Crescita: i provvedimenti da prendere
di Jérôme Anciberro
in www.temoignagechretien.fr del 5 maggio 2012
traduzione: www.finesettimana.org
Il collettivo Roosevelt 2012 propone quindici provvedimenti per uscire dalla crisi. Alcuni sono provvedimenti urgenti, altri servono per far nascere un nuovo modello di sviluppo, ed altri, infine, per cambiare l'Europa. Piccolo florilegio. Scavalcare le banche private per finanziare il grosso del debito Per aiutare il sistema bancario in piena tormenta, la Riserva federale americana ha segretamente prestato alle banche in difficoltà circa 1 200 miliardi di dollari al tasso di favore dello... 0,01%. In tempi normali, questo tasso sarebbe dell'1%. Oggi, la Spagna è obbligata a chiedere prestiti sui mercati finanziari al 6%, la Grecia al 12%. Schiacciati da questi tassi d'interesse enormi, gli Stati bloccano le pensioni, diminuiscono gli stipendi ai dipendenti statali, riducono i livelli minimi delle prestazioni sociali o condizionano i loro versamenti in maniera sempre più drastica. Insomma, instaurano l'austerità per poter rimborsare il loro debito... continuando ad indebitarsi.
“È normale che, in periodo di crisi, le banche private possano beneficiare di tassi preferenziali mentre gli Stati sono obbligati a pagare tassi seicento o mille volte più elevati?” chiede Pierre Larrouturou. In Europa, per il rispetto dei trattati, la Banca centrale europea non ha il diritto di prestare agli Stati membri. Ma è autorizzata a fare prestiti agli organismi pubblici di credito e alle organizzazione internazionali.
È quindi possibile, senza modificare i trattati europei, che la BCE presti allo 0,01% alla Banca europea di investimento, alla Cassa depositi e prestiti o alle diverse banche centrali nazionali, che possono a loro volta prestare gli Stati allo 0,02%. Questi ultimi potrebbero così rimborsare i vecchi debiti senza annegare sotto nuovi prestiti a tassi elevatissimi. Politicamente, si tratta semplicemente di scegliere le nostre priorità: o assicurare i rendimenti delle banche private e dei loro azionisti, oppure darsi i mezzi per salvare il nostro sistema sociale nel suo insieme.
Riprendere in mano la fiscalità
Nel giugno 2010, il deputato (UMP) Gilles Carrez pubblicava un impressionante rapporto che mostrava che se si annullava l'insieme delle diminuzioni d'imposta votate dal 2000, lo Stato
[francese] avrebbe avuto ogni anno 100 miliardi in più in cassa. In altri termini, se si tornasse alla fiscalità esistente prima del 2000 – che non aveva niente di sovietico... - il deficit pubblico attuale [della Francia], che ammonta a 90 miliardi di euro, si trasformerebbe in eccedente. Alcuni hanno evidentemente avuto benefici da queste diminuzioni di imposte, ma non ne ha certo beneficiato l'economia globale del paese. Senza necessariamente tornare indietro di dodici anni – certi aggiustamenti sono stati forse necessari – si impone una riforma fiscale di ampia portata. Si può qui citare la famosa “rivoluzione fiscale” proposta dagli economisti Camille Landais, Thomas
Piketty e Emmanuel Saez (1), con l'istituzione di una nuova tassa, che unisca l'attuale tassa sul reddito ([in Francia] IRPP, che diventa sempre meno progressiva al di sopra di un certo livello di reddito), il contributo sociale generalizzato (CSG) ed altre tasse. Tale imposta sarebbe prelevata alla fonte sui redditi da lavoro e dal capitale in base ad una tabella chiaramente progressiva.
A livello europeo, è l'imposta sui redditi delle imprese che è opportuno ripensare. Oggi è in media del 25%, contro il 40% negli Stati Uniti d'America. In media, questo tasso è diminuito in Europa di circa un terzo in vent'anni. La causa? Il dumping fiscale di paesi che sono entrati nell'UE, come l'Irlanda, che ha abbassato il suo tasso al 12%, trascinando gli altri paesi in una concorrenza alla diminuzione fiscale
La situazione è semplice: non ci sono mai stati tanti redditi (550 miliardi di euro nel 2011 per le 600 maggiori imprese quotate europee), e mai l'imposta sui redditi delle imprese è stata così bassa! Negli Stati Uniti, è stato Roosevelt ad imporre un'imposta sul reddito delle imprese uguale in tutti gli Stati dell'Unione, per evitare la concorrenza tra di loro. L'Europa deve procedere allo stesso modo – nessuno Stato può del resto aumentare tale imposta senza rischiare di vedere le imprese
andarsene bruscamente in un altro Stato membro – il che permetterebbe del resto di assicurare alla UE delle risorse proprie, il che non avviene oggi.
