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giovedì 31 marzo 2011

INTERVISTA A PATRIZIA KHADIJA DEL MONTE (a cura di Cinzia Aicha Rodolfi)

Ho conosciuto personalmente Patrizia Khadija Del Monte e Cinzia Aicha Rodolfi all'incontro ingauno contro i matrimoni forzati. Sono rimasto colpito da entrambi, soprattutto dall'intelligenza, dalla pacatezza e dalla serenità di entrambe. Cinzia mi ha inviato parecchi articoli che pubblicherò piano piano: alcuni erano più legati alla contingenza. Ho scelto l'intervista a Patrizia per la simpatia che ha suscitato in me...




Intervista a PATRIZIA KHADIJA DAL MONTE , scrittrice e traduttrice oggi responsabile italiana della” campagna europea contro i matrimoni imposti” a cura di Cinzia Aicha Rodolfi






Davanti alla sua casa nel verde della campagna emiliana mi accoglie affettuoso il suo sorriso ed il suo abbraccio, ma soprattutto la dolcezza dei suoi occhi celesti dai quali traspare tutta la serena saggezza di una donna che ha un vissuto lunghi studi teologici Cattolici accompagnati da una costante ricerca del Trascendente nella preghiera e nella meditazione, ora retaggio di grande spessore nel suo presente di studiosa di Islam, unica donna musulmana italiana che emerge per la sua grande cultura Cristiana e Islamica nonché per il suo impegno di testimone dell’Islam scientifico scevro di qualsiasi folklore. Ospite opinionista di rilievo a trasmissioni televisive e radiofoniche, relatrice a convegni islamici, traduttrice di libri islamici dal francese, stretta collaboratrice di H.R. Piccardo per le edizioni Al Hikma e per il sito Islam-online.it, membro dell’E.M.N.(european muslim network)scrive articoli di raffinata letteratura teologica ed etica e collabora saltuariamente con diverse riviste, tra cui Madrugada dove partecipa ad un progetto a sfondo interreligioso . Patrizia Khadija e’ il simbolo della donna italiana musulmana che persegue un equilibrio tra il rigore Religioso e lo stile espressivo e creativo occidentale, orgogliosa di esprimere la sua Fede con l’intraprendenza e la passione che le ha insegnato la sua cultura che lei stessa definisce poco radicata nelle certezze , ma più impegnata nell’evoluzione dell’espressione e del pensiero.


Mi racconta del suo ultimo, ennesimo, impegno che la vede madrina italiana nella “Campagna europea contro i matrimoni imposti”, un progetto nato 4 anni fa a Rotterdam su iniziativa dello SPIOR(associazione musulm di Rotterdam) e del comune stesso olandese, ed ora diffuso in tutta Europa, il cui fine è educare prima di tutto al valore della libera scelta dello sposo e della sposa contro l’ attitudine di obbligare i giovani a matrimoni forzati, praticata soprattutto in nazioni fortemente tradizionali, tipo India e Pakistan dove è diffusa anche nella comunità musulmana. (Esistono nelle società islamiche i matrimoni combinati che però sono un’altra cosa perché non si giunge all’imposizione.)


E’ molto importante per la comunità musulmana mettere in luce come l’Islam consideri valido il matrimonio solo se vi e’ un libero consenso tra le parti. Si deve sottolineare che i matrimoni imposti sono tradizioni legate al passato preislamico, che non hanno derivazione religiosa , anzi ci sono detti (hadith) che raccontano come il Profeta (p.b.l.) abbia dato ad alcune donne la libertà di sciogliere il matrimonio che era stato loro imposto. I matrimoni imposti dunque sono legati a un tipo di cultura tradizionale-patriarcale e là dove essa sussiste non è così evidente l’effettiva violazione del diritto della persona, perché coperta da un uso diffuso e accettata perché risalente ad ataviche memorie. Quando pero’ queste famiglie si spostano in Occidente dove la cultura e’ molto diversa, il problema diventa più evidente e si aggrava, generando situazioni violente nelle famiglie, e sono documentati diversi casi di fughe da casa per evitare tali matrimoni. In Italia il problema non emerge ancora così nettamente, come per es. in Olanda – dice Patrizia Khadija – per cui ci risulta difficile avere il giusto appoggio dai comuni per fare le presentazioni della campagna e diffondere il fascicolo informativo. Questa campagna per essere efficace deve essere portata avanti in prima persona dalla comunità musulmana e dai musulmani stessi attraverso un lavoro di concerto di tante persone; l’iniziativa deve arrivare con toni educati e rigorosamente supportati da una scientifica cultura Religiosa per non essere sentita come una imposizione occidentale. Il lancio della campagna e’ avvenuto quest’anno a Torino 21 ottobre, presenti Marianne Vorthoren, responsabile del progetto contro i matrimoni forzati e coordinatrice campagna a livello europeo e Tariq Ramadan. Patrizia Khadija ha già tenuto discorsi all’interno delle scuole e durante gli incontri dell’ A.D.M.I (ass. donne musulm. Ital.). Il lavoro può raggiungere un’efficacia più ampia se supportato dalle singole amministrazioni e sperando sempre nell’attivo coinvolgimento dei giovani che sono i diretti beneficiari di questa iniziativa sociale e civile .






Tratto da http://donna.huda.it/?p=25

A FAVORE DI IMAN al-OBEIDI

Cari amici,

Lo scorso sabato Iman al-Obeidi ha fatto irruzione in un hotel di Tripoli dicendo ai giornalisti stranieri che era stata stuprata da 15 uomini di Gheddafi. E' stata portata via dai teppisti del regime, e da allora nessuno l'ha più vista. Lanciamo un appello enorme rivolto alla Turchia, che ha aiutato a liberare altri ostaggi libici, per aiutare a salvare Iman. Firma ora e inoltra questa e-mail a tutti:



Lo scorso sabato una giovane donna avvocato di nome Iman al-Obeidi ha fatto irruzione in un hotel di Tripoli e ha pregato i giornalisti stranieri di aiutarla, mostrando le sue ferite e denunciando che era stata violentata da 15 uomini di Gheddafi. Ha continuato a urlare mentre alcuni agenti di Gheddafi la portavano via, e da allora nessuno l'ha più vista.

Le parole non possono rendere conto del coraggio che Iman ha dimostrato nel denunciare pubblicamente l'episodio, e possiamo solo immaginare il terrore che sta vivendo ora fra le mani degli infami teppisti di Gheddafi. La sua vita è in pericolo, ma noi possiamo aiutarla solo se ci mobilitiamo immediatamente.

Gheddafi è indifferente all'indignazione della maggior parte della comunità internazionale, ma ha ascoltato il governo turco che gli aveva chiesto di liberare i giornalisti stranieri. Lanciamo urgentemente un grido globale al Primo ministro Erdoğan per aiutare Iman: firma sotto e inoltra questa e-mail a tutti. La petizione sarà consegnata al consolato turco di Bengasi, e attraverso gli annunci sui giornali in Turchia, non appena raggiungeremo le 500.000 firme:

http://www.avaaz.org/it/free_iman_al_obeidi/?vl

Iman ha detto di essere stata fermata a un posto di blocco di Tripoli e tenuta in stato di fermo per due giorni, durante i quali ha subito ripetute violenze sessuali e percosse da 15 agenti della sicurezza prima di riuscire a scappare. Ha detto che altre donne sono ancora nelle mani di questi teppisti del regime.

Gli uomini che hanno rapito Iman probabilmente hanno pensato che lei non avrebbe mai avuto il coraggio di denunciare pubblicamente l'apparato del terrore di Gheddafi, e subire la vergogna di ammettere pubblicamente di essere stata stuprata in una società conservatrice dove troppo spesso sono le donne a essere incolpate per crimini del genere. Invece lei ha osato rompere il silenzio che circonda tante vittime della brutalità di Gheddafi e della violenza sessuale ovunque.

