Mario Draghi: il bravo ragazzo della Goldman Sachs
di Miro Renzaglia - 17/11/2011
La7, Italialand: «Mario Monti ha lavorato alla Goldman Sachs. Anche Mario Draghi ha lavorato alla Goldman Sachs. Sai, la Goldman Sachs: quella banda di simpatici incravattati che ha messo in mutande l’America. Dunque, fatemi capire: gli stati hanno salvato le banche
che hanno fatto fallire gli stati… e i capi delle banche vanno a governare quegli stati che le loro banche hanno fatto fallire. Io sento odore di cetriolo. Non lo sentite anche voi un bel cetriolone che arriva?».
Su una cosa, però, Crozza ha sbagliato: la GS non s’è limitata a mettere in mutande l’America, in mutande c’ha messo l’intero globo piazzando ovunque titoli derivati senza avvertire i propri clienti della loro tossicità e scatenando così, nel 2008, la crisi finanziaria
tutt’ora in essere a livello planetario. Tanto è vero che, nel 2010, la Sec, l’organo di controllo della borsa americana, l’ha incriminata ufficialmente per frode. La GS – lo dico per i distratti – è la più potente banca d’affari Usa. Talmente potente che fra le sue attività, collaterali ma non secondarie ai suoi scopi, c’è quella di coltivarsi in seno uomini che poi finiscono nelle cronache della politica per alti incarichi istituzionali. Qualche nome per tutti e a noi più noti?
Romano Prodi che, fra il 1990 e il 1995, è stato suo consulente. O l’appena deposto sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, membro dell’Advisory Board. Né, probabilmente, meno noto è il nome di Mario Draghi, già vicepresidente e membro del management Committee Worldwide della GS, dal 2002 al 2005. Impiego che lascerà
per essere nominato, nel 2006, Governatore della Banca d’Italia, su proposta dell’allora Capo di Governo, Silvio Berlusconi e decreto del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, già Governatore, a sua volta (1979-1993) di Bankitalia. Un bel valzer, insomma, di banche e banchieri, politici prestati alle banche e banchieri prestati alla politica, senza distinzioni fra destra e sinistra, che va avanti da qualche decennio e che Mario Monti è chiamato a rimettere in scena, con la regia di Giorgio Napolitano.
Ma torniamo a Mario Draghi. Laureato a pieni voti in economia e perfezionati gli studi al Mit di Boston, intraprende presto la via dell’ insegnamento universitario in Italia. Ma già nel 1985 (e fino al 1990) lo troviamo direttore esecutivo della Banca Mondiale. Nata con
il nobile intento di favorire la ricostruzione e lo sviluppo dei paesi europei e del Giappone alla fine della Seconda guerra mondiale, la BM
è diventata qualcosa di assai controverso: c’è chi la considera istituzione leader “della lotta alla povertà” e chi, invece, di provocare la malattia di cui pretende essere la cura. Del resto, i suoi prestiti, come quelli di qualsiasi altra banca, devono essere restituiti con gli interessi. E se il debitore non ci riesce (come
quasi sempre avviene)? E bè! basta aprire le porte delle risorse nazionali agli investimenti di aziende straniere. In tal caso, addirittura, si può rientrare nella lista HIPC (Heavily Indebted Poor Countries) dei paesi collaborativi e ottenere una riduzione del
debito. Si calcola che per ogni dollaro di prestito concesso dalla BM (o dalla consorella Fondo Monetario Internazionale) a un paese povero ne rientrano due come commesse ad aziende occidentali, meglio se statunitensi. Non lo trovate geniale?
Nel 1991, di nuovo in Italia, Draghi assume un altro incarico: quello di Direttore Generale del Ministero del Tesoro al quale aggiungerà
(1993) la presidenza del Comitato Privatizzazioni. I suoi meriti nel privatizzare tutto il privatizzabile del patrimonio italiano devono essere stati rilevantissimi se 10 (dico: dieci) governi consecutivi, di ogni forma e colore, fino al 2001, considereranno la sua azione talmente efficiente da inchiodarlo a quella poltrona. E, in effetti, l’opera di smantellamento da lui diretta registra incredibili successi. Copio e incollo dal sito ufficiale di Confindustria: «Tra il 1993 e i primi mesi del 2001 in Italia sono state effettuate cessioni al mercato di quote di aziende pubbliche per circa 234.800 miliardi di lire. Le cessioni hanno riguardato importanti aziende di proprietà del Ministero del Tesoro (come Telecom, Seat, Ina, Imi, Eni, Enel,
Mediocredito Centrale, Bnl), dell’Iri (come Finmeccanica, Aeroporti di Roma, Cofiri, Autostrade, Comit, Credit, Ilva, Stet), dell’Eni (come Enichem, Saipem, Nuovo Pignone), dell’Efim, degli altri enti a controllo pubblico (come Istituto Bancario S. Paolo di Torino e Banca Monte dei Paschi di Siena) e degli enti pubblici locali (come Acea, Aem, Amga)». Bisogna ammetterlo: non era facile ma lui c’è riuscito. Gliene furono grati in molti, ma non l’ex Presidente Francesco Cossiga che lo accusò pubblicamente, anche in Tv, di aver favorito i suoi futuri datori di lavoro della GS.
Il resto è storia recente. Lasciato il colosso finanziario nel 2005, l’anno dopo – come già detto – sarà nominato Governatore della Banca d’Italia. A scadenza naturale del mandato, è subentrato a Jean-Claude Trichet al vertice della Bce, decorrenza 1° novembre 2011. Nelle more del trasloco al più alto incarico, però, alla vigilia della manifestazione degli Indignati a Roma del 15 ottobre scorso, ci ha lasciato questa perla di sincera partecipazione al malessere del Paese: «Se siamo arrabbiati noi per la crisi, figuriamoci loro che sono giovani, che hanno venti o trent’anni e sono senza prospettive».
Carino, no?
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