Per quelli che… hanno compreso perché il capitalismo non era pensato come un sistema di mani invisibili, bensì di invisibili strette di mano
L'Ican svela i nomi di oltre trecento finanziatori
Italia leader nel business armi nucleari
Più di 300 tra banche, fondi pensione, compagnie assicurative e gestori di fondi sparsi in 30 Paesi sostengono i 20 principali produttori di armi nucleari. E in questo elenco, purtroppo, non mancano società italiane, sia tra le industrie sia, soprattutto, tra chi le finanzia. A rivelarlo è il rapporto diffuso nei giorni scorsi dalla Campagna internazionale per la messa al bando delle armi nucleari (Ican), “Don’t Bank on the Bomb” (scarica il pdf con la versione integrale in inglese).
Lo studio è stato condotto dai ricercatori del gruppo olandese Profundo e ha lo scopo di dare le informazioni necessarie ai cittadini per «fare pressione su queste e altre istituzioni internazionali nel mondo perché interrompano il loro supporto all’industria delle armi nucleari». Il periodo preso in analisi va dal luglio 2008 a fine 2011.
Complessivamente, si legge nel report, «ogni anno, le nove nazioni armate (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele, Corea del Nord, ndr) spendono in tutto oltre 100 miliardi di dollari per le loro attività nucleari: assemblamento di nuove testate, modernizzazione di quelle più vecchie, costruzione di missili balistici, bombe e sottomarini per il lancio di queste armi». Un mucchio di soldi, dunque, che per lo più arriva da compagnie private.
Le istituzioni finanziarie che permettono di sopravvivere ai maggiori 20 produttori d’armi nucleari – tutti coinvolti nei programmi di armamento nucleare di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e India – si trovano per più della metà negli Stati Uniti, per un terzo in Europa e, per la parte restante, in Asia, Austrialia e Medio Oriente.
La maggior parte investe in una o due società del settore, metre qualcuna investe in diversi produttori. Gli istituti più invischiati nel periodo considerato, stando al rapporto, sono Bank of America, BlackRock e Jp Morgan Chase negli Usa; Bnp Paribas in Francia (a cui fa capo l’italiana Bnl); Deutsche Bank in Germania; Mitsubishi Ufj Financial in Giappone.
Nella lista delle 322 istituzioni identificate nel report come «sostanzialmente coinvolte nel finanziamento dei produttori di armi nucleari», pur con diverse modalità e non sempre per tutti gli anni presi in considerazione, si trovano ben 13 italiane. Così tante da portarci al terzo posto (a pari merito con l’India) a livello mondiale da questo punto di vista, secondi solo a Stati Uniti (169 istituti) e Regno Unito (41).
Gli istituti coinvolti sono di tutte le dimensioni. Ci sono i big del credito italiano, come Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi Banca, Banca Monte dei Paschi di Siena, per esempio. Ma c’è anche la storica Mediobanca, così come Banca Leonardo, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio, Banca Popolare Emilia-Romagna, Banca Popolare di Vicenza, Banco Popolare, Credito Emiliano, Gruppo Carige.
Il rapporto non risparmia nessuno: nelle 180 pagine si trova l’analisi di tutti gli attori coinvolti. Tra i produttori, il nostro Paese è presente con Finmeccanica. La società, scrivono i ricercatori, «detiene una quota del 25% in Mbda, una joint venture con Eads e Bae Systems» che sta fornendo missili nucleari all’aeronautica francese (gli Asmpa, che possono essere lanciati dagli aerei da combattimento Mirage 2000N e dal nuovo “Rafaele”). «Mbda – si legge ancora nel rapporto – è un leader mondiale nei missili e nei sistemi missilistici, avendo prodotto oltre 3.000 missili nel 2010». La costruzione di missili, precisa la ricerca, «non include quella di testate nucleari, che sono fatte dall’agenzia governativa Commissariat á l’energie atomique».
Per quanto riguarda gli istituti finanziari, il rapporto presenta sia gli impegni assunti ufficialmente da alcune banche a uscire dal settore delle armi, sia gli investimenti fatti sin qui. E se le righe dedicate ai buoni propositi sono molte, non manca neppure un lungo elenco dei produttori di armi che hanno beneficiato di ingenti investimenti dalle 322 società analizzate, sia in modo diretto, sia attraverso compagnie del gruppo.
In attesa di vedere gli esiti degli impegni assunti per il futuro, dunque, ecco come si sono comportate le banche italiane nel periodo considerato. Intesa Sanpaolo, si legge nel report, «è coinvolta nel finanziamento di Bechtel, Boeing, Eads, Finmeccanica, General Dynamics, Honeywell International, Lockheed Martin, Northrop Grumman e Thales. Unicredit, dal canto suo, pare abbia sostenuto sin qui Eads, Finmeccanica, Honeywell International e Thales. Entrambi gli istituti si sono impegnati ufficialmente ad abbandonare il settore.
Proseguendo con la lista, si scopre che Banca Leonardo ha sostenuto la Safran, Mps ha dato una mano a Finmeccanica, così come hanno fatto Bpm, la Popolare di Sondrio, Popolare Emilia Romagna, Popolare di Vicenza, il Banco Popolare, Credito Emiliano, Gruppo Carige, Mediobanca e Ubi (quest’ultima risulta impegnata anche in Thales).
Marco Ratti
http://www.eticanews.it/2012/03/litalia-e-nel-business-delle-armi-nucleari/
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