Il regime l'ha additata come prostituta e ha detto che la denuncerà per calunnia contro le forze governative. Ma i libici hanno manifestato in sostegno a Iman, e l'influenza turca su Gheddafi potrebbe essere sufficiente per liberarla. Mettiamoci dalla parte di Iman al-Obeidi, che ha osato opporsi contro i suoi persecutori nel chiedere a gran voce verità e giustizia. Firma sotto per chiedere al Primo ministro della Turchia di agire, e inoltra questa e-mail a tutti:

http://www.avaaz.org/it/free_iman_al_obeidi/?vl

Proprio in questo momento una coraggiosa giovane donna ha rischiato tutto per i valori che tutti noi condividiamo, e ne sta subendo le terribili conseguenze. Facciamo di tutto per salvarla.

Con speranza e determinazione,

Stephanie, Pascal, Alice, Ricken, Rewan, Mohammad e il resto del team di Avaaz

Fonti:

Donna libica: stuprata da soldati di Gheddafi. Il video della sua denuncia, L'Unità
http://video.unita.it/media/Donna_libica_stuprata_da_soldati_Gheddafi_2541.html

Bengasi, corteo per donna stuprata dal regime di Gheddafi, TMNews
http://dailymotion.virgilio.it/video/xhvi40_bengasi-corteo-per-donna-stuprata-da-uomini-gheddafi-videodoc_news

La Turchia aiuta a liberare il giornalista del Guardian, Guardian (in inglese)
http://www.guardian.co.uk/world/2011/mar/17/turkey-helps-free-guardian-journalist-libya

La Turchia salva i giornalisti del New York Times in Libia, Todays Zaman (in inglese)
http://www.todayszaman.com/newsDetail_getNewsById.action?newsId=238855

La donna libica che ha denunciato di essere stata violentata è ancora dispersa, Al Jazeera (in inglese)
http://english.aljazeera.net/video/africa/2011/03/201132963515140400.html

Il governo libico ha offerto denaro per riappacificarsi con Iman al-Obaidi, la donna che ha denunciato la violenza, dice la madre, Washington Post (in inglese)
http://www.washingtonpost.com/world/mother-of-libyan-woman-in-rape-claim-case-says-she-is-very-proud-of-her-daughter/2011/03/27/AFNppLkB_story.html

E' necessaria un'indagine sul caso dello stupro in Libia, Amnesty International (in inglese)
http://www.amnesty.org/en/news-and-updates/thorough-investigation-urged-over-libya-rape-case-2011-03-28

Libia: rilasciate immediatamente la donna che ha denunciato lo stupro, Human Rights Watch (in inglese)
http://www.hrw.org/en/news/2011/03/28/libya-immediately-release-woman-who-alleged-rape


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mercoledì 30 marzo 2011

FORA DI BALL! traduzione per i non lombardi: FUORI DALLE PALLE!

Il Vercingetorige della lega nord, l'Umbertone nazionale, nella sua solita finezza e chiara eloquemza, ha commentato l'arrivo di coloro che fuggono dalla fame e dalla guerra con un raffinatissimo "fora di ball!"

Ora, dopo aver letto la notizia di cui al post precedente (ma anche prima, a dire il vero), possiamo dirlo noi ai leghisti: fora di ball! Se siamo più raffinati di loro possiamo trovare mille definizioni, sono ammesse anche quelle regionali, per dirglielo: l'importante è che il messaggio sia forte e chiaro: non ne possiamo più del vostro razzismo e il vostro qualunquismo, del vostro populismo e del vostro governo impopolare e autoritario (ricordo, per dirne una che la lega non si è MAI opposta a neanche una delle leggi ad personam...) 

La Bossi-Fini perde i pezzi sotto i colpi di Bruxelles

Ringrazio l'amico Giovanni Falcetta per la segnalazione. Ammetto di aver provato sensazioni molto piacevoli alla lettura dell'articolo: le leggi razziali volute da Fini e Bossi (a peggiorare quella già brutta del centro sinistra, la Turco Napolitano), subiscono una bella batosta, purtroppo non per un rivolgimento della cosiddetta società civile, ma per l'azione di magistrati...Ricordo come fosse ieri guando alla richiesta di abolire le schifezze della destra (tra cui la Bossi Fini, per l'appunto, Prodi o chi per lurispose che non potevano mica passare il tempo ad abrogare le leggi fatte dagli altri...che perspicacia! che lungimiranza e, soprattuto che senso di giustizia? Comunque, la felcità collettiva è sovversiva: leggete l'articolo...

Il Gdp [Giudice di Pace, nota mia] assolve il clandestino, le Procure non arrestano gli espulsi: la Cassazione investe la Corte Ue.

Mentre Lampedusa ha rischiato di sprofondare sotto il peso dell'emergenza-Nordafrica - sono 18.500 gli sbarchi dall'inizio di gennaio - un vero e proprio terremoto giuridico si abbatte sulla Bossi-Fini. Oltre che umanitaria, l'emergenza è anche amministrativa: è di ieri l'allarme lanciato dal procuratore della Repubblica di Agrigento, Renato Di Natale, risulta «materialmente impossibile» iscrivere nel registro degli indagati, come clandestini, le migliaia di maghrebini arrivati sull'isola, come vorrebbe il testo unico sull'immigrazione (profondamente rimaneggiato dalla legge 189/02).

«Disapplicate la legge»
La soluzione, in un certo senso, potrebbe tuttavia arrivare dalla tanto invocata Unione europea: l'impalcatura legislativa messa su dalla Bossi-Fini, infatti, rischia di perdere i pezzi, se non di crollare, perché l'Italia non ha ottemperato in tempo alla direttiva 2008/115 CE (il termine è scaduto il 24 dicembre scorso), la cosiddetta direttiva "rimpatri", e ora le norme europee sono self-executing (almeno secondo alcuni giudici) e impongono di disapplicare le norme italiane contrastanti. È così, ad esempio, che il giudice di pace di Torino assolve lo straniero accusato di ingresso e soggiorno illegale «perché il fatto non costituisce reato» (cfr. il documento correlato). E sono vari i giudici del merito che ormai disapplicano la norma incriminatrice contro gli stranieri che non obbediscono all'ordine del questore di allontanarsi dall'Italia (tribunale di Cagliari, 14 gennaio 2011). Tanto che le stesse Procure della Repubblica, o almeno alcune delle più importanti in Italia, chiedono ai loro pm di inoltrare il fascicolo al Gip con la richiesta di non convalidare l'arresto per i reato di cui all'articolo 14, comma 5 ter e quater del d.lgs 286/98 perché ormai la misura coercitiva va ritenuta come eseguita fuori dai casi previsti dalla legge: su questa linea sono schierate Roma, Milano e Firenze, oltre che Lecce. E c'è perfino chi sostiene che il contrasto fra la disciplina di cui all'articolo 14 comma 5 quater del d.lgs 286/98 con il contenuto delle norme direttamente applicabili della direttiva 2008/115/CE impone che anche l'ordine di allontanamento presupposto del reato deve essere disapplicato dal giudice penale (tribunale di Nola, 17 febbraio 2011).


Il sisma che scuote il Palazzo
«È un vero terremoto giuridico», commenta l'avvocato torinese Guido Savio, che da anni si occupa di questi problemi. E in effetti, proprio oggi, di fronte alla prima sezione della Corte di giustizia europea c'è l'udienza sulla questione pregiudiziale sollevata in materia dalla Corte di appello di Trento, con procedura d'urgenza perché l'imputato è detenuto solo per questa causa: la sentenza arriverà entro un mese. E la Cassazione, che fa? Ha già battuto un colpo con un'ordinanza emessa nei giorni scorsi dalla prima sezione penale (cfr. documento correlato) chiedendo ai giudici Ue di fare chiarezza sulle conseguenze in Italia della direttiva CE cui Roma non ha ottemperato per tempo e sollecitando la "corsia preferenziale" della procedura Ppu, nonostante l'imputato non sia recluso ma sottoposto alla misura dell'obbligo di presentazione giornaliera alla polizia. E dopo le questioni pregiudiziali dovrebbe toccare alla Corte costituzionale investita dalla questione di legittimità sollevata dal giudice unico di Modica (cfr. l'arretrato di 28 marzo 2011).


