"La mia convinzione profonda"
di Tariq Ramadan
Ramadan – professore di studi islamici a Oxford e autore di diversi libri interessanti e profondi sull’islam moderno – chiarisce le sue posizioni in questo libro volutamente breve, ben fatto e accessibile, confutando ciò che egli considera distorsioni del suo pensiero e critiche ingiuste. A Ramadan è stato vietato l’ingresso negli Stati Uniti per insegnare con la revoca del suo visto nel 2004. Egli difende un approccio moderno dell’interpretazione islamica adattando – senza trascurarlo – l’approccio tradizionale. Egli racconta come dai primi giorni di insegnamento in Svizzera si sia in lui rinforzata la percezione che la solidarietà tra le varie comunità sia essenziale, e vi narra la commovente storia di uno dei suoi studenti morto di overdose di droga. La sua percezione del conflitto israelo-palestinese offre una piacevole novità rispetto alle posizioni di convenienza, concordate e costanti su questo tema. Esplorando in profondità questioni teologiche e sociologiche, come quella delle donne, fa emergere la sua affermazione più sentita e di importanza fondamentale: si può essere cittadini occidentali e al contempo musulmani, senza conflittualità. "What I Believe", (La mia convinzione profonda) non è solo una sintesi delle posizioni personali di Ramadan, ma anche un punto di riferimento per la vita dei musulmani in Occidente.
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Come analizzare le sfide e le difficoltà legate alla "nuova visibilità dei cittadini occidentali di fede musulmana"? Come comprendere, quando non siano già sotterrati, i delicati concetti di radici, identità, integrazione, immigrazione e sicurezza? Come pensare con pacatezza l’essere musulmano, senza brandire gli strumenti della "politica emotiva" che oggi sono rappresentati dal foulard, il niqab o il burqa? Queste sono alcune domande alle quali, qui, Tariq Ramadan, forte di un impegno di più di vent’anni contro lo "scontro di percezioni", fornisce delle risposte franche, accessibili e imparziali. Superando pregiudizi e incomprensioni, invita in particolare i musulmani d’Occidente a rifiutare le reazioni legate all’essere minoritari e la tentazione di vittimismo, per sentirsi cittadini impegnati coscienti delle proprie responsabilità e dei propri diritti. L’onere ai non musulmani di riconoscerli come vicini di casa e cittadini a pieno titolo, per sviluppare una visione comune del futuro e favorire l’emergere di un vero pluralismo. Evadere dai "ghetti" mentali, sociali, culturali e religiosi per accedere ad una nuova epoca dell’islam occidentale: questa è la "convinzione profonda" e la possibilità che Tariq Ramadan invita ognuno ad accogliere, senza distinzione alcuna di cultura o di fede.
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Preambolo
DELLA VISIBILITA ‘
Le polemiche si susseguono e si rassomigliano. Nel corso degli ultimi cinque anni, mi sono trovato al centro di numerose polemiche, che al là della mia persona, rivelano la natura dei problemi che attraversano le società occidentali. Negli anni si è reso evidente che il pluralismo politico non garantisce una gestione pacifica e ragionevole del pluralismo culturale e religioso. In Francia come negli Stati Uniti, Belgio, Svizzera, Inghilterra, Italia, Spagna, e recentemente anche nei Paesi Bassi, ho dovuto affrontare diverse controversie nazionali, il cui punto comune era chiaro e cioè la nuova visibilità dei cittadini occidentali di fede musulmana.
