ULISSE o ABRAMO??
Da Korogocho…a Gerusalemme…in Sud Sudan!
S.Giuseppe da Copertino
Carissimo, Carissima! Jambo!
Shalom! Amani! Salaam! Pace! Peace!
Che strani casi della vita! Quasi un anno fa ti scrivevo la mia ultima lettera da Korogocho proprio da Mapourdit, una missione in Sud Sudan. Ero andato a Juba, la capitale del Sud Sudan per una settimana per offrire un momento formativo sul tema Leadership ai miei confratelli giovani di quella provincia comboniana. E poi ero andato per una settimana a Mapourdit dove ero andato in visita ad un mio amico e compagno comboniano fratel Rosario Iannetti, medico chirurgo che lavorava nell’attiguo ospedale, con un centinaio di posti letto, proprio di fianco alla missione.-
E guarda caso, dopo il tempo vissuto in Palestina, studiando e visitando i luoghi di Gesù e dei discepoli, e un paio di settimane in Turchia in quella che è considerata la Terra Santa della Chiesa, ricevo la mia nuova destinazione di missione: il Sud Sudan. E dove? Mi hanno chiesto in tanti. E’ notizia proprio delle ultime ore che dopo qualche giorno a Juba, sarà proprio a Mapourdit La Provvidenza ha i suoi percorsi! Per il momento per cominciare ad imparare la lingua Denka e fare un po’ di ministero e poi si vedrà. Comunque desidero avere un buon tempo per imparare bene la lingua Denka perché la lingua è sempre la chiave per ogni rapporto con la gente: per conoscere la cultura, tradizioni, costumi e per fare comunione.
A dire il vero avevo chiesto di andare in Sudafrica (sempre sud è…) per continuare se fosse stato possibile un’eventuale missione in città e magari d’inserzione in una delle realtà di baraccopoli-townships che esistono in quel grande stato a sud del continente. Ma la provincia finora non è preparata a questo tipo di proposta. Così sono rimasto in attesa di nuove proposte.
Ero certo che il Signore mi conduceva in questo nuovo cammino e così è stato. Quando ricevetti la proposta di padre Teresino, il nostro padre generale, mi trovavo proprio a Tarso in Turchia, il villaggio di San Paolo. Ho chiesto di poterci pregare su un po’ e che avrei dato la mia risposta. Gli ho risposto positivamente qualche giorno dopo da un’altra importante tappa del nostro viaggio sulle orme di S.Paolo: Antiochia sull’Oronte cioè dove i cristiani vennero chiamati così per la prima volta.
Ho “intuito e letto” questi avvenimenti come fossero un segno importante per la mia vita e per la missione. La missione ti viene donata da Dio e ci “usa per amare di più”. Credo fermamente che sia la scelta giusta per me in questo tempo della mia vita. Certamente non nego nulla di ciò che ho vissuto fino ad ora. Negli ultimi ventanni la mia riflessione, studio e missione è stata quella di inserzione e di baraccopoli. Dai tempi di padre Alex quando ci andò per la prima volta nel 1988, al mio vivere in Kenya per quattro anni studiando teologia e pastorale con i baraccati, ma anche nel lavoro pastorale con i giovani in Italia per i successivi cinque anni, la realtà delle baraccopoli è stata un punto di riferimento importante per la mia vita missionaria. E poi i 7 stupendi anni vissuti a Korogocho. Tanto lavoro, studio, riflessione e visione per un’Africa che cambia e va verso le città. Continuerò per quanto mi sarà possibile a sviluppare questo interesse e orientamento della missione. Noi non possiamo fermare la storia e i fenomeni sociali ma leggerla insieme e trovare soluzioni ai problemi e attrezzarci meglio. Possiamo accoglierla e discernere insieme come Chiesa e missionari per coglierne le potenzialità.
