Ricevo da Gianni Marchetto questo scritto (in origine inviato a Francesco Astengo dopo l'invio del suo articolo pubblicato in precedenza). Quello che scrive Marchetto mi sembra interessante, anche se non appartiene all'orizonte culturale a cui sono approdato...
Promuovere la ribellione!
di Gianni Marchetto – Settembre 2011
Contro il perbenismo e il moderatismo, malattie senili del comunismo
• Ivar Oddone negli anni ’70 mi diede da leggere un libro: “Piani e struttura del comportamento”, un saggio di marca americana dei primi anni ’60, edito dalla Boringhieri, scritto a tre mani da Miller, Gallanter e Phribam (un antropologo, uno psicologo e un linguista) che così argomentava: “nei comportamenti degli uomini ci sono alcune costanti che durano da millenni. Ovviamente cambiando i contesti, cambiano le forme nelle quali tali comportamenti si manifestano. Davanti ad un modello consolidato (la famiglia, la tribù, lo schiavismo, il capitalismo, il socialismo, il liberismo, il fordismo, il taylorismo, più o meno applicato o modificato: essenzialmente caratterizzato dal rapporto tra chi pensa e chi esegue) cosa ci si aspetta dal comportamento di un individuo? che si integri nel modello esistente accettandolo come dato di “natura” o che all’opposto si ribelli a tale modello e (si badi bene) nel caso della ribellione è bene che ciò si manifesti in maniera esplicita per poter procedere nella successiva selezione o per mettere in pratica quelle politiche (del personale in fabbrica o del potere costituito fuori) atte a rendere innocua la ribellione stessa, attraverso la blandizie (la corruzione) o attraverso la repressione”.
• Diventa chiaro che “integrazione-ribellione” sono le due facce di una unica medaglia: lasciano il tutto così com’è. Alcuni esempi abbastanza recenti: il 1° la rivolta degli afroamericani nella Los Angeles degli anni ’90. Quale Piano c’era: svaligiare i supermercati alla caccia di televisori, lavatrici, radio, ecc.! 2° la rivolta dei franco algerini alcuni anni fa nelle banlieue di Parigi e di altre città della Francia. Qual’era il Piano: bruciare a casaccio le macchine in sosta! Quale cambiamento hanno portato negli Usa e in Francia: nessuno. Negli USA vinse Busch e in Francia ha vinto Sarkozi! 3° Nel nostro paese sono brucianti gli ultimi episodi di ribellione: quello di Rosarno ad opera di migranti in gran parte di colore che esasperati per le loro condizioni di vita e di lavoro (schiavi in mano alla camorra e ‘drangheta) e venuti a conoscenza di angherie fatte ad alcuni di loro, hanno fatto… 4° le coltellate a Milano tra marocchini e sudamericani in un quartiere ghetto in Via Padova … quando invece di prendersela tra di loro ci sarebbero buone ragioni di prendersela con parecchi italiani che a Milano governavano da decenni (leghisti e berluscones)..
• E di questi giorni la rivolta dei giovani inglesi che hanno svaligiato i supermercati.. o delle recentissime auto bruciate durante la notte a Berlino. Altra cosa sono le rivolte arabe, ma per brevità adesso non è il momento..
• Ed è chiaro che sia nella integrazione che nella ribellione ci siano una serie di sfumature molto numerose. Nella integrazione si va dalla più inconsapevole (totale accettazione del modello esistente) alla più consapevole. Perché questa non si trasforma in ribellione? o quanto meno in non accettazione: penso io per pigrizia, per ignavia. Vale qui il “libero arbitrio”: non mi interessa, non mi va di impegnarmi, sono occupato in tutt’altre cose, ecc. Nella ribellione si va da quella passiva (nei luoghi di lavoro) l’assenteismo breve e frequente (io in gioventù ero uno di questi), o un alto turnover da azienda ad azienda, ecc. In tutti e 4 i casi succitati mancava un “contesto” particolare.
Un confronto, una differenza tra due generazioni
• La mia generazione, almeno una fetta, era particolarmente “cattiva”. Portava con sé i ricordi, magari dei padri, delle lotte contadine: bruciare o dare l’assalto al municipio, ecc. e individuava nel regime da caserma della fabbriche della fine degli anni’ 60, primi anni ’70, i vecchi latifondisti e con il magro salario non riusciva mai ad agguantare i prodotti che giornalmente vedeva nelle vetrine dell’UPIM o della Standa, e si incazzò di brutto.