Ogni paese ha la sua cultura, la sua sensibilità, i suoi "punti di attrito", e quindi la relativa lista di problemi da risolvere con l’Islam e i musulmani. Il "foulard islamico" è in testa in Francia e in Belgio, le questioni relative all’omosessualità e alla morale nei Paesi Bassi, i minareti in Svizzera, ecc. Violenza, donne, sharia sono alcuni dei temi che ricorrono sempre e ovunque: l’Islam suscita dibattito. Il punto comune a tutti questi dibattiti attiene all’insediamento delle nuove generazioni di musulmane e musulmani divenuti ormai cittadine e cittadini dei rispettivi Paesi. Radicati escono dal proprio isolamento geografico, dai ghetti sociali, dalla marginalità socio-politica. Sono visibili, come già da diversi anni, ha fatto notare il sociologo Nilüfer Gole. La loro visibilità marca e prova questa evoluzione all’esterno, non è una nuova "comunità religiosa o culturale" che si insedia, si tratta piuttosto dell’emancipazione di una vecchia classe socio-economica (caratterizzata dall’essere in maggioranza appartenente ad una stessa origine culturale e religiosa) che era stata doppiamente emarginata, geograficamente e socialmente.
In concomitanza a polemiche e crisi, crescono le paure e si formano e coltivano determinate percezioni. La paura, la sfiducia e il sospetto si radicano e ogni dibattito sulla cultura e la religione si trasforma in polemiche nazionali, le quali sono caratterizzate da tensioni e sordità inquietanti. I media riportano i fatti, le reazioni si amplificano, i politici reagiscono (e talvolta strumentalizzano) le polemiche, ed eccoci imbarcati in dinamiche incontrollabili. Si tracciano delle posizioni, avviene una specie di frattura che attraversa tutti i partiti politici, a destra come a sinistra, come pure le popolazioni delle società occidentali. Mentre tempo fa si parlava di un possibile "scontro di civiltà", io ho propugnato da subito l’idea che si tratti piuttosto di uno "scontro di percezioni": un conflitto di immagini proiettate su se stessi e sugli altri, mescolando dubbi (riguardo a se stessi), paure (verso gli altri), pregiudizi o semplicemente ignoranza (verso se stessi e degli altri). Ci sono anche alcune posizioni ideologiche e politiche poco chiare. Nella marea di dichiarazioni fatte, di fronte alla visibilità di questo "altro", le discussioni ricorrenti in materia di "identità" diventano pericolose e producono l’esatto contrario di ciò che ci si attenderebbe. In questo clima di tensione le nostre identità diventano negative e si formano per distinzione (tensione o rifiuto) da ciò che si crede essere "l’identità degli altri". E ‘quindi una "identità sub-appaltata", imprigionata in compartimenti stagni e rigidi, quando invece ci sarebbe tanto bisogno di accedere al significato di un’ identità multipla, aperta e in continuo movimento.
Quando si è vicini, la presenza degli altri reca disagio e disturbo. È per questo che le crisi si sono moltiplicate soprattutto intorno ad elementi particolarmente visibili e scenografici: il foulard islamico, il niqab (velo che nasconde il viso), il burqa, i minareti, a cui devono essere aggiunte le espressioni culturali o religiose percepite "straniere" vale a dire, diverse, inusuali o troppo "visibili" perché non ancora "normalizzate" (cioè "neutralizzate", nel senso di rese "neutre" nello spazio pubblico). La violenza è stata ovviamente un importante fattore di amplificazione, con il rifiuto di uccisioni indiscriminate perpetrate contro degli innocenti in nome della religione musulmana. Tutti questi fenomeni combinati insieme spiegano la situazione attuale, e la "nuova visibilità" dei musulmani continua a provocare la sua quota di crisi periodiche. Si deve tenere presente che questa "nuova visibilità" è per sua natura una situazione storica transitoria, poiché ciò che è nuovo sarà un giorno vecchio.
Eccoci tornati al tempo della pericolosa "politica emotiva". L’altro nome di questa politica imperniata sull’emozione è "populismo", e nessuna società moderna ne è protetta definitivamente. I vecchi razzismi possono ancora abitare il nostro futuro.
Libro pubblicato alle Presses du Châtelet, ISBN 978-2-84592-290-7 Prix : 17.95€ TTC
"What I Believe" (traduzione inglese di "Mon intime conviction") ha ricevuto una stella di distinzione nella celebre Plublishers Weekly settimanale USA.
Venerdì, Agosto 7, 2009
Traduzione Patrizia Khadija Dal Monte
tratto dal sito
http://www.islam-online.it/2009/11/la-mia-convinzione-profonda/
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