fattone da Cirillo vescovo di Gerusalemme nelle sue catechesi ai neofiti nei primi secoli: “Molti sono i veri testimoni di Cristo…. Testimonia il luogo della mangiatoia…Tra i fiumi rende testimonianza il Giordano; tra i mari quello di Tiberiade… Testimonia il santo legno della croce fino ad oggi visibile in mezzo a noi… Testimonia il Getsemani…Testimonia questo santo Golgota elevato….Testimonia il santissimo sepolcro e la pietra che ancora oggi si trova per terra…Testimonia il santo Monte degli Olivi da cui ascese al Padre…” (Catechesi, X, 19).
Le radici della nostra fede cristiana si trovano nella Bibbia e nel giudaismo. Il pellegrinaggio, prima di essere un’esperienza cristiana, è stata un’esperienza giudaica per millenni. Tre volte all’anno tutti i maschi dovevano salire a Gerusalemme, non solo per “vedere Dio” ma anche per “essere visti dal Signore”. Gli ebrei, eccetto quelli della Giudea, compivano il pellegrinaggio a Gerusalemme non tre volte, ma forse una o due volte l’anno; quelli appartenenti alla Diaspora venivano di solito, solo per la Pentecoste. Il pellegrino doveva camminare (il pellegrinaggio si chiamava in ebraico regalim, regel= il piede) cinque giorni se veniva dalla Galilea, un giorno se veniva dalla Giudea. Camminavano lungo il Giordano, per avere possiblità di lavarsi e per evitare i Samaritani, loro nemici. A Gerico tutti si ritrovavano assieme e facevano la salita a Gerusalemme cantando i Salmi delle ascensioni che corrispondono ora nella Bibbia alla sequenza dal salmo 120 al 134 e qualche altro salmo sparso. Il pellegrinaggio era chiamato ‘aliyah (salita), un salita geografica accompagnata da una salita spirituale. La salita verso la Città Santa e il suo Tempio.
La catechesi che si dava in quel tempo al pellegrino ricordava però che ogni uomo è un Tempio. S.Paolo , giudeo e fariseo, parla infatti del Tempio del corpo in 1Cor 6,19. Il pellegrino, dopo il pellegrinaggio, doveva portare la luce di Dio agli altri. Doveva imparare a sorridere perchè è colui che ha riscoperto la gioia. Tutti insegnamenti ancora oggi molto validi per tutte le religioni ma anche per i pellegrini dell’oggi.
Nella catechesi della festa delle Capanne ciascuno doveva abitare sotto le tende facendo memoria che il popolo nell’uscita dall’Egitto non aveva sulla terra una dimora stabile e fissa. Ma doveva portare con sé anche un ramo di palma, un limone (etrog), un ramo di salice e un ramo di mirto. Insomma portare il profumo della natura e di Dio che passa dagli uni agli altri. Ma ciascuno di noi porta in sé la sua palma e il suo etrog. La palma corrisponde alla spina dorsale e l’etrog (limone) profumato è il cuore. Il pellegrino veniva quindi invitato a fare un esame di coscienza: i suoi pensieri e il suo cuore devono essere buoni se vuole salire sulla montagna del Signore.
Ogni pellegrinaggio, quindi, deve essere allora un’occasione per ritrovare queste radici, con la ricchezza della Parola di Dio con il senso giudaico della preghiera e del primato di Dio nella vita quotidiana. Ma anche contestualizzandolo nel tempo in cui stiamo vivendo pieno di oppressione, ingiustizie e di sangue innocente versato dai popoli palestinese e israeliano.
I volti del pellegrinaggio
È da molto tempo che vivo l’esperienza del pellegrinaggio. Ho fatto migliaia di kilometri in giro per l’Italia e l’Africa. Questo della Terra Santa mi pareva un grande sogno quasi irrealizzabile. E invece eccomi qua. La cosa che più mi affascina nei tanti pellegrinaggi vissuti sono gli incontri e i volti e le storie che il Signore mi ha posto “per caso” sul cammino, sulla strada, nel riposo e nella condivisione.
Il primo giorno a Nazaret abbiamo conosciuto un autista palestinese di taxi. Alì ci raccontava dei grandi sacrifici per mantenere agli studi universitari i suoi 4 figli. Tre di loro ragazze. Sicuramente li considera il suo tesoro nascosto e tutti qui in Palestina fanno di tutto per far continuare gli studi ai figli. E’ tutto ciò che gli rimane per sperare in un futuro diverso per loro.
