Cari amici,
stefano mi ha inviato altro materiale tra cui questa intervista a Alex Zanotelli e Daniele Moschetti (di cui abbiamo parlato nell'ultimo post). L'intervista è un po' datata, ma si sa: repetita juvant!
Giuliano
Alex, con che stato d’animo esci da Korogocho ?
Come ho detto alla comunità, domenica scorsa, è di sofferenza e gioia. Sofferenza perché lascio i volti delle persone che amo, soprattutto i malati, gli emarginati, i bambini. Korogocho difficilmente lo trovi altrove. Anche con gioia perché bisogna, con il tempo, saper piantare le cose. Mi importa far vedere che parto con gioia. So che torno, ora, in un paese che è profondamente cambiato, dal punto di vista sociale, economico e politico.
Cosa ti ha dato Korogocho ?
Mi ha dato uno spessore umano, un supplemento d’umanità, soprattutto dai disperati della strada. In secondo luogo i poveri mi hanno insegnato a pregare (non ho mai trovato luoghi dove la gente prega intensamente come qui): questo è una grande grazia. Inoltre, lo ripeto sempre, i profeti non siamo noi. Noi siamo povera gente che cerca di camminare con i poveri. I veri profeti sono soprattutto coloro che vivono in discarica, vivendo dei nostri rifiuti e così facendo contestano un sistema che non fa altro che creare rifiuti ed obbliga la gente a dover vivere di essi. Penso che questa sia la vera profezia oggettiva. Quel che possiamo fare è dar voce a questo processo di liberazione.
Alex, che senti di dire a Daniele ora ?
Daniele già conosce questa realtà. Era già qui quando studiava. Non ha bisogno di consiglio. Intanto la comunità cristiana è cresciuta; ma anche in modo più largo, dato che son presenti anche i musulmani, con i quali si lavora su linee d’insieme. La realtà è dura e complessa: quindi bisognerà trovare altre strade.
Daniele, sai le tante questioni che abbiamo analizzato, anche in passato. Ora che sei a Korogocho ci puoi ricordare, in sintesi, il cammino che ti ha riportato alla baraccopoli ?
Beh, Alex ho iniziato a conoscerlo e ad intessere un’amicizia con lui partendo da Gallarate (Va), durante alcuni incontri pubblici. Ho lavorato per circa undici anni a Morazzone (Va), in ufficio spedizioni. Poi c’è stato l’’aggancio’ con Mani Tese. Ho fatto un campo di lavoro. Si sono iniziate ad aprire tante porte e soprattutto è cresciuta la voglia di servire i poveri, unitamente alla volontà di andare in Africa. E lì ho scoperto di essere chiamato ad una vita radicale (non dedicare solo qualche ora o mese). Entro nei Comboniani, sempre con l’ottica sugli emarginati, anche in Italia, nei quartieri e nelle parrocchie, ove c’è comunque tanta vita.
Lavorare, poi, con i giovani in Italia è stato arricchente per me e spero anche per loro. Ho cercato di arrivare a ciò che è fondamentale: far fare esperienza di Dio nella propria vita, con impegno, servizio ai più poveri e cercare di provocare la realtà giovanile, a volte ben nascosta dentro a quelle che sono le difese consumistiche e culturali che non ti fanno toccare la vita vera. Ho voluto dare una fisionomia nuova a quella che è una presenza comboniana ai giovani, sia ai cattolici sia non, a tutti coloro che erano in ricerca autentica: e ho scoperto dei bellissimi cambiamenti, che molti giovani hanno vissuto e stanno vivendo tuttora, d’impegno concreto con gli esclusi. Sono poi passato ad un’animazione più ampia con Ormegiovani, Nigrizia, il Giubileo degli Oppressi, le videocassette, il sito, puntando su: schiavitù, remissione del debito e stili di vita.
Mentre ero studente, avevo lavorato due anni a Kibera (il più grande slum a Nairobi) con i giovani e poi due anni a Korogocho, con gli alcolizzati.
Ora Alex è partito da una settimana (dopo la partenza di Alex l’immersione qui è totale; prima il punto di riferimento era lui, ora ci sono io e sono in super-attività), ma lo sentiamo sempre, qui, che combatte con noi. Sto crescendo molto da quando sono tornato [a settembre 01 in Africa e dicembre 01 a Korogocho].