Non “tradirò” certo il lavoro e lo stile che mi ha caratterizzato in tutto questo tempo. Il Sudan offre nuove sfide grandi e interessanti che sento di accogliere gioiosamente. Ti scrivevo proprio l’anno scorso in quella lettera:
“Ti sarai accorto/a che ti sto scrivendo dal Sud Sudan e non da Korogocho o dal Kenya. No...non sono fuggito da Koch anzi!!Sono venuto qui per un paio di settimane invitato dai miei confratelli comboniani giovani a Juba, la nuova capitale del Sud Suan. Abbiamo condiviso qualche giorno formativo sul tema “leadership” nella nostra vita quotidiana e nel nostro istituto. E’ anche un momento di gioia per me! E’ la prima volta che vengo in Sudan la terra tanto amata da San Daniele Comboni, il nostro fondatore che ha donato interamente la sua vita per questa gente che a quel tempo veniva chiamata “Nigrizia” e non veniva ancora considerata parte della Chiesa Universale. Una grande sfida che ancora oggi si presenta a noi con sfumature diverse ma con la stessa intensità!! Grazie Daniele Comboni di averci aperto il cuore e la nostra vita a questa grande missione per l’Africa!!”
Questa nuova assegnazione mi sembra una grande opportunità e continuità della mia vita missionaria. Non avevo scelto io di andare in Sudan l’anno scorso ma ero stato invitato. Ed ora non sono stato io a scegliere di andarci ma mi è stato proposto dai miei superiori e sono certo anche dal Signore. Sento già di voler bene alla missione e alla gente che il Signore mi vuole affidare. Cercherò come sempre di donare il meglio di me stesso e se non ce la farò come piace a me, Lui farà il resto.
Il Sudan è la terra di san Daniele Comboni che egli ha tanto amato. Questo è un motivo in più per continuare il mio pellegrinaggio missionario di vita nelle grandi Terre Sante (Palestina per Gesù, Turchia per la Chiesa, Sudan per Comboni). Ho sempre considerato questa terra un “luogo privilegiato” perché da qui tutto è partito. E per i Comboniani e la Chiesa é ancora missione difficile e dura. Ed ora che mi appresto ad andarci mi sento onorato di poter continuare a viverla sulle orme di Comboni, un uomo che ha dato tutto sé stesso per gli africani, fino alla morte con un grande cuore universale.
L’anno scorso nella mia visita di due settimane rimasi molto impressionato di Juba, la capitale del Sud Sudan. Dicono che sia già un milione di persone ma ciò che mi impressionò era la velocità della sua estensione dopo soltanto 4 anni dal trattato di pace firmato nel 2005. E questa non è l’unica città che ha visto l’incremento della sua popolazione soprattutto giovane. Anche quelle secondarie sono cresciute a dismisura. Un fenomeno urbano che conosco troppo bene venendo dal Kenya e avendoci speso decenni di studio e di lavoro.
Ma il Sudan presenta realtà e situazione politica diverse dal Kenya. Nel 2005 si è firmato un accordo di pace tra il Nord (musulmano e arabo) e il Sud Sudan (Africa Nera, cristiano ed animista) dopo 20 anni di guerra e milioni di morti e rifugiati. Il Sud, era un paese allo sfascio: tanta povertà, analfabetismo, mancanza di infrastrutture, fame, malattie e marginalizzazione. Lo è ancora oggi ma sta tentando di risalire la china con uno sviluppo veloce e selvaggio che porta le consuete problematiche. Un Popolo che è stato espropriato di tutto: dalle risorse petrolifere e minerarie a quelle umane, religiose e di dignità. Al riguardo voglio farti conoscere la situazione attuale proprio per aiutarti a collocarci insieme in questo nuovo contesto di presenza e missione.
Sudan: tempi difficili
Quello che segue è un’analisi estrapolata dal nostro bollettino Famiglia Comboniana del mese di settembre 09 sulla situazione del Sudan:
Durante le trattative che portarono nel 2005 alla firma del Comprehensive Peace Agreement (CPA), il National Congress Party (NCP), al potere a Khartoum aveva richiesto un periodo di transizione di dieci anni. Al Sudan People’s Liberation Movement (SPLM) sembrò eccessivamente lungo. Alla fine convennero su sei anni.
Punto chiave dell’accordo era il referendum con il quale a gennaio del 2011 il Sud dovrà scegliere se continuare a restare unito al Nord o separarsi. Ma prima del referendum l’accordo prevedeva alcuni passi importanti, con scadenze precise: la demarcazione del confine tra Nord e Sud, il censimento, le elezioni e la questione del territorio di Abyei.
