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sabato 24 ottobre 2009

CONFERENZA STAMPA ALLA CAMERA DEI DEPUTATI IL 16 OTTOBRE 2009 PER LA PRESENTAZIONE DELL’APPELLO “PER LA CREAZIONE DI UNA COSTELLAZIONE DEMOCRATICA”

Raniero La Valle:
Dei primi firmatari dell’appello, Ferrajoli e Ferrara sono fuori Roma per impegni universitari, il prof. Zagrebelsky è a Torino. Tuttavia l’ex Presidente della Corte ha scritto un articolo ieri su Repubblica in cui sono racchiuse le motivazioni più profonde di questo appello. Esse dicono perché la difesa delle istituzioni è un bene comune che deve prevalere sia sui beni privati che sugli interessi politici immediati di parte.
L’appello non è la risposta emotiva alla crisi di questi giorni di fuoco, dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha ovviamente dichiarato l’incostituzionalità della legge Alfano che rinnegava l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Esso è nato in un Seminario della Sinistra cristiana tenuto quest’estate a Camaldoli. Parte da un bilancio di 15 anni di riforme dell’assetto istituzionale e politico italiano. Il risultato non è solo un fallimento, ma il formarsi di un buco nero in cui tutta la nostra convivenza potrebbe sprofondare.
Il bipolarismo si è rapidamente trasformato nella pratica politica o nel sogno – come è stato chiamato – di due partiti unici, ciascuno dei quali, da solo, pretende di rappresentare e governare tutto il Paese, negando o cannibalizzando la parte avversa. Il bipolarismo all’italiana, nella versione berlusconiana, vuole un’Italia fatta di due sole parti, la destra e la sinistra, ma in cui la sinistra non ci sia.
Il perseguimento di questo obiettivo ha completamente sequestrato la politica, e anche l’azione di governo, scatenando la guerra tra istituzioni e impedendo che esse si occupassero del bene comune e delle necessità del Paese. Si è aperta la caccia alla giustizia, intesa come magistratura o Corte costituzionale, e si è abbandonata del tutto – del tutto – la giustizia intesa come giustizia sociale. Dall’Antico Testamento fino alla Costituzione repubblicana giustizia sociale vuol dire fare giustizia all’orfano, alla vedova, al povero, al precario, al disoccupato, al naufrago, allo straniero. E proprio perché non si fa questa giustizia, e anzi essa non è nemmeno in agenda, che la Costituzione è più gravemente violata e anzi distrutta.
Berlusconi non è solo causa, ma anche effetto di questo degrado. Non solo la Corte costituzionale e il presidente della Repubblica, ma anche il presidente del Consiglio è un organo di garanzia. Anche lui giura, anche lui deve attuare le finalità della Carta, anche lui deve mantenere l’unità del corpo politico, a cui “l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo” che gli è affidata è funzionale. Non si può governare contro più della metà del Paese, né si può dire agli industriali: voi lavorate, alla democrazia ci penso io. Anche il fascismo diceva: qui non si fa politica, si lavora. Ma se a far politica è uno solo, come avvenne allora, la catastrofe è assicurata.
In ogni caso la situazione ormai è che perfino se Berlusconi avesse ragione, la sua presenza alla testa del governo è diventata causa di una grave turbativa dell’ordine pubblico e della vita collettiva, genera ansia, promuove l’anarchia delle classi dirigenti, diffama l’Italia all’estero e patrocina una cultura dell’odio e del nemico che non solo alla più piccola miccia può scatenare un incendio, ma soprattutto corrode e corrompe il pensiero e lo stile dei rapporti sociali delle giovani generazioni.
L’Italia è tarlata da questa cultura rampante che distrugge ogni legame sociale. Non c’è più l’accoglienza di ciascuno del volto dell’altro. C’è un volto, come viene rappresentato in TV negli scontri politici, che è un volto torvo, ghignante, sprezzante, minaccioso e senza luce d’intelligenza.
L’appello non mira perciò solo a un riscatto politico passeggero, ma a ricostituire le condizioni di una cultura e di una civiltà politica diversa.
Con il pane e i circenses si può ballare una sola estate. Dire davanti ai morti dell’alluvione in Sicilia e davanti al crollo dei redditi delle famiglie, che si farà il ponte sullo Stretto è una provocazione. Come quella attribuita a Maria Antonietta: se non hanno pane, che mangino brioches.
Perché allora la “costellazione democratica”? Lo racconta la sua figura: ogni stella brilla di luce propria, e ognuna ha il suo corso nel cielo. Nessuna inghiotte o distrugge l’altra. Ma insieme formano un disegno, esprimono un progetto, e addirittura (nello Zodiaco) evocano un destino. Le costellazioni esistono perché ci sono le stelle, e non le vogliono spegnere, ma anzi che brillino. Ma insieme aggregate entrano nell’immaginario collettivo.
Fuor di metafora: in una Costellazione politica alcune forze tra loro più vicine si uniscono, senza confondersi, per formare un governo; altre restano in un’orbita più larga, fanno parte di una maggioranza parlamentare, e insieme si possono presentare in una alleanza elettorale come alternativa al potere della destra; e prima ancora possono compiere insieme un’azione visibile nel territorio per il radicamento di una cultura costituzionale e l’esercizio del pluralismo della comunicazione sociale e della libertà.