• Era, a differenza dell’attuale generazione anche molto meno scolarizzata, chi partecipava alle lotte diventava un settario, disprezzava il crumiro e via andando. Una parte poi, sbagliando clamorosamente, divenne così settaria che perse ogni pazienza non solo con i tecnici e gli impiegati, ma anche con i lavoratori più moderati (si pensi alla Mirafiori dove tra gli operai per tutti gli anni ’70, il secondo partito fu sempre la DC), un po’ arrogante e prepotente. Una parte lottava molto, però studiava poco, e fu parte della causa di perdita delle alleanze all’interno del mondo del lavoro.
• L’attuale generazione ha dalla sua oltre che una più alta scolarità, anche un certo disincanto, è meno ideologizzata, meno settaria e un eccetera lusinghiero, però… non ha un briciolo di cattiveria, ovvero la cattiveria la sfoga nello sport (sono tutti ultras), o nell’ambito scolastico attraverso il “bullismo” e, mi pare, che di fronte ai soprusi che riceve accampa sempre dei: però… ma sai.., ecc.
• Miei cari, è la situazione, è la fase (direbbe Altan con l’ombrello in quel posto) che ci deve far diventare un po’ cattivi. O no? In caso contrario gireremo (girerete) sempre con l’ombrello infilato.
• Qual’era il contesto: la lotta di liberazione del FLN algerino, la lotta contro il colonialismo Belga di Patrice Lumumba in Congo, Cuba con Fidel Castro e il Che Guevara, il Viet-Nam, gli studenti di Berkley – in Italia le “magliette a strisce”, il Concilio Vaticano 2°, Don Milani e la Scuola di Barbiana, il movimento dei Preti Operai, eccetera.
• Il mio contesto personale ha dei nomi e cognomi che corrispondono a compagni della CGIL (comunisti e socialisti): Pinot Piovano (che mi iscrisse alla CGIL nel 1962), Luciano Manzi, Tom Strullato, Carlo Mastri, Giuseppe Bonadies, Cianin Rossi, Ruggero Bertotti, Beppe Vergnano, e più tardi con la conoscenza di altri compagni di origine operaia e intellettuale, quasi tutti ex partigiani ed ex operai licenziati negli anni ’50 dalla FIAT. Ed erano loro che organizzavano la ribellione di una ventina di ragazzi come me: in occasione di scioperi andavamo a tirare le pietre nei vetri di alcune aziende (la Pianelli Traversa e la Castor a Cascine Vica) e a fare a cazzotti con i “barotti” che facevano i crumiri alla FIAT Ferriere di Avigliana. Cos’è che ho imparato (ovvero mi hanno insegnato questi compagni: a tirare i sassi nelle finestre giuste!).
• E fummo fortunati in quanto, quando andavamo a trovare questi compagni a casa loro, vedevamo delle pareti piene di libri! questi compagni mi affrancarono dal livello di sottoproletario che ero e con loro feci un percorso che mi portò (non senza contraddizioni) ad emanciparmi dalla sola ribellione. Ho imparato a confrontare la mia esperienza con la scienza: intesa come l’esperienza di altri (specie di altre generazioni) e con la cultura in generale. In pratica penso di essere uscito dalla contraddizione (integrazione-ribellione) in avanti con un Piano fatto di elementi di contrattazione e di potere (almeno per quanto riguarda la mia esperienza nei luoghi di lavoro). E’ questo un percorso che tutti hanno fatto e tutti fanno? No. Alcuni lo fanno altri rimangono nella fase “infantile”, non crescono mai. Vedi la vicenda (emblematica) della FIAT Mirafiori nel ’68 e ‘69. Una sacrosanta ribellione al regime da caserma che era la grande fabbrica fu per alcuni palestra di emancipazione e per altri “coazione a ripetere”.
• Adesso tutto è cambiato, non c’è la ribellione, manca il contesto positivo in cui possa esprimersi. La coscienza di classe si è così affievolita da far emergere altre identità: quella di etnia (bianca, gialla, di colore), di religione, ecc. Si è pure affievolita (attraverso i miti della televisione) l’identità femminista, di genere, riportando il valore dell’emancipazione a cose vecchie, francamente ributtanti per quanto riguarda le donne.
