domenica 30 novembre 2008
PERCHE' GLI OMICIDI IN FAMIGLIA SONO SEMPRE 'INSPIEGABILI'?
Perché gli omicidi in famiglia sono sempre “inspiegabili”?
Il rapporto tra gli uomini e le donne, il perverso tragico annodamento di dominio e amore, deve essere davvero la “roccia basilare” contro cui si arrestano ragione, cultura, responsabilità civile e morale, se, riguardo alla strage avvenuta in una famiglia di (...)
Lea Melandri
Non è la prima volta che accade, la maggior parte dei casi di violenza maschile all’interno della coppia, negli ultimi anni, è motivata dalla scelta della donna di interrompere una convivenza divenuta evidentemente insopportabile, da una affermazione di libertà dovuta al rispetto di se stessa, o al semplice desiderio di dare una svolta alla propria vita. L’aggettivo “inspiegabile”, che la cronaca usa ormai ritualmente per questi delitti, è la maschera di una ipocrisia, o comunque di una incuria, generalizzate, che non accennano a incrinarsi: “inspiegabile” vuol dire, in questo caso, qualcosa su cui non si vuole riflettere e fare chiarezza, una evidenza -il volto violento dell’amore- che deve restare invisibile.
Non ci vogliono conoscenze particolari della vita di relazione e della vita psichica di un individuo, per sapere che la “normalità” di una coppia, di una famiglia, così come viene ripetuta fino alla nausea nelle testimonianze del vicinato, significa essenzialmente che nessuno sa più cosa succede oltre le pareti della propria casa, del suo cortile, e se lo sa, tace per quieto vivere o perché all’invadenza della comunità chiusa paesana non abbiamo saputo finora sostituire nessuna altra forma, libera e solidale, di socialità.
Non serve neppure una preparazione psicanalitica, per capire quanto sia legata l’idea proprietaria su cui si è retta storicamente la famiglia - la dipendenza psicologica, giuridica, morale, affettiva, che essa struttura, tra marito e moglie, madre e figli-, con le pulsioni aggressive che vi crescono dentro inevitabilmente, e che in taluni casi provocano gli effetti nefasti che conosciamo.
C’è una responsabilità, si potrebbe dire una colpevolezza, più odiosa di quella dell’uomo che uccide uccidendosi a sua volta o passando il resto della sua vita in carcere: è quella di una società -di maschi prima di tutto, ma anche di donne- che non pronuncia una parola, non muove un passo, non fa il minimo gesto perché questa infamia che si protrae da secoli sia almeno portata allo scoperto, analizzata per la centralità che ha nella vita di tutti, per il peso che ancora sostiene nel dare alla sfera pubblica la sua apparente autonomia, il suo arrogante disinteresse per quel retroterra dove, in nome dell’amore, si consumano una quantità enorme di lavoro e di energie femminili.
Il 25 novembre, come tutti gli anni, ci saranno le rituali celebrazioni della giornata internazionale di condanna della violenza contro le donne. Le massime autorità dello Stato, i partiti, le amministrazioni locali, le associazioni più varie si affacceranno agli schermi televisivi, nazionali e regionali, per recitare il ritornello stantio della compassione e della solidarietà di giornata, cioè dell’indifferenza di sempre. Allo slogan, che è comparso su alcuni manifesti – della serie “non lasciamole sole”-, verrebbe da rispondere “meglio sole che mal accompagnate”, soprattutto se la compagnia è quella che discute accanitamente per un mese su chi debba essere il presidente della commissione di Vigilanza sulla Rai, e non si cura minimamente dell’influenza che ha la televisione nel confermare o contrastare modelli di inciviltà, pregiudizi, figure della violenza in ogni suo aspetto.
Il 22 novembre, a Roma c’è stata una manifestazione di gruppi, associazioni, collettivi femministi e lesbici, preparata da incontri, assemblee nazionali da un anno a questa parte. Pur con la presenza di donne di età e storia diverse, è stata, come già lo scorso anno negli stessi giorni, l’uscita pubblica di una nuova generazione, consapevole che il privilegio maschile nella società comincia nelle case, che il potere dell’uomo sulla donna passa, prima di tutto, da quell’appropriazione del corpo delle donne –sessualità, capacità generativa e lavorativa- che ancora oggi ha nella famiglia il suo fondamento “naturale”, nella “norma eterosessuale” la sua copertura ideologica.
Nonostante che gli omicidi quotidiani - di donne, prevalentemente, ma non solo - abbiano tolto da tempo alla famiglia la sua immagine tradizionale di ‘luogo sacro’, focolare dell’amore, culla di teneri affetti, riposo del guerriero, nonostante che la diffusa pedofilia si annidi proprio nelle stanze che si vorrebbero destinate ad altra intimità, la famiglia resta il grande rimosso dell’insicurezza sociale, delle paure reali o ingigantite ad arte, la zona di passioni “inspiegabili” per una cultura di massa che, per un altro verso, pretende di portare tutto allo scoperto, e che oggi penetra più o meno cinicamente, per ragioni scientifiche commerciali, politiche, moraliste o religiose, fin nelle pieghe più insondabili della nascita, della morte, della maternità, della malattia.
E’ facile fare una battaglia perché si limiti il porto d’armi, perché cessi la campagna sicuritaria da parte di politici interessati a raccogliere consensi giocando sull’emotività della gente più indifesa. Più difficile è guardare senza orrore e senza arretramenti quel coltello che compare sulle cucine, sulle tavole, e che somministra cibo e morte, arma a doppio taglio proprio come il legame che stringe amore e odio intorno alla coppia, alle parentele, alle convivenze. All’interno delle case, in nuclei famigliari sempre più ristretti, si gioca ancora la partita del potere, dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza più resistente a ogni cambiamento, per la radice antica e per la complessità, contraddittorietà, delle esperienze che vi sono implicate.
Ma c’è, e non da ora, una storia e una cultura politica di donne che ha osato portare lo sguardo oltre i confini della polis, scoperchiare mascheramenti ideologici secolari, riformulare da quell’ ‘altrove’, cellula prima di ogni forma di dominio, l’idea stessa di politica. Se, nonostante il pervicace silenzio di cui è fatta oggetto, torna da più di un secolo a riempire piazze e strade, si può ancora far finta di non vederla ma non sapere che esiste.
articolo pubblicato su "Liberazione", 25 novembre 2008
Data di pubblicazione: 2511 08
‘prelevato’ dal sito http://www.womenews.net/, dopo averlo visto segnalato dal CTI_Coordinamento Teologhe Italiane
venerdì 28 novembre 2008
DIRITTI UMANI E RELIGIONI: CONVEGNO A VENEZIA
DIRITTI UMANI E RELIGIONI: IL RUOLO DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA
Venezia 4/6 Dicembre
Università Cà Foscari di Venezia – CIRDU Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Diritti Umani
Nel complesso rapporto tra religioni e diritti umani la situazione contemporanea presenta aspetti inediti, da quando le grandi religioni mondiali hanno riacquistato influenza nella sfera pubblica, contribuendo alle principali questioni planetarie. Nonostante le variabilità geopolitiche e culturali, la nuova congiuntura solleva un problema comune: in che misura il fatto religioso attivo nel mondo contemporaneo aiuta od ostacola l’identificazione e la fruizione dei diritti umani? In questo ambito sorge il tema della libertà religiosa e del suo significato.
Alcune domande faranno da sfondo: che apporto le grandi religioni hanno dato e danno ai diritti umani?
Come si intende la libertà religiosa in Oriente e in Occidente? In che senso tale libertà è un bene per ogni società? Si estende o si riduce il rispetto della libertà religiosa?
Analisi mirate esamineranno:
- la vicenda storica della libertà religiosa
- il suo posto nel sistema dei diritti umani e le istituzioni di tutela
- la sua situazione in India, Tibet, Cina, Russia, Giappone, Europa centro-orientale e nell’area islamica, con ulteriori approfondimenti nel campo delle discriminazioni per motivi religiosi.
Auditorium Santa Margherita
Dorsoduro 3689 -Venezia
http://www.unive.it/media/allegato/centri/CIRDU/progr_CIRDU_4-12-2008.pdf
Giovedì 4 dicembre ore 15,00
Presiede Vittorio Possenti, Università Ca’ Foscari Venezia
Saluto del Rettore
Prolusione
“Libertà per se stessi, libertà per gli altri”:
la vicenda storica della libertà religiosa
Pier Cesare Bori, Università di Bologna
La libertà religiosa: suo significato e posizione
entro il sistema dei diritti umani
V. Buonomo, Università Lateranense, Roma
17,00-17,30 Pausa
Situazione della libertà religiosa nel Consiglio Onu
sui diritti umani
R. Pisillo Mazzeschi, Università di Siena
Dibattito
19,00 chiusura della sessione
Venerdì 5 dicembre ore 9,15
Presiede Giovanni Vian, Università Ca’ Foscari Venezia
SITUAZIONE DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA
NEL CONTESTO EUROPEO
Ortodossia e linguaggio sui diritti umani in Russia.