Abolitio criminis
Il punto è che la direttiva rimpatri pone paletti precisi e risulta avere «efficacia diretta verticale» negli ordinamenti degli Stati membri, almeno secondo le indicazioni della Corte di giustizia europea. La normativa comunitaria, rispetto a quella italiana, inverte lo schema dei provvedimenti autoritativi. Dalla sequenza composta da accompagnamento alla frontiera, trattenimento nel Cpt (oggi Cie, centri di identificazione ed espulsione) e ordine di allontanamento, si passa a una diversa successione: fissazione di un termine per l'allonamento volontario, accompagnamento alla frontiera, trattenimento in Cpt (Cie) o adozione di una misura meno coercitiva. Ma soprattutto le regole Ue impongono limiti precisi alle restrizioni della libertà degli stranieri irregolari sul territorio degli Stati membri, tanto che le severe sanzioni penali poste dalla Bossi-Fini (ritoccata dal pacchetto-sicurezza, legge 94/2009) per chi disobbedisce all'ordine di lasciare l'Italia appaiono ormai "euroincompatibili": insomma, la sopravvenienza della direttiva 2008/115 CE fa scattare l'abolitio criminis (mentre è prevista la reclusione fino a cinque anni).


Tante scuse
Il giudice di pace di Torino, poi, si spinge oltre assolvendo il cittadino nigeriano arrestato perché non ha il permesso di soggiorno: è stata naturalmente la difesa a eccepire la non punibilità ai sensi della direttiva comunitaria. E il magistrato onorario accoglie la tesi: all'extracomunitario senza documenti, infatti, non risulta essere stato concesso il termine per l'allontanamento volontario dall'Italia che deve ormai ritenersi dovuto in base alla direttiva comunitaria; al momento in cui è stato contestato il reato, quindi, la presenza dello straniero nel nostro Paese non poteva - secondo il Gdp - essere giudicata in contrasto con la legge: ecco perché scatta l'assoluzione «perché il fatto non è previsto come reato». Più di un giurista ritiene che, dopo il mancato recepimento nell'ordinamento italiano della direttiva 2008/115 CE, le conseguenze potrebbero essere davvero sorprendenti. «Aspettiamo che cosa dirà la Corte di giustizia europea», chiosa l'avvocato Savio.
Dario Ferrara
cassazione.net
tratto da http://www.telediritto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3127:la-bossi-fini-perde-i-pezzi-sotto-i-colpi-di-bruxelles&catid=61:giurisprudenza-dr-penale&Itemid=26

martedì 29 marzo 2011

MINIMO UN PROGRAMMA COSTRUTTIVO CONTRO LA GUERRA E IL RAZZISMO (UNA PROPOSTA ALL'INDOMANI DI UN DIGIUNO)

1. Uscire dall'invisibilità
La stragrande maggioranza del popolo italiano é contraria agli omicidi.
La stragrande maggioranza del popolo italiano é contraria alla guerra.
La stragrande maggioranza del popolo italiano é contraria al razzismo.
Avremo mille difetti, ma di queste tre cose possiamo essere certi.
Ed allora dobbiamo rendere visibile questa nostra volontà di opporci alle uccisioni, alle guerre, alle persecuzioni.
Un modo é esporre ancora una volta la bandiere della pace e della nonviolenza ai balconi e alle finestre.
Un modo é unirci al digiuno collettivo contro la guerra e contro il nucleare promosso dal Movimento Nonviolento.
Un modo é scrivere a tutte le istituzioni democratiche chiedendo loro di prendere posizione contro la guerra e le persecuzioni, per i diritti umani di tutti gli esseri umani, per la legalità e la democrazia, per l'umanità che é una.
Un modo é organizzare pubbliche manifestazioni contro le stragi e le persecuzioni, per la pace che salva le vite, per la solidarietà che ogni essere umano riconosca e raggiunga.
Un modo é contribuire a far pervenire aiuti umanitari ai popoli e alle persone nel piu' grave bisogno.
Un modo é promuovere ed organizzare accoglienza ed assistenza ai profughi ed ai migranti.
Un modo é impegnarsi per ottenere dalle istituzioni italiane il rigoroso rispetto delle leggi italiane: e la legge fondamentale dello stato italiano, la Costituzione della Repubblica Italiana, all'articolo 10 fa obbligo di accogliere ed assistere i migranti in fuga da fame, guerre e dittature; ed all'articolo 11 fa obbligo di ripudiare la guerra.
*
2. Uscire dalla passività
I poteri che uccidono si fanno forti della passività altrui.
Se l'umanità unita si levasse contro i dittatori e le guerre, contro le mafie e i fascismi, contro i razzismi e le discriminazioni, contro lo sfruttamento che provoca la miseria e la fame e la morte, contro le devastazioni dell'ambiente che provocano disastri, ebbene, se l'umanità unita si sollevasse allora la civiltà umana prevarrebbe.
Comincia tu ad uscire dalla passività.
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3. Uscire dall'ambiguità
Occorre decidersi a dire la verità che é a tutti evidente: ogni guerra consiste di uccisioni. Le violenze sui migranti sono crimini contro l'umanità. L'omissione di soccorso a chi é in pericolo di vita é un crimine.
Se la guerra é un crimine contro l'umanità, consistendo essa dell'uccisione massiva di esseri umani, allora occorre agire contro la guerra. Qui in Italia questo oggi significa in primo luogo opporsi alle guerre cui lo stato italiano illegalmente partecipa: in Afghanistan, in Libia.
Se il razzismo é un crimine contro l'umanità, consistendo esso della persecuzione e finanche dell'uccisione di esseri umani, allora occorre agire contro il razzismo. Qui in Italia questo oggi significa in primo luogo accogliere ed aiutare tutti gli esseri umani che in fuga da fame, guerre e dittature giungono nel nostro paese.
Chi salva una vita umana salva l'umanità.
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4. Uscire dalla subalternità
Ci viene detto di delegare altri - pretesamente piu' importanti e piu' esperti di noi - alla "grande politica", alle relazioni internazionali, alla gestione delle questioni che l'intera umanità riguardano.
Ma cio' che riguarda l'intera umanità riguarda ogni essere umano.
Ed ogni crisi, ed ogni conflitto, per quanto gravi siano, possono essere affrontati senza commettere ulteriore violenza, contrastando la violenza, riducendo così la violenza fino ad estinguerla. Questa forma di intervento é la nonviolenza.
E la nonviolenza ha un fondamento a cui ogni essere umano in cuor suo sente di poter aderire: il suo fulcro é il principio del "non uccidere e non consentire che altri uccidano"; il suo fulcro é il principio dell'"agisci nei confronti degli altri esseri umani così come vorresti che gli altri esseri umani agissero nei tuoi confronti"; il suo fulcro é la forza dell'amore: per l'umanità, per la vita, per il mondo.
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5. Affrontare la macchina bellica con la forza della nonviolenza
La violenza non é così forte come appare: senza il consenso di chi si rassegna nessuna macchina di dominazione, oppressione e distruzione é invincibile.
Nega il tuo consenso alla violenza, e già la violenza é meno totale, già é meno forte, già é indebolita.
Scegli di contrastare la violenza con una forza ancora piu' grande: la forza della verità, la forza dell'amore per l'umanità intera, la forza della nonviolenza.
Discutiamo, organizziamo e realizziamo azioni dirette nonviolente per fermare la macchina bellica, impedendo ad essa di agire.
Nel 1999 per alcune ore in poche persone con una limpida azione nonviolenta, senza mettere in pericolo la vita di nessuno, bloccammo i decolli dei bombardieri che recavano strage nei Balcani: con una partecipazione popolare ampia e consapevole, con il coraggio della nonviolenza, potremmo oggi fermare pressoché qualunque atto di guerra.
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6. Affrontare il regime razzista con la forza della nonviolenza
Il razzismo si basa su pregiudizi e paure che non é difficile smascherare, contrastare e guarire.
Nega il tuo consenso al razzismo, e già il razzismo si confonde, si vergogna, si affloscia.
Scegli di contrastare il razzismo con la forza piu' grande: la forza della verità, la forza dell'amore per l'umanità intera, la forza della nonviolenza.
Discutiamo, organizziamo e realizziamo azioni dirette nonviolente per contrastare il razzismo, inveriamo col nostro concreto agire i diritti umani di tutti gli esseri umani.
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7. Un programma costruttivo minimo ed essenziale
Ripetiamolo una volta ancora: le persone, le associazioni e le istituzioni fedeli all'umanità, impegnate quindi contro le uccisioni, contro la guerra e contro il razzismo, potrebbero nella situazione presente:
- far cessare la partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan e in Libia;
- far cessare la persecuzione razzista dei migranti;
- promuovere ed organizzare l'accoglienza e l'assistenza di tutti i profughi e i migranti;
- promuovere ed organizzare l'invio di Corpi civili di pace nelle aree di crisi per realizzare un'interposizione nonviolenta tra le parti in conflitto;
- promuovere ed organizzare l'invio di aiuti umanitari alle popolazioni nel bisogno, da gestire direttamente con le comunità locali in forme democratiche e condivise (altrimenti anche gli aiuti umanitari divengono strumenti di guerra);
- promuovere ed organizzare il sostegno ai movimenti nonviolenti e alle associazioni di difesa dei diritti umani nelle aree di crisi e di conflitto, sostenendo in particolare i movimenti e le associazioni di donne o guidati da donne;
- promuovere ed organizzare iniziative per il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti, e per il disarmo e contro il militarismo tout court;
- promuovere la nonviolenza ed organizzare la formazione alla nonviolenza;
- preparare e realizzare azioni dirette nonviolente con cui effettualmente contrastare le macchine della morte.

