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lunedì 28 settembre 2009

UNA SOLA UMANITA': INTERVISTA A MONSIGNOR A.M. VEGLIO

Un articolo dell'"Osservatore romano" tratto da "La nonviolenza è in cammino". Mons. A.M. Vegliò è presidente dl Pontificio consiglio per i Migranti di cui segretario è mons. Marchetto. Shalom S.P.

UNA SOLA UMANITA'. NICOLA GORI INTERVISTA ANTONIO MARIA VEGLIO'
[Dal quotidiano "L'Osservatore Romano" del 25 settembre 2009 col titolo "Il
dovere della solidarieta' verso i rifugiati e i migranti" e il sottotitolo
"Intervista a monsignor Antonio Maria Veglio', a cura di Nicola Gori"]


Alla Chiesa non compete valutare le scelte politiche in materia di
immigrazione, ma spetta comunque la responsabilita' di richiamare tutti al
"dovere della solidarieta' verso coloro che vivono in situazioni di maggiore
vulnerabilita', come rifugiati e migranti". Lo afferma l'arcivescovo Antonio
Maria Veglio', presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i
Migranti e gli Itineranti, ricordando che quello all'asilo e' "un diritto
umano fondamentale", il cui rispetto "viene prima dei problemi concreti
legati alla sua attuazione". Anche se - riconosce - esistono difficolta'
economiche e giuridiche reali che richiedono "politiche lungimiranti".
Basate, come precisa l'arcivescovo, su una "conoscenza oggettiva del
fenomeno a livello internazionale" e orientate a "gestirlo tenendo in dovuta
considerazione i suoi differenti aspetti".
*
- Nicola Gori: Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma che la Chiesa
difende il diritto dell'uomo a emigrare e tuttavia non ne incoraggia
l'esercizio, riconoscendo che "la migrazione ha un costo molto elevato e a
pagarne il conto sono sempre i migranti". Non c'e' contraddizione tra queste
due asserzioni?
- Antonio Maria Veglio': Poste nei rispettivi contesti, le due affermazioni
non si contraddicono, ma si completano. In effetti, il fenomeno migratorio
esige di essere analizzato e interpretato da diverse angolature, per la
vastita' e la complessita' dei fattori che lo compongono. La visione del
Pontificio Consiglio anzitutto coglie le migrazioni come conseguenza di
situazioni di ingiustizia e come "male minore" per milioni di donne e
uomini, anziani e bambini che ne sono coinvolti. Tuttavia, e' pure
importante non trascurare l'elemento positivo e provvidenziale delle
migrazioni, che il magistero della Chiesa non ha mancato di mettere in luce
gia' a partire da quando, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, si
verificavano migrazioni di massa specialmente dal continente europeo verso
quello americano. Del resto, la migrazione e' un fatto complesso e
ambivalente, con elementi positivi e negativi, nei quali siamo interpellati
a riconoscere il progetto di Dio, in una dimensione cristiana. Dunque, si
tratta spesso di coniugare aspetti diversi, in modo che non accada che
nell'interpretazione sociologica prevalgano gli elementi negativi, mentre in
quella teologica si intravedano improvvisamente ingenui bagliori.
*
- Nicola Gori: Il Pontificio Consiglio si occupa di varie categorie di
persone, tra le quali i nomadi, i rifugiati, la gente del mare e della
strada. A proposito del dramma della tratta degli esseri umani, che colpisce
spesso bambini e donne, quali iniziative concrete promuove il dicastero?
- Antonio Maria Veglio': Secondo stime ufficiali, nel mondo sarebbero 2,5
milioni le vittime della tratta degli esseri umani. Per rispondere alla sua
domanda, prendo lo spunto da un esempio concreto: l'osservatorio pastorale
della Conferenza episcopale dell'America Latina (Celam) ha recentemente
diffuso le cifre sulla tratta dei migranti secondo un'inchiesta della
commissione nazionale dei diritti umani messicana, durata da settembre 2008
a febbraio di quest'anno. Ebbene, ogni mese in Messico spariscono piu' di
1.600 persone dirette irregolarmente negli Stati Uniti d'America. E' lo
scandalo del sequestro massiccio di immigrati, che sono oltraggiati e,
spesso, vengono liberati solo dopo aver pagato un gravoso riscatto a bande
organizzate, che contano su reti e risorse. Il Messico - come Paese di
origine, transito, meta e ritorno di migranti - rappresenta una delle
frontiere con la maggiore affluenza migratoria al mondo. Ogni anno, secondo
le cifre del Consiglio nazionale della popolazione, circa 550.000 messicani
emigrano negli Stati Uniti. Allo stesso tempo, negli ultimi tre anni
l'Istituto nazionale per la migrazione ha riscontrato una media annuale di
140.000 migranti senza documenti, in maggioranza dei Paesi dell'America
Centrale, che cercano di arrivare nel Paese nordamericano. L'ampiezza di
questo fenomeno costituisce una singolare sfida dovuta alla complessita' che
caratterizza l'immigrazione internazionale attuale. Inoltre questa
situazione risulta aggravata dalla grande estensione e dall'alto rischio dei
tragitti che le persone devono percorrere, che spesso le espone e le rende
vulnerabili a differenti violazioni dei loro diritti umani. Di solito i
migranti sono catturati a bordo dei treni che li portano oltre confine,
oppure mentre si nascondono nelle stazioni in attesa di partire. Dopo averli
maltrattati, i trafficanti chiedono ai migranti un riscatto dai 1.500 ai
5.000 dollari a persona. Cifre alla mano, il traffico potrebbe aver fatto
guadagnare ai malviventi almeno 25 milioni di dollari in soli sei mesi. In
questo contesto, come in altre situazioni simili in diverse zone del mondo,
il nostro Pontificio Consiglio esercita una particolare azione di promozione
e di sostegno alle conferenze episcopali, agli istituti religiosi e a tutti
quegli organismi, soprattutto di ispirazione cristiana, che gia' sono
presenti sul territorio e si occupano, nel vasto fenomeno della mobilita'
umana, anche della tratta dei migranti. Come dice la Costituzione apostolica
Pastor bonus, all'articolo 149, nostro compito e' quello di assistere il
Papa per dirigere "la sollecitudine pastorale della Chiesa alle particolari
necessita' di coloro che sono stati costretti ad abbandonare la propria
patria o non ne hanno affatto". Ecco perche' incoraggiamo il lavoro "in
rete" di tutte quelle cristallizzazioni regionali e continentali in favore
dei migranti, dei rifugiati e di altre persone in mobilita'. E' di esempio
la recente costituzione dell'International network of religious against
trafficking in persons (Inratip), una rete di religiose che opera sia nelle
nazioni di provenienza che in quelle di destinazione delle vittime della
tratta, che sono in maggioranza donne e bambini. In tal modo, si promuovono
solidi legami tra Chiese, organizzazioni caritative e istituzioni locali,
per avviare progetti in grado di studiare e stroncare il tragico fenomeno.
*
- Nicola Gori: Il Papa ha definito "doverosa" l'accoglienza di quanti
fuggono da situazioni di guerra e persecuzione, pur ammettendo che essa
"pone non poche difficolta'". Come si puo' salvaguardare il dovere
dell'accoglienza di fronte alle obiettive difficolta' che essa comporta?
- Antonio Maria Veglio': Quello dell'asilo e' un diritto umano fondamentale,
come recita la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo all'articolo
14. Il rispetto di tale diritto viene prima dei problemi concreti legati
alla sua attuazione. Si costituisce in tal modo la piattaforma di uno Stato
di diritto, il quale deve sentirsi impegnato a fare tutto il possibile per
rispettare i diritti umani fondamentali. Bisogna ricordare che l'80 per
cento dei rifugiati del mondo - che solo lo scorso anno 2008 sono stati 42
milioni - si trova nei Paesi in via di sviluppo, cosi' come la stragrande
maggioranza degli sfollati, stando ai dati diffusi dal "Global Trends", il
rapporto statistico annuale pubblicato dall'Alto commissariato delle Nazioni
Unite per i rifugiati (Unhcr). L'Unhcr si occupa di 25 milioni di persone,
fra i quali 14,4 milioni di sfollati e 10,5 milioni di rifugiati. Sono,
invece, 4,7 milioni i rifugiati palestinesi sotto la competenza dell'Agenzia
delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi
(Unrwa). Dai dati provvisori del 2009, poi, si assiste a un consistente
movimento forzato di popolazioni, principalmente in Pakistan, Sri Lanka e
Somalia. Concretamente, se fissiamo l'attenzione sui Paesi dell'Unione
europea, emergono chiare indicazioni sul diritto d'asilo: la Convenzione di
Ginevra sui rifugiati, la Carta europea dei diritti dell'uomo e le direttive
dell'Unione sul diritto d'asilo esplicitano la prassi concordata da adottare
nei confronti dei rifugiati riconosciuti come tali. I problemi sorgono, come
sempre, laddove vi sono risorse da condividere e ricchezze da distribuire,
vale a dire alloggio, casa, sanita', istruzione, impiego lavorativo, e via
dicendo. Lo Stato, in tale contesto, deve vigilare e agire in modo da
garantire questi beni a tutti, autoctoni e non, comprese le fasce di
popolazione piu' vulnerabili, tra cui vi sono i rifugiati. Ora, per il fatto
che essi pesano, soprattutto inizialmente, sulle casse dello Stato - sono
gli ultimi arrivati e sono stranieri - negli ultimi decenni e' stato facile
per alcune frange di certi Paesi europei, come Germania, Svizzera, Gran
Bretagna, Austria e Olanda, identificarli come intrusi e approfittatori dei
sistemi di assistenza sociale. Invece, nei recenti Paesi di rifugio - come
Italia, Grecia, Malta e nazioni dell'Est europeo - il rifugiato e' ancora
troppe volte confuso con l'immigrato per motivi economici e non gode dei
dovuti sostegni sociali. In effetti, non bisogna dimenticare che i motivi di
fuga sono molto complessi e spesso le persone non scappano da persecuzioni
politiche direttamente rivolte alle loro persone, ma da situazioni generali
di pericolo e di violazione dei diritti umani, che rendono la vita
impossibile in numerosi Paesi, per cui risulta difficile distinguere tra
migranti "economici" e rifugiati. Il vero problema, poi, risiede
nell'accesso allo status di rifugiato. Dal momento, infatti, che esso
reclama diritti, gli Stati tendono a concederlo a un numero limitato di
persone per risparmiare denaro e strutture, anche perche' tendenzialmente le
domande si moltiplicano. Di anno in anno, comunque, le leggi riguardanti
l'asilo in Europa si fanno sempre piu' restrittive. La tendenza recente
sviluppata dai Paesi dell'Unione europea e' quella della esternalizzazione
del diritto d'asilo, che mira a impedire l'accesso al territorio dell'Unione