Nuovo legame tra religione e politica
Giovanni Codevilla, Università di Trieste
Religione, società e diritti umani nel contesto
centro-orientale
G. Barberini, Università di Perugia
10,45-11,15 Pausa
Religione, società e diritti umani nel contesto
centro-orientale
G. Cimbalo, Università di Bologna
Intervento
Considerazioni sulla questione del Tibet
G. Goisis, Università Ca’ Foscari Venezia
Dibattito
12,30 chiusura della sessione
Venerdì 5 dicembre ore 15,30
Presiede Adalberto Perulli, Università Ca’ Foscari Venezia
IL RUOLO DELLA RELIGIONE IN ASIA
IN ORDINE AI DIRITTI UMANI
La libertà religiosa in Giappone
M. Raveri, Università Ca’ Foscari Venezia
La libertà religiosa in India; fondamentalismo hindu,
reazioni islamiche e cristiane, neobuddhismo
A. Rigopoulos, Università Ca’ Foscari Venezia
17,00-17,30 Pausa
La libertà religiosa in Cina
R. Cavalieri, Università Ca’ Foscari Venezia
Dibattito
19,00 chiusura della sessione
Sabato 6 dicembre ore 9,15
Presiede Mario Nordio, Università Ca’ Foscari Venezia
DIRITTI UMANI E RELIGIONE:
IL PUNTO DI VISTA GIURIDICO
La tutela della libertà religiosa nel sistema ONU
e nei sistemi regionali
L. Zagato, Università Ca’ Foscari Venezia
Discriminazione sul lavoro per motivi religiosi
A. Perulli, Università Ca’ Foscari Venezia
10,45-11,15 Pausa
Il diritto alla libertà religiosa nel contesto islamico
I. Zilio Grandi, Università di Genova
Intervento
Islam, laicità, secolarizzazione
B. de Poli, Università Ca’ Foscari Venezia
12,00 Conclusioni
12,30 chiusura del convegno
Giovanni Barberini, Università di Perugia
Pier Cesare Bori, Università di Bologna
Vincenzo Buonomo, Università Lateranense, Roma
Renzo Cavalieri, Università Ca’ Foscari Venezia
Giovanni Cimbalo, Università di Bologna
Giovanni Codevilla, Università di Trieste
Barbara De Poli, Università Ca’ Foscari Venezia
Giuseppe Goisis, Università Ca’ Foscari Venezia
Mario Nordio, Università Ca’ Foscari Venezia
Adalberto Perulli, Università Ca’ Foscari Venezia
Riccardo Pisillo Mazzeschi, Università di Siena
Vittorio Possenti, Università Ca’ Foscari Venezia
Massimo Raveri, Università Ca’ Foscari Venezia
Antonio Rigopoulos, Università Ca’ Foscari Venezia
Giovanni Vian, Università Ca’ Foscari Venezia
Lauso Zagato, Università Ca’ Foscari Venezia
Ida Zilio Grandi, Università di Genova
da una mail di Elisabetta a diverse ml
giovedì 27 novembre 2008
CHOMSKY: IL LIBERISMO AI TEMPI DI OBAMA
di Noam Chomsky. Traduzione di Fabrizio Dedoni
La crisi finanziaria segna la fine di un modello culturale la cui dottrina è il fondamentalismo del libero mercato.
La crisi finanziaria attuale rappresenta anche la crisi di un modello culturale che ha come principale dottrina il fondamentalismo del libero mercato" ha dichiarato in un'intervista Noam Chomski, indicato nel 2005 come l'intellettuale più influente del pianeta dalle riviste Foreign Policy e Prospect Magazine.
"Dove la liberalizzazione finanziaria ha avuto luogo si è tradotta in un disastro, un caso che dovrebbere essere abbastanza chiaro in America Latina" ha detto il linguista e professore emerito del MIT, nato nel 1928 a Philadelphia.
"Questo modello intellettuale ha subito un colpo durissimo. E' stato radicalmente modificato dall'intervento dello Stato, lo stesso tipo di intervento che è stato impedito nei paesi poveri. Il modello sarà oggetto di nuove modifiche in ossequio alle esigenze dei centri di potere economico che i gran misura controllano le politiche statali"
"Gli Stati Uniti hanno stanziato 700 miliardi di dollari per il salvataggio delle banche e l'ex Presidente della Federal Reserve Alan Greenspan ha detto di aver commesso un grave errore nel confidare nel libero mercato, il premio nobel per l'Economia Joseph Stiglitz ha paragonato la caduta del sistema finanziario a quella del Muro di Berlino, quotidianamente le borse valori subiscono perdite e si dice che il peggio debba ancora arrivare."
Quanto è grave l'attuale crisi economica?
Nessuno sa quanto sarà grave. E non è una sola crisi: ce ne sono diverse. Una è la crisi finanziaria di cui si parla nelle prime pagine. L'altra è la recessione dell'economia reale, ossia l'economia produttiva. Una terza, sempre negli USA, è l'imminente crisi dell'inefficiente e costoso sistema sanitario privato, che rischia seriamente di compromettere il bilancio federale a meno di un serio intervento di indirizzo.
Questi fattori interagiscono in maniera complessa.
Non vedo nessuna utilità nel comparare questa crisi alla caduta del Muro di Berlino. Quello fu un passo cruciale per la caduta dell'URSS. Non ci sono indicazioni circa il fatto che gli Stati capitalisti stiano per affrontare un simile destino, eccetto settori specifici come quello delle banche di investimento, alcuni altri istituti del settore finanziario e per ragioni assai diverse, settori industriali come quello automobilistico in USA.
Quali lezioni si possono trarre da questa crisi?
La prima è che il fondamentalismo del mercato è un disastro, cosa che non dovrebbe sorprendere i latinoamericani né altri sottoposti a questa disciplina economica. Più nello specifico, la liberalizzazione economica conduce al disastro. Nel contempo, la liberalizzazione economica dà un serio colpo alla democrazia.
Un'altra lezione è quella sottolineata dall'osservazione del principale filosofo sociale americano del XX secolo, John Dewey: "la politica è l'ombra che le grandi imprese proiettano sulla società".
E' l'inizio della fine del potere degli Stai Uniti e l'inizio di una egemonia della Cina o dell'India?
E' molto poco probabile, nonostante la crisi attuale possa essere d'impulso al processo di diversificazione economica. Gli USA hanno enormi vantaggi, a parte la schiacciante supremazia militare. L'Europa ha un'economia di scala comparabile, ma eterogenea, ed è stata riluttante ad assumere una propria posizione nel mondo degli affari preferendo rimanere sotto l'ombrello americano. Cina e India stanno crescendo alla stregua di altri paesi asiatici che si sono defilati dall'ortodossia neoliberale, ma hanno enormi problemi interni. Un indicatore lo si può trovare nell'Indice di svipuppo umano dell'ONU: la Cina occupa l'81° posto; l'India il 128° (appena sopra Laos e Cambogia). E questo è soltanto quel che appare in superficie.
E' crisi della finanza o crisi di un modello culturale?
E la crisi di un "modello culturale", se con questo ci riferiamo a un sistema dottrinale: il fondamentalismo del libero mercato. Ad esser precisi, la dottrina non è mai stata accettata dagli stessi centri di potere occidentali, anche se sono stati felici di predicarla a altri. Si tratta di un modello vecchio di secoli, ed è un fattore importante nella creazione del Terzo Mondo nelle regioni colonizzate.
Autore di "Egemonia o sopravvivenza. La strategia imperialista degli USA" Chomski ricorda che Ronald Reagan, riconosciuto come il "sommo sacerdote del libero mercato", aumentò la dimensione dell'apparato governativo, ha salvato la Continental Illinois Bank, fondato il consorzio Sematech per salvare l'industria americana dei semiconduttori, solo a menzionare una parte delle azioni.
La crisi economica ha anche evidenziato lo “smantellamento” di cui soffre la democrazia a causa del sistema del mercato libero, ha sottolineato Chomski, […]
"In una democrazia le organizzazioni popolari, i sindacati, partiti politici e altri soggetti, potrebbero formulare soluzioni ai rappresentanti politici affinché siano messe in pratica o meno. Ma non vi è alcun segnale di tutto ciò".
E' sorprendente, ha aggiunto l'icona della sinistra internazionale, l'insistere dei principali mezzi di comunicazione americani affinché si investano fondi pubblici per il salvataggio delle banche, senza un qualsiasi tipo di controllo pubblico, mentre condannano il salvataggio del settore automobilistico
I lavoratori del settore auto guadagnano poco meno di 57mila dollari l'anno, quasi quello che guadagna in un solo giorno Robert Rubin, ora presidente del comitato esecutivo di Citigroup nonché uno dei responsabili dell'attuale disastro economico, nella sua qualità di ex segretario del Tesoro di Bill Clinton".
In cosa può sperare il mondo e gli Stati Uniti se Barak Obama vince le elezioni?
Le basi di Obama sembrano essere quelle di una democrazia centralista, stavolta non come Clinton. Un'analisi più dettagliata dovrebbe far valutazioni caso per caso.
Cosa rappresenta il fatto che un afro americano possa diventare
Presidente degli Stati Uniti?
E 'molto significativo, come ad esempio il fatto che nelle elezioni del Partito Democratico i candidati siano stati una donna e un nero. Quarant'anni fa sarebbe stato praticamente inconcepibile. Questo è uno dei tanti segni della militanza popolare degli anni sessanta e delle sue conseguenze.
Quali saranno le conseguenze della crisi economica in ambito culturale?
Imprevedibili. Le crisi economiche spesso si sono tradotte nell'accompagnarsi alla comparsa di grandi fenomeni artistici.
Articolo originale:
"La crisis financiera marca el fin de un modelo cultural cuya doctrina es el fundamentalismo del libre mercado"da Agencia ReformaTraduzione: Fabrizio DedoniLink: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=75405&titular=%22la-crisis-%C3%A2%C2%80%C2%A6-el-fin-de-un-modelo-cultural-cuya-doctrina-es-el-fundamentalismo
Tratto da Mega Chip, Democrazia nell’informazione, sito internet: http://www.megachip.info
martedì 25 novembre 2008
DAL CENTRO CULTURALE VALDESE: UN LIBRO SU SACCO E VANZETTI
lunedì 24 novembre 2008
SALVIAMO IL SERVIZIO CIVILE NAZIONALE! PETIZIONE.