Sei anni sembravano tanti. Invece ne sono già passati quattro e di cose da fare ne restano ancora molte. Il NCP, il partito di Omar Hasan Ahmad al-Bashir (il presidente che è stato condannato dal Tribunale Internazionale dell’Aja per genocidio in Darfur), che aveva digerito male l’accordo, mise in atto ogni mezzo per farlo fallire o svuotarlo dei suoi contenuti, così come aveva fatto con decine di accordi precedenti. Tra le tattiche usate: dilazione nell’esecuzione degli impegni presi, tentativi di dividere lo SPLM in modo da indebolirlo, sfruttare i casi di malgoverno nel Sud per dimostrare che i Sudisti non sono in grado di governarsi da soli.
Dei maggiori impegni presi e l’unico finora realizzato, anche se con ritardo, è stato il censimento (Aprile 2008). I risultati sono stati pubblicati più di un anno dopo e sono subito apparsi come inaffidabili. Il Sud li ha rifiutati, insistendo che per le elezioni è preferibile fare riferimento ai dati del 1956.
Per quanto riguarda il territorio di Abyei, il 22 luglio 2009 la corte internazionale di arbitraggio ha definito la zona che va sotto questo nome, limitandola a circa 10.600 Km quadrati. Ha innescato però una polemica sulle aree escluse a Est e a Ovest, aree ricche di petrolio. Khartoum ha subito dichiarato che queste aree sono parte del Nord (Kordofan), mentre i Sudisti hanno dichiarato che sono parte del Sud (Upper Nile). Questo spinoso problema è di competenza della commissione che deve definire dove passa il confine tra Nord e Sud ma questa commissione non ha ancora iniziato il suo lavoro.
Un’altro problema sono le elezioni. Si sarebbero dovute tenere a luglio 2009. Sono state rimandate a febbraio 2010, poi ad aprile 2010. In agosto 2009 è stata pubblicata la lista dei distretti elettorali, basata sui dati offerti dal censimento (Aprile 2008) ma rifiutata dallo SPLM. Secondo questa lista, i distretti elettorali sarebbero in tutto 450, di cui solo 88 nel Sud. Lo SPLM non ha accettato questi numeri, dichiarando senza mezzi termini che non vuole essere parte di un programma che nasce da un imbroglio. E ha ribadito la richiesta che per stabilire i distretti elettorali si devono usare i dati del censimento del 1956. È opinione comune, infatti, che la popolazione del Sud Sudan sia un terzo della popolazione a livello nazionale e non soltanto un quinto, come indicherebbe il censimento di aprile 2008.
Un punto sul quale lo SPLM non pare disposto a cedere è il referendum. Salva Kiir, presidente del Governo semiautonomo del Sud, ha dichiarato pubblicamente l’11 agosto a Juba che chiunque avesse tentato di spostare la data del referendum a dopo il 9 gennaio 2011, dovrà assumersi la responsabilità delle conseguenze che ne potrebbero derivare. Ha addirittura accennato all’eventualità di possibile spargimento di sangue, cioè di una guerra.
Anche per il referendum, il Nord sta cercando di imporre dei meccanismi per rendere impossibile la vittoria dei separatisti. Due sono già emersi chiari: il primo, pretendere che per la separazione sia necessario raggiungere il 75% dei voti, mentre lo SPLM aveva proposto il 50% più uno; il secondo, limitare il voto solo ai cittadini fisicamente presenti nel Sud Sudan al tempo del voto, escludendo così quelli residenti al Nord e all’estero.
In questa situazione piuttosto tesa, prende piede l’idea che il Sud possa proclamarsi indipendente unilateralmente, senza aspettare il referendum. La minaccia, ventilata per la prima volta circa un mese fa durante una sessione del parlamento di Juba, è stata riproposta a metà agosto da personalità di spicco nello SPLM, addirittura sotto forma di ultimatum e come reazione al modo in cui il National Congress Party di Omar al Bashir vuole condurre il Referendum.