e a obbligare i richiedenti asilo a fermarsi nei Paesi di transito. Non
compete al magistero della Chiesa valutare le scelte politiche in questo
campo, ma certo non posso eludere una considerazione generale, indirizzata a
tutte le persone di buona volonta', che domanda conto alla retta coscienza
del dovere di solidarieta' verso coloro che vivono condizioni di maggiore
vulnerabilita', come rifugiati e migranti, ma anche, mutatis mutandis,
anziani, disabili e malati terminali, nei confronti dei quali non possiamo
tollerare che si avallino tentativi che vanno contro il diritto alla vita.
E' ovvio che bisogna fare i conti con la limitatezza delle risorse, ma
dobbiamo anche chiederci: si sta gia' facendo il possibile per l'equa
distribuzione delle ricchezze? A che punto siamo con l'impegno, a livello
internazionale, per risolvere conflitti di lunga durata? Quali comportamenti
vengono adottati nei confronti di Governi dittatoriali che "producono"
migranti e rifugiati? Quali orientamenti stanno indirizzando la gestione del
fenomeno migratorio, in maniera lungimirante e non populista?
*
- Nicola Gori: La tutela della sicurezza e della legalita' e' conciliabile
con le dimensioni e le caratteristiche del flusso immigratorio che
attualmente interessa il continente europeo?
- Antonio Maria Veglio': E' probabile che sicurezza e legalita', in equa e
armonica simbiosi, non possano essere raggiunte pienamente in nessuna
societa'. Si constata, infatti, che nelle "societa' aperte", come quelle dei
Paesi democratici, caratterizzate dall'economia di mercato e dal libero
movimento di alcune categorie di persone, e' quasi impossibile non correre
rischi. D'altra parte, un eccessivo apparato di sicurezza rallenta la
mobilita' e gli scambi necessari ai sistemi economici e, cio' che
maggiormente conta, lede la liberta' di cui i cittadini sono legittimamente
gelosi. Nello specifico ambito migratorio, legalita' e sicurezza possono
essere favorite da politiche lungimiranti, che si basano sulla conoscenza
approfondita e oggettiva del fenomeno a livello internazionale e cercano di
gestirlo tenendo in dovuta considerazione i suoi differenti aspetti, senza
sottovalutare le conseguenze delle scelte politiche. Per fare qualche
esempio, possiamo senz'altro accertare che un'eccessiva chiusura delle
frontiere determina l'aumento dell'immigrazione irregolare e alimenta le
organizzazioni malavitose che trafficano esseri umani; poi, il mancato
investimento in progetti di inserimento dei figli degli immigrati nell'area
della formazione crea insuccesso e abbandono scolastico, alimentando il
disagio giovanile e la conseguente criminalita' o devianza; ancora,
l'insufficiente attenzione alla situazione abitativa di immigrati e
cittadini autoctoni piu' poveri favorisce la crescita di ghetti e di aree
socialmente degradate; infine, le paure dei cittadini possono essere
alimentate o sottaciute da chi amministra la cosa pubblica e da chi gestisce
i canali dell'informazione, anche in risposta a propri interessi. Tutto cio'
non puo' essere ingenuamente ignorato e deve essere affrontato con
oggettivita', per non rischiare di creare reazioni xenofobe e razziste. A
ogni buon conto, sicurezza e legalita' si raggiungono solo con il positivo
apporto di tutti, anche degli immigrati. Allo stesso tempo, sia gli
immigrati che gli autoctoni devono poter vivere sicuri e rapportarsi in
egual misura alle leggi del Paese in cui vivono.
*
- Nicola Gori: Le paure che si diffondono tra la gente nei confronti degli
immigrati sono gestibili attraverso appositi provvedimenti politici e
legislativi oppure e' necessario coinvolgere anche le istanze culturali,
educative e sociali?
- Antonio Maria Veglio': Senza dubbio non bastano le leggi per favorire la
crescita di una societa' integrata, in cui le varie componenti convivano
pacificamente e mutuamente si arricchiscano. Tutte le istanze culturali ed
educative devono essere coinvolte in un processo che e' epocale e riguarda
tutti gli ambiti di vita. L'Europa presenta gia' un volto multietnico,
multireligioso e multiculturale, ma ancor piu' manifestera' tali
caratteristiche nel futuro, in un dinamismo che investira' anche le
rimanenti aree del pianeta. Questo dato attualmente non puo' essere messo in
discussione. Negare la metamorfosi che sta avvenendo a livello
internazionale non solo e' un'assurdita' - smentita comunque dalla realta'
dei fatti - ma e' anche una scelta pericolosa e irresponsabile, perche' non
accetta di gestire un fenomeno che ha gia' assunto tratti strutturali e
globali, cercando di favorirne gli aspetti positivi e di ridurre quelli
negativi. E' necessario, quindi, offrire adeguati percorsi di formazione
alle nuove generazioni, in modo particolare, ma anche a tutta la
popolazione - sia autoctoni che immigrati - per prepararsi alla convivenza
con le diversita'. Certamente in questo processo i Governi devono essere in
prima linea, soprattutto legiferando e adottando opportuni provvedimenti per
dare impulso in misura corretta ed equilibrata a tale cammino di
apprendimento.
*
- Nicola Gori: La sfida che gli immigrati pongono alle comunita' si gioca
anche a livello ecclesiale oltre che sociale. Non vi e' il rischio di
perdere l'identita' cristiana di fronte a consistenti afflussi di rifugiati
appartenenti ad altre religioni?
- Antonio Maria Veglio': Il rischio potrebbe essere reale, quantunque io sia
convinto che l'arrivo di migranti e rifugiati appartenenti ad altre
religioni sia uno stimolo piu' che una minaccia per l'identita' cristiana.
In effetti, essi arricchirebbero se stessi e il nuovo ambiente se si
trovassero a confronto con una diversa identita' religiosa davvero solida e
coerente. A mettere in pericolo l'identita' cristiana e' piuttosto il
processo di avanzata secolarizzazione, che talora sta degenerando in
secolarismo intollerante e, nel vecchio continente, sta ormai facendo
perdere le radici cristiane dell'Europa, negate in sede istituzionale e in
alcuni ambiti della societa'. Di fatto, mediante il laicismo e il
relativismo, l'Europa sta costruendo una comunita' senza Dio e cio' non e'
solo un ostacolo alla sua identita', ma e' anche un impedimento alle
politiche di integrazione. Se fossimo coraggiosi testimoni del Vangelo,
forse un numero maggiore di migranti e di rifugiati, in ricerca e in fuga da
realta' oppressive, anche sul piano religioso, sarebbe affascinato dalla
fede cristiana o, quanto meno, essa sarebbe apprezzata per il suo contributo
nell'ambito culturale, storico e artistico. Mi pare, invece, che il
cristianesimo in Europa sia guardato con sospetto da migranti e rifugiati
non cristiani allorquando si lascia identificare con uno stile di vita che
lo contraddice e con la mancanza di genuina religiosita' da parte degli
autoctoni. Talvolta, poi, si paventa l'espansione demografica dei non
cristiani in Europa. Ma anche in questo caso dovremmo chiederci perche' non
siamo in grado di equilibrare il dinamismo demografico e, soprattutto, di
trasmettere la fede cristiana alle nostre nuove generazioni, che, per quanto
in calo, sono ancora numericamente in maggioranza.
*
- Nicola Gori: Sul terreno del rispetto dei diritti e della dignita' della
persona, crede che le Chiese siano adeguatamente impegnate nel sollecitare
le coscienze dei fedeli e della societa'?
- Antonio Maria Veglio': Le Chiese locali sono molto impegnate a
sensibilizzare cittadini e societa' al rispetto dei diritti e della dignita'
della persona umana, a seconda dei vari contesti nazionali in cui si
trovano. Talora, in verita', esse corrono il rischio di limitarsi
all'annuncio dei principi fondamentali o alla risposta immediata alle
emergenze umanitarie, forse senza tenere sufficientemente in conto che e'
necessaria anche un'adeguata formazione ed educazione cristiana, soprattutto
delle giovani generazioni. Infatti, accanto agli interventi sociali e alle
opere caritative, e' importante investire molto anche nella formazione dei
cristiani, affinche' possano comprendere a fondo e applicare negli ambiti
della societa' il rispetto dei diritti e della dignita' della persona.
Infine, per quanto riguarda i migranti, e' urgente superare il tono
assistenzialista, che prevale talvolta nelle prese di posizione di chi vede
nel migrante soltanto il povero disgraziato, mentre anch'egli e' portatore
di diritti e di doveri. Cosi' come e' indispensabile operare una corretta
sensibilizzazione dei media perche' offrano un'informazione obiettiva e
realistica.
*
- Nicola Gori: Quali sono le prossime iniziative e gli appuntamenti che ha
in programma il Pontificio Consiglio?
- Antonio Maria Veglio': I migranti non hanno pausa e anche durante il
periodo estivo il Pontificio Consiglio, sebbene a ritmo meno serrato, ha
continuato senza interruzioni la sua attivita' di promozione della pastorale
specifica della Chiesa nel mondo della mobilita' umana. Ora, comunque, ci
prepariamo a importanti appuntamenti, che ci porteranno in varie parti del
mondo. Dopo il terzo incontro nazionale di pastorale della mobilita' umana,
che si e' svolto a Brasilia, dal 16 al 18 settembre, celebreremo, nella sede
del nostro Pontificio Consiglio, il primo incontro europeo per la pastorale
della strada, dal 29 settembre al 2 ottobre. Nei giorni 27 e 28 novembre, a
Bhopal, in India, parteciperemo alla conferenza nazionale per la pastorale
dei nomadi nel continente indiano, mentre sempre nella sede del dicastero
organizzeremo l'incontro dei direttori nazionali della pastorale per i
circensi e i fieranti, l'11 e 12 dicembre. Nel frattempo, offriremo il
nostro contributo a diversi incontri dell'apostolato del mare in Finlandia,
Australia, India, Oceania, Giappone e Corea. Ma l'evento piu' significativo
sara' senza dubbio il VI congresso mondiale per la pastorale dei migranti e
dei rifugiati, che si svolgera' in Vaticano dal 9 al 12 novembre. E' un
appuntamento quinquennale di verifica, studio e progettazione, che
convochera' oltre trecento esperti e operatori internazionali della
pastorale dei migranti e dei rifugiati sul tema "Una risposta al fenomeno
migratorio nell'era della globalizzazione".
 
da nonviolenzaincammino
Che siamo in un regime, penso che ormai solo uno sciocco in malafede possa negarlo.
L'opposizione televisiva, dato che quella politica ha pensato da sola ad annichilirsi, viene quotidianamente sbeffeggiata dagli organi vicini al palazzo.