Peppe Sini, responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo,
all'indomani di un digiuno contro la guerra

Viterbo, 29 marzo 2011

Mittente: "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo
tel. 0761353532
e-mail: nbawac@tin.it
web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

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Notizia

Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo, già consigliere comunale e provinciale, é stato dagli anni '70 uno dei principali animatori del movimento che si oppone alle servitu' energetiche e militari nell'Alto Lazio; nel 1979 ha fondato il "Comitato democratico contro l'emarginazione" che ha condotto rilevanti campagne di solidarietà; ha promosso e presieduto il primo convegno nazionale di studi sulla figura e l'opera di Primo Levi; nel 1987 ha coordinato per l'Italia la campagna di solidarietà con Nelson Mandela allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano; nel 1999 ha ideato, promosso e realizzato l'esperienza delle "mongolfiere della pace" con cui ostacolare i decolli dei bombardieri che dalla base di Aviano recavano strage in Jugoslavia; nel 2001 é stato l'animatore dell'iniziativa che - dopo la tragedia di Genova - ha portato alla presentazione in parlamento di una proposta di legge per la formazione delle forze dell'ordine alla nonviolenza; é stato dagli anni '80 il principale animatore dell'attività di denuncia e opposizione alla penetrazione dei poteri criminali nell'Alto Lazio - e negli anni '90 ha presieduto la Commissione d'inchiesta ad hoc istituita dal Consiglio Provinciale di Viterbo -; dal 2000 é direttore del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza é in cammino", che ogni giorno diffonde materiali di studio e di riflessione e sostiene e promuove iniziative nonviolente per la pace, l'ambiente, i diritti umani di tutti gli esseri umani.

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Nonviolenti mailing list
Nonviolenti@lists.nonviolenti.org
http://lists.nonviolenti.org/cgi-bin/mailman/listinfo/nonviolenti

LAMPEDUSA


Lampedusa era un'isola aperta ai venti, un crocevia di infiniti passaggi, uno squarcio di terra arsa nel blu. L'hanno divorata, consumata, maltrattata, per ridurla alla dimensione quadrangolare della scatola che ogni giorno, ad ogni ora, ci imbruttisce, ci avvilisce, ci stordisce. Questo palcoscenico di vento, e cielo, e miraggi, l'hanno scurito e calpestato per renderlo una quinta adatta ad ospitare il fetore di una massa informe di disperati che vengono li' lasciati ad ammassare e marcire per ricordarci che dobbiamo avere paura. Sentire la minaccia, l'oscurita', l'informe che vi transita, il cupo borbottio della notte che sta per abbattersi sul nostro
benessere, sulle nostre donne, sui nostri figli. Se non votiamo per
l'ordine e la sicurezza. Se non ci risolveremo definitivamente a diventare
sempre un pochino di piu' razzisti. Se non impareremo finalmente a
capire che l'incubo della guerra, della fama, di un'umanita' derelitta, si combatte con altri incubi. Prodotti ad hoc.
Lampedusa e' diventata uno spot.

Un caro saluto. Marino.

Lampedusa, Alkatraz del Meditteraneo
http://www.meltingpot.org/articolo16543.html


NOTA MIA:
ancora una volta i politici, leghisti ma non solo, strumentalizzano le migrazioni per i loro fini elettorali, per la loro bella poltrona. E la 'gente', evidentemente non più in gradi di usare la propria testa, ci casca come una pera cotta. Chi di noi non ha sentito quyalcuno lamentarsi dell'Europa che non ci aiuta, di dove li metteremo tutti questi (nei casi migliori), arriveranno tutti i delinquenti, o non ne possiamo più, rimandiamoli indietro...e via dicendo (nei casi peggiori).
Vorrei vedere cosa farebbero, questi benpensanti se fossero al loro posto...
Ma ciò che mi spaventa di più è che non vogliono capire che quando si comincia a classificare la persone (questo è meritevole del nostro aiuto; quello no e lo rimandiamo indietro), si spalancano le porte dei campi di concentramento. E la cosidetta sinistra che fa? Dorme sonni profondi, come al solito...magari pensa di 'aprire' alla lega sul federalismo...che schifo! Le uniche parole sensate le ho sentite da Vendola...


lunedì 28 marzo 2011

RAZZISMO DIFFUSO

Dire che sono preoccupato, è poco. A scuola (insegno in una quinta elementare) anche bambini insospettabili, mostrano disagio verso i compagni maghrebini o, appena arrivati, ti vengono incontro e ti dicono "Ora arriveranno tutti. Passi per i profughi, ma i clandestini no!". Premesso che non penso di essere in una sezione dei giovani padani, immagino che sia il riflesso della famiglia e della società in cui ci troviamo.

Che tristezza! Ma forse è anche colpa nostra (di educatori, di genitori, di insegnanti): troppo spesso abbiamo veicolato messaggi generici, superficiali, di facciata e poche volte abbiamo dato l'esempio. La solidarietà, l'antirazzismo, la società aperta non sono solo argomenti di feste di fine anno. Devono divenire il sale del nostro agire quotidiano...o vogliamo lasciare il nostro paese alla lega nord e a forza nuova?

12 13 giugno: tutti al mare? NOOO! A votare SI' ai referendum

Il 12 e il 13 giugno prossimi, si terranno i referendum contro il legittimo impedimento; contro la privatizzazione dell'acqua e contro il nucleare.

Il governo, subdolamente, ha stabilito questa data, invece di accorpare i referendum alle amministrative (facendo spendere una barcata di soldi in più) sperando che manchi il quorum.