Sono le dieci, ha appena piovuto e sto aspettando di andare a mangiare. Scusami se sono tanto stanco, ma di sera è normale questo, con tutti i viaggi a piedi avanti e indietro e le tensioni in baraccopoli. Qui le notti sono sempre molte corte; alle sei inizierò a sentire battere la porta, perciò prima si va a dormire, meglio si recupera.
Cosa pensi di portare ai veri profeti che vivono nelle baracche ?
Sicuramente porto tutto me stesso, con la voglia di condividere totalmente la mia vita (il che non è facile).
A volte i poveri sono duri, puzzano, pretendono, ti mettono veramente alle corde. Ma è qui la bellezza di scoprire Dio che è incarnato in ognuno di noi e quindi nei loro volti. Poi mi importa trasmettere la speranza, il desiderio di camminare insieme. Sogno una Korogocho che lotta per i propri diritti, per la propria sicurezza, per avere una casa decente, il lavoro e soprattutto un’educazione (il 50% dei bimbi non va a scuola; il sistema educativo keniano è crollato). E voglio cercare Gesù sofferente nei poveri del Mukuru, della discarica e tra gli alcolizzati. E questa è la parte più vera di Korogocho perché è la maggioranza della gente che vive così. E la maggioranza del mondo vive così; magari non ai livelli di Korogocho. Noi siamo l’eccezione, ma una vita sobria la vivono miliardi di persone.
Credo ad un Cristo che è dentro la storia, che combatte con noi; è dentro nei poveri. E’ dentro in ogni azione giusta e bella che ogni uomo di buona volontà, d’ogni religione vuole portare avanti per costruire un mondo diverso che è possibile cominciando da Korogocho.
E’ cambiato qui e ora rispetto ai tuoi primi anni a Nairobi ?
Ho trovato un Kenya e soprattutto una Nairobi molto più violenta e povera, in discesa libera dal punto di vista politico, sociale, sanitario. Se prima c’erano i poveri ora vi è sempre più la miseria. Vi è un continuo degrado culturale, di rapporti, di rispetto. La delinquenza cresce a vista d’occhio con ragazzi e ragazzini, perlopiù di notte. Poco fa, per esempio, ho incontrato un gruppettino di tre che mi han puntato le pile, pensando che fossi qualcuno da derubare. Poi mi conoscono e mi lasciano stare. Ma ne incontro molti di questi giovani tornando dalla messa verso le 10,30 di sera. Parlo con loro, ma molto spesso loro rifiutano, perché per far quel lavoro devono essere duri e forti. La gente verso le 8,30 di sera non esce più, proprio perché la paura in baraccopoli x uccisioni e altre violenze è forte.
E’ sicuramente una delle città più violente al mondo ora. Vi è una cultura aggressiva, molto poco attenta ad una ricerca dell’unità, di riuscire a stare insieme: questo è ciò che è più importante da costruire, a partire dai giovani, ricominciando da St. Jhon (la chiesa cattolica di Korogocho): che riesca a portare avanti questo sogno di un mondo diverso. Ci riusciremo. Ci sono i laici Gino, Maurizio e Claudina, ma dal punto di vista pastorale, per ora, ci sono solo io.
Chi è povero, è vero, è anche capace di gioire di quel che ha. Tuttavia Nairobi ha preso una scelta liberista forte, anche nei confronti dei poveri. I poveri, come dici tu, non vanno idealizzati, vanno rispettati e portati con pazienza. E’ questo che ti trasforma la vita e ti porta alla pace e ad una comunità nuova dei poveri.
Il forte riarmo di quest’anno che ripercussioni comporta, viste dall’osservatorio privilegiato ove ti trovi che è la baraccopoli (nel 2002 gli Stati Uniti hanno stanziato 379 miliardi di dollari per un anno, finanziamento che parte da ottobre, la spesa più alta per armamenti da venti anni ad ora; al contempo la NATO in Europa ha investito circa 250 miliardi di dollari) ? Cosa ci puoi dire riguardo a questo ciclo ermeneutico terribile: la guerra fonte della povertà e la povertà fonte della guerra ?