Anche il Vaticano è stato avvisato: non rompete le scatole...è stato l'avvertimento mafioso contro l'Avvenire e il suo direttore...

Che dire?

Ho già scritto più volte che un'opposizione può e deve nascere dai posti di lavoro, dai luoghi di vita e, perchè no? dai pochi spazi liberi, dai blog (finchè ci lasceranno scrivere e pubblicare) come questo e, per fortuna, dagli altri mille...

Un'opposizione pacifista, nonviolenta, antifascista e antirazzista.
Che sappia parlare a tutti coloro che sono colpiti da questo regime guidato da un Peron brianzolo...
Diamoci da fare, prima che sia troppo tardi...anche perchè non possiamo sempre contare sulle dinamiche interne, sulle contraddizioni del PDL...

In ultimo, regalo ai lettori una bellissima citazione, trovata su Il Fatto Quotidiano:


Trovo che la televisione sia molto educativa. Ogni qualvolta che qalcuno l'accende, vado in un'altra stanza e leggo un libro
(Groucho Marx)

venerdì 25 settembre 2009

PREGHIERA SILENZIOSA

( Mt. 6.6-8; Sof. 1.7 )

Il Signore è capace di udire la voce dell'Uomo in qualsiasi modo, sia quando usa la parola oralmente, sia quando questa parola è formulata solo nella mente.

Non occorre gridare per farsi sentire da Lui, né ripetere continuamente il Suo Nome perché porga orecchio alla nostra preghiera. Egli non ha come noi difetti di sordità materiale o spirituale.

È possibile che Egli oda sempre e tutto, ma che risponda in modo sensibile per noi solo quando Lui vuole. È una libertà che non sta a noi concedergli.

Quando i credenti pensano alla preghiera, condizionati dalle forme religiose presenti, tendono a identificarla con la preghiera orale, liturgica o pastorale, mentre sanno benissimo che la preghiera silenziosa, specie quella non organica, non strutturata in una forma precisa, è pure valida, preziosa, gradita a Dio.

Anzi, è più che certo che Dio ascolti e risponda, a Suo modo, a preghiere o a slanci spontanei espressi o non espressi a parole, che sono di fatto preghiera.

Il Signore del Silenzio è anche il Signore della preghiera silenziosa, del moto dell'anima, del sospiro di fede o di angoscia, del grido di disperazione, del pensiero puro, della promessa intima, dell'intuizione religiosa.

L'incontro del Suo Silenzio col nostro Silenzio è religione.

(Verbania 30.8.1991)

« Tu mi hai fatto conoscere ad amici che non conoscevo.

Tu mi hai dato un posto in case che non erano mie.

Tu hai ravvicinato ciò che era lontano,

e fatto dello straniero un fratello. »

Ti aspettiamo al culto del silenzio a Legnano in via A. Vespucci , 72 domenica prossima alle ore 16 (zona stazione). Info 392-1943729.

Avremo poi modo di conoscerci direttamene e parlare del nostro impegno per un altro mondo possibile.

Se non ti ritieni un/a presuntuoso/a che pensa di aver in tasca la Grazia di Dio (generalmente elargita dal buon mercato dei teologi o comprata con donazioni ecclesiastiche) pensiamo che anche tu possa cominciare un cammino con noi. In umiltà. Che tu sia battezzato oppure no, non ci interessa.

giovedì 24 settembre 2009

COMUNICATO per la STAMPA

"Appare vitale indossare i sandali della conoscenza umile e disarmata per andare a scuola dall'altro fino al crescere della sapienza altrui e ad arricchire il proprio patrimonio con la ricchezza, la profondità e la saggezza che risiede della tradizione e nella fede degli altri" (Tonio Dell'Olio - Pace)

Escono a settembre/ottobre quattro nuovi numeri della collana "Parole delle fedi", voci per un vocabolario interreligioso: "Identità" di Giacomo Coccolini, "Pace" di Tonino dall'Olio, "Poveri" di Gustavo Gutiérrez e "Sacro" di Laura Tussi.

Pace e Identità

La Collana Parole delle Fedi, analizza il linguaggio di uso comune alla luce delle varie confessioni religiose, senza alcuna pretesa di tracciare un catalogo esaustivo dei punti di vista di tutte le fedi ma offrendo il proprio con libertà, accoglienza e apertura dialogica, fino a rivisitarlo in un'ottica interreligiosa.

Tonino Dell'Olio con "Pace" fa una breve riflessione che analizza il ruolo della pace nelle scritture sacre senza nascondere le contraddizioni del sentimento religioso. A dispetto dei luoghi comuni per cui la religione in sé sarebbe causa scatenante dei conflitti, la Pace, nelle scritture non viene mai relegata a questione morale. È una norma da obbedire, un comando da osservare. Pur variamente intesa sta al cuore delle fedi e in alcuni casi ne costituisce il sapore, il senso, il fine, e la profondità.

Esiste tuttavia una diversa valutazione tra la sfera privata e quella collettiva da cui nessuna confessione è indenne e poco vale assolvere Dio quando il dramma delle guerre con il suo carico di morte, distruzioni e sofferenze resta tragicamente la realtà con la quale fare i conti.

Tonino Dell'Olio è sacerdote della Diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, consigliere nazionale di PaxChristi e membro dell'ufficio di presidenza di Libera. Ha contribuito alla creazione di Medlink, rete di associazioni italiane impegnate sul fronte dei diritti nel bacino del Mediterraneo. Fa parte della redazione di Mosaico di Pace e ha pubblicato diversi editoriali per "Liberazione".

In "Identità" Giacomo Coccolini traccia il percorso di un concetto chiave attraverso cui nel corso dei secoli l'Occidente si è autorappresentato ma che oggi viene sottoposto a forti critiche e assalti.

Se ne occupano da sempre la filosofia, le scienze sociali, la religione e la teologia, in questo breve saggio l'autore contestualizza le discipline in una situazione sempre più complessa e dai contorni a volte sfuggenti, dove anche l'elemento religioso gioca una parte di non poco conto.

Giacomo Coccolini insegna filosofia della religione presso L'ISSR di Bologna, ha scritto "Johann Baptist Metz" (Morcelliana 2007); Ospitalità di diritto (Bonomo Editrice 2008), "Interculturalità come sfida (Pardes Edizioni).

Poveri e Sacro

Gustavo Gutiérrez aggiunge un nuovo tassello al mosaico delle parole delle fedi, il termine "Poveri" è analizzato a partire da uno dei versetti più controversi dei Vangeli: Marco 25,31 -46, uno dei più importanti quando si parla del significato teologico della solidarietà verso gli ultimi, elemento chiave nella prospettiva dell'opzione preferenziale per il povero. Nella seconda parte del libro un contributo di Marco dal Corso ne spiega il significato nell'ottica della mondialità: in rapporto alla storia, alla globalizzazione, all'etica e alle religioni.

Gustavo Gutiérrez, sacerdote e teologo peruviano è considerato il fondatore della Teologia della Liberazione. Docente all'Università di Notre Dame (Indiana) non ha mai abbandonato l'attività con le comunità di base a partire dalle quali ha elaborato la sua visione teologica e spirituale.

Per ultimo esce "Sacro" di Laura Tussi dove l'autrice analizza dal punto di vista storico, teologico e sociologico, il rapporto tra realtà e mito, la sacralità della natura, la persistenza del sacro e la percezione da parte dell'uomo.

Laura Tussi è nata a Milano. Docente, ricercatrice nonché giornalista ha conseguito di recente la sua quinta laurea in Formazione degli Adulti, consulenza pedagogica e ricerca educativa. Collabora con peace link e altri siti web di analoga natura. Tra le sue opere più recenti ricordiamo Memorie e olocausto (Aracne 2009), Il disagio insegnante nella scuola italiana contemporanea" (Aracne 2009)

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martedì 22 settembre 2009

21 settembre 2009



di Giancarla Codrignani


Il 21 settembre sarebbe il giorno che l'ONU dedica al disarmo. In Italia hanno ricevuto le onoranze funebri i sei militari uccisi in Afganistan.


Della prima ricorrenza nessuno sa nulla e un pacifista che ha gridato "pace subito" (e neppure ha detto "ritiratevi") sembra - lo troviamo su you tube - essere stato trattenuto dall'assistenza come se fosse matto. Il lutto nazionale secondo la televisione ha emozionato la massa degli utenti con strumenti orientati a una compassione patriottica che turbava poco le coscienze.


Il mondo militare è cambiato, se è vero che nessuno nomina più la guerra senza aggiungere un aggettivo che la esorcizzi: anche i capi degli eserciti sanno che la guerra non ha più onore e che la sua realtà è solo quella della morte. Anche se preventiva o umanitaria la guerra uccide: non solo i nostri sei soldati, non solo ile centinaia della Nato e degli Stati uniti, ma anche le tante migliaia di civili, che non possono accettare questa prevenzione e questa umanità.


Infatti restiamo nella vecchia logica della risposta violenta: per estendere la democrazia dove ci sono dei confitti mandiamo in ritardo i soldati e non preventivamente i cooperanti e i maestri.


Le Nazioni unite non hanno potuto realizzare quella polizia internazionale capace di fare interposizione nei casi di gravi tensioni. Oggi autorizzano missioni che dovrebbero aprire le vie della pace e invece producono guai più gravi. In Afganistan un minimo di prudenza avrebbe indotto a riflettere sulle sconfitte inferte da parte dei talebani agli inglesi nel secolo XIX e ai russi nel 1989.


Ma vale la pena di riflettere su questi funerali. Tutti amiamo il paese che chiamiamo patria come tutti i popoli chiamano patria la terra dove sono nati e dove non sempre riescono ad avere i diritti di cittadinanza. Ma dovremmo insegnare a noi stessi e alle nuove generazioni a costruire, in tutte le patrie, la vita e non la morte. La morte, che può entrare anche nella volontà di bene, non deve diventare esemplare e suggerire che è dovere ripetere le gesta dei padri e vendicare i morti della nostra parte. A quei funerali la televisione ha evidenziato da protagonisti dei bambini. E altri bambini e ragazzi hanno seguito i telegiornali, non senza sentirne qualche suggestione. I piccoli rimasti senza il babbo (che era evidente che capivano che cosa veramente accadeva nella loro vita) sono stati indotti a ripetere, mentre echeggiavano le grida cupe dei parà, comportamenti impropri per l'elaborazione di un lutto così difficile per loro: il berretto della Folgore non è adatto a un bambino. E tanto meno un'educazione che riproponga a noi tutti la morte come dovere. Non possiamo non ricordare, neppure nelle strette della dura necessità, il monito di papa Giovanni: "la guerra è roba da matti" (alienum a ratione).

domenica 20 settembre 2009

Brunetta & Co: brucia il Reichstag?

