Nel momento in cui il Parlamento sta discutendo di una modifica costituzionale di grandissima portata, come quella afferente l’articolo 81 con l’inserimento nella Carta Fondamentale, del pareggio di bilancio è necessario porre il tema della legittimazione democratica del sistema politico: un tema che appare urgente e indifferibile.
La situazione istituzionale è, ormai, ben oltre il limite di guardia: il governo in carica, di estrazione direttamente presidenziale, punta a disporre del Parlamento come sede di mera ratifica, come del resto già accaduto negli anni precedenti con un governo che pure – formalmente – appariva come di derivazione parlamentare.
La logica è quella, se mi è consentita la comparazione, del “Protettorato”: (e nella logica del “protettorato” si stanno muovendo il presidente del consiglio e i suoi ministri).
Ci troviamo, insomma, al di là quindi dei limiti e dei meccanismi di funzionamento della Repubblica Parlamentare. Tanto è vero che, da qualche parte, si è avanzata l’idea del “lungo parlamento” prorogando la legislatura al 2015, allo scopo di “consentire ai partiti di fare pulizia” e avallando così, almeno indirettamente, il nostro riferimento storico.
Il rischio è quello di un’ulteriore riduzione della democrazia, dopo di quella già imposta dalla cosiddetta “Costituzione Materiale” fondata sull’impasto: maggioritario/personalizzazione/presidenzialismo, con l’auto-screditamento dei partiti incapaci di funzionare, ormai, quali legittimi corpi intermedi tra la società e le istituzioni.
Quale parlamento, tra l’altro, sarebbe prorogato?
Un parlamento del tutto delegittimato per una somma di motivi di natura prettamente politica: innanzi tutto questo Parlamento è stato eletto con una legge impediente, a detta di tutti, agli elettori di incidere sulla composizione delle Assemblee; in secondo luogo le condizioni politiche del 2008 risultavano affatto diverse dalle attuali, essendo fallito clamorosamente il tentativo di ridurre il bipolarismo a bipartitismo e non avendo trovato, all’interno dei consessi elettivi, la forza e la capacità politica per costruire un’alternativa di governo, finendo quindi per consegnarsi alla forma di “protettorato” cui si accennava poc’anzi; inoltre è esplosa all’interno delle Camere, una questione morale che, se numericamente appare ridotta rispetto a “Tangentopoli”, dal punto di vista della qualità ha senz’altro fatto registrare un salto, in particolare sul terreno delicatissimo del finanziamento pubblico (il caso Lusi, ormai suffragato dai fatti e quindi non abbisognevole della cosiddetta presunzione d’innocenza è di una gravità tale da mettere in discussione, da solo, l’intera legittimità dell’Assemblea, senza pensare anche ai vari Cosentino, Papa, Milanese oltre che, ovviamente, all’ex-Presidente del Consiglio salvato soltanto dalla prescrizione).
In queste condizioni che le Camere discutano di riforme costituzionali, risulta davvero del tutto improprio.
E’ necessario quindi sviluppare un forte movimento per chiedere, attraverso il più celere possibile ritorno alle urne, il ripristino della piena legittimità democratica.
Questo parlamento potrebbe riscattarsi, “in articulo mortis”, approvando tre provvedimenti che potrebbero far sgombrare il campo minato nel quale ci troviamo:
1) La riduzione dei Parlamentari a 500 alla camera e a 200 al senato;
2) Il ritorno alla legge proporzionale ante-legge del 1995, utilizzando lo stesso spirito con il quale la proporzionale fu adottata nell’occasione dell’elezione dell’Assemblea Costituente, quello ciò di verificare prima di tutto la rappresentatività reale delle forze politiche. La concessione che potrebbe essere fatta, al massimo, al meccanismo della governabilità potrebbe essere quella dell’assegnazione dei seggi con il metodo d’Hondt all’interno di ciascheduna circoscrizione;
3) Il dimezzamento con effetto immediato dei rimborsi elettorali.
Genova, li 14 marzo 2012 Franco Astengo
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