Alla situazione del paese ha fatto riferimento anche il Sudan Council of Churches (SCC), che raggruppa undici denominazioni ecclesiali, tra cui la Chiesa Cattolica, nella sua 17° Assemblea Generale tenutasi a Khartoum dal 10 al 14 agosto 2009. Il SCC ha lanciato un urgente appello: “Uniamoci tutti insieme per salvare la pace del nostro popolo”. Dopo aver ricordato l’impegno delle Chiese a sostegno dell’Accordo di Pace, il SCC ha espresso la sua preoccupazione per i rischi che la pace sta correndo a motivo dei vari conflitti in atto nel Sud e in altre parti del paese, la corsa agli armamenti e la mancanza di sicurezza. Ha fatto un appello accorato ai due partner del governo, NCP e SPLM, a risolvere le loro differenze e a non mancare all’appuntamento delle elezioni e del referendum, dalle quali dipende il destino del paese.
Purtroppo la situazione politica, economica e sociale non è certamente delle migliori. Ma te la racconterò prossimamente in qualche altra lettera agli amici. E proprio per questo ti chiedo di pregare per me e per i miei confratelli e la gente del Sudan. Perché davvero trionfi la Pace, la Giustizia e la Verità.
ULISSE O ABRAMO? Alla ricerca della Vera Vita…..
Questo stralcio dal racconto Con o senza biglietto di ritorno del filosofo ebreo Emmanuel Levinas è un’icona sapienziale del cammino della vita. Mi piace dedicarlo a te e a questa mia nuova missione. perché ora più che mai, dopo aver vissuto un tempo di riflessione, silenzio, preghiera, studio nelle Terre Sante del Cristianesimo sento di vivere più in pienezza la spiritualità del pellegrino, così necessaria in un tempo così complesso di questo mondo:
“Ulisse parte. Abramo parte. Un viaggio e un esilio. L’uno con la speranza di ritorno, l’altro verso un’altra terra, una terra straniera che diventerà sua. Uno ritorna, l’altro non cessa di camminare. Uno a casa sua, l’altro altrove. Uno verso l’ambiente famigliare dell’isola natale, l’altro verso l’incognita di un paese di cui non è originario. L’uno e l’altro certamente trasformati dalla strada, la polvere, le prove e gli incontri. Tuttavia, il loro cammino può essere identico? Il primo fa l’esperienza del ritorno alle stesse cose,e il secondo l’esperienza di un’alterità infinita che, alla fine, non è tanto quella della meta quanto quella di Dio. Due partenze. Poi, un ritorno e una chiamata.
Non si valuta allo stesso modo quello che si è lasciato, né il cambiamento avuto lungo il cammino, rispetto a un ritorno o rispetto a Dio. Perché Abramo, più di Ulisse,richiama la figura del pellegrino? Il viaggio di Ulisse è circolare; egli ritorna a quello che conosce, ed è appagato da questo ritorno. Abramo è libero riguardo ai luoghi: qui o là, quello che importa è Colui che guida. Il cammino di Abramo è desiderio; non ha mai finito di lasciarsi sorprendere dall’inaudito di Dio, e non vuole un luogo dove fissare Dio. Il cammino di Abramo ci insegna che Dio stesso è nomade, giacchè non si lascia delimitare da nessuna nostra parola o rappresentazione: non si può dire “eccolo qui” o “eccolo là”. Dio chiama altrove. Abramo è condotto al di là di quello che pensava, di quello che avrebbe potuto prevedere ascoltando la promessa che l’ha messo in cammino. Poiché Dio stesso è sempre ancora al di là di quanto scopriremo su di lui in tal luogo o in tale passaggio: Dio è sempre più grande.
Sui passi di Abramo, il cammino ci trasforma veramente se ci lasciamo condurre al di là delle nostre attese – buone o giuste che siano -. Se non cerchiamo di tornare al già conosciuto, né di ripetere quello che fu bello in altre occasione. Partire è perdere, perdere senza aspettare un contraccambio, senza sapere quello che si troverà o che sarà dato. Osare di essere sconfitto, rischiare di perdersi, per lasciarsi plasmare da Colui che sorprende, piuttosto che preferire la comodità delle certezze, delle tracce segnate dalle boe.
