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lunedì 26 gennaio 2009

DISERTARE LA GUERRA...


Rifiuto di servire
Omer Goldman è una bella ragazza israeliana che sogna di fare l'attrice. E si rifiuta di servire il suo paese per non essere complice dell'occupazione militare dei Territori Palestinesi.
26 gennaio 2009 - Dheera Suhan
Fonte: http://www.radionetherlands.nl/



Omer Goldman ha 19 anni, è ebrea, vive a Tel Aviv, è una bella ragazza, e non è difficile pensare che realizzerà la sua aspirazionedi diventare attrice. Ma da quando aveva otto anni, ha anche un altro sogno: lavorare con un'organizzazione come Amnesty International, nella speranza di poter contribuire a creare un mondo migliore. Proprio ora, il suo modo di farlo è accettando la prigione. Scegliendo di andare in prigione piuttosto che servire l'esercito – un obbligo per tutti i giovani israeliani. Omer Goldman non era destinata alla prigione. Per la maggior parte della sua vita aveva pensato che sarebbe entrata nell'esercito e divenuta un'eroina per tutto il suo paese. Dopo tutto, suo padre è l'ex numero due del Mossad, ed è ancora considerato uno degli uomini più importanti nell'ambiente dei servizi di sicurezza israeliani. Sua sorella maggiore e la maggior parte dei suoi amici hanno compiuto il servizio militare senza discussioni.
Omer Goldman, inprigionata per aver rifiutato di servire l'esercito israeliano. Ma la seconda guerra in Libano iniziò a far cambiare idea ad Omer.Visitò Hebron, ed iniziò ad andare regolarmente nella West Bank a vedere come vivevano i palestinesi e come venivano trattati.
Proteste
Partecipava a manifestazioni di protesta, ed era con un gruppo di dimostranti in un villaggio della West Bank che stavano protestando contro un checkpoint, costruito senza necessità in mezzo ad un villaggio:"Non avrebbe dovuto essere lì", dice, "l'avevano installato solamente per perseguitare gli abitanti del villaggio." Quando improvvisamente i soldati hanno iniziato a fare fuoco sul gruppo di dimostranti. "Questo è l'esercito che crescendo pensavo avrebbe dovuto proteggermi ed aiutarmi", dice, e lo shock dell'accaduto è ancora evidente nella sua voce. Fu colpita alla mano da una pallottola di gomma, e da quell'istante seppe che non avrebbe mai indossato un uniforme di un esercito che commetteva tali azioni.Un'esperienza significativa. Nel giorno in cui era previsto che si arruolasse, si rivoltò con un centinaio di sostenitori e rifiutò pubblicamente di entrare nell'esercito. Fu immediatamente portata in cella e poi di fronte aduna corte militare dove il giudice – un ufficiale di alto rango –tentò di convincerla che poteva diventare un soldato e cambiare le cose da dentro."Potresti dare caramelle ai bambini palestinesi ai checkpoints", le disse, apparentemente senza ironia. La sua risposta – "dare le caramelle non cambia il fatto che sarei lì illegalmente" – lo esasperò così tanto che gli fu immediatamente data una sentenza più dura di altri obiettori di coscienza che erano comparsi in giudizio quel giorno. Omer ha trascorso due periodi in carcere, nonostante la paura della prigione e il suo riconoscere che essere rinchiusa in una cella di media grandezza assieme a quaranta altre donne è stato orribile, afferma che, guardando indietro, quell'esperienza fu tra le più significative della sua vita. Emarginata dagli amici Omer è ora esente dalla leva per motivi di salute, ma continua a partecipare alle dimostrazioni, a denunciare tutto ciò che giudica ingiustizie commesse dai suoi concittadini e dal suo governo verso una popolazione civile innocente. La sua posizione le è costata moltissimo. Gli amici l'hanno emarginata, degli sconosciuti l'hanno aggredita e suo padre si rifiuta di avere più alcun contatto con lei. Ma perché continuare? Perché mantenere questa posizione? La sua risposta è decisa: "perché quando terminerà questa Occupazione – tra venti o trenta anni, anche se spero che avvenga prima – potrò dire di aver fatto qualcosa, che non sono semplicemente rimasta a guardare questa ingiustizia... essere stata in prigione non avrà aiutato nessuno dei palestinesi che conosco, ma almeno mi sono battuta per quello che credo sia giusto – sostenere che la violenza non può essere la risposta".

Note:
Titolo originale: "Refusing to serve"

Traduzione di Maddalena Parolin per www.peacelink.it

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