Al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi
Al Sottosegretario Delegato Carlo Amedeo Giovanardi
Con il taglio drastico del 42% delle risorse economiche a disposizione per il servizio civile nazionale, si passa dai 299 milioni stanziati per il 2008 dal precedente esecutivo ai 171 previsti nella finanziaria per il 2009, il peggiore della storia recente del servizio civile nazionale. Cifre che mettono addirittura a rischio la possibilità per i giovani italiani di partecipare nel 2009 a questa importante opportunità.Già quest’anno il servizio civile ha avuto una battuta d’arresto rispetto al 2007 scendendo da 50.000 a 32.000 volontari. A nulla sono valsi gli appelli che ormai da anni gli Enti continuano a lanciare sulla necessità di stanziamenti pubblici complessivi di almeno 400 milioni l’anno per avere un sistema di servizio civile nazionale che ne faccia un‘ opportunità per i giovani, invece che un privilegio, oltre che una risorsa per le comunità locali.Tutte le ricerche effettuate in questi anni hanno dimostrato la positiva efficacia nei risultati educativi, sociali e economici. Ogni euro di denaro pubblico investito ci sono ritorni per 2 euro.Ci sono molti aspetti del servizio civile nazionale che vanno riformati, e da tempo il Terzo Settore ha avanzato proposte a riguardo, ma l’abbattimento delle risorse è un errore che ha come unico effetto l’aggravamento dei nodi esistenti e non la loro risoluzione.Siamo favorevoli ad aprire un tavolo per la revisione delle regole, ma siamo contrari a che questo significhi ripensare il sistema in funzione di risorse così limitate, sancendo l’idea di un servizio civile di nicchia e sul piano culturale sminuendone alcune finalità e la sua storia (l’educazione dei giovani, la difesa della Patria e il legame con la nonviolenza). Criteri questi in antitesi con un servizio civile popolare e di reale impatto educativo e culturale sulla società civile. Per questo chiediamo che siano introdotti emendamenti alla legge finanziaria dando al Servizio Civile Nazionale nel 2009 le stesse risorse del 2008 e che siano superati gli impieghi inutili di risorse statali oggi esistenti (INPS e IRAP).Per questo chiediamo che entro il mese di Gennaio 2009 siano definiti, con un percorso di piena consultazione dei giovani e degli enti, i contenuti della riforma legislativa per avere dal 2010 un nuovo quadro di certezze.
Si può firmare su http://www.firmiamo.it/salviamoscn
domenica 23 novembre 2008
CONTRO L'AMPLIAMENTO DELLA CENTRALE TIRRENO POWER DI VADO LIGURE (SV)
La decisione della Commissione Nazionale per la Valutazione di Impatto Ambientale che, a larga maggioranza, ha approvato l’ampliamento a carbone della centrale termoelettrico della Tirreno Power a Vado Ligure è un atto gravissimo che non tiene conto del grave impatto sanitario ed ambientale che tale decisione contribuirà ad accentuare rispetto alla condizione attuale, che aumenta in maniera significativa le emissioni climalternati, in barba sia al protocollo di Kyoto che al piano europeo di riduzione delle emissioni, e che calpesta la volontà delle popolazioni e delle amministrazioni locali e umilia la stessa Regione Liguria.
Greenpeace, Italia Nostra, Legambiente e WWf si sono da sempre dichiarate contrarie all’aumento della produzione energetica con combustibili fossili, non solo per le ragioni sopra ricordate, ma anche e soprattutto perché viviamo in una regione dove esistono tre grandi impianti energetici che da soli producono una quantità di energia superiore di ben 3 volte le necessità della Liguria.
Allo stesso tempo lo sviluppo delle energie rinnovabili e della politiche di efficienza e risparmio energetico, pur avendo fatto passi avanti in questi anni, sono ben al di sotto della soglia del 20% sul totale di produzione energetica che l’unione europea indica come obbiettivo da raggiungere entro il 2020, questo sia a livello nazionale che come Regione Liguria.
Bisogna quindi contrastare decisioni come questa, che vanno nel segno opposto, così come occorre contrastare il centralismo strisciante che sottendente alla decisione per la centrale di Vado Ligure (la prima di una serie simile e che non fa ben sperare per altri progetti che giacciono in commissione Via nazionale).
Per questo abbiamo apprezzato le parole del Presidente della Regione Liguria, Claudio Burlando che hanno messo in luce come il parere e la volontà della Regione ( che si era espressa contro la realizzazione del terzo gruppo a carbone) siano stati non solo non considerati, ma umiliati anche nel metodo con cui sono state prese le decisioni.
Per questo lo invitiamo ad essere conseguente con queste dichiarazioni e chiediamo alla Regione di opporsi con forza alla decisione presa in sede di Via nazionale e di impugnare l’atto nelle sedi politiche, nazionali ed europee, ma soprattutto in quelle giudiziarie ed amministrative.
Giuseppe Onufrio direttore delle campagne di Greenpeace ItaliaGiovanni Gabriele, presidente regionale Italia NostraStefano Sarti, presidente regionale LegambienteMarco Piombo, presidente regionale Wwf
La centrale a carbone di vado Quiliano sarà ampliata di altri 460 MW, che si aggiungeranno ai 660 MW a carbone già esistenti, per i quali non è previsto l’ utilizzo delle BAT, e dei 780 MW a gas naturale, inaugurati nel 2007, e dotati di un sistema di denitrificazione già obsoleto.
Il tutto si è svolto durante l’ amministrazione regionale che ospiterà e finanzierà il congresso nazionale isde di Genova, e che vedrà l’ assessore all’ ambiente Zunino come relatore e padrone di casa.Il tema carbone non è stato voluto nel programma.
L’ assessore regionale ed il Presidente Burlando, che hanno facilitato in ogni modo l’ iter della Tirreno Power per il potenziamento della centrale, oggi fanno finta di stracciarsi le vesti per l’ ampliamento autorizzato.
Le osservazioni inviate dagli uffici tecnici della Regione alla commissione VIA Nazionale erano per lo meno neutre, dichiaravano una generica contrarietà all’ ampliamento, ma in realtà affermavano che dal punto di vista ambientale non era possibile essere in disaccordo con quanto previsto dal progetto Tirreno Power. Un mio studio del maggio 2007 dimostrava esattamente il contrario.
La preoccupazione maggiore della giunta regionale era quella di fare ingoiare il rospo dell’ ampliamento della centrale ai cittadini della provincia di Savona. L’ assesore regionale all’ambiente commissionava uno studio epidemiologico osservazionale sulla mortalità in Provincia di Savona ad IST Genova, corredato da scarni dati ARPAL, con la pretesa assurda di dimostrare che “In Provincia di Savona non vi è alcun rapporto fra tumori e inquinamento”, ed altre amenità simili.
Invito formalmente i membri dell’ ISDE, in qualità di membro del consiglio direttivo, di boicottare la partecipazione dell’ assessore regionale all’ ambiente e di rifiutare la sponsorizzazione della giunta regionale al prossimo congresso nazionale ISDE che si terrà a Genova l’11 e 12 dicembre, in segno di solidarietà con in movimenti di cittadini che hanno lottato contro l’ ampliamento di una centrale già pesantemente inquinante, contro una classe politica di infimo valore, tesa solo a conservare le proprie posizioni di potere a tutto danno dei cittadini.
Dottor Paolo Franceschi,Referente Isde Savona
tratto da http://www.ivg.it/ di oggi
RINGRAZIO GERARDO CHE MI HA SEGNALATO L'ERRORE (DOVUTO ALL'ABITUDINE), ORA CORRETTO: AVEVO SCRITTO DELLA CENTRALE ENEL DI VADO LIGURE...
SONO PIU' DI 30 CHE QUESTA CENTRALE ALLIETA (SI FA PER DIRE) L'AMBIENTE ...SONO NATO IN UN PAESE, VALLEGGIA, CHE SI TROVA SOTTO LE CIMINIERE E SONO STATO OBIETTORE DI COSCIENZA PER ITALIA NOSTRA CHE SI E' BATTUTA A LUNGO CONTRO L'INQUINAMENTO DI QUESTA CENTRALE, ALIMENTATA CON COMBUSTIBILI FOSSILI...E CHE HA ELARGITO NELL'ARIA SOSTANZA ALTAMENTE INQUINANTI, A COMINCIARE DALL'ANIDRIDE SOLFOROSA...
sabato 22 novembre 2008
60° ANNIVERSARIO DELLA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI: MANIFESTAZIONE DI 'PER IL BENE COMUNE'
Per il Bene Comune organizza
Martedì 9 Dicembre alle ore 18.00
presso Associazione Culturale
SATURA
Piazza Stella 5 (da via Canneto il Curto)
Dibattito pubblico su: i diritti umani e l’Italia
Interverranno:
· Nando Rossi già senatore : I diritti e la politica in Italia
· Don Paolo Farinella presidente di Massoero 2000: I diritti di chi è povero e disagiato
· Christian Abbondanza presidente Casa della Legalità: I diritti e la legalità
· Salah Husein rappresentante comunità islamica di Genova : I diritti e la libertà di religione
· Monia Benini presidente Per il Bene Comune : i diritti e le nuove generazioni in Italia
Il dibattito è libero, gratuito e aperto a tutta la cittadinanza. Partecipiamo numerosi
NASCE HANDILEX PRESS: UNA NUOVA RIVISTA
Tratterà di diritti e di opportunità ed sarà dedicata ai delle persone con disabilità, ai loro familiari e a quanti operano in questo settore. Essere cittadini, consumatori, clienti e utenti consapevoli, rispettosi e rispettati, significa preventivamente essere informati ed aggiornati, correttamente e in modo autorevole e comprensibile. Vivono in Italia – secondo l’ISTAT – circa due milioni e mezzo di persone con disabilità che sono cittadini, consumatori clienti ed utenti. E almeno altrettanti sono gli operatori del settore che di persone anziane o disabili si occupano. A queste persone, tentando di colmare un vuoto informativo, si rivolge HandyLexPress, forte dell’esperienza e del successo maturati nel web.
Dal web alla carta
HandyLex.org (www.handylex.org) è il sito internet più noto in questo settore e vanta una media di 10 mila visitatori al giorno, oltre 14 milioni di pagine scaricate nell’ultimo anno, più di 6.500 persone iscritte alla mailing list. Oltre 16 mila pagine web linkano HandyLex.org che autorevolmente, da oltre 10 anni, presenta tutte le novità relative ai diritti delle persone con disabilità, supportandole con una estesa banca dati delle fonti normative.
Ora, la redazione – una nuova e più potente redazione – è pronta per il grande salto: passare ad una rivista su carta. Una sfida tutta nuova: su carta si troverà quello che in internet non c’è e i contenuti saranno disponibili in modo diverso.
Nonostante l’enorme diffusione del web, lo strumento cartaceo rimane il primo veicolo di informazione, ma soprattutto consente di trasmette le informazioni in modo diverso da quello ipertestuale.