Non facciamoci fregare: tutti a votare SI' il 12 e il 13 giugno...poi andate dove volete/potete!!!

domenica 27 marzo 2011

NON HO CAPITO

Non ho ben capito la differenza tra un essere umano, un clandestino e un richiedente asilo. Qualcuno può spiegarmela...o forse non esiste?
Quando si comincia a differenziare gli esseri umani, finisce sempre male...

DUE TESTI SULL'ASSASSINIO DI MONSIGNOR ROMERO

UN MISTICO COI PIEDI PER TERRA

«Dicono che eri un uomo religioso. Io dico che eri di giustizia e di pace, che eri l’orazione di ogni uomo che non sa pregare; di quello che ha appena la forza di lottare...». Inizia con queste parole il canto che Manuel Contreras ha recentemente dedicato a Mons. Romero, in occasione del XXX anniversario del suo martirio. Il giovane cantautore salvadoregno ha voluto così dire la sua su una delle questioni che da quasi trenta’anni infiamma il dibattito sulla figura dell’arcivescovo di San Salvador e cioè se la sua azione fu esclusivamente di carattere religioso e pastorale o ebbe anche una chiara e deliberata connotazione sciale e politica. La reciproca esclusione tra i due aspetti – quello spirituale e quello politico – sembrerebbe, infatti, un presupposto irrinunciabile per quanti urlano alla strumentalizzazione della figura di questo vescovo, da parte delle forze della sinistra salvadoregna. In realtà, la questione travalica ormai il piccolo paese centroamericano, non soltanto perché ha comportato un certo ritardo nello svolgersi del processo canonico – in virtù del quale i salvadoregni attendono da decenni di vedere riconosciuta anche dalla Chiesa di Roma la santità del loro pastore (che loro invece hanno proclamato da subito “San Romero d’America e martire della giustizia”) – ma anche perché tocca la consapevolezza stessa che la Chiesa ha della propria missione. In altre parole: la missione della Chiesa è, e deve essere, di natura “esclusivamente” spirituale o proprio per questo anche sociale e politica? La questione, si capisce, è complessa, perché obbliga anzitutto a porsi un altro interrogativo: cosa significa, cristianamente parlando, il termine “spirituale”? Vale a dire, una spiritualità avulsa dalla storia, che non pretenderebbe di trasformare la realtà sociale e politica, in ordine alla giustizia del Regno di Dio, potrebbe davvero dirsi “cristiana”?... Non dimentichiamo, infine, come su tutto ciò pesi lo spettro della Teologia della liberazione o meglio della posizione assunta dal Vaticano nei suoi confronti. Da un punto di vista strettamente biblico, infatti, non sembrerebbero esserci problemi, se persino uno dei teologi più affermati del ‘900, H. Urs von Balthasar, in occasione della riunione della Commissione teologica internazionale del 1976, così scriveva: «L’aspetto religioso in Israele rimane sempre politico e il politico religioso, fin nelle viscere stesse della sua speranza escatologica... questo monismo di religione-politica, che è essenzialmente costitutivo per Israele, lo è stato e continua ad esserlo anche per la Chiesa, sempre e in tutte le sue forme»[1]. Del resto, dagli stessi evangeli appare chiaramente come Gesù di Nazareth – che certo non era e non voleva essere un politico – subì un processo politico di fronte a Pilato, al termine del quale venne giustiziato col supplizio riservato ai rivoltosi e ai sobillatori politici. E ancora, il Concilio Vaticano II, nella costituzione Gaudium et Spes, dichiara che: «Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica»... seguito nel 1968 dalla II Conferenza dell’Episcopato latinoamericano, riunita a Medellín in Colombia, che assumendo quella che passerà alla storia come «l’opzione per i poveri», farà una critica puntuale delle ingiustizie strutturali dei sistemi economici e politici vigenti, ribadendo il diritto degli oppressi a lottare per la propria liberazione. Ebbene, Romero conosceva molto bene quei testi, che riteneva suo dovere – in quanto pastore – diffondere ed attuare. La sua biografia però ci rivela come in realtà le radici ultime di questa profonda e reciproca compenetrazione tra spirituale, sociale e politico nella sua esperienza vadano ricercate con molto anticipo sullo svolgersi di questi eventi epocali. E soprattutto come vadano ricercate negli ambiti più insospettabili della sua devozione e pratica pastorale. Da buon salvadoregno, infatti, era stato educato fin dal seminario minore alla devozione alla Vergine della Pace di San Miguel e al Sacro Cuore di Gesù. In seguito, a Roma, dove studiò teologia dal 1937 al 1943, incontrò la spiritualità ignaziana – in particolare gli Esercizi spirituali, che divennero una pratica abituale per lui – e la mistica (con relativa ascesi) del sacrificio eucaristico proposta dal monaco belga Dom Columba Marmión. Tutto questo si trasformò non soltanto in ore di orazione personale, ma soprattutto di pratica pastorale: nelle adorazioni eucaristiche e confessioni che propose, non appena ordinato sacerdote, ai fedeli delle diverse comunità che gli furono contemporaneamente affidate. Di conseguenza, lo portò anche a conoscere più profondamente la situazione del suo popolo: la miseria tanto materiale quanto morale in cui versava quella gente, a causa di un antico sistema capitalistico-feudatario di sfruttamento, ma anche del carattere marcatamente anticlericale della conduzione dello Stato. Non dimentichiamo che tutta l’America Centrale in quegli anni aveva subito il fascino delle idee massoniche e liberali propugnate dalla rivoluzione messicana. Così, se per i primi anni la sua azione non si discostò da una buona pastorale di formazione e solidarietà, quando fu nominato vescovo titolare – a Santiago de Maria, prima ancora che a San Salvador – non poté disattendere nel fondo della propria coscienza l’appello di quel Dio che sempre “ascolta il lamento del suo popolo”. Non sarebbe pertanto forzato accostare la figura di questo vescovo salvadoregno a quella del grande Mosè. Come lui, infatti, avrebbe continuato più che volentieri a pascolare il suo piccolo gregge, ai margini del paese (in san Miguel o a Santiago, entrambi nella zona orientale d’El Salvador)... lontano dai centri che contano. Ma proprio come lui fu portato, suo malgrado, a scontrarsi coi potenti, nel tentativo di liberare dal giogo dell’oppressione la sua gente. E lo fece con lo stesso stile. Se, infatti, non si vuole fraintendere la natura genuina del suo ministero, non va dimenticato come anche lui visse costantemente “al cospetto di Dio”. Le più forti denunce politiche (contro il governo, per la repressione; contro l’esercito per le continue sparizioni; contro la Corte suprema di giustizia, per l’iniquità che tollerava nelle varie Camere penali... fino al grande appello all’obiezione di coscienza rivolto ai militari, il giorno prima del suo assassinio) maturarono proprio durante ore di raccoglimento davanti al Santissimo Sacramento. Divenne persino abituale vederlo uscire e abbandonare tutti, nel mezzo delle sessioni più drammatiche della Conferenza episcopale salvadoregna, per andare “a chiedere consiglio” in cappella. Ma i consigli che lì riceveva spesso non piacevano ai potenti, che perciò lo accusavano sempre più d’essere politicizzato. Un giorno il Segretario di Stato vaticano gli rivelò che persino l’ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede si era lamentato della posizione filo-rivoluzionaria dell’arcivescovo di San Salvador. A questa valanga di accuse, Romero rispose risolutamente, durante un’omelia, commentando la lettera di San Giacomo: «È inconcepibile che qualcuno si dica “cristiano” e non assuma, come Cristo, un’opzione preferenziale per i poveri. È uno scandalo che i cristiani di oggi critichino la Chiesa perché pensa ai poveri. Questo non è cristianesimo!... Molti, carissimi fratelli, credono che quando la Chiesa dice “in favore dei poveri”, stia diventando comunista, stia facendo politica, sia opportunista. Non è così, perché questa è stata la dottrina di sempre. La lettura di oggi non è stata scritta nel 1979. San Giacomo scrisse venti secoli fa. Succede invece che noi, cristiani di oggi, ci siamo dimenticati delle letture che devono reggere la vita dei cristiani»[2]... Quelli che invece compresero sempre magnificamente la natura del suo ministero e della sua preghiera furono ancora una volta i semplici; forse anche perché non avevano alcun bisogno di ridurre la sua figura profetica a quella di un santino della spiritualità. «Ah Romero, uomo d’amore sincero, che questo popolo continui ad essere la tua orazione» continua la canzone di Contreras... E davvero nella preghiera Romero portava tutto il popolo al cospetto di Dio. Il suo Sinai era più modestamente la cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, dove abitava e che alla fine divenne l’altare del suo sacrificio. Ma divenne anche la cattedra più vera del suo episcopato, quella da cui continua a insegnare a quanti vogliono ascoltarlo che per «cercare le cose di lassù» (Col 3,1) dobbiamo tenere i piedi ben piantati sulla terra.    