Chi continua ad armare siamo noi del Nord del mondo. Ti faccio un esempio. Qui son venuti in tremila tedeschi a costruire, a Mombasa, un aeroporto per i loro cacciabombardieri (costruito in pochissimo tempo, sia prima sia dopo l’11 settembre). E vi erano già presenti migliaia di militari americani. Tutto ciò è motivato dalla necessità di combattere il terrorismo. Vogliono controllare l’Oceano Indiano e poi tutta la fascia interna (Sudan, Etiopia, Eritrea, Somalia). Logicamente sono stati mandati miliardi… miliardi d’armi sofisticate; e vengono usate per combattere chi ? Per combattere i poveri. Sono ancora loro che ‘pagano’ tutto questo. E’ logico che questi investimenti vanno a discapito dei poveri. Così non viene data loro la possibilità di andare a scuola, di entrare negli ospedali, di avere le medicine, di poter almeno avere dell’acqua potabile… Nonché permettere di poter curare le malattie: qui l’AIDS è sopra il 50%. Tutti questi piani sembrano che diano sicurezza a noi; ci fanno credere che i gendarmi del mondo, gli americani con i loro amici europei, portino sicurezza ai popoli del Nord del mondo: ma ciò è una chimera. Prima o poi, di nuovo, sarà 11 settembre. I segni sono già tanti in Africa. Pensiamo anche all’oppressione della Palestina da parte di Israele.
Questa è una connessione precisa tra folli miliardi spesi per armamenti e pochissimo per lo sviluppo. Ma lo sviluppo vero della persona: non sto pensando alle costruzioni, ma alla dignità, all’umanità e alla spiritualità della persona.
In baraccopoli, con Alex, si erano già iniziati dei progetti di lavoro. A che punto sono ora e come continueranno ?
Ce ne sono già abbastanza: dieci progetti aperti. Quattro sono a Mukuru (riciclaggio, produzione di fertilizzanti e cercare dar continuità all’allevamento di animali domestici) e sei al “Bega Kwa Bega” (cooperativa di artigianato, che inserisce i suoi prodotti nel circuito del commercio equo e solidale). Sono progetti dati in mano a persone che passano attraverso l’alcolismo, la prostituzione, la droga e altro (attraverso complessivi percorsi di non educazione). Si cerca quindi la riabilitazione attraverso la spiritualità: formazione umana, Vangelo, condivisione e lavoro. Non è facile. A volte c’è una mentalità nelle persone centrata sulla domanda di ricevere solo assistenza.
Tra i miei desideri qui, vi è anche quello di rendere autonomi i progetti. Spero ci siano anche altre persone che mi aiuteranno in ciò. Ad ogni modo, con essi, ci si immerge di continuo nei sotterranei della vita e della storia. Ciò ti stritola e ti fa sentire piccolo, però è molto importante: e questo è bello. La preghiera è l’unica risorsa in questa marea di sofferenza.
Daniele hai parlato ora di preghiera condivisa. Oltre a momenti così, dove incontri Dio ?
Dio ha il volto dei malati tumefatti che vedi sempre per strada, in particolare coloro che sono colpiti da alcolismo e AIDS. I malati terminali li incontri nelle baracche, molto spesso soli, perché non possono più uscire. Questo è un dramma, come quello dei bambini. Tanti di loro, tantissimi…sono orfani e vivono con la nonna, quando l’hanno ancora, perché i genitori sono morti di AIDS: questa è la piaga di ora. Poi vi sono le donne che tentano una lotta di emancipazione, spesso stuprate, picchiate, usate, buttate.
Questi sono i volti di Cristo crocifisso oggi e sono loro i volti di un Dio che si fa uomo o donna, si fa Padre e Madre, si fa tenerezza.
La bellezza e il dolore, la voglia di soffrire che questo Dio ha per stare con la gente; ma che porta poi la Resurrezione. Questa è un’icona che continua ogni giorno ad essere viva.
La denuncia dell’ingiustizia sociale, associata ad una progettualità costruttiva, ne sono sempre più convinto, sono la migliore forma d’annuncio del Vangelo. Come ti muoverai in proposito ?
Continuerò a denunciare questo folle sistema anche da qui. Anche se con una lettura diversa da quella di Alex, che è anche giornalista. E’ certa una cosa: da qui si vede la realtà del Nord ancora più chiara, di quanto siamo oppressori. La baraccopoli è una conseguenza di questo sistema impazzito. Ci sono cento baraccopoli a Nairobi (la situazione è generalizzata); Korogocho è la più violenta.
La lotta è dura; la lotta è bella anche. A volte la propria croce sarà pesante, ma ci sono anche i momenti entusiasmanti, di forte crescita umana. Tutto ciò deriva da un sentirsi spezzati con la gente: questa è la capacità che chiedo sempre al Signore, per me e per chi vive qui.
Forza e coraggio !
ringrazio Stefano per l'invio di questo materiale
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