Un ricordo della mia gioventù
• Era il 1962, avevo 20 anni, era il tempo del rinnovo contrattuale dei meccanici. Abitavo a Rivoli, lavoravo alla Castor di Cascine Vica (una azienda che produceva lavatrici). Giorno di sciopero, naturalmente lo facevo, anche se non mi interessava il perché, bastava ci fosse per starmene a casa. Sono quasi le 2 del pomeriggio, sono con altri miei amici al bar, passa di lì il “Biso” (fratello del “Moro”: i fratelli Fabbri). Era questi un mio coetaneo, lui però di famiglia da sempre comunista (lo conoscevo dal paese Taglio Di Po da dove arrivavamo), a differenza di me lui politicizzato, il quale ci fa: “sà, venite con me” e noi “dove?”, “a fare un po’ di casino” risponde lui. E noi immediatamente tutti con lui sul filobus che ci porta in quel di Cascine Vica, smontiamo, e a piedi andiamo nella zona industriale e ci fermiamo vicino ad una fonderia (da sempre piena di crumiri) e vediamo che lui raccoglie da terra dei sassi (e noi con lui) e facciamo per lanciarli verso delle vetrate che davano sulla strada, al che… sentiamo un grido alle nostre spalle “uelà bruta banda, banda d’piciu, co’ feve lì” (brutta banda, banda di coglioni, cosa fate lì) era Pinot Piovano, ex partigiano, licenziato dal Cotonificio Lemann, ora funzionario della CGIL (mi aveva iscritto l’anno prima alla CGIL), il quale proseguì tutto in torinese “se avete intenzione di tirare i sassi, almeno tirateli nelle vetrate giuste, piciu, non vedete che quelle lì sono quelle degli spogliatoi degli operai, banda d’piciù” e se ne andò cristonando. Da quel giorno ho imparato a scegliere sempre la finestra o la vetrata giusta. Ora, è di questi ultimi tempi, io so che la scelta della vetrata è divenuta complicata, però non serve semplificare il tutto, diventa tropo comodo tirare i sassi alla servitù: Bonanni o Angeletti.
• La domanda da porsi è la seguente: i fenomeni di ribellione (che ci saranno, così come in altre epoche ci sono sempre stati) con chi se la prenderanno? Io dico, con i CONTIGUI 1° quelli che sono in un gradino più basso 2°con NOI! Perché? Perché noi non facciamo altro che disgraziare sulla loro condizione fino al punto di stufare i nostri interlocutori, che una parte non ci ascolta più (e magari ci nega pure il voto), un’altra rispetto al fatto delle disgrazie che noi giornalmente enunciamo, non facciamo alcunché per metterci una pezza: ci diverte un sacco mettere il lievito sulla merda (così come una volta mi disse Pugno)!
• Uno dice: non è che in Italia non ci siano lotte, ribellioni, vedi la FIOM, la CGIL, i “viola”, gli studenti, le donne, ecc.. Vero però, si tratta di gente “beneducata”, (e acculturata) che ha quasi sempre una idea di rivendicazioni precise nei confronti di controparti altrettanto precise, ecc. io parlo delle possibili rivolte di gente “maleducata”, di “bulli” della scuola, delle varie curve degli stadi, di sottoproletariato, ecc. sia chiaro se ci saranno io non mi straccerò le vesti, però mi sentirò un po’ sconfitto per il mio essere stato passivo.. per non avere io promosso quelle rivolte.
Una mappa dei siti sensibili
• Vorrei che il nostro presidente Giorgio Napolitano chiamasse il Berlusca chiedendogli di farsi da parte, non perché lui va a letto con le sue escort (sono cazzi suoi) ma perché giorno dopo giorno lui (e il suo governo) è un costo per la collettività italiana (un po’ alla maniera del DC Oscar Luigi Scalfaro (cristo!)). Ma questo evidentemente sta nei miei desiderata..
• Vorrei tentare di ritirare dalle mani del delinquente Berlusconi e dei delinquenti tecnocrati della UE il mio Bancomat, con il quale hanno accesso a tre miei (e nostri) sportelli: la previdenza, la salute (la sanità), e i cosiddetti beni comuni (acqua, suolo, cibo, ecc.) – è qui che c’è il grano sempre pronto, convinto come sono che a questi non interessa assolutamente niente il “pareggio di bilancio”. Interessa come strumento per poter continuare a saccheggiare i nostri sportelli. Come sarebbe possibile a farsi: io sono per il "default". Una qualsiasi boita quando va in crisi usa la CIG/O. Se perdura la crisi chiede la CIG/S, se continua.. o decide di venderla (posto che ci sia qualcuno che se la vuole comperare) o.. porta i libri in tribunale. Io sono per portare i libri in tribunale dell’azienda Italia, tanto prima o dopo li dovremo portare per colpa dei suddetti delinquenti, però il mazzo, il pallino sarà sempre in mano loro. Anche qui evidentemente sono tra i miei desiderata..