A proposito di quello che sta accandendo in Italia...

...questa mattina ho visto lo show del ministro Brunetta, che parla di golpe della sinistra e di democrazia in pericolo.
Nei giorni scorsi ho ascoltato altri esponenti del centro (?) destra...e mi è venuto in mente un episodio...

Negli anni '30, prima delle elezioni in Germania, bruciò il Reichstag, il Parlamento tedesco. Il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi (quello di Hitler) riuscì a fare in modo che la colpa venisse data al KPD, il partito comunista tedesco.

Inutile dire chi vinse le elezioni...

martedì 15 settembre 2009

Deportati in Libia il 6 maggio 2009, 4 mesi dopo sono ancora detenuti.

Tra loro 24 rifugiati eritrei e somali, che grazie a un avvocato

italiano hanno denunciato il governo alla Corte europea. Per la prima

volta emergono le loro storie

L'Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, denuncia oggi

le politiche nei confronti degli immigrati. Persone, secondo l'esponente

dell'Onu, "abbandonate e respinte senza verificare in modo adeguato se

stanno fuggendo da persecuzioni, in violazione del diritto

internazionale". Tra l'altro, in un discorso previsto per domani, la

Pillay cita il caso del gommone di eritrei rimasto senza soccorsi tra la

Libia, Malta e Italia, ad agosto. E denuncia che "in molti casi, le

autorità respingono questi migranti e li lasciano affrontare stenti e

pericoli, se non la morte, come se stessero respingendo barche cariche

di rifiuti pericolosi".

Ma che fine hanno fatto i primi 227 africani respinti a maggio

dall'Italia? Redattore Sociale è andata a verificare, constatando che 24

rifugiati eritrei e somali, infatti, hanno denunciato il governo

italiano alla Corte europea. E per la prima volta emergono le loro storie.

Era il sei maggio del 2009. Le autorità italiane intercettarono nel

Canale di Sicilia tre gommoni con 227 emigranti e rifugiati a bordo. Per

la prima volta in anni di pattugliamento, venne dato l'ordine di

respingere tutti in Libia. Comprese le 40 donne. Quattro mesi dopo,

siamo in grado di dare un nome e una storia a quei respinti. Alcuni di

loro erano richiedenti asilo politico. E hanno nominato un avvocato

italiano, Anton Giulio Lana, del foro di Roma, perché li difenda

dinnanzi alla Corte europea dei diritti umani, a Strasburgo. Sono 11

cittadini eritrei e 13 somali. Quattro mesi dopo essere stati respinti,

si trovano ancora detenuti nei campi libici. Nonostante siano

richiedenti asilo politico, e nonostante siano difesi da un avvocato di

rango internazionale. Eppure il ministro Maroni aveva dichiarato: "La

Libia fa parte dell'Onu: lì c'è l'Unhcr che può fare l'accertamento

delle persone che richiedono asilo".(Ansa, 12 maggio 2009).

 

 

Chi sono i 24 rifugiati che hanno denunciato l'Italia alla Corte

Europea? Sono disertori eritrei, fuggiti dopo anni di servizio

nell'esercito, in un paese dove la coscrizione militare a tempo

indeterminato è diventata una delle armi del regime di Isaias Afewerki

per controllare la popolazione. Sono ex combattenti della seconda guerra

eritrea-etiope, che dopo aver disertato si sono consegnati alla polizia

eritrea per far rilasciare i genitori arrestati al posto loro. E poi ci

sono i cittadini somali sfuggiti alla violenza della guerra civile.

Uomini che a Mogadiscio hanno sepolto i parenti più cari e hanno

lasciato le case distrutte dai violenti scontri armati tra le forze

dell'Unione delle Corti islamiche e quelle del governo transitorio

federale della Somalia, spalleggiate dalle truppe etiopi.

 

 

Il ricorso depositato dall'avvocato Lana fa appello all'articolo 3 della

"Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà

fondamentali", che vieta la tortura e trattamenti inumani e degradanti,

oltre che la riammissione in paesi terzi dove esista un effettivo

rischio di tortura; all'articolo 13, che stabilisce il diritto a un

ricorso effettivo; e all'articolo 4 del quarto protocollo della

Convenzione, che vieta espressamente le deportazioni collettive.

 

Fuggito dalla Somalia, era già stato respinto nel 2008. La storia di 'A'

Nell'agosto del 2008 un peschereccio spagnolo salvò la vita a 49

naufraghi e li riportò a Tripoli. A. era uno di loro. Dopo 8 mesi di

carcere a 'Ain Zara si era imbarcato di nuovo a fine aprile. L'Italia lo

ha respinto

Sono 13 i cittadini somali che hanno depositato un ricorso alla Corte

europea dei diritti dell'uomo contro l'Italia per essere stati respinti

in Libia lo scorso 6 maggio. Conosciamo i loro nomi ma non possiamo

svelarli per motivi di sicurezza, dato che a tutt'oggi si trovano in

campi di detenzione in Libia. A. è uno di loro. Appartiene alla

minoranza degli Ashraf. È nato nel 1983 a Mogadiscio, ed è sempre

vissuto nella capitale fino a quando, nel 2006 è stato costretto a

abbandonare il paese, lacerato da anni di guerra civile e violenze

claniche. Gli Ashraf in particolare hanno dovuto subire negli anni

numerose persecuzioni da parte dei clan maggioritario del paese, gli

Hawiye. Nel 2004, il padre di A. venne ucciso per mano di un esponente

del clan degli Hawiye, che aveva cercato di estorcergli con la forza i

documenti attestanti la proprietà della loro casa. E lo stesso A. era

stato costretto sotto minaccia a divorziare dalla moglie. Dopo la morte

del padre, la responsabilità per il sostentamento e la tutela della

madre e della sorella, pesava su A. Ma soltanto due mesi dopo, la

sorella scomparve. L'avevano vista uscire di casa con una vicina. Si

pensa che l'abbiano portata in Yemen. La decisione di lasciare

Mogadiscio maturò nel 2006, dopo che le milizie delle Corti islamiche

ebbero preso il controllo della città. Per tutelare la propria

incolumità, A. fuggì in Etiopia, ma era senza documenti, e venne

arrestato alla frontiera e detenuto per otto mesi, prima di essere

rilasciato e ritornare in Somalia, a Hargeysa, da dove ripartì

immediatamente per Gibuti, e poi -- dopo un altro mese di carcere -- per

il Sudan, dove consegnandosi spontaneamente alle autorità venne

trasferito nel campo profughi di Kasala.

 

 

Cinque mesi dopo riuscì a attraversare il deserto del Sahara e a entrare

in Libia. Era il luglio del 2007. Un anno dopo, nell'agosto del 2008

riusciva a imbarcarsi per l'Italia. Ma l'imbarcazione rimase presto

senza carburante e finì alla deriva nel Canale di Sicilia. Passavano i

giorni e i soccorsi non arrivavano. Cinque persone morirono disidratate

e di stenti. La salvezza arrivò da una nave spagnola. Il peschereccio

"Clot de l'Illot", che il 22 agosto del 2008 attraccò nel porto di

Tripoli consegnando i 49 naufraghi alle guardie libiche. A. venne

nuovamente arrestato. A Tripoli, nel carcere di 'Ain Zara, dove venne

detenuto per otto mesi. Lo rilasciarono nell'aprile del 2009. Non volle

aspettare altro tempo, e comprò un passaggio sulla prima imbarcazione

diretta a nord, insieme a altri 45 passeggeri. E per la seconda volta in

un anno, venne respinto. Stavolta però dalle autorità italiane. Era il 6

maggio del 2009. Oggi, quattro mesi dopo, si trova ancora in un campo di

detenzione in Libia, pur essendo un potenziale rifugiato politico, e pur

essendo difeso da un avvocato dinnanzi alla Corte europea.

 

Aveva la protezione delle Nazioni Unite. L'Italia lo ha respinto

La storia di un rifugiato eritreo. Disertore dell'esercito, l'Acnur in

Sudan gli aveva riconosciuto l'asilo politico. Le nostre motovedette lo

hanno respinto in Libia a maggio. E oggi è ancora in carcere

Sono 11 i cittadini eritrei che hanno depositato un ricorso alla Corte

europea dei diritti dell'uomo contro l'Italia per essere stati respinti

in Libia lo scorso 6 maggio. Conosciamo i loro nomi ma non possiamo

svelarli per motivi di sicurezza, dato che a tutt'oggi si trovano in

campi di detenzione in Libia. Alcuni di loro erano già stati

riconosciuti rifugiati politici dall'Alto commissariato per i rifugiati

delle Nazioni Unite. Per esempio K., che nel settembre 2006 si vide

riconosciuto lo status di rifugiato in un campo profughi in Sudan.

Classe 1971, K. era stato arruolato nell'esercito nazionale eritreo nel

2000, per la coscrizione militare a tempo indeterminato cui sono

obbligati tutti i cittadini eritrei al compimento della maggiore età.

Dopo un anno e mezzo tuttavia, non vedendosi corrispondere nessun

salario mensile, il signor K. decise di disertare l'esercito. Ma la sua

latitanza durò poco. Nel 2004 venne individuato e arrestato dalla

polizia militare, trasportato a Korkogy e detenuto per due anni, dal

2004 al 2006. Nell'agosto del 2006 venne rilasciato e ricollocato nella

divisione dell'esercito dove si trovava precedentemente, presso Dar

Anto, nel Mandefra. K. stavolta decise di abbandonare il paese, e riuscì

a raggiungere clandestinamente il Sudan, dove rimase fino al febbraio

2007 in un campo profughi.

 

 

Tuttavia, temendo la deportazione da parte degli agenti dei servizi

segreti eritrei in azione lungo il confine, K. decise di emigrare in

Europa, e attraversò il deserto sudanese alla volta della Libia. Ma al

suo ingresso venne arrestato e detenuto per un mese nel centro di

detenzione di Ajdabiya, per poi essere trasferito nel centro di

detenzione dedicato agli eritrei, a Misratah, 200 km a est di Tripoli.

Vi rimase detenuto dall'aprile del 2007 alla fine del marzo del 2009. Un

mese dopo, alla fine dell'aprile del 2009, K. tentò la traversata del

Mediterraneo, verso l'Italia, su un'imbarcazione con circa 60 passeggeri

a bordo. Ma vennero intercettati e respinti dalle autorità italiane. Era

il 6 maggio del 2009. Oggi, quattro mesi dopo, si trova ancora in un

campo di detenzione in Libia, pur essendo difeso da un avvocato dinnanzi

alla Corte europea e pur essendo un rifugiato politico riconosciuto a

tutti gli effetti dalle Nazioni Unite, che evidentemente in Libia non

hanno alcuna influenza decisionale, se non riescono nemmeno a far uscire

da un centro di detenzione un loro assistito.