La famiglia si allarga
La “famiglia” di HandyLex, offrirà ora due strumenti fra loro complementari: il sito – HandyLex.org – con le schede, le fonti, le norme, i servizi interattivi, e la rivista – HandyLexPress - con le indagini, le guide, i suggerimenti operativi, i moduli di comprensione utili a chi di leggi “mastica poco”, ma sicuramente ne subisce gli effetti e le conseguenze.
Chi apprezza il primo – HandyLex.org – non potrà fare a meno della nuova rivista. Chi si avvicinerà a HandyLexPress, potrà poi usare meglio anche gli strumenti del web.
Il taglio e le soluzioni grafiche
HandyLexPress non è una “noiosa” rivista tecnica, legale, per esperti, per pochi. Il principio su cui si basa è che i diritti, le agevolazioni, le opportunità devono essere note a tutti e, quindi, comprensibili ed accessibili a chiunque. Indipendentemente dalla propria preparazione e cultura. Peraltro, in questi anni, attraverso il sito HandyLex.org, si è rilevato che la comprensione della normativa e dei diritti non è connessa affatto al grado di istruzione. Ci sono persone estremamente colte, che non sono in grado di comprendere immediatamente una legge e le sue sfumature. Altre persone, magari poco istruite, sono talvolta più raffinate, per quotidiana frequentazione con i problemi reali, nel cogliere le sfumature, le novità.
Questa disomogeneità impone di adottare un linguaggio e una modalità espositiva comprensibili a tutti, con ricchezza di esempi, di casi, di strumenti interpretativi, che – alla fine – si rivelano utili e pratici anche per i lettori più esperti. Può apparire semplice, ma non lo è affatto, soprattutto se – come HandyLexPress – si intende mantenere l’autorevolezza e la precisione. Le soluzioni grafiche sanno conseguenti a queste scelte.
L’editore e la rete
Editore del periodico è EmpowerNet srl, il cui azionista di maggioranza è la FISH, Federazione Italiana per il Supermento dell’Handicap, organizzazione ombrello che raggruppa le principali associazioni nazionali delle persone con disabilità e dei loro familiari. HandyLex è un marchio dell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, Onlus.
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venerdì 21 novembre 2008
ANCHE I LINGUISTI CONTRO LE CLASSI PONTE
Anche lasciando da parte la questione delle discriminazioni, "sono inefficaci"
"Le classi ponte? Sono inutili"
Così lo spiegano i linguisti
di SALVO INTRAVAIA
I linguisti italiani bocciano le classi-ponte. Attraverso una dettagliata relazione, ben quattro
società linguistiche nazionali bollano come "non chiara", "poco perspicua" e "inefficace" la
mozione proposta dal parlamentare della Lega Nord, Roberto Cota, e da altri 26 deputati della
maggioranza, sulle classi di "inserimento" per gli alunni stranieri.
L'elenco delle critiche al metodo e alle soluzioni proposte dalla mozione-Cota è lunghissimo e non lascia scampo a troppi dubbi. "E' opportuno - spiegano gli specialisti della materia - che si continui ad immettere i bambini e gli adolescenti non-italofoni nelle classi normali".
Gli esperti di Sig (Società italiana di glottologia), Sli (Società di linguistica italiana), Aitla (Associazione italiana di linguistica applicata) e Giscel (Gruppo di intervento e studio nel campo dell'educazione linguistica) attraverso un ampio documento smontano pezzo per pezzo quella che a tantissimi sembra un atto di discriminazione nei confronti dei figli degli stranieri. E contro la
"discriminazione transitoria positiva", come la chiamano gli stessi estensori della mozione,
chiamano in causa i principi della Costituzione italiana e la Convenzione sui diritti
dell'infanzia, emanata nel 1989 dalle Nazioni Unite. Ecco i motivi.
La premessa. Il problema "vero" dovrebbe essere quello dell'inserimento "di bambini e adolescenti
non-italofoni nelle classi della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado con
l'obiettivo di favorirne la massima integrazione scolastica". Secondo le Società scientifiche in
questione il problema è posto in termini "non chiari e parzialmente fuorvianti nelle premesse
della mozione". Il perché è presto detto. Il documento elaborato da Cota & company parla di
"nomadi", "alunni stranieri", alunni con cittadinanza non italiana", "bambini immigrati"
(ed altro) come se si trattasse della stessa cosa "oscurando il tratto rilevante che è quello della
conoscenza della lingua italiana".
Tra gli oltre 500 mila alunni stranieri presenti nelle scuole italiane, infatti, almeno un terzo è
nel nostro Paese e si esprime perfettamente in italiano. Il provvedimento andrebbe indirizzato
agli "alunni non-italofoni" che andrebbero distinti per fasce d'età visto che l'apprendimento della lingua dipende in primo luogo dall'età. Ma non solo: gli esperti criticano anche i dati (tasso di promozione e ripetenza) degli alunni stranieri utilizzati per giustificare le classi-ponte che, secondo i linguisti, "abbisognano di essere scorporati e ricanalizzati". La censura non risparmia neppure
il cuore del problema: il "diverso grado di alfabetizzazione linguistica" che a loro parere
riguarda soltanto le "capacità di scrittura e lettura" anziché "la competenza linguistica" a tutto tondo.
Il metodo. Gli esperti disapprovano la mozione-Cota anche nel metodo, che definiscono
"incongruente". Vincolare l'ingresso degli studenti stranieri al superamento di un test
viene considerato "inopportuno" perché non si specifica l'obiettivo: "testare la competenza
linguistica in italiano o altri tipi di conoscenze"? E in quale lingua andrebbe formulato
il Test? Anche la scadenza temporale entro cui superare il test (il 31 dicembre di ogni anno)
viene stigmatizzata perché costringerebbe coloro che non superano la prova (o coloro che arrivano
in Italia dopo tale data ma hanno le competenze linguistiche richieste) a rimanere in "classi
differenziali" per un intero anno. Ma la proposta delle classi-ponte sarebbe, addirittura,
"inefficace e inattuabile" in quanto porterebbe alla formazione di classi di "una o due unità". E
cosa c'entrano le indicazioni di un "curricolo formativo essenziale" con temi che riguardano
l'Educazione civica con le competenze linguistiche?
Le proposte. Dopo avere ampiamente criticato e motivato le stesse critiche alle classi-ponte,
gli esperti indicano al governo la via da seguire per una soluzione razionale del problema. "Il
riordino della materia è auspicabile partendo dalle esperienze maturate sul campo,
generalizzando le buone pratiche ed eliminando errori ed inefficienze".
Dalle esperienze condotte da diversi lustri in scuole e università italiane "è emerso che
l'acquisizione di una L2 (seconda lingua, ndr) è tanto più facile, rapida, completa quanto più
giovane è l'età del soggetto apprendente e quanto più piena è l'immersione nella nuova realtà
linguistica e culturale". Occorre, poi, fornire, attraverso corsi di aggiornamento, a tutti gli
insegnanti italiani gli adeguati strumenti per affrontare il problema e ricorrere al "sostegno
linguistico" (facilitatori linguistici) per alunni e genitori sia in classe sia fuori dall'orario scolastico.
(20 novembre 2008)
http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/scuola_e_universita/servizi/scuola-2009-7/linguisti-contro/linguisti-contro.html
giovedì 20 novembre 2008
NON ABBIAMO BISOGNO DEL NUCLEARE!
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 645 del 20 novembre 2008
Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricercaper la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Sommario di questo numero:
1. Alessandro Pizzi: Otto argomenti contro il ritorno al nucleare
2. Antonella Litta relatrice a due convegni a Marino e a Genova
3. Enrico Piovesana: I cacciabombardieri italiani nella guerra afgana
4. Dijana Pavlovic: Un racconto rom
5. Paolo Perazzolo intervista Jose' Saramago
6. Paolo Pegoraro presenta "In terra sconsacrata" di Alessandro Zaccuri
7. Monica Ruocco presenta "Amore in esilio" di Bahaa Taher
8. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
9. L'Agenda dell'antimafia 2009
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. ALESSANDRO PIZZI: OTTO ARGOMENTI CONTRO IL RITORNO ALNUCLEARE
[Ringraziamo Alessandro Pizzi (per contatti: alexpizzi@virgilio.it) per questo intervento. Alessandro Pizzi, gia' apprezzatissimo sindaco di Soriano nel Cimino (Vt), citta' in cui il suo rigore morale e la sua competenza amministrativa sono diventati proverbiali, e' fortemente impegnato in campo educativo e nel volontariato, ha preso parte a molte iniziative di pace, di solidarieta', ambientaliste, per i diritti umani e la nonviolenza, tra cui l'azione diretta nonviolenta in Congo con i "Beati i costruttori di pace"; ha promosso il corso di educazione alla pace presso il liceo scientifico diOrte (istituto scolastico in cui ha lungamente insegnato); e' uno dei principali animatori del comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo. Sul tema del trasporto aereo, del suo impatto sugli ecosistemi locali e sull'ecosistema globale, e sui modelli di mobilita' in relazione ai modelli di sviluppo e ai diritti umani, ha tenuto rilevanti relazioni a vari convegni di studio]
Il nucleare non serve a risolvere il problema energetico. Una petizione popolare indirizzata al Presidente della Repubblica, al Presidente del Senato, al Presidente della Camera, al Presidente del Consiglio, lanciata ai primi di settembre dall'associazione "Per il bene comune" ha per titolo: "Non abbiamo bisogno del nucleare".Trovo molto appropriato il titolo e del tutto condivisibile il contenuto della petizione. Per chi volesse firmare l'appello l'indirizzo e':http://petizione.perilbenecomune.org/ Per giustificare la scelta nucleare viene messa in atto una vera campagna didisinformazione.
*1. Chi vuole il nucleare afferma che l'energia prodotta ha costi bassi e favorisce l'indipendenza energetica.