Alberto Vitali
  



[1] H. Urs von Balthasar, in Comisión teológica internacional, Teología de la liberación, Madrid 1978, p. 170
[2] Su Pensamiento, vol. VII, p. 232

sabato 26 marzo 2011

Da un articolo di Pier Cesare Bori, lettera a Tolstoj di un soldato dalla guerra russo-giapponese:

"Vi saluto onoratisimo Lev nikolàevic Vi mando i Rispetti mia umilisimi


il mio incino più basso con tutto la-more che ciò per Voi onoratisimo


Lev nekalaevic. Ecco che quicosì lò letta lopera vostra Bella veramente


mi piace propio di legere l'opera vostra Scrivetemi per gentileza sé


giusto o no davanti a Dio che il comando quacosì ci dice di amazare Vi


Prego Lev nikalaevic Di scrivermi per favore grande se cè oggi nel mondo


la Verità o non cè Scrivetemi Lev nikalaevic qua da noi inciesa Fanno la


Messa cè il Sacerdote che dice dele guere che Cristo diceva di farle Ma


è vera cuesta cosa o no che dio diceva di farle Ma è vera cuesta cosa


qua o no che Dio diceva di farle le guere Vi prego Lev nikalaevic se ci


avete dei libri che posono dirmi a me se cè La Verità nel mondo o nò Di


mandarmeli cuei libri lì che cuello che può costare ve lo ripago tutto


Vi prego lev nekalaevic non dite dinò e se non ce neavete di libri-così


Mandatemi una letera che sarò tanto ma tanto contento davere una Letera


da Voi Laspeto con Impasienza una letera da Voi Adeso a rivederci rimarò


vivo e sano ccosì spero di voi che Dio vi mandi la buona salute e tanto


suceso nelle cose vostre."

da una mail di Enrico Peyretti

venerdì 25 marzo 2011

TUTTI A VOTARE SI' PER I REFERENDUM


Carissime/i,
mi accorgo che molti di voi, forse la maggioranza, sono già convinti di andare a votare SI ai referendum che scandalosamente, il ministro dell'interno Maroni ha voluto fissare per il 12 giugno.
E' chiara la volontà che non sia raggiunto il quorum: troppi interessi, per pochi, a scapito degli interessi dei molti, invogliano questi politici ad adottare tutte le scelte possibili perchè alcuni possano guadagnare sull'acqua e sul nucleare.
Mi accorgo che ho inviato questa mail a molti già convinti e che sicuramente andranno a votare, ma preferisco scocciarvi una volta in più pur di non subire l'ennesimo sopruso.


Un appello


A giugno i tre referendum
di Redazione www.ildialogo.org


La Corte Costituzionale ha ammesso i tre referendum su: acqua, nucleare e legittimo impedimento. È l’occasione per dire la propria opinione se si desidera la privatizzazione dell’acqua, la monopolizzazione dell’energia e la disuguaglianza di fronte alla legge di chi è “nominato” ministro. Oltre duecento anni fa la Rivoluzione francese con un vento di democrazia spazzò via i privilegi dei “nobili”. Oggi “qualcuno” vuole ripristinarli.
Per tutelare l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, per dire la propria opinione su un bene inalienabile come l’acqua; per contribuire alla determinazione della politica energetica del Paese e ribadire l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge  

PARTECIPA AI REFERENDUM

e di’ la tua.
Meno di 3 mesi ci separano dalla convocazione dei tre referendum. E’ ormai chiaro che, nonostante le varie richieste, il governo non ha alcuna intenzione di accorparli con le elezioni amministrative del 15 maggio o del ballottaggio del 29 maggio per paura che si raggiunga il quorum del 50% +1.
Per i referendum probabilmente si voterà il 12 giugno, ultima data disponibile, ma così facendo il governo ha anche deciso di sprecare 300 milioni di euro che in periodo di crisi potevano essere utilizzati per ben altro. Anche se, il Ministro dell’ interno, corre rischio di essere denunciato per spreco di denaro pubblico e per mancata rimozione di ostacoli che impediscono la partecipazione dei cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (come stabilisce il comma 2 dell’art. 3 della nostra costituzione). Anche per questo rifletti,
PARTECIPA AI REFERENDUM
e di’ la tua.
Resta poco tempo per convincere il 50% +1 (25 milioni di elettori) a votare per i referendum! Noi non abbiamo televisioni o altri potenti mezzi. Ma la rete sì. Usiamola. In Nord Africa con il tam tam della rete hanno travolto i regimi dell’Egitto e della Tunisia. Noi usiamola per informare e invitare parenti, amici e conoscenti a partecipare ai referendum. C’è gente che non lo sa. Bisogna raggiungere il quorum. Passa parola.
Il futuro, nostro e dei nostri figli, è nelle scelte che facciamo oggi. È il momento delle decisioni. Dobbiamo avere la volontà di farle. Fa’ la tua scelta   
PARTECIPA AI REFERENDUM
e di’ la tua.
Questi referendum impegnano diritti e bisogni reali: acqua, energia pulita e uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Sono concetti semplici alla portata della comprensione e della sensibilità di tutti. E tutti devono partecipare. Il nostro comportamento determinerà le basi su cui costruire il futuro. Per te e tuoi figli,
FAI LA TUA SCELTA E RENDI PARTECIPI I TUOI AMICI, PARENTI E CONOSCENTI.
Con fiducia
La redazione del sito www.ildialogo.org

Chiediamo a tutti i nostri lettori che condividono questo nostro appello di inviare il testo della presente lettera a tutti i propri contatti email. Dobbiamo far si che tutti si sentano responsabili del destino proprio e delle future generazioni.



Mercoledì 23 Marzo,2011 Ore: 11:14

(da una mail dell'amico Paolo Bertagnolli)

la leganord colpisce ancora!

Dall'amico Emanuele ricevo e pubblico:


la lega nord colpisce ancora!!!

un video di yotube, precisamente un estratto audio da "Radio Padania", viene intervistata una vecchia che insulta "Annozero" e "Report" e l'informazione SERIA e VERA italiana, chiamandola "informazione di Sinistra" solo perchè critica la Lega Nord, e affermando altri deliri come "la sinistra si è inventanto le proteste a lampedusa" o come "la sinistra fomenta gli immigrati a lampedusa", si preoccupa per il fatto che gli immigrati venuti a lampedusa "hanno studiato"

una cosa e certa, qui c'e una una cosa in assoluto che non esiste, il cervello e l'intelligenza di questa signora ignorante (ignoranza da far cascare le braccia!!!) che viene intervistata...
http://www.youtube.com/watch?v=TyQGeTap6nU

ma i Leghisti sono fuori!!! per loro, se si scatena uno tsunami e colpa della sinistra, se crolla una casa e colpa della sinistra, se muore qualcuno e colpa della sinistra, praticamente per loro, la Sinistra e la colpa di tutti i mali!!!

mercoledì 23 marzo 2011

LIBIA: PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI

Prima che sia troppo tardi



Inserito il 19 marzo 2011 alle 19:23:00 da redazione-IT. IT - POLITICA INTERNAZIONALE


Indirizzo sito : Ilmanifesto






di Angelo Del Boca






Usciamo dalla partita doppia dell'alternativa tra il tiranno libico che deve uscire di scena e i bombardieri «umanitari» della Nato. Diciamo chiaro quello che sta avvenendo. La decisione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, presa con cinque astensioni e dieci voti a favore - sotto pressione della Francia e della Gran Bretagna che torna in Medio oriente, e alla fine con i recalcitranti Stati uniti - è un intervento militare. Non devono esserci dubbi. Anche se è camuffata ancora una volta da intervento umanitario per «proteggere i civili» e anche se esclude, per ora, l'occupazione da terra.