 

L'Italia denunciata alla Corte europea. Respingimenti contrari ai

diritti umani

L'avvocato Anton Giulio Lana ha ricevuto le procure da parte di 24

rifugiati somali e eritrei respinti in Libia il 6 maggio 2009.

Contestata la violazione degli articoli 3 e 13 della Convenzione, e

l'articolo 4 del IV protocollo

I respingimenti sono contrari ai diritti umani. E non per una

dichiarazione di principio, ma perché violano la giurisdizione italiana

e internazionale. Ne è convinto l'avvocato Anton Giulio Lana, che è

stato nominato difensore da 24 rifugiati somali e eritrei respinti dalla

Marina italiana lo scorso 6 maggio 2009 e che ha formalizzato il ricorso

alla Corte europea per i diritti umani (Cedu) di Strasburgo. Il ricorso

fa appello all'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei

diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che vieta la tortura e

trattamenti inumani e degradanti, oltre che la riammissione in paesi

terzi dove esista un effettivo rischio di tortura; all'articolo 13, che

stabilisce il diritto a un ricorso effettivo; e all'articolo 4 del

quarto protocollo, che vieta espressamente le deportazioni collettive.

 

 

Tutti articoli che secondo l'avvocato Lana sarebbero stati violati, dal

momento che le persone sono state respinte senza nessuna

identificazione, in modo collettivo, senza permettere di presentare

richiesta d'asilo politico e tantomeno di poter fare ricorso presso un

giudice. E sono state respinte in Libia, dove è documentata la pratica

di torture e trattamenti inumani e degradanti nei campi di detenzione. E

se è vero che i fatti sono occorsi in acque internazionali, è

altrettanto vero che gli emigranti respinti sono stati fatti salire a

bordo di unità marittime italiane, che in base all'articolo 4 del codice

di navigazione sono sotto la giurisdizione dello Stato italiano. E

quindi sotto il Testo unico sull'immigrazione, come modificato dalla

legge Bossi-Fini, che vieta il respingimento in frontiera di chi

presenta richiesta d'asilo. Il respingimento con accompagnamento alla

frontiera nei confronti degli stranieri che "sottraendosi ai controlli

di frontiera, sono fermati all'ingresso o subito dopo", non si applica -

secondo l'articolo 10, comma 4 del Testo unico -- "nei casi previsti

dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il

riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di

protezione temporanea per motivi umanitari".

 

 

Adesso si dovranno aspettare i tempi della pronuncia della Corte

europea. Il caso non rientra nei provvedimenti di urgenza, in quanto i

24 ricorrenti sono già stati respinti in Libia. Pertanto potrebbero

passare mesi prima che la Corte dichiari l'ammissibilità o meno dei

ricorsi e notifichi al governo italiano l'apertura delle indagini. Per

un'eventuale sentenza invece, potrebbero passare anni. Basti pensare che

ancora non è stata pronunciata la sentenza per i respingimenti in Libia

effettuati da Lampedusa nel 2005. Ad ogni modo, una volta che il ricorso

sarà dichiarato ammissibile, ci saranno 12 settimane di tempo perché

soggetti terzi depositino i loro interventi presso la Corte, in quello

che si annuncia come un ricorso chiave per il destino delle politiche di

contrasto all'immigrazione nel Mediterraneo.

 

''Eravamo in mare da 12 giorni''. Le testimonianze di due somali respinti

Uno di loro ha riferito che si trovava in gravi condizioni di salute al

momento del respingimento verso la Libia, e di non aver ricevuto nessuna

assistenza medica. Anche loro hanno fatto ricorso alla Corte europea

 

Una delle imbarcazioni intercettata dalle motovedette italiane il 6

maggio scorso e poi riportata a Tripoli, era in mare da 12 giorni. E i

passeggeri non hanno ricevuto nessun tipo di sanitaria una volta

riportati in Libia. È quanto dichiarato da due rifugiati somali che

hanno denunciato l'Italia alla Corte europea di Strasburgo per averli

respinti. B. fu costretto a lasciare la Somalia nel marzo 2008, per via

dell'instabilità del paese durante gli scontri tra le truppe delle Corti

islamiche e le forze del governo di transizione somalo. Dopo aver

attraversato clandestinamente Etiopia e Sudan, B. arrivò in Libia nel

luglio del 2008, per poi essere arrestato a settembre e detenuto per due

mesi. Nel febbraio del 2009 riuscì a imbarcarsi per la Sicilia, ma

finirono per sbarcare a Bengasi e vennero arrestati di nuovo dalla

polizia libica, per poi essere rilasciati nell'aprile del 2009. Subito

dopo tentò di imbarcarsi nuovamente, ma l'imbarcazione venne fermata in

mare dopo 12 giorni di navigazione. Su quella stessa barca viaggiava

anche il signor C. Anche lui somalo, di 25 anni, del clan dei Loboge,

era fuggito da Mogadiscio nel marzo 2007, quando le forze etiopi

invasero la capitale. Nel corso dei bombardamenti, la madre e il

fratello rimasero feriti e la loro casa venne distrutta dai

bombardamenti. Temendo persecuzioni da parte delle truppe etiopi, C. si

rifugiò temporaneamente nel campo per sfollati a Elasha, per poi

decidere definitivamente di fuggire nel dicembre del 2007. Raggiunse

prima il Kenya, e dopo 4 mesi a Nairobi riprese la rotta, prima verso

Addis Abeba, in Etiopia, poi verso il Sudan e la Libia, dove arrivò nel

novembre 2008. Per l'Italia si imbarcò alla fine di aprile del 2009, con

altre 90 persone. Anche lui ha dichiarato di essere rimasto in mare per

12 giorni, alla deriva, prima dell'intervento degli italiani, che li

ricondussero in Libia, ha aggiunto, senza procedere ad alcuno tipo di

indagine circa la nazionalità delle persone tratte in salvo. Tra

l'altro, il signor C. risultava estremamente malato all'epoca del

rimpatrio in Libia e nonostante ciò veniva comunque detenuto nel campo

di detenzione di Garaboulli, vicino Tripoli, senza che gli fossero

impartite le cure necessarie. (gdg)

Copyright Redattore Sociale

lunedì 14 settembre 2009

OGNI GIORNO CREO UNA NUOVA PATRIA


di Gezim Hajdari


Ogni giorno creo una nuova patria

in cui muoio e rinasco quando voglio

una patria senza mappe né bandiere

celebrata dai tuoi occhi profondi

che mi accompagnano per tutto il tempo

del viaggio verso cieli fragili

in tutte le terre io dormo innamorato

in tutte le dimore mi sveglio bambino

la mia chiave può aprire ogni confine

e le porte di ogni prigione nera

ritorni e partenze eterne il mio essere

da fuoco a fuoco e da acqua a acqua

l'inno delle mie patrie è il canto del merlo

ed io lo canto in ogni stagione di luna calante

che sorge dalla tua fronte di buio e di stelle

con la volontà eterna del sole

sabato 12 settembre 2009

www.inventareilfuturo.com, un sito dedicato a Danilo Dolci


Cari amici,

ringraziando Maddalena che ha segnalato questo sito, vi riporto la presentazione, invitandovi a visitarlo...

Giuliano


Presentazione - Work in Progress
Danilo Dolci. Fare presto (e bene) perché si muore è un’idea che nasce da un lavoro di rivisitazione, nonché di ampliamento del progetto Danilo Dolci nell’accademia del villaggio globale - http://danilo1970.interfree.it
Avvertenza
Realizzare un sito è un’operazione complessa, che richiede numerosi controlli: sul testo, sulle immagini e sulle relazioni che si stabiliscono tra essi. L’esperienza suggerisce che è praticamente impossibile pubblicare un lavoro privo di errori. Sarò quindi grato ai lettori che vorranno segnalarmelo.
Trappeto (Palermo), Estate 1997 - Autunno 2009
Gaetano G. Perlongo
_____________________
Gaetano G. Perlongo nasce a Solingen, in Germania, nel 1970 e vive a Trappeto, in provincia di Palermo. Dopo essersi diplomato in elettronica ha studiato fisica, spaziando, con notevoli risultati, dalla matematica speculativa alla fisica teorica e all’astrofisica. A Trappeto, paese adottivo del grande Danilo Dolci, Perlongo inizia il suo viaggio nel mondo delle parole in versi. Tra le opere di poesia ricordiamo: "La licantropia del poeta" (2001), "Il calabrone ha smesso di volare" (2002), "Il vuoto mistico della retta" (2003), "Nassiriya - Frammenti di voci dalla galassia terrestre" (2003), "Metessi" (2003), "La Mattanza. Poesie e Canzoni di protesta" (2004), "Le vene aperte della poesia (Appunti per un Seminario)" (2005) e "Rincorsa alle ombre" (2006). Per la saggistica, citiamo: "…il tenero amplesso tra l’aleph e l’universo «aforismi, pensieri e frammenti»" (2000), "Rumore di fondo. Meditazioni sull’Arte" (2006), "Filippo Grillo. La nuova alba della Cucurbita" (2007) e "Sintropia" (2002-2009). Il Centro Divulgazione Arte e Poesia e l’Unione Pionieri della Cultura Europea di Sutri (Viterbo), visti gli alti meriti acquisiti, in riconoscimento alla lodevole attività svolta in favore della cultura, gli conferisce, nel 2002, la nomina a Membro Honoris Causa a vita. Nell’ottobre del 2005 fonda il "Centro Studi e Ricerche Aleph". Ha insegnato presso la Libera Università Popolare "Danilo Dolci" di Partinico (Palermo). Attualmente tiene seminari e corsi di approfondimento di fisica e matematica a studenti liceali ed universitari - http://xoomer.alice.it/perlongo .
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Centro Studi e Ricerche "Aleph" Via Vittorio Emanuele, 47/49 90040 - Trappeto (Palermo) - Italy Phone + 39 091/8989830Mobile + 39 339/3255970

http://www.centrostudialeph.it/ centrostudialeph@interfree.it
"Danilo Dolci. Fare presto (e bene) perché si muore" è un progetto del Centro Studi e Ricerche Aleph, sviluppato da Pertronicware

venerdì 11 settembre 2009

A scuola nessuno è straniero
Il tempo dell'inclusione

Convegno nazionale sull'intercultura nella scuola:
palazzo dei Congressi venerdì 9 ottobre 2009 Firenze