Questa è una proposta non solo costruttiva per il centro-sinistra, ma anche liberatoria per la destra: nessuno deve essere costretto a stare sotto Berlusconi per avere parte nella politica e nel potere, tutti possono coesistere e cooperare rimanendo autonomi e diversi.
Ma è su questi piani alti di rapporti risanati tra istituzioni, forze politiche e mondi vitali del Paese, che si può operare per la salvezza e la pace della Repubblica.
Domenico Gallo:
Per la salvezza della Repubblica
Dopo la pronunzia della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano e le reazioni scomposte che ne sono seguite, l’accelerazione della crisi politico-istituzionale ed il discredito internazionale in cui versa l’Italia rendono evidente anche ai ciechi e ai sordi che siamo precipitati in un tempo politico drammatico. Se guardiamo all’Italia come ad un luogo politico, come ad una comunità di persone strutturata in un ordinamento politico attraverso le istituzioni repubblicane, allora dobbiamo convenire che la Costituzione è la nostra Patria.
Ebbene non possiamo non vedere che questo luogo politico, la Repubblica democratica e con il suo patrimonio di beni pubblici repubblicani, è stato invaso da un esercito di occupazione che si sta impegnando con la massima solerzia a smantellare tutti (proprio tutti) i beni pubblici repubblicani. Non si tratta soltanto della seconda parte della Costituzione che viene contestata e delegittimata ogni giorno con gli attacchi ai giudici, alla Corte Costituzionale ed al Presidente della Repubblica (quando si mette di traverso), ma anche della prima parte, con l’attacco ai fondamenti della dignità umana e dell’eguaglianza, fino alla riesumazione strisciante delle leggi razziali. Fino a sfigurare definitivamente il volto della Repubblica ed a cambiarne i connotati, trasformarla in altro da se: un Sultanato o una Satrapia, comunque un altro ordinamento, estraneo alle tradizioni della democrazia di tipo occidentale.
Quando le truppe naziste hanno invaso l’Italia, tutte le forze vive, tutti i patrioti, si sono opposti ed hanno unito i loro sforzi creando il Comitato di Liberazione Nazionale, nel quale sono confluite forze e culture diverse (dai comunisti ai badogliani), che hanno messo da parte le loro divergenze per perseguire l’obiettivo comune della salvezza della Patria.
In questa contingenza storica di nuovo un pericolo mortale minaccia la Patria-Costituzione. Come avvenne con la resistenza, ora come allora, occorre chiamare a raccolta tutte le energie spirituali, tutte le culture, tutte le forze politiche e tutti gli uomini di buona volontà, che riconoscono nella Costituzione la loro Patria, ad agire con fermezza per la salvezza della Repubblica. Di fronte a questa superiore esigenza, tutte le forze politiche, che riconoscono valore ai beni pubblici repubblicani, devono mettere da parte le differenze (non cancellarle) ed impegnarsi in una fortissima unità d’azione per scacciare l’esercito di occupazione che dilaga nel territorio della Patria. Non esistono alternative all’unità. L’unità è imposta dalla legge elettorale che, attraverso lo strumento del premio di maggioranza impone che un solo esercito possa sfidare le forze di occupazione.
Anche se le radici del malessere vengono da lontano, è stato lo sciagurato scioglimento dell’Unione, nel 2008, a determinare questo disastro. Lo scioglimento dell’Unione è stato come lo sbandamento dell’esercito italiano l’8 settembre: ha reso possibile l’occupazione della Patria da parte dell’esercito invasore. Se la posta in gioco è la sopravvivenza della Repubblica, cioè la Patria, allora tutte le forze si devono coalizzare, tutte le energie devono essere chiamate a raccolta. Non si può dire, come sventatamente si è fatto nel 2008: questo si, questo no.
E’ pur vero che se si vuole costruire una coalizione credibile non si possono ignorare le difficoltà che hanno determinato il tramonto dell’Unione. Un nuovo CLN può scacciare l’esercito invasore, ma non può garantire il funzionamento dell’Esecutivo. Anche il governo nato dalla Liberazione, il governo Parri, durò pochi mesi e, qualche mese più tardi si verificò una spaccatura verticale fra le forze politiche che avevano dato vita alla resistenza.
E tuttavia non si tratta di una difficoltà insormontabile. Per trovare una risposta a questo problema bisogna ritornare alla Costituzione. Bisogna ristabilire i ruoli che la Costituzione ha assegnato al Governo ed al Parlamento, rovesciando quella tendenza che negli ultimi 15 anni ha portato ad espandere al massimo il ruolo del Governo a scapito del Parlamento.
E’ una tendenza che Berlusconi ha portato fino all’estremo limite, fino al punto da cambiare la natura della legge. Nel suo progetto, è la volontà del Capo dell’Esecutivo, che diviene legge, mediante un timbro apposto dai suoi uomini in Parlamento. Non dobbiamo stupirci, pertanto, se, in coerenza a questo progetto, Berlusconi ha proposto che siano soltanto i capi gruppo parlamentare ad esprimere il voto.