E poi Samir, un rivenditore di souvenir che gentilmente mi racconta delle grandi difficoltà che incontrano oggi a Nazaret. I pellegrini sono diminuiti. Ormai i cristiani sono rimasti il 25% dell’intera popolazione. Un tempo era la maggioranza. Ma lui continua a resistere ma all’estero ci sono tanti altri figli e parenti che cercano di aiutare il suo negozio. Con Andrea abbiamo toccato con mano l’ospitalità calorosa e gentilezza del popolo palestinese
Mattino seguente alzata prestissimo. Per strada non c’è nessuno. Solo noi e qualche cane che passano sulla strada. La meta di oggi è Tiberiade sul lago omonimo. Ci arriviamo verso le 11 di mattino. Un solleone e il catrame che sprigiona una calura da forno. Siamo esausti. Nel pomeriggio incontriamo due giovani pellegrine francesi: Raphaelle e Elisabet. Stavano rientrando dal loro viaggio dal Monte Sinai in Egitto e dalla Giordania. Ci siamo scambiati le nostre esperienze e le scoperte di questo entusiasmante tempo. Anche loro sono rimaste affascinate dal mondo dei beduini del deserto con i quali sono rimaste qualche tempo.
Partenza l’indomani molto presto. Le prime luci dell’alba ci trovano già in viaggio ad assaporare la bellezza della nascita del sole sul lago di Gesù. Chissà quante volte Lui stesso sia rimasto in attesa di questa stupenda luce che gli ricordava il Padre, la Creazione e la bellezza del mondo. La tappa oggi sarà Tabga, il luogo del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e del primato di Pietro. Saremo ospiti di una congregazione religiosa che ha la sua casa proprio di fronte al lago. Luogo stupendo e silenzioso. Ci accolgono suor Caterina e Virina, una volontaria tedesca. Ci riposiamo e verso sera celebriamo l’eucaristia. Decidiamo di celebrarla proprio in riva al lago che è proprio nel loro giardino. Scelgo il brano della moltiplicazione dei pani e dei pesci, proprio per ricordare il luogo dove stiamo vivendo questa eucaristia-ringraziamento. Virina, la volontaria si aggiunge “per caso” a noi per la messa. Finisco di leggere il vangelo della moltiplicazione e mi siedo. Proprio in quel momento nel silenzio meditativo sopraggiunge un gruppo di persone che chiedono di restare alla messa. La Parola diventa sempre vissuta e spezzata e il Popolo di Dio si moltiplica. La realtà ci comunica che il “caso” non esiste. L’eucaristia ci tocca il cuore e la nostra condivisione della Parola è profonda.
Il giorno successivo ci avviamo per Cafarnao, la città dove Gesù compì molti miracoli e si trasferì da Nazaret per iniziare il suo ministero insieme ai suoi discepoli. Visitiamo le rovine della casa di Pietro e della sinagoga. Preghiamo e chiediamo a Pietro di accompagnarci nel cammino della vita insegnandoci la sua passione e audacia. Decidiamo di proseguire verso Ein Gev, un kibbutz israeliano dall’altra parte del lago. Verso la metà mattinata il sole è già alto. L’aria si fa molto calda e irrespirabile. Per accellerare l’arrivo chiediamo un passaggio e in sequenza incontriamo diversi israeliani che gentilmente ci danno un passaggio. Un giovane ebreo molto serio epoco espansivo. Un allenatore di calcio vestito da militare che si accende quando gli diciamo che siamo italiani. Adora il calcio italiano e la nostra nazionale di calcio. Una ragazza di un kibbutz che ci spiega che di solito chi dà i passaggi in macchina sono le persone dei kibbutz visto che anche loro molto spesso lo chiedono. Il kibbutz non è altro che un villaggio-comune dove gli abitanti hanno scelto di vivere là con la loro famiglia. Un lavoro comune nei campi e in città ma si condivide la vita sociale con una propria gerarchia molto legata allo Stato. Se ne può trovare in diverse parti del paese. Sono stati alla base della fondazione dello Stato di Israele. Oggi sono molto meno presenti.