Da tempo sui banchi della scuola italiana siedono gli uni accanto agli altri bambini e ragazzi che hanno origini, lingue e storie diverse. La scuola è diventata sempre di più lo spazio quotidiano e decisivo per costruire le condizioni e accompagnare le scelte dell’integrazione interculturale e dello scambio reciproco, della conoscenza e del riconoscimento di ciascuno. Da anni, gli insegnanti e i dirigenti scolastici progettano e realizzano – con gli enti locali, l’associazionismo, le risorse territoriali – interventi e azioni di accoglienza, insegnamento dell’italiano ai nuovi arrivati, educazione interculturale, mediazione linguistico-culturale... Lo hanno fatto e lo fanno, spesso in silenzio e nella solitudine, senza poter contare su riferimenti chiari, indicazioni comuni, mete condivise. E tuttavia, la scuola italiana in questi anni (vent’anni circa, per le aree di immigrazione più "antica"; dieci anni per le situazioni che vedono insediamenti più recenti) ha elaborato, faticosamente e con pazienza, un deposito di "buone pratiche" da diffondere e sistematizzare. Ha cercato anche di discernere tra interventi positivi ed efficaci e azioni controproducenti e semplificate, individuando le "cattive pratiche" che distanziano, separano, ostacolano gli apprendimenti e la partecipazione, anziché includere e innovare.
http://www.liberweb.it/ascuolanessunoestraniero/index.html
ringrazio Manuela per la segnalazione del sito su Danilo Dolci: prossimamente verrà 'saccheggiato' a dovere...
Giuliano

mercoledì 9 settembre 2009

UGUALI_DIVERSI: NOVELLARA, 11 12 E 13 SETTEMBRE

Gentilissimo,
Fervono i lavori nel cantiere di Uguali_Diversi (inaugurato nel 2008, l’anno europeo del dialogo interculturale, con il Festival delle Culture) che si riapre per la seconda tappa del progetto: una tre giorni di conferenze, confronti, tavole rotonde appuntamenti dal titolo suggestivo, “Immaginare futuro”, in programma venerdì 11, sabato 12 e domenica 13 settembre prossimi. Saranno “tre giorni per riflettere, discutere, capire” con i riflettori puntati su crisi, giovani, culture. “Immaginare futuro” è un viaggio nei meandri della crisi di oggi, che è crisi globale, non solo economico - finanziaria, ma crisi di valori, di prospettive sociali, di modelli di sviluppo, alla ricerca di possibili vie d’uscita e di nuovi orizzonti.Il Comitato scientifico è composto da David Bidussa, Fondazione GianGiacomo Feltrinelli, Milano - Paolo Branca, Università Cattolica, Milano - Gabriella Caramore, RAI, RADIO 3 - Alberto Melloni, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia - Salvatore Natoli, Università degli Studi Bicocca, Milano – Coordinamento Scientifico: Brunetto Salvarani. Interverranno: Lucio Bigi, Paola Bignardi, Maria Bonafede, Paolo Branca, Roberto Burdese, Gabriella Caramore, Paolo De Benedetti, Tonio Dell'Olio, Massimo Livi Bacci, Sergio Manghi, Luciano Manicardi, Alberto Melloni, Franco Mosconi, Paolo Naso, Salvatore Natoli, Maurizio Pallante, Romano Prodi, David Sassoli, Bruno Segre. Allego il programma dettagliato delle tre giornate e la informo che per tutte le notizie sulla manifestazione potrà fare riferimento al sito web www.ugualidiversi.org e al gruppo di facebook al quale le chiedo di aderire e di contribuire alla promozione. Sempre dal sito web sarà possibile iscriversi alla newsletter dell'evento per non mettere nessuna notizia... Con preghiera di massima diffusione ai suoi contatti,Cari Saluti.

Erica Tacchini
Segreteria organizzativaUGUALI_DIVERSI Immaginare futuro
tel 0522. 655457 fax 0522. 655466
LA FECONDA INQUIETUDINE DELLA RICERCA. IL SINODO VALDESE
A CONFRONTO CON L’ATTUALITÀ POLITICA ED ECCLESIALE


35173. TORRE PELLICE-ADISTA. Nessuna autorità, politica o ecclesiastica, può decidere del problema della verità e imporre una soluzione senza alternative. È questa “feconda inquietudine della ricerca” – come la chiamava Vittorio Subilia, pastore e teologo valdese scomparso nel 1988 – che ha accompagnato i lavori del Sinodo delle Chiese valdese e metodista, svoltosi nella consueta cornice di Torre Pellice dal 23 al 28 agosto scorsi.
Una ricerca che ha toccato i temi più caldi del panorama politico-sociale del nostro Paese, passando dal Pacchetto Sicurezza di recente approvazione alla sentenza del Tar del Lazio del luglio scorso sulla questione del credito per chi frequenta l’ora di religione cattolica (v. Adista n. 86/09), fino a lambire le sponde della complessa questione della ricerca sulle cellule staminali embrionali.
La prima lezione di laicità l’ha impartita nella sua predicazione, durante il culto di apertura, il pastore Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia di Roma. Prendendo spunto dal testo biblico di Geremia, “Cercate il bene della città .... Voi mi cercherete e mi troverete ... e io mi lascerò trovare da voi”, Garrone ha ricordato che “il bene comune non coincide con le visioni particolari di questo o quel gruppo, ma è inteso come uno spazio di eguale libertà e diritti per ognuno, qualunque sia la sua visione religiosa, morale o ideologica”. “Cercare il bene della città significa dunque sentirsi solidali con gli altri in una ricerca che non ha ricette date in partenza, ma che richiede una faticosa ricerca”: “Il bene della città - ha aggiunto quindi Garrone - non può mai essere il Bene con la b maiuscola, realizzato in base alla Verità con la V maiuscola, ma solo il bene che può risultare da una umanissima ricerca di giustizia”.
Garrone ha affrontato anche quello che si è rivelato poi il nucleo centrale di questo Sinodo, la questione dei migranti: anziché negare con “irrealistici schemi ideologici” che questi nuovi esuli “vengono a cercare il loro bene e contribuiscono al nostro”, ha esortato il teologo, “dovremmo avere l’umiltà di andare ad interpellare queste persone e chiedere a loro di farci l’esegesi di ‘dal suo bene il vostro dipende’”.
La questione è stata posta con grande forza anche dalla Commissione d’esame incaricata di istruire il dibattito sinodale che, richiamando i fondamenti teologi dell’accoglienza allo straniero, ha invitato il Sinodo a condannare le politiche migratorie promosse dal governo, sottolineando al contempo la rilevante presenza di migranti all’interno delle Chiese valdesi e metodiste che da anni partecipano a un programma della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (Fcei) denominato “Essere Chiesa insieme” (Eci). “Non è uno slogan - ha spiegato Paolo Naso, coordinatore del progetto e docente di Scienza Politica all'Università di Roma La Sapienza - ma una rete di Chiese che hanno scelto la strada della condivisione, dell'incontro e dello scambio”. “La Chiesa di Cristo è una - ha proseguito - e non può accettare le divisioni determinate dalle diversità linguistiche, etniche o culturali: da qui l'impegno a costruire percorsi comunitari e formativi comuni. Ma oggi, nel particolare contesto politico italiano, Eci è anche un grande laboratorio di integrazione, un modello ed una scuola di intercultura”.
I partecipanti al Sinodo hanno deciso quindi di indire, il 27 agosto, una giornata di digiuno, esprimendo così la loro “indignazione per le conseguenze che la legge 15 luglio 2009, n. 94 (il cosiddetto Pacchetto Sicurezza, ndr) ha, non soltanto sugli immigrati, ma anche sui cittadini italiani, sulla qualità della nostra democrazia e sul grado di legittimità del nostro ordinamento”. Una forma di protesta che il Sinodo aveva adottato già nel 1972 per dichiarare la solidarietà agli obiettori di coscienza incarcerati a causa del rifiuto di svolgere il servizio di leva e che ha ricevuto molte adesioni: dal segretario di Rifondazione Comunista, il valdese Paolo Ferrero, al senatore del Pdl, Lucio Malan, unico valdese presente in Parlamento in questa legislatura.
Il 25 agosto invece la Commissione bioetica della Tavola Valdese - che dalla sua nascita, nel 2000, segue i problemi connessi con lo sviluppo delle scienze biologiche e le loro ricadute nell'ambito sociale - ha presentato al Sinodo il documento sulle cellule staminali elaborato all’inizio del luglio scorso allo scopo di fornire da base al dibattito sinodale. Persuasi della necessità di “rinunciare ad ogni atteggiamento pregiudizialmente difensivo”, ritenendo “preferibile guardare al progresso scientifico in una prospettiva laica”, i membri della Commissione si sono espressi a favore della “possibilità che la ricerca si avvalga di embrioni ‘sovrannumerari’, altrimenti destinati alla distruzione”. “La direzione di ricerca sulle cellule staminali embrionali - ha affermato nel corso del dibattito sinodale Luca Savarino, coordinatore della Commissione e docente di Filosofia Politica all'Università del Piemonte orientale -, solleva grandi speranze, in ragione delle possibilità terapeutiche che essa dischiude, per combattere patologie che affliggono l’umanità e che attualmente sono giudicate inguaribili o incurabili”. Tale ricerca tuttavia “si colloca all’incrocio di enormi quesiti teologici, antropologici, etici ed economico-sociali”, ha proseguito, sottolineando la complessità dei fattori in gioco: libertà di ricerca, tutela della salute, equità nell’allocazione delle risorse sanitarie, salvaguardia dell’embrione: “valori tutti egualmente difendibili che entrano, talora, in aperto conflitto”.
La laicità, storico cavallo di battaglia della Chiesa valdese (al punto da divenire lo slogan della campagna otto per mille di quest’anno) è stata tra i temi più sentiti del Sinodo. Viva soddisfazione è stata espressa per la sentenza del Tar del Lazio dello scorso luglio, che, accogliendo il ricorso presentato da una serie di associazioni e Chiese (tra le quali anche quella valdese), ha stabilito che gli insegnanti di religione non possono intervenire nell’attribuzione del credito scolastico (come invece prevedeva un’ordinanza del ministro Fioroni prima e della Gelmini poi). “Crediamo - ha affermato in merito Adriano Bertolini, membro della Tavola valdese - si debba cogliere l’occasione di questa sentenza per aprire un grande confronto culturale su come la religione debba essere presente nel percorso formativo degli studenti italiani. Al di là della dimensione confessionale, infatti, vi è una rilevanza culturale delle religioni che deve essere riconosciuta e valorizzata”.
I lavori del Sinodo si sono conclusi con l’elezione delle cariche che hanno visto la riconferma per il quinto anno consecutivo di Maria Bonafede a moderatora della Tavola valdese. Prendendo spunto dal sermone sulla montagna (Mt 6,26-29), nel suo discorso conclusivo la Bonafede ha sottolineato come “con Gesù il Regno di Dio si è fatto vicinissimo, riconoscibile come amore che ci incontra: il Regno e la giustizia di Dio fanno della nostra vita una vita veramente umana, una vita che ha un centro, una vita che sa che ogni giorno è il giorno della partecipazione, della condivisione, dell’amore che si può spendere senza riserve”. (ingrid colanicchia)

tratto da Adista :: Archivio anno 2009 :: Adista Notizie n. 88
www.adistaonline.it

martedì 8 settembre 2009


ULISSE o ABRAMO??
Da Korogocho…a Gerusalemme…in Sud Sudan!