La no-fly zone infatti, decisa senza alcun rapporto con Tripoli, deve essere per questo imposta, con i bombardamenti. In queste occasioni si preferisce dire che verranno usati obiettivi mirati e target «chirurgici». Con la possibilità cioè di nuove stragi di civili come è avvenuto in Iraq e in Afghanistan, come abbiamo visto nei Balcani. Abbiamo una serie infinita di prove di questa enorme menzogna.




dal sito http://www.emigrazione-notizie.org/

martedì 22 marzo 2011

ANCORA E SEMPRE: NO ALLA GUERRA!


Ancora e sempre: no alla guerra !
Comunicato dell' Associazione per la Pace
L’operazione “Odissea all’alba” è cominciata, con le solite litanie sulla necessità degli attacchi aerei per difendere la popolazione civile dagli attacchi delle forze mercenarie e non solo, del colonnello Gheddafi.
Lo hanno deciso a Parigi, e il governo italiano ed opposizione che insieme, a parte alcune lodevoli eccezioni, avevano votato a favore del Trattato di partenariato con la Libia, hanno aderito ed offerto piena disponibilità. Intanto quello che vediamo sono enormi file di popolazione civile che se ne va anche da Bengasi per paura dei bombardamenti, non solo quelli di Gheddafi ma anche delle forze autorizzate dalle Nazioni Unite.
Ad operazione terminata e successivamente nella transizione, vedremo quanti civili per “effetti collaterali” saranno stati uccisi e quanti ne moriranno dopo per azioni terroriste.
Abbiamo già visto i risultati degli interventi militari e le menzogne che ci sono state raccontate sull’ Iraq e l’ Afghanistan, migliaia e migliaia di civili uccisi e dopo tanti anni, la pace e la giustizia non stanno certo di casa in quei paesi. Lo ripetono le organizzazioni democratiche afghane: “Con il costo di un giorno di guerra, avremmo potuto costruire tutte le scuole e tutti gli ospedali di cui abbiamo bisogno ed uscire dal sottosviluppo”.
Noi dell’Associazione per la Pace continuiamo a dire che la guerra non si deve fare e che si può evitare se si mettono in gioco tutte le capacità di pressione diplomatica.
La strada che noi indichiamo non è stata ancora praticata perché i nostri governi hanno sempre scelto la guerra.
In questo senso ci auguriamo che l’ Unione Africana, che non ha partecipato al summit di Parigi, possa svolgere un ruolo determinante nei colloqui che avrà con le parti libiche in conflitto perché via sia un cessate il fuoco immediato rispettato da tutte le parti.
In Libia la situazione non è come in Egitto e Tunisia, dove la rivolta di un intera popolazione si è manifestata in modo pacifico e nonviolento per liberarsi da un regime dittatoriale, ma vi è anche una rivolta armata e scontro fra i diversi settori del potere libico.
Anchese in Barhein, nello Yemen ed in Palestina si uccidono persone che manifestano in modo pacifico e nonviolento, nessun governo occidentale chiede interventi per proteggere la popolazione civile. Ma nel Barhein vi è una base militare USA e allora là possono anche intervenire le truppe dell'Arabia Saudita, noto paese dove vige la più ampia "democrazia" e Israele, che solo con i bombardamenti su Gaza uccide 1400 persone, è un alleato che non si può toccare.
Dire questo non diminuisce minimamente il fatto che Gheddafi sia un dittatore che deve andarsene e che il nostro sostegno al popolo libico perché possa vivere in libertà sia indispensabile. Ci auguriamo che non vi siano però vendette e che non succeda a Gheddafi quello che è successo a Saddam Hussein, perché crediamo nella giustizia e nella legalità e siamo sempre contro la pena di morte.
Ci dicono che siamo “anime belle” ed irresponsabili.
Noi consideriamo irresponsabile chi invece di aiutare forze democratiche a crescere porta solo bombe in nome della difesa dei dritti umani e invece di difendere i diritti umani per tutte e tutti difende i propri interessi, siano essi economici o geopolitici, e mentre parte con dispiego di aerei e missili per difendere diritti umani calpestati, respinge dalle sue coste popolazioni civili in fuga dalla povertà, dalle dittature e dalle guerre.
Mobilitiamoci per affermare il nostro no alla guerra, il nostro sì alla pace con giustizia.
Mettiamo le bandiere della pace ai nostri balconi e alle nostre finestre.
Aiutiamo i profughi e le forze democratiche in Libia
Associazione per la Pace

Info:
Luisa Morgantini,
Portavoce Associazione per la Pace
luisamorgantini@gmail.com
www.assopace.org

lunedì 21 marzo 2011

GUERRA DI LIBIA: UN DOCUMENTO DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

LIBIA

La prima fondamentale direttrice d'azione del Movimento Nonviolento è l'opposizione integrale alla guerra


“Noi dobbiamo dire no alla guerra ed essere duri come pietre”
(Aldo Capitini)

“Meglio un anno di negoziati che un giorno di guerra”
(Alexander Langer)



Sul perché condanniamo l'intervento, non firmiamo appelli, cerchiamo di capire e lavoriamo per fare della Marcia Perugia-Assisi un'occasione di crescita nonviolenta per tutto il movimento pacifista.

Difendere le vittime inermi è doveroso. Quando qualcuno interviene per tutelare i diritti umani e salvare una vita, è una buona notizia. Da quando il samaritano ha soccorso il poveretto incappato nei briganti sulla strada di Gerico, è sempre stato così.
Era dovere della comunità internazionale mobilitarsi per impedire che a Bengasi potesse avvenire un massacro (nel 1996 l'Europa si macchiò di  “omissione di soccorso” quando non fece nulla per impedire il genocidio a Srebrenica).
L'obiettivo delle due risoluzioni dell'Onu (n. 1970 e 1973) sulla crisi libica  è quello di proteggere i civili, gli insediamenti urbani e garantire assistenza umanitaria. L'uso della forza viene invocato per limitare i danni che già sono in corso sul campo, affermando il chiaro rifiuto dell'opzione di occupazione militare straniera, la priorità del cessate il fuoco e della soluzione politica, il rafforzamento dell'embargo militare e commerciale, il riconoscimento del ruolo prioritario della Unione Africana, della Lega Araba, della Conferenza Islamica.
Ci sono però due cattive notizie. La prima è il ritardo spaventoso (e l'ambiguità) con cui si è mossa la diplomazia degli stati, e la seconda è che l'Onu non dispone di una forza di polizia internazionale permanente ma deve affidarsi, di volta in volta, agli eserciti degli stati membri (articoli 43-49 della Carta della Nazioni Unite, in questo caso Francia, Inghilterra, Stati Uniti).
Quando la parola passa dalla diplomazia alle armi, succede che le operazioni militari si trasformano subito in guerra. E' quello che sta accadendo in Libia. Gli strumenti utilizzati (bombardieri, caccia, tornado, missili, incrociatori, portaerei, sommergibili, ecc.) sono quelli tradizionali della guerra, gli unici disponibili, pronti, efficienti. Come nei Balcani, come in Iraq, come in Afganistan, viene messa in campo solo l'opzione militare, l'unica che è stata adeguatamente preparata e finanziata. Una cosa è certa: non sarà con un'altra guerra che la democrazia  potrà affermarsi nel mondo arabo.