La ragazza ci lascia vicino ad una fermata di un autobus. Quasi immediatamente, sembra quasi seguendo le parole della ragazza precedente, dal kibbutz ci raccoglie Igan. E’un giovane rasta israeliano. E’ felice di darci un passaggio. Un comun denominatore di tutti coloro che ci davano un passaggio era la macchina molto malconcia. Ma a noi non interessava lo stato del mezzo ma la disponibilità e amicizia delle persone incontrate. Ci importava la vivacità e la disponibilità di queste persone. Igan, in particolar modo, ci racconta un po’ la vita dei kibbuz. Ci fa tante domande. È interessato a conoscerci e a scambiare idee. Credo che la vita nel kibbutz sia un pò chiusa e con le solite facce. Arriviamo in serata a Beit Shean.
A Beit Shean mostro ad Andrea uno dei siti archeologici più belli e interessanti di Israele. Qui ci sono ruderi che risalgono all’Era Calcolitica cioè circa 4-5 mila anni fa. Lo splendore di questa città è proprio il periodo cristiano dell’Impero Bizantino verso il 3-4 secolo d.C.. La città poteva contare già a quei tempi dai 40 ai 50 mila abitanti, in maggior parte cristiani. I vari imperi che si sono susseguiti hanno fatto di questa città un punto di incontro e di scontro. Bellissima cittadina e resti imponenti: teatro, tempio, bagni pubblici, strade romane e tanto altro. Concludiamo la nostra visita ed entriamo in un supermercato per comprare qualcosa da mangiare. Mentre stiamo arrabattandoci con le scritte tutte strettamente in ebraico, si avvicina a noi un giovane ben vestito con un ebraico molto stretto. Diciamo che non riusciamo a capire nulla. Allora comincia a parlare inglese e ci chiede da dove veniamo. Alla risposta : “dall’Italia” subito parte un invito a bere un caffè espresso nel suo ufficio. Infatti Vittorio è il giovane direttore del supermercato. Molto cordiale e gentile ci racconta della sua famiglia e dei suoi figli. Suo nonno era ebreo-italiano e durante la seconda guerra mondiale dovette fuggire da Livorno per andare in Libia dove ci rimase qualche anno. Ma poi dopo la guerra si trasferì in Francia con la famiglia. Poi il papà di Vittorio decise qualche anno più tardi di ritornare in Israele quando i primi appelli del nuovo governo israeliano invitavano gli ebrei della diaspora a tornare nella terra promessa. Così Vittorio ora è un israeliano a tutti gli effetti così pure la sua famiglia. Una grande ammirazione per l’Italia e della nostra cultura e ricchezza culturale. Ci intrattiene davvero in maniera brillante e nel raccontarsi ci regala anche uno spaccato di vita israeliana. Insieme ad un suo amico ci invita per il giorno seguente a prendere un caffè di nuovo. Ma noi dobbiamo proseguire verso Jenin, la prossima tappa cioè i Territori dell’Autonomia Palestinese e Samaria. Ci guardano stralunati e esterrefatti. Ci chiedono perché vogliamo passare di là. Ci dicono che è troppo pericoloso. Gli spieghiamo che siamo in pellegrinaggio a piedi e in autostop e che vogliamo passare nei luoghi delle nostre tradizioni cristiane. Infatti a Jenin e a Nablus sono situati il pozzo di Giacobbe e della Samaritana. Rimangono allibiti per la nostra determinazione ma continuano a chiederci di passare dalla strada 90 che costeggia il fiume Giordano e arriva a Gerico. Si legge sui loro volti la curiosità ma anche il compatimento perché per loro quei territori sono invalicabili. A loro è vietato oltrepassare la “frontiera” controllata solo dai soldati israeliani. Gli diciamo di accompagnarci nella preghiera e loro rimangono esterrefatti.