Castiglione Olona, 18 Settembre 2009
S.Giuseppe da Copertino

Carissimo, Carissima! Jambo!
Shalom! Amani! Salaam! Pace! Peace!
Che strani casi della vita! Quasi un anno fa ti scrivevo la mia ultima lettera da Korogocho proprio da Mapourdit, una missione in Sud Sudan. Ero andato a Juba, la capitale del Sud Sudan per una settimana per offrire un momento formativo sul tema Leadership ai miei confratelli giovani di quella provincia comboniana. E poi ero andato per una settimana a Mapourdit dove ero andato in visita ad un mio amico e compagno comboniano fratel Rosario Iannetti, medico chirurgo che lavorava nell’attiguo ospedale, con un centinaio di posti letto, proprio di fianco alla missione.-
E guarda caso, dopo il tempo vissuto in Palestina, studiando e visitando i luoghi di Gesù e dei discepoli, e un paio di settimane in Turchia in quella che è considerata la Terra Santa della Chiesa, ricevo la mia nuova destinazione di missione: il Sud Sudan. E dove? Mi hanno chiesto in tanti. E’ notizia proprio delle ultime ore che dopo qualche giorno a Juba, sarà proprio a Mapourdit La Provvidenza ha i suoi percorsi! Per il momento per cominciare ad imparare la lingua Denka e fare un po’ di ministero e poi si vedrà. Comunque desidero avere un buon tempo per imparare bene la lingua Denka perché la lingua è sempre la chiave per ogni rapporto con la gente: per conoscere la cultura, tradizioni, costumi e per fare comunione.
A dire il vero avevo chiesto di andare in Sudafrica (sempre sud è…) per continuare se fosse stato possibile un’eventuale missione in città e magari d’inserzione in una delle realtà di baraccopoli-townships che esistono in quel grande stato a sud del continente. Ma la provincia finora non è preparata a questo tipo di proposta. Così sono rimasto in attesa di nuove proposte.
Ero certo che il Signore mi conduceva in questo nuovo cammino e così è stato. Quando ricevetti la proposta di padre Teresino, il nostro padre generale, mi trovavo proprio a Tarso in Turchia, il villaggio di San Paolo. Ho chiesto di poterci pregare su un po’ e che avrei dato la mia risposta. Gli ho risposto positivamente qualche giorno dopo da un’altra importante tappa del nostro viaggio sulle orme di S.Paolo: Antiochia sull’Oronte cioè dove i cristiani vennero chiamati così per la prima volta.
Ho “intuito e letto” questi avvenimenti come fossero un segno importante per la mia vita e per la missione. La missione ti viene donata da Dio e ci “usa per amare di più”. Credo fermamente che sia la scelta giusta per me in questo tempo della mia vita. Certamente non nego nulla di ciò che ho vissuto fino ad ora. Negli ultimi ventanni la mia riflessione, studio e missione è stata quella di inserzione e di baraccopoli. Dai tempi di padre Alex quando ci andò per la prima volta nel 1988, al mio vivere in Kenya per quattro anni studiando teologia e pastorale con i baraccati, ma anche nel lavoro pastorale con i giovani in Italia per i successivi cinque anni, la realtà delle baraccopoli è stata un punto di riferimento importante per la mia vita missionaria. E poi i 7 stupendi anni vissuti a Korogocho. Tanto lavoro, studio, riflessione e visione per un’Africa che cambia e va verso le città. Continuerò per quanto mi sarà possibile a sviluppare questo interesse e orientamento della missione. Noi non possiamo fermare la storia e i fenomeni sociali ma leggerla insieme e trovare soluzioni ai problemi e attrezzarci meglio. Possiamo accoglierla e discernere insieme come Chiesa e missionari per coglierne le potenzialità.
Non “tradirò” certo il lavoro e lo stile che mi ha caratterizzato in tutto questo tempo. Il Sudan offre nuove sfide grandi e interessanti che sento di accogliere gioiosamente. Ti scrivevo proprio l’anno scorso in quella lettera:
“Ti sarai accorto/a che ti sto scrivendo dal Sud Sudan e non da Korogocho o dal Kenya. No...non sono fuggito da Koch anzi!!Sono venuto qui per un paio di settimane invitato dai miei confratelli comboniani giovani a Juba, la nuova capitale del Sud Suan. Abbiamo condiviso qualche giorno formativo sul tema “leadership” nella nostra vita quotidiana e nel nostro istituto. E’ anche un momento di gioia per me! E’ la prima volta che vengo in Sudan la terra tanto amata da San Daniele Comboni, il nostro fondatore che ha donato interamente la sua vita per questa gente che a quel tempo veniva chiamata “Nigrizia” e non veniva ancora considerata parte della Chiesa Universale. Una grande sfida che ancora oggi si presenta a noi con sfumature diverse ma con la stessa intensità!! Grazie Daniele Comboni di averci aperto il cuore e la nostra vita a questa grande missione per l’Africa!!”
Questa nuova assegnazione mi sembra una grande opportunità e continuità della mia vita missionaria. Non avevo scelto io di andare in Sudan l’anno scorso ma ero stato invitato. Ed ora non sono stato io a scegliere di andarci ma mi è stato proposto dai miei superiori e sono certo anche dal Signore. Sento già di voler bene alla missione e alla gente che il Signore mi vuole affidare. Cercherò come sempre di donare il meglio di me stesso e se non ce la farò come piace a me, Lui farà il resto.
Il Sudan è la terra di san Daniele Comboni che egli ha tanto amato. Questo è un motivo in più per continuare il mio pellegrinaggio missionario di vita nelle grandi Terre Sante (Palestina per Gesù, Turchia per la Chiesa, Sudan per Comboni). Ho sempre considerato questa terra un “luogo privilegiato” perché da qui tutto è partito. E per i Comboniani e la Chiesa é ancora missione difficile e dura. Ed ora che mi appresto ad andarci mi sento onorato di poter continuare a viverla sulle orme di Comboni, un uomo che ha dato tutto sé stesso per gli africani, fino alla morte con un grande cuore universale.
L’anno scorso nella mia visita di due settimane rimasi molto impressionato di Juba, la capitale del Sud Sudan. Dicono che sia già un milione di persone ma ciò che mi impressionò era la velocità della sua estensione dopo soltanto 4 anni dal trattato di pace firmato nel 2005. E questa non è l’unica città che ha visto l’incremento della sua popolazione soprattutto giovane. Anche quelle secondarie sono cresciute a dismisura. Un fenomeno urbano che conosco troppo bene venendo dal Kenya e avendoci speso decenni di studio e di lavoro.
Ma il Sudan presenta realtà e situazione politica diverse dal Kenya. Nel 2005 si è firmato un accordo di pace tra il Nord (musulmano e arabo) e il Sud Sudan (Africa Nera, cristiano ed animista) dopo 20 anni di guerra e milioni di morti e rifugiati. Il Sud, era un paese allo sfascio: tanta povertà, analfabetismo, mancanza di infrastrutture, fame, malattie e marginalizzazione. Lo è ancora oggi ma sta tentando di risalire la china con uno sviluppo veloce e selvaggio che porta le consuete problematiche. Un Popolo che è stato espropriato di tutto: dalle risorse petrolifere e minerarie a quelle umane, religiose e di dignità. Al riguardo voglio farti conoscere la situazione attuale proprio per aiutarti a collocarci insieme in questo nuovo contesto di presenza e missione.
Sudan: tempi difficili
Quello che segue è un’analisi estrapolata dal nostro bollettino Famiglia Comboniana del mese di settembre 09 sulla situazione del Sudan:
Durante le trattative che portarono nel 2005 alla firma del Comprehensive Peace Agreement (CPA), il National Congress Party (NCP), al potere a Khartoum aveva richiesto un periodo di transizione di dieci anni. Al Sudan People’s Liberation Movement (SPLM) sembrò eccessivamente lungo. Alla fine convennero su sei anni.
Punto chiave dell’accordo era il referendum con il quale a gennaio del 2011 il Sud dovrà scegliere se continuare a restare unito al Nord o separarsi. Ma prima del referendum l’accordo prevedeva alcuni passi importanti, con scadenze precise: la demarcazione del confine tra Nord e Sud, il censimento, le elezioni e la questione del territorio di Abyei.
Sei anni sembravano tanti. Invece ne sono già passati quattro e di cose da fare ne restano ancora molte. Il NCP, il partito di Omar Hasan Ahmad al-Bashir (il presidente che è stato condannato dal Tribunale Internazionale dell’Aja per genocidio in Darfur), che aveva digerito male l’accordo, mise in atto ogni mezzo per farlo fallire o svuotarlo dei suoi contenuti, così come aveva fatto con decine di accordi precedenti. Tra le tattiche usate: dilazione nell’esecuzione degli impegni presi, tentativi di dividere lo SPLM in modo da indebolirlo, sfruttare i casi di malgoverno nel Sud per dimostrare che i Sudisti non sono in grado di governarsi da soli.
Dei maggiori impegni presi e l’unico finora realizzato, anche se con ritardo, è stato il censimento (Aprile 2008). I risultati sono stati pubblicati più di un anno dopo e sono subito apparsi come inaffidabili. Il Sud li ha rifiutati, insistendo che per le elezioni è preferibile fare riferimento ai dati del 1956.
Per quanto riguarda il territorio di Abyei, il 22 luglio 2009 la corte internazionale di arbitraggio ha definito la zona che va sotto questo nome, limitandola a circa 10.600 Km quadrati. Ha innescato però una polemica sulle aree escluse a Est e a Ovest, aree ricche di petrolio. Khartoum ha subito dichiarato che queste aree sono parte del Nord (Kordofan), mentre i Sudisti hanno dichiarato che sono parte del Sud (Upper Nile). Questo spinoso problema è di competenza della commissione che deve definire dove passa il confine tra Nord e Sud ma questa commissione non ha ancora iniziato il suo lavoro.
Un’altro problema sono le elezioni. Si sarebbero dovute tenere a luglio 2009. Sono state rimandate a febbraio 2010, poi ad aprile 2010. In agosto 2009 è stata pubblicata la lista dei distretti elettorali, basata sui dati offerti dal censimento (Aprile 2008) ma rifiutata dallo SPLM. Secondo questa lista, i distretti elettorali sarebbero in tutto 450, di cui solo 88 nel Sud. Lo SPLM non ha accettato questi numeri, dichiarando senza mezzi termini che non vuole essere parte di un programma che nasce da un imbroglio. E ha ribadito la richiesta che per stabilire i distretti elettorali si devono usare i dati del censimento del 1956. È opinione comune, infatti, che la popolazione del Sud Sudan sia un terzo della popolazione a livello nazionale e non soltanto un quinto, come indicherebbe il censimento di aprile 2008.
Un punto sul quale lo SPLM non pare disposto a cedere è il referendum. Salva Kiir, presidente del Governo semiautonomo del Sud, ha dichiarato pubblicamente l’11 agosto a Juba che chiunque avesse tentato di spostare la data del referendum a dopo il 9 gennaio 2011, dovrà assumersi la responsabilità delle conseguenze che ne potrebbero derivare. Ha addirittura accennato all’eventualità di possibile spargimento di sangue, cioè di una guerra.
Anche per il referendum, il Nord sta cercando di imporre dei meccanismi per rendere impossibile la vittoria dei separatisti. Due sono già emersi chiari: il primo, pretendere che per la separazione sia necessario raggiungere il 75% dei voti, mentre lo SPLM aveva proposto il 50% più uno; il secondo, limitare il voto solo ai cittadini fisicamente presenti nel Sud Sudan al tempo del voto, escludendo così quelli residenti al Nord e all’estero.
In questa situazione piuttosto tesa, prende piede l’idea che il Sud possa proclamarsi indipendente unilateralmente, senza aspettare il referendum. La minaccia, ventilata per la prima volta circa un mese fa durante una sessione del parlamento di Juba, è stata riproposta a metà agosto da personalità di spicco nello SPLM, addirittura sotto forma di ultimatum e come reazione al modo in cui il National Congress Party di Omar al Bashir vuole condurre il Referendum.
Alla situazione del paese ha fatto riferimento anche il Sudan Council of Churches (SCC), che raggruppa undici denominazioni ecclesiali, tra cui la Chiesa Cattolica, nella sua 17° Assemblea Generale tenutasi a Khartoum dal 10 al 14 agosto 2009. Il SCC ha lanciato un urgente appello: “Uniamoci tutti insieme per salvare la pace del nostro popolo”. Dopo aver ricordato l’impegno delle Chiese a sostegno dell’Accordo di Pace, il SCC ha espresso la sua preoccupazione per i rischi che la pace sta correndo a motivo dei vari conflitti in atto nel Sud e in altre parti del paese, la corsa agli armamenti e la mancanza di sicurezza. Ha fatto un appello accorato ai due partner del governo, NCP e SPLM, a risolvere le loro differenze e a non mancare all’appuntamento delle elezioni e del referendum, dalle quali dipende il destino del paese.
Purtroppo la situazione politica, economica e sociale non è certamente delle migliori. Ma te la racconterò prossimamente in qualche altra lettera agli amici. E proprio per questo ti chiedo di pregare per me e per i miei confratelli e la gente del Sudan. Perché davvero trionfi la Pace, la Giustizia e la Verità.