Non e' vero che il nucleare ci libera dalla dipendenza dall'estero, tanto e' vero che l'uranio, l'Italia dovrebbe importarlo. L'uranio non e' inesauribile e ha un costo che da 2001 al 2007 e' moltiplicato per dieci .Studi come "The economic future of nuclear power" condotto dall'Universita' di Chicago nell'agosto 2004 per conto del Dipartimento dell'energia statunitense sui costi del nucleare confrontati con quelli relativi alla produzione termoelettrica da gas naturale e carbone, o "The future of nuclearpower" pubblicato nel 2003 dal Massachusetts Institute of Technology, dimostrano come i costi del nucleare sono maggiori rispetto a quelli relativi alla produzione termoelettrica da gas naturale e carbone. Secondo una stima del dipartimento dell'energia degli Usa i costi dell'elettricita' da nuovi impianti in funzione al 2015 e al 2030 sono: Carbone 56,1 dollari per MWh al 2015 e 53,7 al 2030; Gas 55,2 dollari per MWh al 2015 e 57,2 al2030; Eolico 68,0 dollari per MWh al 2015 e 67,9 al 2030; Nucleare 63,3 dollari per MWh al 2015 e 58,8 al 2030 (fonte: Eia/Doe 2007 AnnualForecast - valori espressi in dollari del 2005 per MWh. Inoltre e' datenere presente che per gli impianti nucleari negli Usa e' previsto unsussidio di 18 dollari al MWh. Tra costo industriale e sussidio il costoraggiunge circa gli 80 dollari al MWh). Non c'e' da stupirsi se l'Enel e Edison si dichiarano pronti a coprire il15-20% del fabbisogno elettrico al 2030 con 10-15 centrali. Piu' la bolletta e' alta, piu' si consuma, piu' guadagnano.
*2. Altra menzogna e' raccontata a proposito del risparmio sull'emissione di gas ad effetto serra come l'anidride carbonica. Non si dice che gli impianti nucleari richiedono enormi quantita' di acciaio speciale, zirconio e cemento, materiali che per la loro produzione richiedono carbone e petrolio. Anche le altre fasi della filiera nucleare, dall'estrazione del minerale d'uranio, alla produzione delle barre di combustibile, fino al loro stoccaggio e riprocessamento fanno si' che le emissioni indirette della produzione di un kWh da energia nucleare e'comparabile con quella del kWh prodotto in una centrale a gas.
*3. I fautori del nucleare affermano che oggi le centrali sono piu' sicure. Con la tecnologia oggi disponibile rimangono irrisolti tutti i problemi disicurezza e dello smaltimento delle scorie. Da mettere in evidenza le conseguenze sulla salute dei cittadini per la fuoriuscita dalle centrali anche di piccole dosi di radioattivita'. La ricerca sui reattori sicuri"Generation IV" promossa dagli Stati Uniti insieme ad altre nazioni, a cuisi e' aggiunta anche l'Italia, sui reattori raffreddati ad acqua o a gas esu quelli a spettro veloce, si e' posta l'obiettivo di pervenire entro il2030 a un prototipo di reattore, quindi siamo lontani dall'oggi. Per quello che riguarda lo smaltimento delle scorie radioattive, ricordo che secondo l'inventario dell'Apat (Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e per i Servizi Tecnici) in Italia c'e' una montagna di rifiuti altamente radioattivi: circa 25.000 m3 di rifiuti, 250 tonnellate di combustibile irraggiato - pari al 99% della radioattivita' presente nel nostro Paese -, a cui vanno sommati i circa 1.500 m3 di rifiuti prodotti annualmente da ricerca, medicina e industria e i circa 80-90.000 m3 di rifiuti che deriverebbero dallo smantellamento delle quattro centrali e degli impianti del ciclo del combustibile, che aspettano ancora un sito sicuro per lo smaltimento.
*4. Centrali e bombe nucleari sono strettamente connesse. La relazione tra il nucleare civile e quello militare e' strettissima, tanto e' vero che, ad esempio, all'Iran gli Usa vogliono proibire la costruzionedi centrali nucleari con l'accusa che utilizzerebbe parte della filiera per la costruzione di bombe atomiche.
*5. La propaganda menzognera afferma che il nucleare serve per risolvere il problema energetico. Il nucleare produce solo energia elettrica. Anche se il Governo fosse ingrado di costruire le centrali nucleari necessarie a coprire il 25% del fabbisogno di energia elettrica, come recentemente sostenuto dal Ministro Scajola, darebbe un modesto contributo al bilancio energetico nazionale.Infatti in Italia secondo i dati del Bilancio energetico nazionale delMinistero dello Sviluppo Economico e una elaborazione dell'Enea sui consumi finali per il 2007 l'elettricita' rappresenta solo il 18%, contro il 48% dipetrolio, il 29% di gas e il 5% di carbone, cosi' distribuiti per settori: Trasporti: 97% petrolio, 1% gas, 2% elettricita'; Industria: 19% petrolio, 40% gas, 12% carbone, 29% elettricita'; Residenziale e Terziario: 11% petrolio, 55% gas, 4% carbone, 30% elettricita'.Quindi con il nucleare si andrebbe a coprire con l'ipotesi Enel tra il 2,5%e il 3,6% di tutti i consumi finali, e secondo Scajola il 4,5% di tutti i consumi finali. Questo sarebbe il contributo del nucleare al problema energetico nazionale. Inoltre gli ingenti investimenti per il nucleare toglierebbe risorse per losviluppo delle energie rinnovabili. La petizione popolare, ricordata all'inizio, riporta che in Italia basterebbe che venisse coperto di pannelli fotovoltaici solo lo 0,4% dellesuperfici costruite per soddisfare l'intero fabbisogno nazionale di energi elettrica. Ma c'e' una risorsa ancora piu' importante a mio parere, quella chiamata efficienza energetica negli usi finali dell'energia elettrica. Uno studio, commissionato da Greenpeace, dal titolo "La rivoluzione dell'efficienza",fatto dal Gruppo di ricerca sull'efficienza negli usi finali dell'energiadel Dipartimento di Energetica del Politecnico di Milano, dimostra che il risparmio di energia elettrica va ben oltre il 20% previsto dal Pianod'azione per l'efficienza energetica della Commissione Europea conconseguente diminuzione delle emissioni di CO2. Va ricordato che L'Unione Europea recentemente ha dato il via libera al piano sul clima, denominato "20-20-20". Cioe' il raggiungimento del 20%della produzione energetica da fonti rinnovabili, il miglioramento del 20%dell'efficienza e un taglio del 20% nelle emissioni di anidride carbonica.Traguardi da raggiungere in tutta Europa entro la data del 2020 (per quanto riguarda l'Italia, dovra' tagliare il 13% di emissioni di C02 nei settori non inclusi nel sistema di scambio di emissioni (Ets) e dovra' aumentare del17% i consumi energetici da fonti rinnovabili entro il 2020, rispetto ai livelli del 2005). Lo studio sopra richiamato ha preso in considerazione i settoriResidenziale, Terziario commerciale, Terziario pubblico e Industriale coninterventi riguardanti gli usi finali per illuminazione, per i motorielettrici, per gli elettrodomestici e, inoltre, per la riduzione del consumodovuto allo stato di Stand-by e per consumi a vuoto (per esempio un impiantodi illuminazione o ventilazione in funzione fuori dalle ore di uso di un ufficio; nastri trasportatori, macchinari, aria compressa in funzione senzautilizzo nell'industria), per l'aumento dell'efficienza di treni e tram, per la produzione di acqua calda sanitaria con solare termico, per le lavatrici e lavastoviglie con alimentazione di acqua calda prodotta esternamente, per esempio collegandole all'impianto a gas per l'acqua calda o meglio ancora all'impianto di pannelli solari termici escludendo la resistenza elettrica e per interventi sull'involucro edilizio per il raffrescamento passivo a basso consumo."Il Rapporto ci presenta una buona notizia. Esiste in Italia un potenziale di efficienza ampiamente ottenibile entro il 2020 e superiore al 20% che, se realizzato, produrrebbe benefici economici netti. E' possibile tagliare 50milioni di tonnellate di CO2 rispetto allo scenario tendenziale con unvantaggio economico per la societa' e aumentando l'occupazione". Cosi' siesprime lo studio del Politecnico di Milano.*6. Investimenti e fonti energetiche rinnovabili.Per ottenere il risparmio di energia elettrica e per la diffusione delleenergie rinnovabili e' necessaria una volonta' politica per un consistenteinvestimento. Investimento che, come ampiamente dimostrato dal rapporto "Larivoluzione dell'efficienza", ha un ritorno benefico sull'ambiente(significativa diminuzione delle emissioni di CO2) e sull'economia intermini di occupazione e risparmio. Il gruppo di ricerca afferma: "Nelcomplesso per raccogliere il potenziale economicamente convenienteoccorrerebbero investimenti in tecnologie e programmi per circa 80 miliardidi euro (circa 5,7 miliardi/anno negli anni dal 2007 al 2020), con unbeneficio economico che si protrarra' nel tempo fino al 2040. Il beneficioeconomico cumulato netto, cioe' la riduzione della bolletta elettrica menogli investimenti sopra citati, risulterebbe di 65 miliardi di euroattuali... In termini occupazionali, in base a una analisi di casiinternazionali, si stima un aumento dell'occupazione tra 46.000 e 80.000posti di lavoro per 14 anni".*7. Cambio di stile di vita.Risparmio di energia elettrica con conseguente minore emissioni di gas adeffetto serra puo' essere ottenuto anche con atti di responsabilita'personale, con un cambio di stile di vita.Voglio fare solo alcuni esempi. Per capire come cambiare stili di vita pernon utilizzare inutilmente l'energia, per diminuire le emissioni di gasserra e per vivere in armonia con noi stessi e con il pianeta rimando al bellibro di Marinella Correggia, La rivoluzione dei dettagli. Manuale diecoazioni individuali e collettive, Feltrinelli, Milano 2007.Esempi. Si puo' vivere benissimo con meno elettrodomestici, cito dal librodi Marinella Correggia: "Meno elettro- piu' 'mano-domestici'. Ogni gesto unamacchina? Grattugia, spremiagrumi, coltello, apriscatole, scopa,radiosveglia, spazzolino, rasoio, scale, tutto elettrico? E' ora che sifacciano avanti i 'manodomestici', che aiutano senza clic"; a propositodella lavastoviglie: "Non l'ha ordinata il medico. Nelle famiglie piccolelavare i piatti a mano puo' essere un buon esercizio di meditazione osocializzazione e se ben fatto risparmia acqua, prendendo poco tempo"; aproposito di divertimenti: "Divertirsi si' ma... perfino i divertimentiincidono parecchio; oltre a notti bianche, discoteche e concerti, non appenaapre una sala multimediale la potenza richiesta agli installatori e' enorme:dell'ordine di 500 Kw"; per non parlare delle partite di calcio giocate innotturna, non certo per esigenze sportive ma solo per motivi commercialidelle televisioni che le trasmettono; e' stato calcolato ("Terna WebMagazine" del 10 luglio 2008) che per illuminare lo stadio Olimpico di Romaper i 90 minuti della partita si consumano 5372 Kwh, 4,5 volte il consumopro capite in un anno dei cittadini dei capoluoghi di provincia.*8. Conclusione.L'introduzione delle energie rinnovabili, soprattutto il solare fotovoltaicoe termodinamico, l'introduzione delle tecnologie per l'efficienza negli usifinali di energia elettrica e il risparmio possono escludere completamenteil ricorso al costoso e pericoloso nucleare.Il 4 novembre 2008 la Camera ha compiuto il primo passo per il ritorno alnucleare con l'approvazione dell'Agenzia per la sicurezza delle centraliatomiche, che secondo i piu' ottimisti dovrebbero entrare in funzione nel2020, per arrivare a regime nel giro di una decina di anni.Se il Governo vuole ritornare al nucleare non lo fa per questioni dienergia, ma per favorire qualche industriale, a partire da chi si occupa diacciaio e cemento, e per controllare il territorio, per ridurre gli spazidella partecipazione democratica dal basso della popolazione alle sceltepolitiche. Tanto e' vero che il pacchetto approvato alla Camera addiritturaprevede la "militarizzazione" dei territori su cui dovranno sorgere lecentrali nucleari e anche la possibilita' di commissariamento se non sitrova l'accordo con la popolazione.A noi il compito di svelare le menzogne dei potenti, di fare informazionecorretta e di facilitare la partecipazione consapevole dei cittadini allescelte politiche.