Il giorno successivo sempre partenza alle ore ancora notturne per sfruttare il fresco e il silenzio della notte. Vediamo un alba stupenda che si impone sui Monti Gilboa dove il re Saul, il primo re d’Israele, venne ucciso con i suoi figli. Dopo qualche ora di cammino il sole è già alto e bollente in cielo. Decidiamo di chiedere un autostop visto che la strada per Jenin è ancora lunga. Arriviamo ad un bivio obbligato e cominciamo a chiedere un passaggio. A un certo punto vediamo spuntare dall’altra parte della strada e avvicinarsi verso di noi un giovane- adulto robusto con una maglietta che porta una grande farfalla e un borsello di pelle a tracolla. Ci saluta e ci fa un grande sorriso. Ma si mette davanti a noi. Così decidiamo di desistere e di lasciare lui chiedere un passaggio. Ma si avvicina ulteriormente a noi e ci chiede in ebraico se siamo del kibbutz. Noi rispondiamo negativamente. Allora ci chiede da dove veniamo. Di nuovo: “dall’Italia…”! Appena finito di dirlo, lui comincia a squarciagola a cantare questa canzone: “Lasciatemi cantare, lasciatemi l’ammore!!” e ci chiede se la conosciamo. In effetti è la versione un po’ ritoccata da Avi (si chiama così) riveduta e corretta di una canzone di Toto Cotugno. Comincia a farci domande e nel frattempo fa gesti un po’ strani ai camionisti e a chi passa. In effetti Avi è un giovane con qualche” diversità” ma non si vergogna di mostrarlo. L’unico problema è che le macchine non si fermano quando lui fa i suoi gesti. E così noi non possiamo proseguire per il nostro pellegrinaggio. Cerchiamo di dialogare con lui ma continua a cantare il solito ritornello che ora è diventato il suo preferito. Finalmente una macchiana si ferma e parlotta con lui per qualche minuto. Poi si chiudono le porte e via. Anche noi tiriamo un sospiro di sollievo e ci avviamo verso Jenin.
Arriviamo a jenin. Ma prima di entrare in città bisogna fare il grande check-point militare. Praticamente un immenso capannone dove all’interno vi sono tanti sgabuzzini con i soldati che controllano i palestinesi che passano dal territorio Israeliano a quello Palestinese e viceversa. Tanti giovani soldati e soldatesse. Tanti fucili. Anche per noi ci mettiamo in fila per entrare. Quando è il nostro turno ci dicono che non possiamo entrare. Chiediamo di parlare con i superiori. Ci dicono che dobbiamo fare una richiesta due o tre giorni prima di entrare e poi si vedrà se il permesso verrà accordato. Niente da fare. Non ci lasciano passare. Siamo delusi ma d’altronde sapevamo già che passare questi posti della Cisgiordania non era facile. Al di là del muro c’è tanta sofferenza e ingiustizia che pochi conoscono.Un territorio e la sua popolazione messi in ginocchio da un’oppressione organizzata e costante da oltre 60 anni di occupazione. E non è ancora finita! La violenza, il sopruso e mancanza di rispetto la fanno da padroni in questi ambienti.
Decidiamo di tornare ad Afula, una cittadina distante circa 15 km da questa zona. Pernottiamo là e il giorno seguente partenza per Haifa. Una cittadina molto bella e moderna. Il più importante porto del paese con la sede mondiale della religione Baha’i con il suo stupendo giardino a terrazze che si affaccia proprio di fronte al mar Mediterraneo. Haifa è stata costruita sul monte Carmelo famoso in tempi biblici per essere il luogo dove viveva il profeta Elia. Su questo verdeggiante monte egli chiese a Dio di fulminare con il fuoco circa 500 falsi profeti che rifiutavano di riconoscere l’unico vero Dio. Chiediamo ospitalità alla comunità dei Carmelitani scalzi che gestiscono il santuario della Madonna del Carmelo e la grotta di Elia. Un’accoglienza stupenda e davvero in amicizia e fraternità. Tanta allegria e racconti di missione: dall’Africa, al Giappone, dall’Italia al Libano. La loro vicinanza e condivisione ci incoraggia ancor di più a vivere questo pellegrinaggio con una gratuità totale nella preghiera e nell’accogliere ogni cosa dalla Provvidenza.
Lasciamo Haifa nella notte ancora buia. Ci mettiamo in cammino. Siamo proprio sul mare Mediterraneo e ne siamo anche contenti. L’aria è già cambiata. Tira una brezza mattutina leggera. Sembra quella del profeta. In quella comunità religiosa, siamo pienamente convinti che abbiamo vissuto uno dei tanti doni dello Spirito. Ci immettiamo sulla statale. Rare macchine passano veloci nella notte. Il mare lo sentiamo vicino con le sue onde. Allora decidiamo di camminare sulla riva del mare proprio sul bagna-asciuga. È affascinante camminare in silenzio con le onde che ci bagnano i sandali. E’ spontaneo ringraziare e pregare il Signore per le meraviglie della creazione e della grande opportunità che ci dà di essere lì. Non per sé stessi ma a nome e per conto di molti. Camminare insieme nonostante la lontanza.