• Le cose concrete che invece dipendono da me (e da altri come me per es. a Venaria dove abito) sono i seguenti: a Venaria ci sono 11 banche (luoghi di malaffare), ci sono 2.200 partite IVA di cui 1.325 ditte individuali, di cui 23 aziende manifatturiere con oltre 50 addetti, 77 aziende con più di 15 addetti. In cassa Integrazione (tra CIG/Ordinaria, in Deroga, in CIG/Straordinaria) ci sono oltre 50 aziende. Nel corso degli ultimi 6 anni ben 38 aziende hanno chiuso per fallimento. Io sono per andare a trovare almeno ogni 15 giorni, queste aziende con dei volantini per parlare male di loro, e se per caso trovo delle aziende che invece fanno profitto senza cavare il collo ai lavoratori ho pronto un volantino per fargli la campagna “progresso”.
• Domanda: perché questo non si fa, non si promuove in tutti i territori, non sarebbe questo un modo proficuo per dare seguito allo sciopero del 6 settembre? Non dovrebbe essere l’alfa e l’omega di qualsiasi mobilitazione odierna?: indicare gli obiettivi alla rivolta che ad oggi esiste sottotraccia in una marea montante di qualunquismo e domani erutterà nella maniera più disordinata possibile. E noi magari lì a contemplarla passivamente... che brutto epilogo sarebbe!
Sulla divisione tra i sindacati
• In merito alla divisione sindacale (rovinosa) io così la penso: non sono d’accordo con le cose che ho sentito la sera alla Festa FIOM di Torino da parte di Landini, Bertinotti e Cofferati. Se fosse come dicono questi compagni saremmo dritti, dritti dentro una logica pavloviana (è quello della teoria dei riflessi condizionati): in pratica il tutto lo si fa risalire da una diversa strategia dei vertici sindacali. Io dico che questa esiste ma non è lì la causa – e no! L’uomo (dicono i credenti) ha ricevuto in dono da Dio il suo “libero arbitrio”, ovvero Gramsci dice che “l’uomo non può non sapere”. Quindi ne viene che le strategie sindacali sono una “risulta” derivante dai comportamenti umani, i quali sono cambiati eccome: sono regrediti alla fase del “mi integro o mi ribello”. E chi li ha fatti regredire è il padronato (anche lui regredito) non so se consapevolmente o no. E all’appello mancano due soggetti che per lunghi anni hanno garantito la mediazione: il PCI che mediava tra gli operai radicali e gli operai più moderati – la DC che aveva persino nel suo DNA la logica della mediazione: tra capitale e lavoro! anche i sindacalisti sono uomini e donne in carne ed ossa, perché mai dovrebbero essere esenti dal processo del “mi integro (per rassegnazione) o mi ribello (per antagonismo)?”.
• Epperò – non tutto è cambiato, una parte di quel contesto del ’68 e ’69 è ancora qui con noi. Siamo noi! E a chi se non a noi spetta il compito di dare il testimone? E se non ora quando? Se non si esperisce il tentativo di promuovere la giusta e sacrosante ribellione dei nostri figli, nipoti e dei giovani in generale (migranti e indigeni), ci sarà solo il fallimento di questa nostra generazione che non è stata capace di consegnare il testimone che la generazione prima della nostra ci aveva consegnato.
• Dove? Nelle Camere del Lavoro nel modo più decentrato possibile (alla maniera dello SPI) e nelle categorie di appartenenza. In caso contrario saranno solo pochi coloro che sceglieranno di dare il loro contributo (più che onorevole) all’attività dello SPI, impegnati in un lavoro purtroppo necessario, ma che tappa i buchi di uno stato inefficiente.
La discontinuità
• Io dico che c’è bisogno di una discontinuità specie per quanto riguarda il livello confederale della CGIL e per quanto riguarda le categorie.
