di Raniero La Valle, pubblicato in Rocca del 24/11
I1 fatto che tre autorevoli personaggi entrati nel governo avessero partecipato al convegno cattolico di Todi, ha fatto dire a numerosi commentatori non informati dei fatti che la nuova aggregazione di associazioni che si sarebbe realizzata a Todi aveva dato subito il suo frutto politico, segnando così il «gran ritorno» dei cattolici alla politica. In realtà Todi non prova niente, perché se alcune entità lì presenti, come Sant'Egidio e l'Università cattolica, sono approdate con i loro capi al governo, altre entità di rilievo come Cl, pur presenti a Todi, dal governo sono contestualmente uscite. Con Berlusconi o contro Berlusconi sempre cattolici sono. Neanche dell'assemblaggio di Todi si può dunque parlare come di una omogenea componente politica cattolica, dalla quale resta peraltro ben distinta l'altra componente di tradizione «cattolico-democratica», che infatti subito si è riunita in un altro convegno, ed è anch'essa presente con un suo autorevole esponente nel governo Monti. Ma l'impraticabilità della linea emersa a Todi è dimostrata dal discorrere che ne hanno fatto gli stessi protagonisti in una riunione, questa volta non a porte chiuse, tenutasi pochi giorni dopo a Roma all'Istituto Sturzo. Lì è stato detto che la cosa riguarderebbe dieci milioni di cattolici, quanti sarebbero gli aderenti alle associazioni e movimenti presenti all'assemblea umbra, ma l'unico comun denominatore che si è riusciti ad indicare è quello di occupare il territorio della «pre-politica», magari con diramazioni capillari in tutte le parrocchie, ciò che a qualcuno ha fatto pensare con nostalgia ai Comitati Civici. In tal modo paradossalmente questo ritorno dei cattolici alla politica si configurerebbe come un nuovo gigantesco «non expedit», che terrebbe dieci milioni di cittadini in una sorta di immunità dalla politica e di estraneità al diritto di concorrere a determinare la politica nazionale, come vuole l'art. 49 della Costituzione. Questa prospettiva sarebbe catastrofica per la Chiesa, che attraverso uno strumento tipo «Opera dei Congressi», non potrebbe che fare un lavoro di lobby, e priverebbe la società italiana dell'appor¬to che in un momento così critico le potrebbe venire dal ricco pluralismo delle tradizioni culturali e politiche cristiane.
Il primo problema da dirimere sarebbe: che fare del governo Monti? Dopo i primi entusiasmi (lo stile! il decoro! l'onestà!, beni che sembravano perduti per sempre) sono cominciate infatti le riserve e le critiche. E soprattutto a sinistra è andata crescendo la linea che impicca il governo alla sua immagine di governo di banche, di capitali e di banchieri, e sostiene che non possono fare i pompieri quelli che il fuoco lo hanno appiccato. Dunque per uscire dalla crisi provocata dai grandi poteri finanziari, dai «proprietari universali» e dai padroni dei debiti «sovrani» degli Stati, bisognerebbe cominciare col dire di no al governo Monti, che di quei poteri sarebbe mandatario ed espressione.
La risposta da dare al problema che così viene posto dipende dall'analisi che si fa.
La prima analisi dice che siamo sotto attacco di poteri economici incontrollati, speculatori, tecnocrati, finanzieri, creditori che pretendono una rendita stabile e sicura dai debiti sovrani che detengono, e che come in un immenso complotto attaccano uno Stato dopo l'altro mandando a male i popoli per salvare solo se stessi. Se fosse così, l'unica risposta sarebbe quella di una op¬posizione radicale, e anche Monti sarebbe il nemico da abbattere.
La seconda analisi dice invece che per scelte inconsulte fatte dalla politica, dalla «deregulation» di Nixon, di Reagan e della Thatcher fino alle leggi di Clinton che hanno tolto ogni controllo alla corsa dei prodotti finanziari derivati e ai movimenti di capitali, affrancando la finanza dalla moneta e perciò anche da ogni dipendenza dalle politiche monetarie dei governi e delle Banche centrali, il sistema è precipitato in una com-pleta anarchia; e a questo punto invece di verificarsi quella virtuosità dei mercati lasciati a se stessi preconizzata dalla ideologia economica liberista, si è verificato che l'accumularsi di decisioni individuali, di società, di gruppi, di inve¬stitori al di fuori di ogni ragione e finalità comune, ha prodotto un risultato spontaneo che non è affatto di maggior benessere per tutti, ma di devastazione e impoverimento per tutti meno pochi. Ciò vuol dire però che non c'è alcun complotto: è quel capitalismo lì che funziona così, e anche il papa lo ha detto in Africa denunciando «la sottomissione incondizionata alle leggi del mercato o della finanza».
Ma se è vera questa seconda analisi, non è affatto inverosimile che banchieri, tecnocrati, capitalisti, grandi borghesi, pur essendo espressioni del sistema, si siano resi conto dei demoni fatti uscire dalla bottiglia, e cerchino di ap¬prontare dei rimedi e di mettere al riparo le proprie società ed il mondo.
Ma allora, sostenendo Monti, ciò che veramen¬te conta è di porre mano a costruire una vera alternativa. E questo non può che cominciare con il ristabilimento delle regole, dettate dal bene comune. Non può che ricominciare dall'opera di tanti piccoli lillipuziani, sindacati, popoli o partiti che siano, che di fronte al gigante Gulliver sbarcato con tutto il suo peso nella loro isola, rischiando di schiacciare la vita di tutti, lo leghino con tanti fili che, fino a quando non sia domato, gli impediscano di nuocere. Se non si lega, il gigante del capitalismo non potrà che schiacciarci.
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