Mentre il sole cresce all’orizzonte la spiaggia comincia ad affollarsi di gente che fa jogging in riva al mare. Ci guardano molto incuriositi vedendo due persone che con zaino in spalla camminano vicino al mare. Ci godiamo questo cammino di 19 km che ci porterà ad Atlit. E’un piccolo paese dove in riva al mare esiste un Castrum Peregrinorum, un castello crociato costruito nel 12° secolo. Fu anche l’ultimo baluardo prima della ritirata dei crociati cristiani dopo le sconfitte da parte dei Mamelucchi che avevano conquistato i territori della Terra Santa. Fu anche un punto di riferimento per i pellegrini di quel tempo che giungevano a visitare i luoghi sacri. Il paesaggio è molto suggestivo e decidiamo di fermarci a un piccolo bar per prenderci un caffè prima di continuare verso Cesarea Marittima.
Beviamo in nostro caffè in santa pace e ci riposiamo un attimo. Chiediamo qualcosa a qualche cliente del bar. Ci si avvicina un uomo con un evidente handicap alla parte destra del corpo. Si chiama Moti. È israeliano ma conosce bene l’italiano e altre quattro lingue. Ci racconta di essere stato direttore di compagnie armatrici italiane di navi a Venezia e Genova. Viveva a Milano con la sua famiglia. Quello che ci colpisce di quest’uomo è che stava conversando in amicizia nel bar in arabo con altri palestinesi. E infatti sarà uno dei personaggi che caratterizzerà il pellegrinaggio. Ci racconta della sua vita e dell’ictus che l’ha parzialmente paralizzato. Ma conoscendolo di più ti accorgi che l’ictus ha portato non solo l’handicap ma anche una benedizione per molte persone.
Ci invita a visitare la zona con la sua macchina speciale e automatica. Ci racconta della guerra del 1948 dove i palestinesi persero molte terre. Ci accompagna ad un paese sulle colline, un tempo palestinese e ora occupato da artisti israeliani che lo hanno abbellito e reso molto attraente. Ma dove sono andati a finire gli antichi abitanti del posto? Ci spiega del dolore di queste famiglie palestinesi, circa un trecento persone. Oggi vivono nascoste dentro una valle più in su del vecchio villaggio, quasi sul cucuzzolo della collina. Passiamo davanti ad un kibbutz gestito da una comunità religiosa ebrea. Le strade , le case e l’ambiente sembrano davvero molto belle. Passiamo all’esterno del villaggio e incontriamo la stalla comunitaria con centinaia di mucche con ventilatori giganti per il gran caldo che imperversa. Ci racconta che fino all’anno scorso il villaggio palestinese che è esattamente a qualche chilometro dalla stalla non arrivava l’elettricità. I palestinesi si lamentavano perché vedevano che gli animali stavano meglio di loro in tutti i sensi. La strada diventa quasi impraticabile.
Arriviamo ad un paesello arroccato sulla collina. Tante case incomplete in cemento quasi una sopra l’altra. C’è una piccola scuola-asilo. Moti ci spiega che lui viene a dare lezione di inglese perché con quella lingua possono esprimersi meglio e rivendicare i propri diritti anche con chi viene da fuori. Tutta la gente del villaggio lo saluta e gli parla in arabo. Ci fermiamo ad un piccolo bar che lui stesso ha aiutato ad aprire in quel luogo. Il gestore è accogliente ed è uno degli studenti del corso di inglese di Moti. E così cerchiamo di comunicare con lui direttamente. Moti ci racconta delle grandi sofferenze e delle lotte che questa gente deve subire per restare qui. Lui cerca di dare una mano soprattutto contro la volontà della sua famiglia e dei suoi amici che non vedono bene questa attività.
Ci riporta a casa sua e così conosciamo la sua famiglia: mamma e moglie. Una padre marinaio russo con una moglie tedesca, ebrei in diaspora che sono rientrati dopo la dichiarazione dello Stato di Israele. Una famiglia molto originale e numerosa. La mamma ci racconta dei momenti di grande povertà che aveva vissuto agli inizi dopo il ritorno in Israele. Un dramma quello dell’olocausto degli ebrei durante la seconda guerra mondiale che continuava nella povertà anche nella “terra promessa”. Ma ora sembra che le parti si siano invertite con il popolo palestinese. Bisogna cercare di trovare il bandolo della matassa così complicata di questo conflitto che continuerà a mietere vittime innocenti senza raggiungere una pace vera.
