Iraq, Dall'esperienza diretta a Bassora si capisce il valore della bandiera bianca
Qais Mizher - The New York Times
Quartieri deserti, sparatorie e proiettili dappertutto, la città nelle mani dell'Esercito del Mahdi.
Un reporter iracheno del New York Times racconta il suo viaggio e i suoi giorni a Bassora durante l'attacco.
di Qais Mizher
The New York Times,
31 marzo 2008BASSORA – Giovedì [quattro giorni fa], ho camminato, corso, e strisciato a carponi nel centro di Bassora, buttandomi costantemente a terra a causa delle sparatorie fra i miliziani dell’Esercito del Mahdi e l’esercito e la polizia iracheni. Il resto del mio soggiorno in città è andato così: venerdì sera, l’hotel che avevo trovato per qualche motivo aperto è stato colpito da una pioggia di proiettili, che hanno distrutto completamente i vetri di diversi piani, e rotto pezzi dalla facciata di pietra. La mattina dopo, le forze del ministero degli Interni, in una parte della città che avrebbe dovuto essere sotto il loro controllo, hanno subìto un’imboscata con armi pesanti in un hotel a poco meno di 50 metri dal mio. Domenica mattina, dopo che avevo ingaggiato qualcuno che mi portasse via in macchina dalla città, un soldato iracheno ha mirato ai nostri pneumatici ma ha mancato. Non ci siamo fermati. Le forze irachene avevano iniziato il loro assalto contro le milizie sciite a Bassora martedì [sei giorni fa]. Qualunque fosse l’obiettivo iniziale dell’operazione, quando sono arrivato a Bassora la città era un patchwork di quartieri o deserti o conquistati dai combattenti dell’Esercito del Mahdi. C’erano checkpoint sparsi dell’esercito e della polizia iracheni, ma nessun posto sembrava realmente sotto il controllo del governo. Agli inizi della scorsa settimana, quando era cominciato l’assalto, mi trovavo per caso a Diwaniya, un’altra città del sud, come parte del mio lavoro di reporter e traduttore per il New York Times. Facendo ricorso alla mia esperienza di capitano nell’esercito iracheno prima dell’invasione del 2003, e da allora essenzialmente come corrispondente di guerra, mi sono diretto a Bassora per vedere se potevo riuscire a entrare in città e vedere cosa stava succedendo.Viaggiare ovunque era difficile, a causa della violenza che i combattimenti di Bassora avevano provocato in tutto il sud sciita e dei coprifuoco imposti dal governo. In qualche modo sono riuscito ad arrivare a Nassiriya, circa 160 km a nord-ovest di Bassora, e ho convinto un tassista con un GMC a portarmi a Bassora. L’autista conosceva bene la strada. Ha preso la vecchia autostrada verso sud: sapeva che un checkpoint in una cittadina lungo il percorso non avrebbe lasciato passare nessuno. Quindi, ha girato, e ha guidato per diversi chilometri in pieno deserto verso un’altra strada, e ha proseguito verso sud. E’ qui che abbiamo cominciato a vedere i segni terribili del conflitto a Bassora. Io ho contato circa 20 auto civili che venivano verso nord con le bare legate sul tetto, che stavano andando a seppellire i loro morti nel cimitero sciita della città santa di Najaf. Il mio autista e io non eravamo sicuri della strada da percorrere, così abbiamo fatto segno di fermarsi a una famiglia che stava guidando nella direzione opposta. Mentre facevamo questo, una donna seduta accanto al conducente ha cominciato ad agitare freneticamente un pezzo di stoffa bianca – una bandiera bianca – fuori dal finestrino. E' venuto fuori che era terrorizzata che potessimo essere membri dell’Esercito del Mahdi, che – diceva la donna – aveva piazzato bombe e cecchini lungo tutta la strada dove la famiglia era appena passata. Dopo che eravamo riusciti a calmarla, ci ha suggerito un’altra strada. Prima che ce ne andassimo, il mio autista ha avuto un pensiero importante, chiedendo alla donna: “Potrebbe darci la sua bandiera? Voi avete lasciato la città, e non ne avete più bisogno”. Lei si è tenuta la bandiera, ma ci ha dato un altro pezzo di lenzuolo bianco. Lo abbiamo usato spesso. A un certo punto, abbiamo passato una enorme colonna di fumo in un posto in cui c’era stato un attentato a un importante oleodotto. Siamo entrati lentamente in quella che sembrava una città abbandonata, e a un certo punto il mio autista ha rifiutato di proseguire. Ho detto Ok, e sono uscito, ma prima che me ne andassi lui mi ha chiesto una cosa: poteva avere la bandiera bianca?L'ho strappata nel mezzo, e gliene ho data metà. In qualche modo ho trovato un altro autista che mi portasse a poco più di tre chilometri dal centro della città, che mi avevano detto essere controllato dalle forze governative. Quando quell’autista si è rifiutato di proseguire, ho dovuto andare a piedi, ma allora ho visto camion pieni di membri dell’Esercito del Mahdi che passavano per le strade a grande velocità, indossando maschere nere e armati di AK-47 e lanciagranate. Le sparatorie scoppiavano in modo imprevedibile, quindi correvo o camminavo quando era tranquillo, poi mi buttavo a terra e cercavo riparo quando riuscivo a sentire gli spari. Dopo 45 minuti o giù di lì, ho trovato inaspettatamente l’Hotel Rumaila, in un quartiere centrale chiamato Ashar. Incredibilmente, era aperto, con sei o sette ospiti all’interno e un paio di dipendenti. Ero così esausto che non ci ho pensato due volte, e ho fatto il check in.Il giorno dopo, sono andato in giro per quanto potevo. L'osservazione comune era questa: non c'era posto che l’Esercito del Mahdi non controllasse o non potesse colpire a suo piacimento. Non sono sicuro di quale sparatoria abbia scaricato proiettili contro l’hotel venerdì. Ho sentito solo il rumore degli spari e le finestre andare in frantumi; per quanto ne so, nessuno all’interno è stato ferito.Sabato stavo parlando con un collega al cellulare quando una sparatoria è iniziata proprio fuori dall’hotel. Era talmente forte che non riuscivo più a sentire la voce all’altro capo del filo. Mi sono buttato a terra immediatamente in un angolo della mia stanza e ho aspettato che finisse. Un po’ di tempo dopo la fine della sparatoria, altri che stavano nell’hotel e io siamo usciti. La strada era cosparsa dei proiettili delle mitragliatrici pesanti dove l’Esercito del Mahdi aveva sparato contro un altro hotel, il Meerbad, dove stavano alcuni funzionari del ministero degli Interni, forse a poco meno di 50 metri di distanza. Potevamo vedere i loro furgoncini, ora pieni di fori di proiettili, nel parcheggio dell’hotel.Ho deciso di lasciare Bassora. Ho portato con me la bandiera bianca.L’articolo è stato scritto da James Glanz a Baghdad sulla base delle informazioni raccolte da Qais Mizher a Bassora
(Traduzione di Ornella Sangiovanni)
Articolo originale
testo tratto dalla newletter Osservatorio Iraq n. 7 /2008 info@unponteper.it
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