La "questione insegnante": identità, formazione, sviluppo professionale dei docenti ...
La "questione insegnante":
identità, formazione, sviluppo professionale dei docenti
di Giancarlo Cerini
Crisi della scuola e crisi degli insegnanti
Le ricerche italiane sulla condizione professionale dei docenti (1) registrano, anno dopo anno, una crescente situazione di disagio e demotivazione. Certamente influisce su questo "stato di crisi" latente l'insoddisfazione verso livelli retributivi considerati non appropriati per una categoria da cui si pretenderebbe un rinnovato slancio etico-professionale. Si parla spesso di mancanza di una carriera, di appiattimento retributivo, di assenza di incentivi, ma è evidente che ci troviamo di fronte ad una più generale crisi di identità, di visibilità sociale e di autorevolezza.
Di fronte alla società della globalizzazione, della conoscenza pervasiva, del rischio esistenziale, sembra perdersi il "senso" della scuola, il suo essere luogo deputato alla trasmissione della conoscenza (da una generazione all'altra) e alla formazione delle persone e dei cittadini. La scuola rischia di apparire un non-luogo, un gigantesco "falansterio sociale" con il compito di contenere i ragazzi e di fare passare loro il tempo della crescita, possibilmente senza incidenti o danni.
L'immagine è troppo cruda, ma ben esprime il disorientamento che avvolge la società circa i compiti della scuola, e che si riverbera sui genitori, sugli allievi, sugli insegnanti. In una società "senza insegnanti", dove nessuno vuole più imparare, è difficile esercitare il mestiere di istruire, scrive con sarcasmo I. Diamanti in "Maledetti professori". (2)
Le funzioni della scuola sembrano spostarsi dal piano culturale (la scuola come luogo di incontro con i saperi del mondo) al piano simbolico-esistenziale (la scuola come luogo di incontro tra le persone, spazio di reciprocità e di comunicazione). Socrate ha perso la sfida con "Google", allora ripiega sull'idea di convivialità. Più che l'acquisizione di saperi, sembra valere la cortesia nella reciproca disponibilità alla comunicazione. La priorità va allo "stare insieme".
Ma più di recente il "senso comune" della gente sembra risvegliarsi all'insegna di nuove preoccupazioni e insicurezze. Si percepisce l'aleatorietà delle regole o comunque di regole chiare (la metafora è quella della rotonda che regola il traffico velocizzandolo, ma con qualche incertezza sui diritti e doveri di ciascuno) e la nostalgia per i segnali univoci del "semaforo" (verde o rosso, sai come ti devi comportare). Di qui il ritorno in grande stile del voto in condotta, il ripristino dei voti numerici fin dalle prime classi elementari, quasi per evocare la semplicità delle regole primordiali (un 5 è un 5, basta, non c'è niente da negoziare, è una sanzione "oggettiva").
La società "civile", non più capace di "dire i no", chiede alla scuola di rafforzare la sua funzione regolativa-normativa, attraverso i richiami ricorrenti a temi quali la responsabilità, i comportamenti, il profilo educativo, il progetto di vita, la persona. Il riferimento alla funzione culturale viene visto come approccio comportamentista, in cui l'istruzione assolverebbe ad una funzione puramente abilitativa e performativa, quasi inutile e comunque datata. Ciò che conta sembra essere l'acquisizione di "life skills" (abilità per la vita), in una scuola che interagisca di più con i mondi vitali degli allievi.
(...)
Buon 2010, Flavio
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