Perdere ciò che si era previsto, lasciare quello che si conosce senza la volontà di tornare indietro: è forse la condizione necessaria per “guadagnare il mondo intero”: guadagnarlo non per sé, ma lasciarsi offrire da Colui che invia. Lasciarsi inviare, per esplorare la terra intera, per cercarvi, in ogni cosa, in ogni incontro, Colui che ha promesso la sua presenza su tutta la terra. Facendo eco alla promessa che mette in cammino Abramo, il pellegrino, oggi, ascolta l’appello di Gesù “ad andare per il mondo intero” amando questo mondo come lo ama Dio.”
Personalmente mi sento molto attratto dalla figura e vocazione di Abramo. Un uomo senza terra che si sente chiamato a “camminare” come un pellegrino. Ma non è una proposta di vita soltanto per me. Schierarsi con Ulisse o Abramo, preferire il viaggio o l’esilio, con o senza biglietto di ritorno non basta. Non è sufficiente. Occorre andare alla radice del nostro modo e stile di “camminare nella vita e sceglierne la direzione”. Per fare questo ci possono aiutare tre prospettive:
la prospettiva del desiderio, del lasciarsi guidare da una “stella” che porta con sé una promessa, un dono…come i re Magi.
la prospettiva del Magis, del di più, del metterci in cammino animati da un di più di ricerca, di amore, di servizio, da un al di là che continuamente ci stana dalle nostre sicurezze e pigrizie…come il racconto del pellegrino russo;
la prospettiva del perdere, del camminare leggeri e liberi dalle tante pesantezze o sicurezze…come il samaritano.
In queste prospettive i cammini di Ulisse e di Abramo non si contrappongono, ma si completano, non si escludono ma si integrano. Diventano percorsi pedagogici di crescita, di ricerca, di conversione per una maturità personale libera e responsabile. Sono percorsi intensi e a volte difficili ma che valgono la pena di essere tentati per riscoprire quotidiniamente la propria Libertà e la Vita in pienezza.
SALUTANDOTI….
Salutandoti in amicizia e fraternità ti auguro ogni bene. Continuerò a pregare per te e per la tua famiglia e per i tuoi sogni nascosti. Che il Signore della Vita ti accompagni sempre! Teniamoci in comunicazione di preghiera e di amicizia. Le tue preghiere ed amicizia le ho sentite sempre durante il tempo vissuto a Korogocho durante le lotte e le difficoltà che incontravamo. Devo confessare che la gente di Korogocho mi manca molto. Così come la pastorale e i ministeri che vivevamo come comunità fraterna verso i malati, i poveri, i lebbrosi, bambini di strada e tanto altro. Ma quando si ama veramente si è capaci anche di saper lasciare crescere le persone che tu ami anche senza la tua presenza e con altri confratelli. In questi ultime settimane ho ricevuto sorprendentemente diverse emails da parte di diversi giovani e adulti di Korogocho. Mi esprimevano il loro rammarico di non avermi più tra loro ma allo stesso tempo un ringraziamento al Signore perché tornavo in Africa, in Sud Sudan. E scrivevano: “You belong here….to Africa! We have prayed a lot for you to come back to our Continent!” “Tu appartieni all’Africa! Abbiamo pregato tanto perché tu tornassi nel nostro Continente!”. Davvero un bellissimo augurio per la nuova missione davanti a me espresso da persone che ho amato e che continuerò ad amare. Dio è davvero grande!
Mungu akubariki! Dio ti benedica! Ti auguro un mondo di Pace!
Padre Daniele Moschetti
Missionario Comboniano
P.S. 1: PER CHI RICEVE LA LETTERA AGLI AMICI VIA POSTE ITALIANE: nel caso tu avessi un tuo indirizzo email mandalo al mio indirizzo email così che ti invierò le prossime lettere agli amici via posta elettronica. Risparmieremmo soldi e tempo!
P.S. 2: IL MIO INDIRIZZO EMAIL rimane lo stesso nonostante cambi di missione quindi: daniele@korogocho.org .
Invece per la posta cartacea il mio nuovo temporaneo indirizzo sarà:
P.DANIELE MOSCHETTI - COMBONI MISSIONARIES - P.O.BOX 1 - JUBA – SUDAN
Tel. 249 – 811-822385 di Juba
P.S. 3: PARTIRO’ VENERDì 18 SETTEMBRE
1 commento:
good start
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