Se la Terra è Gaia. Per una teologia della sostenibilità della vita
DOC-2103. BELEM-ADISTA. (dall’inviata)
Nella millenaria saggezza dei popoli indigeni è la Pacha Mama; nella teoria scientifica di James Lovelock è Gaia, superorganismo vivo (in quanto dotato della capacità, propria degli organismi viventi, di mantenere in equilibrio le proprie condizioni chimico‑fisiche anche al variare delle condizioni esterne); nell'ecoteologia è, insieme all'universo di cui è parte, il "corpo di Dio" (metafora che evidenzia non solo l'amore di Dio per il cosmo, ma anche l'interrelazione di tutto con tutto, in una sola grande unità ecologica). Eppure contro la Terra, l'unica casa di cui dispone, l'umanità sta combattendo la più folle tra tutte le guerre, quella da cui non potrà in alcun modo salvarsi. Quella di cui l'Amazzonia offre una rappresentazione particolarmente fedele e spietata. È per questo che il tema ‑ Terra, acqua, teologia per un altro mondo possibile ‑ del III Forum Mondiale di Teologia e Liberazione (Fmtl), svoltosi a Belém dal 21 al 25 gennaio, nei giorni immediatamente precedenti al IX Forum Sociale Mondiale (v. Adista n. 20/09), non poteva essere scelto meglio.
La terza edizione del Fmtl - nato a Porto Alegre nel 2005 con l'obiettivo di accompagnare il Forum Sociale Mondiale, vincolando la riflessione teologica alla lotta del movimento altermondialista - ha segnato per la Teologia della Liberazione un passo importante in termini di apertura al nuovo paradigma ecologico, questione che la TdL ha trascurato lungamente e anche incomprensibilmente, considerando il rapporto strettissimo ‑ come già evidenziava nel 1995 Leonardo Boff ‑ tra “Grido della Terra” e “Grido dei poveri”. Se il passo compiuto è indubbiamente significativo, la strada, tuttavia, rimane ancora tutta, o quasi, da percorrere. Al di là degli inevitabili problemi legati all'organizzazione (essendo il processo del Forum di Teologia ancora giovane e straordinariamente complesso; v. documenti successivi), la riflessione svoltasi a Belém ha infatti evidenziato una chiara difficoltà ad articolare il discorso ecologico con quello propriamente teologico, non solo per i problemi legati al dialogo con delle scienze ‑ dall'astrofisica alla cosmologia alla fisica quantistica ‑ con cui la teologia non si è mai confrontata, ma anche per l'entità della sfida: il passaggio dall’antropocentrismo - così profondamente radicato nella tradizione giudaico-cristiana - ad una concezione cosmocentrica.
Quel che è certo è che la presenza dell'orizzonte ecologico nella teologia apre enormi spazi alla riflessione delle Chiese, costringendole anche ad una doverosa autocritica, perché, come ha sottolineato ancora Leonardo Boff, se l'umanità è giunta al punto in cui si trova, vuol dire che c'è stato, come minimo, un errore di trasmissione della fede da parte delle Chiese; e che il primo capitolo del Genesi, che rimanda ad una linea di dominazione della natura, ha avuto totalmente il sopravvento sul secondo capitolo dello stesso libro, che pone invece l'essere umano all'interno del Giardino dell'Eden, con il compito di curarlo e di proteggerlo. E, accanto all'autocritica, l'umile ascolto di tradizioni religiose ecologicamente ben più avanzate di quella giudaico‑cristiana ‑ accettando, una volta tanto, che a salire in cattedra siano altri ‑ a cominciare da quelle dei popoli indigeni (non a caso grandi protagonisti di questa terza edizione del Forum). Tanto più che la saggezza ecologica dei popoli originari, oggi tradotta nel concetto del bien vivir, ha avuto finalmente un'interessante traduzione politica, come stanno ad indicare le nuove Costituzioni dell'Ecuador e della Bolivia, con il loro rivoluzionario riconoscimento dei diritti della Pacha Mama. Ma anche rispetto al processo in corso in questi Paesi ‑ a cui i vertici della Chiesa hanno scandalosamente deciso di voltare le spalle, facendo il gioco di un'opposizione totalmente identificata con gli interessi dell'oligarchia ‑ la Teologia della Liberazione rivela un ritardo che il Forum di Belém, lungi dal colmare, ha invece ribadito. Nessun passo significativo è stato infatti mosso in direzione di quel "nuovo radicamento” nel processo latinoamericano in corso a cui, secondo il teologo e monaco benedettino brasiliano Marcelo Barros (impossibilitato a partecipare ai lavori), la TdL dovrebbe sentirsi chiamata (v. il suo intervento su Adista n. 8/09): un accompagnamento - e non un’esaltazione acritica - destinato ad elaborare, a partire dalla prassi, "elementi nuovi" della Teologia della Liberazione per un processo sociale e politico che, con i suoi limiti e le sue contraddizioni, rappresenta senza dubbio "un servizio nuovo ed efficiente alla liberazione dei più poveri". Un ritardo, quello evidenziato anche a Belém, rispetto a cui la Teologia della Liberazione potrebbe correre ai ripari, dando seguito a quanto accennato da Luiz Carlos Susin, segretario esecutivo del Fmtl, nell'intervista rilasciata ad Adista (v. documenti successivi), a proposito dell'opportunità di organizzare un forum sull'argomento, che si richiami a quella tradizione profetica che in America Latina è stata il segno distintivo di una generazione di vescovi ormai scomparsa.
Nell'impossibilità di esaurire in un unico numero la problematica di questa terza edizione del Forum Mondiale di Teologia e Liberazione, offriremo in questo speciale un quadro complessivo dei lavori, rimandando ai prossimi numeri altri interventi e altre voci. (claudia fanti)
http://www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=44054
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