mercoledì 19 novembre 2008
TUTTI HANNO DIRITTO A UNA SCUOLA DI QUALITA': CORSO DI FORMAZIONE E LABORATORI A GENOVA
Ministero del Lavoro della salute e delle politiche sociali
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA – UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE DI GENOVA – CENTRO RISORSE ALUNNI STRANIERI
COMUNE DI GENOVA LABORATORIO MIGRAZIONI
IN COLLABORAZIONE CON ARCI GENOVA
TUTTI HANNO DIRITTO AD UNA SCUOLA DI QUALITA’
ALL HAVE RIGHT TO A SCHOOL OF QUALITY
لها الحق في كل مدرسة الجودة
Todos tienen derecho a una escuela de calidad
Visiem ir tiesības uz skolu kvalitātes
都有權學校的質量
Все они имеют право на школьных качества
Toate au dreptul la o scoala de calitate
CORSO FORMAZIONE e LABORATORI
L’ASAL è partner del CIES in un progetto finanziato dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, dal titolo “La mediazione culturale per l’inclusione a scuola” nell’ambito del quale sono previsti laboratori di animazione interculturale nelle scuole e un corso di formazione su tematiche interculturali. Le attività formative sono state concordate e organizzate con MIUR - U.S.P. di Genova - CRAS e Comune di Genova – Laboratorio Migrazioni
laboratori interculturali di scrittura e di espressione pittorica sui temi del forestiero e del viaggio
attivati in collaborazione con ARCI Genova
IO FORESTIERO (laboratorio di scrittura collettiva)
Le rappresentazioni del forestiero assumono, nella tradizione popolare, moltissime varianti. Ma sempre il foresto viene da lontano, è avvolto da un alone di mistero, rompe gli equilibri della comunità a cui approda.
Partendo dalla lettura di alcuni racconti della tradizione italiana e straniera in cui questa figura e' centrale, si lavora sull'immaginario intorno al forestiero e al "sé forestiero". Quindi, prima a piccoli gruppi e poi in maniera collettiva, si lavora alla redazione di una storia che riecheggi delle suggestioni provenienti dalle storie lette e dal quotidiano dei ragazzi.
I COLORI DEL VIAGGIO (laboratorio di espressione pittorica)
Paul Klee ha lasciato i ricordi dei suoi viaggi su fogli e tele utilizzando i "colori della memoria". A partire dalle sue suggestioni, e con l'uso dell'acquarello, si invitano i bambini a descrivere i propri ricordi di viaggio, non con le parole ma con i pennelli. Che sia il percorso di una vacanza o quello che ha portato un ragazzino straniero in Italia. Per realizzare un grande arazzo collettivo che intrecciando i ricordi di ognuno racconti una storia di tutti.
CORSO DI FORMAZIONE
Per le attività formative sono state scelte due macro-aree di approfondimento:
globalizzazione/immigrazione, approfondimento sul caso Ecuador
metodi per l’insegnamento dell’italiano come L2
La prima area si svilupperà in 4 momenti seminariali, aperti alla città, e si focalizzeranno sulla pluralità dei linguaggi .
La seconda parte del corso – più tecnica e maggiormente legata alla specifica realtà scolastica - vuole essere la risposta alle numerose richieste di avere maggiori conoscenze su come si possa organizzare e gestire un laboratorio linguistico per ragazzi di lingua madre non italiana.
ARTICOLAZIONE : 2 moduli di 15 ore ciascuno
DESTINATARI:
primo modulo: 4 eventi pubblici rivolti ad insegnanti, educatori, formatori, operatori sociali e all’intera cittadinanza.
E’ previsto il rilascio di attestato di partecipazione
secondo modulo: 5 lezioni di 3 ore rivolte a insegnanti delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado ed operatori di terzo settore, per un totale di 20 persone
PRIMO MODULO: INTERDIPENDENZA GLOBALIZZAZIONE E IMMIGRAZIONE
SEDE CONVITTO COLOMBO Via Bellucci, 4 (ZONA P.za ANNUNZIATA)
1° evento: GIOVEDI’ 27 NOVEMBRE 2008 dalle ore 15 alle ore 18
Presentazione del progetto da parte dell’ASAL- ONG di cooperazione e di educazione allo sviluppo e dell’ U.S.P :
ELIDE M. TAVIANI (ASAL)
ROSARIA PAGANO (U.S.P. di Genova )
Proiezione del film “LE CRI DU COEUR” Produzione: Burkina Faso /France Durata: 86'Anno: 1994 Distribuzione: Coe
"Forse è vero che il mondo, così com'è, non è un'allucinazione, l'incubo di una notte. Può succedere che ci svegliamo per ritrovarlo inevitabilmente, che non sia possibile dimenticarlo e neppure farne a meno" (J. M . COETZEE, Aspettando i barbari, Einaudi, p.178)
All’incontro i partecipanti riceveranno il dvd “UNA SFIDA VITALE”
Contiene filmati, interviste ed interventi videoregistrati durante lo svolgimento del corso interfacolta’: “Informazione e diritti umani” svoltosi a Maggio del 2007 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ Università degli Studi di Genova.
2° evento: 2 DICEMBRE dalle ore 14 alle ore 18
CARLO DEGLI ABBATI
tema: globalizzazione, immigrazione , il caso Ecuador
al convegno è stato invitato il console generale dell’Ecuador dott. Leon Pablos Avilés Salgado I partecipanti riceveranno le schede di approfondimento CAUSE E TENDENZE DELLE MIGRAZIONI MONDIALI. IL CASO PARTICOLARE DELL’ ECUADOR
3° evento: 13 gennaio dalle ore 14 alle ore 18
tema: narrazione e teatro per l’inclusione
LAB. MIGRAZIONI
CARLA PEROLERO
Saranno presentate esperienze di narrazioni bi-lingui e di attività teatrali su tematiche interculturali
I partecipanti riceveranno la dispensa DONES incontri con la poesia ispanoamericana – materiali di lavoro
4° evento: 27 gennaio dalle ore 14 alle ore 18
ROBERTA ALLOISIO – musica di Genova e del mondo
CORRINNA PRAGA sarà intervistata da DONATA BONOMETTI
tema: Conoscere lo spazio di vita confini e territorio – presentazione del libro, di Corinna Praga, edito dal CRAS - GENOVA PER VOI
I partecipanti riceveranno il libro di CORRINA PRAGA GENOVA PER VOI - Come vivere una città dalle molte culture nel tempo della globalizzazione
SECONDOMODULO : APPRENDIMENTO DELLA LINGUA ITALIANA
SEDE SCUOLE NUOVE CULTURE SALITA DELLA FAVA GRECA 8 (zona P.za SARZANO)
5 lezioni di 3 ore ciascuna per 20 insegnanti
Per partecipare al secondo modulo della formazione tutti hanno diritto ad una scuola di qualità è necessario iscriversi
Durante le lezioni sarà distribuito materiale didattico in tema
MARTEDI’ 3 FEBBRAIO 2009
Interazione in classe e gestione della dinamica di gruppi multilingue e multiculturali relazionarsi con famiglie straniere
Docenti : ELIDE M. TAVIANI(ASAL) - ALBERTO CORREA
MARTEDI’ 17 FEBBRAIO 2009
L’accoglienza, la pluralità linguistica e il laboratorio di L2: materiali, spazi, tempi
Docenti : MALTONI – MAZZA docenti esperti di scuola primaria e secondaria di primo grado
MARTEDI’ 24 FEBBRAIO 2009
l’insegnamento dell’Italiano L2: dalla linguistica alla prassi. Gli errori dei ragazzi ispano-americani
Docente : SALVATORE PAGANO Dirigente tecnico in quiescenza
OLIVIERO docente esperto di scuola secondaria di primo grado
MARTEDI’ 3 MARZO 2009
La testualità: selezione, gestione e semplificazione dei testi
Docenti : BERRETTI – GHEZZI docenti esperti di scuola secondaria di primo grado
MARTEDI’ 10 MARZO 2009
Intercultura nei curricoli
Docente : CORTIGIANI dirigente scolastico SMS don Milani
lunedì 17 novembre 2008
LETTERA ALL'ONOREVOLE CARLUCCI di Teresa Proia
Le scrivo dopo aver letto l'intervista che Lei ha rilasciato alla giornalista Giorgia Camandona (http://magazine.libero.it/lifestyle/generali/gabriella-carlucci-onorevole-stipendio-ne8974.phtml).