• E per farlo parto da una mia esperienza personale: io da oltre 10 anni vivo con una “tribù africana”. Si tratta di tre nigeriani: la mamma di 41 anni e due gemelli di 24 anni che ho fatto venire su dalla Nigeria quando avevano 15 anni con il ricongiungimento familiare. Sono andati a scuola, hanno lavorato, quasi sempre come precari. Ora la mamma e il figlio sono disoccupati (per la crisi, i padroni hanno chiuso l’attività), l’unica che lavora è la figlia, presso un bar-ristorante nella zona (alla moda) del quadrilatero romano (è quello vicino a Porta Palazzo). Bene. La ragazza fa più di 200 ore al mese, per ben 2 giorni alla settimana devo alzarmi alle 3emezza di notte e andarla a prendere in macchina. Metà del salario è in busta paga e metà in nero. Non gli vengono pagati gli straordinari, le festività e quant’altro. E non è la prima volta, la stessa cosa è avvenuta con altri padroni. La stessa cosa non è novità, capita anche ai nostri figli.
• Io gli ho suggerito di segnare sul calendario tutte le ore che lei lavora e quando gli scade il contratto di lavoro va alla CGIL in Via Pedrotti e fa la vertenza. Le ho vinte tutte, gli ho fatto cacciare fuori il grano che non gli davano e per uno ho fatto pure un esposto all’Ispettorato del Lavoro e così ho fatto inchiodare per oltre 2 mesi il Ristorante. Al che ho pure goduto come un riccio.
• Domanda: alla ragazza in questione ciò è stato possibile perché in casa ha uno come me che ha fatto il sindacalista, quanti sono nelle stesse condizioni e non sanno dove sbattere la testa?
• È lo SPI che può dare una risposta di tutela e di organizzazione a questi casi? A me pare proprio di no! Questa è una attività che dovrebbe fare la CGIL (e gli altri sindacati) e sul territorio, magari qui a Venaria. Non solo la giusta tutela, ma anche tentando di organizzare tutto il lavoro disperso, frantumato, precario di giovani italiani e di migranti. A Venaria nel 2009 su 10.000 lavoratori presenti nelle attività produttive sono ben 14.000 gli avviamenti avvenuti con oltre il 60% di lavori precari.
• Si tratta in pratica di ritornare alla origini della CGIL quando erano le CdL che organizzavano i lavoratori nei territori. E io non capisco perché attualmente è lo SPI che surroga (meritoriamente) questa attività di tutela, ovvero surroga nella pratica rivendicativa con gli Enti Locali una attività che dovrebbe essere della CGIL.
• Ed è ovvio che per potere fare questa inversione di tendenza le CdL devono decidere politicamente (cosa che non fanno) il loro decentramento sul territorio (così come ha fatto a suo tempo lo SPI) e poi avere le necessarie risorse (che attualmente stanno nelle mani di una categoria come la nostra: lo SPI). Stessa identica cosa per le categorie.
Dalla indignazione, alla ribellione, al controllo, alla contrattazione, al potere
• La prima forma di ribellione è ovviamente la capacità del singolo di indignarsi, però ciò non basta. Occorre che l’indignazione trovi le forme collettive di una sua visibilità per tentare di essere imitata dai più. Ribellione per il fatto molto evidente che da un lato c’è ormai un baratro che divide la costituzione formale da quella materiale di tutti i giorni e ciò divide (un altro baratro) anche i cittadini tra loro, tra quelli che nella situazione attuale ci marciano alla grande e coloro i quali (i lavoratori, i pensionati, i migranti, le donne, i giovani, ecc.) sono usciti fuori e usciranno dallo stato sociale.
• Se uno mi mette fuori dalle regole stabilite nella norma, io non mi sento più un cittadino rispettoso delle regole “materiali” e quindi mi ribello e se posso non le rispetto più quelle regole: divento un disobbediente, cerco se posso di far rispettare le regole formali e se non ci riesco, assieme ad altri mi do delle altre regole condivise.
Epilogo
• Io che sono sempre stato un moderato e un timorato del buon dio, ho imparato negli anni che la maggioranza della nostra borghesia ascolta solo una unica pedagogia sociale: “un corteo con alla testa il capo del personale con una bandiera rossa in mano, e… ogni tanto qualche calcio nel sedere”. Io vorrei che il conflitto avesse una veste più matura – però bisogna essere in due a volerla. Di questi tempi ce ne sarebbe un gran bisogno… di cortei.
• Arrivo a pensare che nell’attuale fase il kit da consegnare ad un giovane di adesso possa essere composto da: 1° una lista di nomi e cognomi, indirizzo e n° civico (corrispondenti agli indirizzi di aziende e case di abitazione di padroni che ci marciano alla grande con la precarietà) e 2° da un sacchetto pieno di sassi e pietre da lanciare contro le vetrate di tali aziende. Ribellarsi è sempre giusto!
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