ULISSE O ABRAMO? Alla ricerca della Vera Vita…..
Questo stralcio dal racconto Con o senza biglietto di ritorno del filosofo ebreo Emmanuel Levinas è un’icona sapienziale del cammino della vita. Mi piace dedicarlo a te e a questa mia nuova missione. perché ora più che mai, dopo aver vissuto un tempo di riflessione, silenzio, preghiera, studio nelle Terre Sante del Cristianesimo sento di vivere più in pienezza la spiritualità del pellegrino, così necessaria in un tempo così complesso di questo mondo:
“Ulisse parte. Abramo parte. Un viaggio e un esilio. L’uno con la speranza di ritorno, l’altro verso un’altra terra, una terra straniera che diventerà sua. Uno ritorna, l’altro non cessa di camminare. Uno a casa sua, l’altro altrove. Uno verso l’ambiente famigliare dell’isola natale, l’altro verso l’incognita di un paese di cui non è originario. L’uno e l’altro certamente trasformati dalla strada, la polvere, le prove e gli incontri. Tuttavia, il loro cammino può essere identico? Il primo fa l’esperienza del ritorno alle stesse cose,e il secondo l’esperienza di un’alterità infinita che, alla fine, non è tanto quella della meta quanto quella di Dio. Due partenze. Poi, un ritorno e una chiamata.
Non si valuta allo stesso modo quello che si è lasciato, né il cambiamento avuto lungo il cammino, rispetto a un ritorno o rispetto a Dio. Perché Abramo, più di Ulisse,richiama la figura del pellegrino? Il viaggio di Ulisse è circolare; egli ritorna a quello che conosce, ed è appagato da questo ritorno. Abramo è libero riguardo ai luoghi: qui o là, quello che importa è Colui che guida. Il cammino di Abramo è desiderio; non ha mai finito di lasciarsi sorprendere dall’inaudito di Dio, e non vuole un luogo dove fissare Dio. Il cammino di Abramo ci insegna che Dio stesso è nomade, giacchè non si lascia delimitare da nessuna nostra parola o rappresentazione: non si può dire “eccolo qui” o “eccolo là”. Dio chiama altrove. Abramo è condotto al di là di quello che pensava, di quello che avrebbe potuto prevedere ascoltando la promessa che l’ha messo in cammino. Poiché Dio stesso è sempre ancora al di là di quanto scopriremo su di lui in tal luogo o in tale passaggio: Dio è sempre più grande.
Sui passi di Abramo, il cammino ci trasforma veramente se ci lasciamo condurre al di là delle nostre attese – buone o giuste che siano -. Se non cerchiamo di tornare al già conosciuto, né di ripetere quello che fu bello in altre occasione. Partire è perdere, perdere senza aspettare un contraccambio, senza sapere quello che si troverà o che sarà dato. Osare di essere sconfitto, rischiare di perdersi, per lasciarsi plasmare da Colui che sorprende, piuttosto che preferire la comodità delle certezze, delle tracce segnate dalle boe.
Perdere ciò che si era previsto, lasciare quello che si conosce senza la volontà di tornare indietro: è forse la condizione necessaria per “guadagnare il mondo intero”: guadagnarlo non per sé, ma lasciarsi offrire da Colui che invia. Lasciarsi inviare, per esplorare la terra intera, per cercarvi, in ogni cosa, in ogni incontro, Colui che ha promesso la sua presenza su tutta la terra. Facendo eco alla promessa che mette in cammino Abramo, il pellegrino, oggi, ascolta l’appello di Gesù “ad andare per il mondo intero” amando questo mondo come lo ama Dio.”
Personalmente mi sento molto attratto dalla figura e vocazione di Abramo. Un uomo senza terra che si sente chiamato a “camminare” come un pellegrino. Ma non è una proposta di vita soltanto per me. Schierarsi con Ulisse o Abramo, preferire il viaggio o l’esilio, con o senza biglietto di ritorno non basta. Non è sufficiente. Occorre andare alla radice del nostro modo e stile di “camminare nella vita e sceglierne la direzione”. Per fare questo ci possono aiutare tre prospettive:
la prospettiva del desiderio, del lasciarsi guidare da una “stella” che porta con sé una promessa, un dono…come i re Magi.
la prospettiva del Magis, del di più, del metterci in cammino animati da un di più di ricerca, di amore, di servizio, da un al di là che continuamente ci stana dalle nostre sicurezze e pigrizie…come il racconto del pellegrino russo;
la prospettiva del perdere, del camminare leggeri e liberi dalle tante pesantezze o sicurezze…come il samaritano.
In queste prospettive i cammini di Ulisse e di Abramo non si contrappongono, ma si completano, non si escludono ma si integrano. Diventano percorsi pedagogici di crescita, di ricerca, di conversione per una maturità personale libera e responsabile. Sono percorsi intensi e a volte difficili ma che valgono la pena di essere tentati per riscoprire quotidiniamente la propria Libertà e la Vita in pienezza.
SALUTANDOTI….

Salutandoti in amicizia e fraternità ti auguro ogni bene. Continuerò a pregare per te e per la tua famiglia e per i tuoi sogni nascosti. Che il Signore della Vita ti accompagni sempre! Teniamoci in comunicazione di preghiera e di amicizia. Le tue preghiere ed amicizia le ho sentite sempre durante il tempo vissuto a Korogocho durante le lotte e le difficoltà che incontravamo. Devo confessare che la gente di Korogocho mi manca molto. Così come la pastorale e i ministeri che vivevamo come comunità fraterna verso i malati, i poveri, i lebbrosi, bambini di strada e tanto altro. Ma quando si ama veramente si è capaci anche di saper lasciare crescere le persone che tu ami anche senza la tua presenza e con altri confratelli. In questi ultime settimane ho ricevuto sorprendentemente diverse emails da parte di diversi giovani e adulti di Korogocho. Mi esprimevano il loro rammarico di non avermi più tra loro ma allo stesso tempo un ringraziamento al Signore perché tornavo in Africa, in Sud Sudan. E scrivevano: “You belong here….to Africa! We have prayed a lot for you to come back to our Continent!” “Tu appartieni all’Africa! Abbiamo pregato tanto perché tu tornassi nel nostro Continente!”. Davvero un bellissimo augurio per la nuova missione davanti a me espresso da persone che ho amato e che continuerò ad amare. Dio è davvero grande!
Mungu akubariki! Dio ti benedica! Ti auguro un mondo di Pace!
Padre Daniele Moschetti
Missionario Comboniano

P.S. 1: PER CHI RICEVE LA LETTERA AGLI AMICI VIA POSTE ITALIANE: nel caso tu avessi un tuo indirizzo email mandalo al mio indirizzo email così che ti invierò le prossime lettere agli amici via posta elettronica. Risparmieremmo soldi e tempo!

P.S. 2: IL MIO INDIRIZZO EMAIL rimane lo stesso nonostante cambi di missione quindi: daniele@korogocho.org .
Invece per la posta cartacea il mio nuovo temporaneo indirizzo sarà:
P.DANIELE MOSCHETTI - COMBONI MISSIONARIES - P.O.BOX 1 - JUBA – SUDAN
Tel. 249 – 811-822385 di Juba

P.S. 3: PARTIRO’ VENERDì 18 SETTEMBRE