Mettere al sicuro i lavoratori dipendenti e i disoccupati
Nel 2009, la Germania ha subito una recessione due volte maggiore rispetto alla Francia (-4,8%
contro -2,3%). Eppure questo choc economico si è concluso con un aumento della disoccupazione di sei volte inferiore rispetto alla Francia. Un miracolo? Niente affatto. La Germania aveva semplicemente attuato il sistema del Kurzarbeit (lavoro breve).
Il principio: invece di licenziare il 20% dei dipendenti, un'impresa che vede diminuire il suo giro d'affari del 20% diminuirà il tempo di lavoro del 20%, mantenendo tutti i dipendenti. Lo stipendio pagato dall'impresa diminuisce in funzione di questa riduzione di tempo, ma lo Stato assicura il mantenimento del reddito. Allo Stato costa meno questa operazione che non finanziare un disoccupato, se si tiene conto di tutti i costi, in particolare della perdita delle entrate fiscali e sociali.
Vista la gravità della crisi e la difficoltà a trovare presto un altro posto di lavoro, è anche urgente rendere più sicuro il percorso dei disoccupati, prolungando i periodi di indennità e migliorando il loro accompagnamento. In Danimarca, i disoccupati possono mantenere il 90% del loro reddito per quattro anni, a condizione di essere davvero alla ricerca di un lavoro o di fare corsi di formazione.
Nel 1933, il prolungamento dell'indennità ai disoccupati è stata una delle prime misure prese da Roosevelt.
Investire massicciamente nella casa
In Francia, la parte di reddito dedicata alla casa ha continuato a salire negli ultimi anni. I francesi pagano in media 12,40 € al metro quadrato per l'affitto (a parte Parigi e Nizza), contro l'8,40 € in Germania. La mancanza di alloggi, in particolare di edilizia popolare, è evidente. Come trovare i finanziamenti per lanciarsi in una vasta operazione di costruzione senza aumentare il debito?
Seguendo l'esempio dei Paesi Bassi. Lì, una buona parte dei fondi di riserva delle pensioni (FRR) è stato investito nella costruzione di case popolari piuttosto che essere investito in azioni sui mercati finanziari, come si fa in Francia. Risultato: più del 50% del parco case dei Paesi Bassi, oggi è gestito da cooperative collegate con i sindacati. Gli affitti sono più bassi rispetto alla Francia, le superfici maggiori, la mescolanza sociale migliore...
Una politica di costruzione e di rinnovamento massiccia creerebbe da 250 000 a 300 000 posti di lavoro. A lungo termine (vent'anni), l'investimento nell'edilizia è molto più redditizio che sui mercati finanziari: si ha sempre bisogno di abitare, gli affitti vengono pagati ogni mese, e poi finiscono per diminuire, il che aumenta il potere d'acquisto degli inquilini.
Tempo di lavoro e produttività
Tra il 1820 e il 1960, la produttività del lavoro è stata moltiplicata per due. È quintuplicata dal 1970. Questa rivoluzione della produttività è un dato fra i più importanti del nostro tempo. Il problema è che la durata del tempo di lavoro non ha seguito questa evoluzione recente. Tra il 1900 e il 1970, il tempo di lavoro era stato dimezzato: si era passati da 7 giorni di lavoro a 6, poi da 6 a 5. E la giornata di lavoro era passata da 12 ore a 8. E i dipendenti ci hanno anche guadagnatoprogressivamente 5 settimane di ferie.
In 70 anni, mentre la produttività aumentava poco, si era dimezzato il tempo di lavoro. Ma dagli inizi degli anni 70, quando la produttività ha fatto dei balzi da gigante e produciamo sempre più, non siamo più capaci di far evolvere il nostro contratto sociale: con poche differenze, con 38 ore di lavoro in media, la durata reale di un lavoro a tempo pieno è la stessa di trent'anni fa! Il lavoro è
condiviso in maniera sempre peggiore.
All'origine, la settimana di 35 ore doveva essere una tappa verso la settimana di 32, che avrebbe
obbligato le imprese a creare dei posti di lavoro. Lo si è completamente dimenticato... La riduzione del tempo di lavoro, diventata un tabù nell'era Sarkozy, deve nuovamente essere presa in considerazione come una delle poste in gioco centrali di una vasta negoziazione che rifonda il patto sociale il Francia. Senza un lavoro di fondo sulla questione, non si potrà risolvere il problema cruciale della disoccupazione.
Per saperne di più e dettagliatamente sui quindici provvedimenti proposti: www.roosevelt2012.fr
(1) Pour une révolution fiscale, Seuil/République des ideées. Oppure: www.revolution-fiscale.fr
--
Enrico Peyretti
http://www.peacelink.it/tools/author.php?=63
http://www.ilfoglio.info/
http://www.serenoregis.org/
http://cisp.unipmn.it/
Segnalo rass.stampa: http://www.finesettimana.org/
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