(tratto dal sito www.islam-online.it e tradotto dall'amica Patrizia Khadija Dal Monte)
di Tariq Ramadan
La situazione in Libia è confusa e abbastanza inquietante. Gheddafi è sparito e nessuno sa esattamente cosa stia succedendo a Tripoli. Ci sembra di assistere allo stesso scenario dell’Iraq: le forze francesi, americane e britanniche stanno aiutando i ribelli per terra e per aria, mentre cercano di convincere il mondo che la loro intenzione è quella di proteggere i civili e liberare il paese dal “dittatore mostruoso”. Abbiamo ascoltato la stessa canzone in precedenza, nel 2003, quando l’ex alleato e amico (durante la guerra del 1980-1988 tra Iran e Iraq), Saddam Hussein è improvvisamente diventato un tiranno dalla faccia truce, contrapposto alla purezza della politica americana. Si trattava allora di armi di distruzione di massa, di libertà, di democrazia e di civiltà, così si diceva. Pure menzogne. Alcuni anni dopo l’embargo economico degli Stati Uniti (imposto dal presidente Bill Clinton) che ha ucciso più di 500.000 civili iracheni innocenti in un anno, l’amministrazione Bush era pronta a fare guerra e uccidere di nuovo. In nome di interessi geopolitici (incoraggiati da Israele e le sue lobby americane, come riportato dal giornalista Robert Fisk) e delle risorse petrolifere. Ma dobbiamo ricordare che la guerra era iniziata ancor prima che George W. Bush avesse assunto il potere.
Il quotidiano francese Libération ha rivelato 1 Settembre 2011 l’esistenza di un accordo segreto tra il governo francese e il Consiglio nazionale di transizione (CNT) libico: dopo la guerra, il 35% delle esportazioni di petrolio del Paese sarebbe stato assegnato alla Francia. La Francia ha, a quanto pare giocato in Libia lo stesso ruolo degli Stati Uniti in Iraq. La guerra è stata combattuta per la democrazia, la libertà e la dignità, sulla scia della “primavera araba”, si è vantato il presidente francese Nicolas Sarkozy. Il leader libico che aveva ricevuto solo diciotto mesi prima a Parigi, era diventato da un giorno all’altro una figura satanica. Era un dovere morale per la Francia di liberare il Paese dal “tiranno pazzo.” Oggi sentiamo un’altra versione, una verità diversa che evidenzia un umanesimo molto larvato e un interesse molto più pronunciato per gli affari. Il ruolo dell’intellettuale francese Bernard-Henri Levy, che per alcuni giorni ha svolto la mansione improvvisata di ministro degli affari esteri e contribuito a creare il CNT, è sorprendente. Perché in effetti vi era coinvolto, con chi e come? Era come se la sua missione fosse quella di fondere gli interessi francesi e israeliani nella regione. Gheddafi era un ostacolo, sbarazzarsi di lui è stato un grande passo avanti per la strategia di Israele e non solo in Medio Oriente, ma anche in Africa (il saggista francese Pierre Pean ha rivelato nel suo libro “Carnages: Le guerre segrete delle grandi potenze dell’Africa” la reale portata delle attività di Israele nel continente israeliano). Realpolitik, logica cinica.
Era impossibile per l’attuale amministrazione degli Stati Uniti essere in prima linea nell’intervento libico. Le guerre in Iraq e Afghanistan, e le implicazioni nazionali della recessione globale hanno reso impossibile giustificare un intervento diretto ed è stato così che la Francia ha assunto la guida: un scenario estremamente vantaggioso per entrambi. Dovremmo essere sorpresi? Poco è cambiato in Nord Africa e, nel momento in cui l’Occidente mostra un interesse puramente formale relativamente alla “Primavera araba”, non dobbiamo dimenticare i decenni di supporto ai dittatori. Pertanto, dobbiamo rimanere cauti circa il modo in cui verranno gestite le cose nella regione. Cina, India e Russia sono i nuovi attori e, al di là del fatto della promozione della democrazia o no, il Medio Oriente rimane principalmente un campo di battaglia per interessi economici. E ‘improbabile che questi interessi siano trascurati in nome di un “nuovo slancio per la democrazia araba”. È fondamentale essere consapevoli del cinismo di tali calcoli – e augurarsi che le popolazioni arabe sappiano approfittare di ogni occasione per liberarsi dalle forze straniere, trovando la loro strada verso l’indipendenza politica ed economica.
È altrettanto importante non cadere nell’estremo opposto. In questi giorni, su Internet, si sentono voci che negano i fatti stessi, tanto sono ossessionate dalla critica all’Occidente e cercando di rilevare un complotto americano dietro ad ogni evento. Gheddafi era, dopo tutto, un dittatore, e lo stesso vale per Bashar al-Assad. In altre parole, la politica non consiste semplicemente nel chiamare il nemico del mio nemico, mio amico. Dobbiamo denunciare il gioco americano e francese (e quello di tutte le grandi potenze in generale, dall’Occidente alla Cina, India, Russia o Israele), dove questo equivale a sostenere dei dittatori al fine di proteggere degli interessi. Sarebbe sbagliato sostenere dei despoti, costi quel che costi.
L’unico modo di progredire è quello di opporsi sia alla posizione ipocrita delle grandi potenze, sia alla repressione inaccettabile delle dittature: né idealizzazione, né ingenuità. Le popolazioni arabe hanno bisogno di sostegno senza che ci lasciamo ingannare da ciò che viene detto in Occidente, in Cina o in Russia, o che accordiamo ciecamente credito alla copertura mediatica degli eventi recenti. Sperare nella caduta del regime di Gheddafi e di al-Assad richiede uno spirito informato in modo da non essere manipolato ancora una volta da parte di governi che non si curano affatto dei diritti umani, della libertà, uguaglianza e democrazia.
Inoltre, è nostro dovere come cittadini di vigilare: i diritti democratici non vengono regalati, devono essere guadagnati. La nostra lotta è intellettuale, civile e politica e dovrebbe essere ingaggiata – e speriamo che abbia successo – in Occidente, Africa, Medio Oriente e così pure in Asia. E’ una lotta continua che richiede tutta la nostra intelligenza, la nostra comprensione, la nostra lucidità e il nostro impegno totale. Le nostre speranze hanno dei diritti, il primo di essi è quello di non dimenticare mai di pensare.
Giovedì 8 settembre 2011, Tariq Ramadan
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