Sono altre le funzione ed è altra la natura del Parlamento nel progetto di democrazia concepito dai Costituenti. Bisogna ristabilire la reciproca autonomia dei ruoli, del Parlamento e del Governo, facendo fare una cura dimagrante al Governo.
Non possiamo dimenticare che il Governo Prodi si è impiccato ad una questione, di indubbia rilevanza politica, ma irrilevante per l’indirizzo economico-sociale del Governo, quale la legislazione sui Dico. In passato si sono fatte riforme enormemente più importanti dal punto di vista del costume e delle libertà civili, come l’introduzione del divorzio e la regolamentazione dell’aborto. Queste riforme sono state possibili perché nessun governo le ha assunte nel suo programma, lasciando che i contrasti vivacissimi che esistevano – anche allora – sulle questioni eticamente sensibili fossero composti attraverso la sintesi del Parlamento.
Ed è proprio il ripristino della snodo Governo-Parlamento che può dare ad una coalizione in cui convivono culture politiche differenti, lo spazio di flessibilità indispensabile per assicurare una buona salute al Governo senza mortificare le differenze, che vengono mediate e composte in Parlamento.
Sono queste le scelte che propugna l’appello “per la salvezza e la pace della Repubblica”, con l’ambizione di dare vita ad una mobilitazione dal basso che spinga le forze politiche ad agire. Immediatamente.
Francesco Zanchini:
La mia adesione all’appello, per quanto possa valere una testimonianza individuale, muove dagli stessi motivi di fondo enunciati fin qui, e muove dalle questioni etico-politiche sottostanti a quelle giuridiche, che l’attacco attuale alla Costituzione propone.
Su questioni legali non mi soffermerò quindi che indirettamente, per la via di quell’humus etico sul quale esse riposano, innestate come sono in quei valori di buon costume (per usare un’espressione cara ad Emilio Betti), sul quale la Carta ebbe in sorte di radicarsi nel suo momento fontale e originario, nella transizione cioè dal CLN e dal roveto ardente della Resistenza al loro sbocco istituzionale, nel fervore dei lavori dell’assemblea costituente.
Riconosco che tali valori appaiono quotidianamente estranei a gran parte delle forze politiche della coalizione di governo, espressione di un mutamento innegabile del modo di configurarsi del buon costume nella coscienza sociale. E se tale mutamento fosse davvero maggioritario, parlare di una intervenuta modifica della costituzione materiale non sarebbe, purtroppo, privo di senso. Vale quindi la pena di tentare di individuare il limite, oltre il quale sia realistico parlare di corruzione del costume (spontanea, o magari artificialmente instillata da una martellante paideia alla rovescio da parte di un blocco ben preciso di media).
La presunta urgenza dell’innovazione costituente deve dunque misurarsi, a mio avviso, non solo col freddo dettato costituzionale bensì, a monte, con i valori che in esso, di volta in volta, si incarnano; per questa via scoprendo se, per caso, i motivi che la sospingono non siano al fondo abietti, o futili. Mi limito ad alcuni esempi, in cui il rapporto tra valori etici e testo costituzionale risulta evidente; e penso all’art. 52, dove il dovere di difendere la patria (da intendere pure come sostanziale continuità del profilo istituzionale di essa nel divenire della storia) è detto, per la prima ed ultima volta nella Carta, “sacro”: con un aggettivo che richiama ad un “oltre”, quasi a invitare a testimone di quell’anno dei portenti (un altro, a distanza di un secolo), il biblico “Dio dei nostri padri”; quasi a indicare la continuità sostanziale della nostra tradizione unitaria tra Statuto albertino e Costituzione repubblicana (eccetto la parentesi del folle sviamento fascista, dietro ad un altro Catilina di turno).
E’ per questo che la lealtà fondamentale a un blocco di valori è solitamente ritenuta sacra; per questo l’art. 54 contempla in questa continuità un “giuramento” primordiale, affinché la tradizione costituzionale non sia turbata da un uso improvvido, futile, interessato del procedimento di modifica dell’art. 138 della stessa Carta. Si legge d’altronde facilmente, nel testo dell’art. 54, un’ammonizione implicita, che suona come una norma di chiusura e di limite (la cui eloquenza è quanto mai attuale) all’illusione di un arbitrio costituente. Chi la legge si immerge davvero nell’ethos delle origini: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.
E’ per questo che non potevo non aderire a un appello, che proponeva di ripristinare “condizioni di dignità, onore, cultura e libertà nel nostro Paese”.
Stefano Consalvi :
Motiva la condivisione dell’appello da parte dell’associazione Liberacittadinanza, che si è particolarmente impegnata nel Paese per l’attuazione e la salvaguardia della Costituzione e per il successo del “no” nel referendum costituzionale. Oggi la Costituzione è sotto attacco, sia nella sua architettura istituzionale che nei suoi valori, ed è quindi necessaria una vigile presenza e un’azione adeguata dei cittadini per sostenerla e invererla.

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