Tra le Sue risposte leggo:
"(...) sai quante ore al giorno lavoro io? 24 su 24. Dormo tre o quattro ore per notte perché io da Montecitorio mi porto il lavoro a casa! Devo studiare, devo leggere. Faccio delle interpellanze? Ebbene, mi devo preparare, mica posso scrivere delle stronzate! Se no mi ridono dietro. Metti in conto tutto! Allora adesso tu dimmi: quanto paghi il mio straordinario a casa? Perché il mio orario di lavoro ufficiale è finito. Quanto costo io il sabato e la domenica?(...)io voglio sapere quanto dai alla tua cameriera di straordinario. Chiunque lavori delle ore in più viene pagato. Noi no. E nessuno considera mai che nel nostro stipendio è incluso tutto il lavoro extra.(...)" Perché io voglio sapere quanto dai alla tua cameriera di straordinario. Chiunque lavori delle ore in più viene pagato. Noi no. E nessuno considera mai che nel nostro stipendio è incluso tutto il lavoro extra.(...)
Sono un'insegnante, e Le scrivo innanzitutto per farle sapere che anche gli insegnanti si portano il lavoro a casa: devono studiare, preparare le lezioni, correggere i compiti, stilare documenti. Anche noi ci dobbiamo preparare quotidianamente per poter tenere la lezione del giorno dopo, se no ci sarebbe da ridere (o meglio da piangere). Anche noi spesso svolgiamo questi compiti dopo cena, col marito che ti guarda strano e ti dice "ma chi te lo fa fare per quei 2 soldi che ti danno", oppure il sabato e la domenica. Anche io perciò, come Lei, vorrei sapere quanto costo io il sabato e la domenica. Aggiunga che tutto questo lavoro (che si chiama "funzione docente" e che non è pagato a parte) viene svolto utilizzando strumenti di nostra proprietà, oggetti privati: il nostro computer, la nostra stampante con l'inchiostro delle nostre cartucce, la nostra connessione ad Internet, i libri che compriamo con i nostri soldi. Spesso ci fermiamo oltre l'orario di servizio per rispondere a richieste legittime ed illegittime dell'utenza e della scuola stessa, partecipiamo a riunioni ed attività varie non retribuite, rispondiamo al cellulare (nostro privato) anche a ferragosto, perchè il bambino X non ha capito bene come si fa il tale esercizio del compito delle vacanze. A volte compriamo con i nostri soldi oggetti che servono alla classe e qualcuna di noi persino mette di tasca sua l'aggiunta alla quota della gita per il bambino che ha la famiglia che economicamente non ce la fa. Come vede, ci sono parecchie analogie. Analogie che certamente però non si riflettono nelle nostre rispettive buste paga...D'altra parte la cronaca politica di ogni giorno ci ricorda quale peso viene dato dal Governo del nostro Paese alla scuola e alla cultura.
Un'ultima considerazione da cittadino: nell'intervista citata Lei sostiene in sostanza di essere malpagata rispetto al lavoro che svolge. Mi chiedo in che mondo Lei viva e con quale coraggio rilasci certe dichiarazioni: se ancora non lo sapesse, Lei vive in un Paese in cui le famiglie faticano ad arrivare a fine mese, un Paese in cui i pensionati devono escogitare trucchetti come andare al mercato poco prima della chiusura per comprare a metà prezzo delle banane ammaccate.
Tutto ciò detto, Lei ha promesso alla giornalista di inviarle via mail la Sua busta paga, al netto delle spese: Le lascio la mia mail, quando riceverò la Sua Le invierò la mia. Scommetto che ci faremo due risate!
Restando in fiduciosa attesa, porge distinti saluti
Teresa Proia teresa.proia@libero.it
Intervista a Adam Michnik
Numero 642 del 17 novembre 2008
Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Sommario di questo numero:
1. Attilio Bolzoni: La sfida di Danilo Dolci
2. Eugenia Diponti: Etiopia oggi
3. Salvo Palazzolo: Poliziotti all'Universita' a lezione di nonviolenza
(2003)
4. Giuliano Battiston intervista Adam Michnik
5. Tommaso Di Francesco intervista Predrag Matvejevic
6. Pietro Polito presenta "La non-violence expliquee' a' mes filles" di
Jacques Semelin
7. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
8. L'Agenda dell'antimafia 2009
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'
4. TESTIMONIANZE. GIULIANO BATTISTON INTERVISTA ADAM MICHNIK
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 aprile 2008, col titolo "Il nostro
lungo processo di apprendimento della liberta'" e il sommario "Variazioni
sul tema della democrazia in una intervista allo storico, politico e ex
dissidente polacco, che venne definito dal filosofo Leszek Kolakowski
'disobbediente, scettico e avido di sapere'. Questa mattina sara' ospite del
festival di filosofia all'auditorium di Roma. Dobbiamo tendere alle
'temperature medie': lo dico sempre anche a me che sono un impulsivo"]
Definendolo "diffidente, disobbediente, scettico, avido di sapere", il
filosofo polacco Leszek Kolakowski ha restituito integralmente la fisionomia
esistenziale del suo connazionale Adam Michnik, "la bestia nera del governo
comunista". Forse meglio di chiunque altro, ne ha poi individuato la
traiettoria politica, orientata a "definire un percorso che non fosse ne'
quello di un moralismo naif e inefficace, ne' quello di uno pseudo-realismo
ancora piu' inefficace". In effetti, sin dall'inizio della sua lunga
battaglia contro l'Homo sovieticus - "un uomo corrotto dalla menzogna,
educato al servilismo, avvilito dal vivere quotidiano nella
mistificazione" - Adam Michnik ha fatto sua la convinzione del fatto che la
vera saggezza politica risiede nel "sapere quando si deve pagare di persona
per difendere le proprie ragioni, e quando invece si deve cercare un
compromesso, e fino a dove puo' arrivare questo compromesso". Per questo,
pur pagando di persona l'opposizione a un regime "nel quale il discorso era
stato statalizzato, la verita' monopolizzata, e il controllo della memoria
collettiva affidato in esclusiva agli amministratori", Michnik ha continuato
a cercare un difficile equilibrio tra idealismo e pragmatismo, conservando
l'intransigenza di chi chiede liberta' e autodeterminazione ma rigettando
sia il fanatismo "degli inquisitori ideologici" che "la retorica
rivoluzionaria del tutto o niente". Che in termini generali proprio da
questo equilibrio sia derivato "il piu' grande contributo della Polonia alla
storia del XX secolo", come ritiene Michnik, o che la politica di
riconciliazione nazionale e del compromesso adottata dai dirigenti di
Solidarnosc sia stata un "tradimento" delle istanze rivoluzionarie, "come
credono alcuni puristi", e' ancora materia di dibattito, in Polonia e non
solo. Quel che e' certo e' che Michnik ha avuto sempre il coraggio di "non
recitare il proprio monologo dietro le quinte", riuscendo con la sua
determinazione a "impregnare l'universo dei valori burocraticamente
codificati del ridere del buffone e dello scetticismo del liberto
pensatore".
Abbiamo incontrato Adam Michnik a Roma, dove e' stato invitato dagli
organizzatori del festival della filosofia, nell'ambito del quale
partecipera' stamattina, insieme a Daniel Cohn-Bendit, Paul Berman e
Fernando Savater alla tavola rotonda "Etiche della rivolta: 1968-1989",
coordinata da Paolo Flores d'Arcais.
*
- Giuliano Battiston: In "Conversazioni nella Cittadella", un saggio
pubblicato nel 1982 sulla rivista "Krytyka" e poi raccolto nel volume Etica
della resistenza, lei scrive: "Bisogna maturare per la liberta'. La liberta'
va imparata". A quasi vent'anni dal crollo dell'impero sovietico, nei paesi
dell'Europa centro-orientale a che punto e' il processo di apprendimento
della liberta'?
- Adam Michnik: Ho scritto quel saggio quando ero in galera, e quando ci si
trova in galera si conosce la liberta' in modo esclusivamente teorico,
stabilendo una semplice equivalenza tra liberta' e assenza di prigionia,
senza scendere nei dettagli. Uscendo di prigione, invece, si comprende che
la democrazia e' la liberta' circoscritta all'interno delle regole delle
istituzioni, quel che definiamo come stato di diritto. Ed e' proprio sotto
questo aspetto che si individuano immediatamente quali, tra i paesi
dell'Europa centrale e orientale, sono meglio preparati all'esperienza
democratica. Il processo di apprendimento, comunque, non e' affatto
concluso, anche perche' nel frattempo e' entrato in crisi il nostro modello
di riferimento, quello delle democrazie occidentali, e noi ci siamo
ritrovati come ciclisti che pedalano senza manubrio: ci manca un buon
modello, siamo costretti a misurarci con una serie di problemi inattesi.
*
- Giuliano Battiston: Di fronte agli "autoproclamati possessori della
verita' assoluta" lei ha sempre rivendicato "il diritto alla ricerca
indipendente, al dubbio e allo scetticismo". Ritiene che una matura cultura
politica democratica sia quella in cui il diritto allo scetticismo viene
inteso anche come un dovere?
- Adam Michnik: Credo che alla base dell'ordine democratico debba esserci
una sana e rigorosa tendenza al dubbio, ma allo stesso tempo, seguendo
Cartesio, ritengo che in alcune circostanze estreme, pur mantenendo la
convinzione che la propria posizione possa essere opinabile, occorra
difenderla come fosse assoluta. Il dialogo, infatti, puo' essere condotto
solo da individui liberi, mentre in alcune circostanze non si da' pari
liberta' tra gli interlocutori. Nel mio caso, quando ero in prigione, pur
ammettendo tra me e me che il procuratore che avevo di fronte potesse avere
ragione su alcuni punti, avevo il dovere di difendere con intransigenza le
mie posizioni.