Appelli che cadono nel vuoto

Subito dopo l'annuncio del primo raid aereo, hanno iniziato a circolare in “rete” gli appelli pacifisti. Ci sono quelli “senza se e senza ma” che dicono: “non ci può essere guerra in nome dei diritti umani”; e quelli “realisti” che dicono: “l’uso della forza serve ad impedire ulteriori massacri”.
Noi non firmiamo appelli che non contemplino una precedente opzione per la nonviolenza costruttiva, né convochiamo mobilitazioni che si limitino a proteste e condanne di ciò che è già avvenuto. Non basta mettere a verbale il nostro “no” alla guerra. Certo, meglio che niente, ma bisogna aggiungere una parola in più: quando la guerra inizia nessuno riesce a fermarla; bisogna prevenirla una guerra, affinché non avvenga. Lo si può fare solo non collaborando in nessun modo alla sua preparazione.
Quando la prima bomba è stata sganciata, ormai lo sappiamo bene, a nulla serve dire “basta”, essa cadrà e molte altre ne seguiranno. La guerra, una volta accettata, conduce a tali delitti e tali stragi che è assurdo pensare di farla e contenerla. Come in un terremoto, l'unica possibilità – se non si sono adottate serie misure antisismiche – è il “si salvi chi può”. Poi, i sopravvissuti dovranno pensare alla prevenzione per rendere innocuo il terremoto successivo. Ma troppo spesso capita che, passata la prima paura, se ne dimenticano e anche il prossimo terremoto li coglierà impreparati.
Il limite di molti appelli è quello di rivolgersi ai governi e alle istituzioni per chiedere a loro di fare la pace. C’è un’inscindibile correlazione fra mezzi e fini: come possiamo aspettarci scelte di pace da governi (compreso quello italiano) che mantengono gli eserciti e le loro strutture, che finanziano missioni militari, che aumentano le spese belliche, che accettano il traffico legale e illegale di armi? Chiediamo ai governi di ridurre le spese militari, e regolarmente, finanziaria dopo finanziaria, queste spese aumentano esponenzialmente. Insistere in quest’errore di ingenuità diventa una colpa. La pace non verrà dai governi che utilizzano lo strumento militare, ma potrà venire solo dai popoli che rifiuteranno di collaborare con essi.
E’ a noi stessi, dunque, che dobbiamo rivolgere gli appelli per la pace.

Distinguere la violenza dalla forza

Per uscire dall’apparente contraddizione fra chi è sempre, e comunque, contro la guerra e chi è favorevole, a volte, ad azioni anche armate, bisogna saper vedere la differenza che c’è tra la violenza e la forza; tra la polizia internazionale e l'esercito. Gli amici della nonviolenza sono sempre stati favorevoli al Diritto e alla Polizia, due istituzioni che servono a garantire i deboli dai soprusi dei violenti. E’ per questo che da anni sono impegnati, a partire dalle iniziative europee di Alexander Langer, per lo studio, la ricerca, la sperimentazione e l’istituzione di Corpi Civili di Pace. Gli amici della nonviolenza chiedono la diminuzione dei bilanci militari e il sostegno finanziario alla creazione di una polizia internazionale, anche armata, che intervenga nei conflitti a tutela della parti lese, per disarmare l’aggressore e ristabilire pace e diritto. Contemporaneamente al sostegno di questi progetti, gli amici della nonviolenza sono contro la preparazione della guerra (qualsiasi guerra: di attacco, di difesa, umanitaria, chirurgica o preventiva), contro il commercio delle armi, contro gli eserciti nazionali, contro i bilanci militari e lo fanno anche con le varie forme di obiezione di coscienza. La proposta politica dei nonviolenti è quella di uno stato che rinunci al proprio esercito nazionale, e si impegni a fornire mezzi, finanziamenti e personale per la polizia internazionale di cui si dovrà dotare l'Onu.
La diplomazia la fanno i governi, ma la nonviolenza la fanno i popoli.

Le responsabilità di Gheddafi e dell'Europa

Dobbiamo perciò perseguire con sempre maggiore decisione la strada della distanza da qualsiasi regime che violi i diritti umani e democratici, denunciando con forza le responsabilità dei nostri governi e del loro servilismo davanti a un personaggio come Gheddafi (e al suo gas e petrolio) che per oltre 40 anni ha occupato la scena con politiche che hanno sponsorizzato ogni tipo di violazione di qualsivoglia diritto, ha nutrito le guerre e le destabilizzazioni che hanno martoriato un buon numero di paesi africani dal Ciad, al Niger, al Burkina Faso, alle sanguinarie guerre di Liberia, Sierra Leone e del Darfur, finanziando le milizie armate. I mercenari al soldo di Gheddafi sono il frutto delle diaspore di oltre 40 anni di destabilizzazione, sono persone che non hanno nulla da perdere. Lo sbocco per tanti giovani del continente africano, ovvero l'emigrazione, è stata messo dall'Europa sotto la custodia interessata di Gheddafi e della sua polizia che taglieggia, stupra, ricatta, vende e rivende i poveracci che speravano di trovare una via di salvezza al di là del Mediterraneo. Sono migliaia e migliaia i profughi dimenticati del Bangladesh che fuggono dalla Libia verso la Tunisia, nella speranza di un viaggio della disperazione verso casa.
Per questi disperati i governi europei non si sono mossi. Così come è passata del tutto inosservata la
feroce repressione da parte delle forze armate saudite del movimento che chiedeva libertà e democrazia nel Bahrain (arcipelago del Golfo persico fra l'Arabia Saudita e il Qatar).

Per la pace e la fratellanza fra i popoli
Agitarsi, lamentarsi, angosciarsi, non serve. La prima risposta, immediata, che possiamo dare è quella di offrire soccorso concreto alle vittime, e poi di un rafforzato impegno per sostenere la nonviolenza organizzata. Fra sei mesi si svolgerà la Marcia Perugia-Assisi, nel cinquantesimo anniversario della prima edizione, quella pensata ed organizzata da Aldo Capitini. All’indomani della Marcia del 24 settembre 1961 lo stesso Capitini volle dare vita al “Movimento Nonviolento per la pace”, per avere a disposizione uno strumento utile al proseguimento delle istanze emerse dalla Marcia stessa e al lavoro “per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, al livello locale, nazionale e internazionale”. Al primo punto del programma del Movimento, Capitini indicò “l’opposizione integrale alla guerra”. Dopo cinquant’anni il cammino deve ripassare da lì. Per questo abbiamo assunto l'impegno, come Movimento Nonviolento, di promuovere questa Marcia, che deve essere l’occasione per “mostrare che la nonviolenza è attiva e in avanti, è critica dei mali esistenti, tende a suscitare larghe solidarietà e decise noncollaborazioni, è chiara e razionale nel disegnare le linee di ciò che si deve fare nell'attuale difficile momento”. E poi “pronto, dopo la Marcia, a lavorare ad un Movimento nonviolento per la pace”. Sono parole di Capitini di straordinaria attualità, pronunciate nel 1961 (mentre la guerra infiammava il Vietnam e il Congo), valide per il 2011 (mentre la guerra infiamma l'Afganistan e la Libia). 
L'appuntamento è per il prossimo 25 settembre alla Marcia Perugia-Assisi per la pace e la fratellanza fra i popoli. Vogliamo che sia “un'assemblea itinerante”, il momento conclusivo di una discussione/mobilitazione che avviamo da subito. Un passo che ciascuno può  fare contro la guerra e per la nonviolenza.

Movimento Nonviolento
www.nonviolenti.org


Verona, 21 marzo 2011

--
Movimento Nonviolento
Via Spagna, 8
37123 Verona (Italy)

Tel. 045 8009803
Fax. 045 8009212
www.nonviolenti.org