Moti ci svela molte cose sulla vita del popolo israeliano. Ci accompagna alla stazione e mentre aspettiamo il treno ci mostra tanti giovani soldati che con fucile vanno verso Tel Aviv. E si chiede: “Ma chi è l’ebreo-Israeliano oggi?” Lui misto tedesco-russo. E ci fa riconoscere attraverso i lineamenti dei giovani che ci passano davanti le varie provenienze: russi, yemeniti, tedeschi, latino-americani, spagnoli, etiopi, nordafricani e tanti altri. Un popolo con tante razze. Un popolo che potrebbe essere esempio per la sua composizione ma che soffre di integrazione. Come sarà il futuro? È con questa domanda che lasciamo Moti, amico israeliano che ci ha insegnato molto.
Arriviamo a Cesarea Marittima al sito archeologico. Qui Erode il Grande costruì la sua reggia proprio sulla roccia del mar Mediterraneo. Ora il suo palazzo sontuoso è scomparso tra i flutti del mare. Il sito è stato allargato durante i secoli dagli altri conquistatori che si sono susseguiti nelle conquiste. E allora trovi l’ippodromo romano dove correvano le bighe, il castello crociato, la moschea Mamelucca e le chiese Bizantine, il teatro romano più conservato del paese. Insomma la storia è passata di qui. E a Cesarea Marittima seguendo gli Atti degli Apostoli, fu rinchiuso per due anni in prigione anche S.Paolo. Attendeva di essere trasferito a Roma dove lui, giudeo e cittadino romano, aveva chiesto di essere portato davanti all’imperatore per essere giudicato. Poi la storia la conosciamo anche noi.
Il nostro pellegrinaggio non poteva non raggiungere anche l’altro apostolo importante della Chiesa: S.Pietro. Così come ultima tappa prima del nostro rientro a Gerusalemme ci siamo avviati verso Giaffa (in ebraico Yafo). Una cittadina oggi ma la parte antica non ha perso quel fascino e il richiamo ai ricordi di navi fatiscenti ma costanti che solcavano questo piccolo porto di Terra Santa. Pietro qui su di una terrazza ricevette la visione che anche i popoli pagani era accolti alla mensa del Signore (Atti 10). Non vi erano più cibi immondi che precludevano ai pagani di diventare cristiani.Qui Pietro ricevette i messi di Cornelio, centurione della Coorte chiamata “Italica” che venivano a sollecitarlo affinchè si recasse da lui a Cesarea dove attendeva la rivelazione delle verità divine. Ma anche il miracolo della “risurrezione” di Tabita ci fanno conoscere un Pietro ormai aperto ai popoli. E qui nasce la Chiesa Universale e la Missione.
Sulle orme di Daniele Comboni
Anche qui a Giaffa ci è passato il nostro Daniele Comboni per andare a Gerusalemme. Ci ha lasciato una descrizione quasi dettagliata di come quel viaggio non programmato inciderà fortemente sulla sua vita personale e di missionario. Lui che aveva deciso nel suo cuore di donare completamente la sua vita all’Africa e agli Africani.
Il pellegrinaggio ci ha portato a concludere da dove avevamo iniziato: il Santo Sepolcro a Gerusalemme. Il luogo dove Gesù il Cristo ha ridonato a tutti Speranza e nuova Vita. Abbiamo portato nella preghiera costante le gioie e le sofferenze, i dolori e le speranze di tante persone incontrate in questo meraviglioso pellegrinaggio da Nazaret a Gerusalemme. Ma anche le speranze e le attese di tanti missionari che dal capitolo Comboniano si aspetta nuova forza, spinta e audacia per la missione del nuovo millennio. Ma anche le speranze e le attese per il Sinodo Africano che rifletterà su valori fondamentali per la Chiesa e per la società africana: Pace, Giustizia e Riconciliazione. Il continente amato da Comboni. La Perla nera della Chiesa. C’è bisogno di verità e giustizia per essere testimoni autentici del Vangelo che libera.
La Chiesa universale cioè la Palma, la spina dorsale del Popolo Univerale di Dio. La Missione cioè l’Etrog, il limone. Il cuore della passione e il profumo di Cristo da portare nel mondo con gioia, sacrificio e testimonianza. E chi meglio di San Daniele Comboni può capire questi simboli così importanti? Le palme delle oasi nei deserti da lui attraversati nei suoi pellegrinaggi missionari in Africa. E i tanti limoni del suo piccolo paese, Limone sul Garda, con i quali la sua famiglia poteva sopravvivere. Una storia che si ripete e che ci rilancia con grande passione e nuovo spirito missionario.
p. DANIELE MOSCHETTI
Missionario Comboniano
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