*
- Giuliano Battiston: A proposito di intransigenza: recentemente lei ha
discusso le obiezioni polemiche rivolte da Ratzinger alla democrazia
"orientata al relativismo e allo scetticismo, che non si basa sui valori e
sulla verita', ma sulle procedure". Ci vuole spiegare qual e', invece, la
sua posizione, quella dello "scettico democratico"?
- Adam Michnik: Secondo me la democrazia e' una comunita' che si regge sul
rispetto della dignita' e della liberta' umana, mentre secondo Ratzinger
dovrebbe reggersi su valori molto piu' "radicati", perche' soltanto
l'assolutismo dei valori impedisce che la democrazia conduca al relativismo
e si trasformi paradossalmente in un'istituzione dal carattere totalitario.
Non condivido questo ragionamento perche' ritengo che la scelta della
democrazia non debba essere suffragata dal riferimento ai valori cristiani o
religiosi, e debba invece poggiare, come dicevo, sul rispetto della liberta'
e della dignita' umana. Anche se si puo' essere d'accordo sull'idea che ci
siano valori non negoziabili, occorre continuamente interrogarsi sul confine
che separa cio' che e' relativo da cio' che non lo e'. In questo senso, se
la Chiesa ritiene che la piu' grave minaccia sia quella del liberalismo, io
credo invece che la democrazia liberale sia la condizione "sine qua non" per
tentare di rendere migliore il mondo in cui viviamo e garantire le
condizioni della convivenza. Allo stesso tempo, pero', critico l'ateismo
selvaggio di chi pretende di eliminare la religione dal dibattito sulle
forme contemporanee della societa'.
*
- Giuliano Battiston: Insieme all'assolutismo morale, lei sostiene che
dall'ambito della dialettica politica vada esclusa anche ogni "utopia di un
mondo giusto, armonioso e perfetto". Non crede, pero', che il liberalismo
politico a cui faceva riferimento prima, un liberalismo che esclude sia
l'assolutismo morale che la tensione utopica, corra il rischio di ridursi a
una cornice che depoliticizza la societa', depotenziando i conflitti
sociali?
- Adam Michnik: No, non lo credo. Ovviamente per liberalismo politico
possiamo intendere cose molto diverse, ma per quanto mi riguarda ritengo che
il liberalismo sia innanzitutto cio' che protegge sia i singoli che la
societa' dai tentativi di ricondurli alle gabbie dei sistemi totalitari.
Inoltre, pur escludendo la tensione utopica, tende comunque al
miglioramento, e lo fa sulla base di una consapevolezza centrale per la
democrazia: l'idea che gli uomini siano imperfetti, e che proprio per questo
nessuno abbia il diritto di imporre agli altri le proprie idee. Idee che
possono essere oggetto di discussione, eventualmente di persuasione, ma mai
di imposizione. La democrazia liberale, dunque, che e' intrinsecamente
imperfetta perche' tale e' il mondo degli uomini, solo se e' accompagnata
dalla consapevolezza di trovarsi in uno stato di perenne minaccia e' davvero
una democrazia liberale. In questo senso, dobbiamo tendere costantemente
all'equilibrio, cercando quelle che in termini liberali vengono definite
"temperature medie". Lo ripeto sempre anche a me stesso, visto che ho un
temperamento da fanatico impulsivo.
*
- Giuliano Battiston: "La sconfitta del comunismo - ha scritto - ha lasciato
un grande buco nero" che e' stato riempito dal nazionalismo. Lo scrittore
austriaco Grillparzer, da lei piu' volte citato, ritiene che alcuni paesi
dell'Europa dell'est stiano gia' percorrendo - uso le sue parole - la strada
che "dall'umanesimo, passando per il nazionalismo, porta alla bestialita'".
Lo pensa anche lei?
- Adam Michnik: Il pericolo c'e'. D'altronde la stessa "primavera dei
popoli" si presento' prima come un moto nazionalista e democratico, poi
esclusivamente nazionalista, infine come un serbatoio per il nazismo. Anche
nel caso della guerra nei Balcani il nazionalismo e' stato usato in fasi
diverse per differenti obiettivi politici: nella prima fase veniva
ricondotto alla difesa della nazione, dei suoi valori culturali e
democratici; nella seconda serviva a giustificare il separatismo; nella
terza invece per legittimare la pulizia etnica. In altri termini, il rischio
della bestialita' e' sempre presente.
*
- Giuliano Battiston: Come molti della sua generazione, lei si e'
interrogato sulla possibilita' di riformare il comunismo "dall'interno".
Alla fine, pero', a differenza di altri, e' arrivato alla conclusione che
"non esiste comunismo che non sia totalitario. O e' totalitario o cessa di
essere comunismo". Questo vuol dire, nella sua prospettiva, che la stessa
idea di giustizia sociale e l'egualitarismo contengono in se' un germe
totalitario?
- Adam Michnik: Credo di si', perche' paradossalmente l'egualitarismo ideale
puo' essere realizzato solo in un campo di concentramento, e allo stesso
tempo non esiste campo di concentramento che non abbia dei carcerieri. In
questo senso, quella dell'uguaglianza assoluta e' un'idea che si
auto-confuta. Io credo piuttosto nell'uguaglianza di fronte alla legge che
regola la vita democratica, mentre l'idea che tutti dovremmo godere dello
stesso salario perche' abbiamo lo stesso stomaco mi sembra molto pericolosa:
apre la strada alla demagogia e questa alimenta l'invidia e se ne nutre,
costringe all'uniformita' che uccide la creativita'. Allo stesso tempo,
esclude quello spazio all'interno del quale, grazie alla discussione, e'
possibile ricercare soluzioni diverse e negoziabili.
*
- Giuliano Battiston: Un'ultima domanda legata al tema del festival della
filosofia: lei ha scritto che per la sua generazione "la strada per la
liberta' ha inizio nel 1968", e in diverse occasioni ha analizzato
differenze e similitudini tra i movimenti di Praga e Varsavia da un lato e
quelli di Parigi, Roma, Berlino ovest e Berkeley dall'altra. Ora, secondo
alcuni il '68 si concluderebbe veramente solo nel 1989: ritiene che ci sia
effettivamente un legame tra il maggio francese e l'implosione del
socialismo reale?
- Adam Michnik: Ci vorrebbe un libro per rispondere. Per noi il '68 era la
primavera di Praga e la rivolta degli studenti polacchi. Per il movimento
occidentale, il cui linguaggio diversamente dal nostro era costruito
interamente sull'opposizione al capitalismo, il punto di riferimento era la
guerra in Vietnam e l'antiamericanismo, non l'antisovietismo; inoltre mentre
a Parigi e Berkeley veniva attaccato l'ordine della democrazia borghese, noi
combattevamo per una liberta' che solo quella democrazia borghese ci
sembrava potesse garantire. Nello specifico, poi, la contestazione francese
era mossa sin dall'inizio dalla critica rivolta al partito comunista. Per
quanto riguarda il legame con l'implosione del socialismo reale, credo che
la maniera migliore per comprendere quegli anni sia mettere insieme tre
date: 1968, 1989 e 1789, l'anno della rivoluzione francese. Solo cosi'
riusciremo a illuminare il senso di quegli anni, anni formidabili per quelli
della mia generazione.
*
Postilla. La sua vita
Nato a Varsavia nel 1946, sin da ragazzo Adam Michnik si e' dedicato
all'attivita' politica; gia' sospeso due volte dall'Universita' di Varsavia,
nel 1968 ne venne espulso, e condannato a tre anni di prigione. Rilasciato
grazie a una amnistia nel 1969, gli venne impedito di continuare gli studi.
Dopo avere trascorso due anni in Francia, torno' a Varsavia, diventando uno
dei principali attivisti del Kor, il Comitato di difesa degli operai.
Animatore di riviste e giornali clandestini e dei corsi dell'"Universita'
volante", tra il 1980 e il 1981 e' stato consigliere di Solidarnosc.
Arrestato nel dicembre 1981, ha rifiutato di firmare la "dichiarazione di
lealta'" che gli avrebbe concesso la liberta'; rilasciato grazie a una nuova
amnistia nel 1984, nel 1985 e' stato di nuovo arrestato. Tra i principali
protagonisti della tavola rotonda che ha portato la Polonia alla svolta
democratica, Michnik e' stato membro del parlamento dal 1989 al 1991.
Saggista e storico, l'ultimo suo libro tradotto e' Il pogrom (Bollati
Boringhieri, 2007), curato da Francesco M. Cataluccio, il quale, insieme a
Jaroslaw Mikolajewski, questa sera alle 19 discutera' con Michnik presso
l'Istituto polacco di Roma.
venerdì 14 novembre 2008
SENTENZA G8, GENOVA2001: CHE DIRE?
CHI E' STATO? NON E' STATO NESSUNO! E' STATO LO STATO!
(lo so, lo diceva Fortebraccio a proposito della Strage di Stato di Piazza Fontana...)
giovedì 13 novembre 2008
PETIZIONE CONTRO LEGGE LIBERTICIDA!
Roma - È maretta. Com'era prevedibile, gli italiani in rete non sembrano avere alcuna intenzione di stare a guardare mentre nella stanza dei bottoni qualcuno decide di creare doveri per chi vuole esprimersi, paletti per i blog e i siti Internet italiani. Dopo la pubblicazione su Punto Informatico dell'articolo La Camera manda avanti il DDL anti-blog di Luca Spinelli, è tutto un fiorire di iniziative che dimostrano la vitalità del web nostrano.Tra i primi a mobilitarsi è Antonio Di Pietro, da sempre attento alle dinamiche sulle libertà di informazione online, che sul suo blog ricorda come il DDL antiblog sia figlio del già criticatissimo decreto Levi e avverte: "I contenuti e gli attacchi alla libertà di informazione non sono cambiati, eccetto qualche distinguo inutile, operato dallo stesso Levi, presente in questa seconda versione. Su questo disegno di legge non ci sarà nessun margine di discussione né con il centrodestra né con il centrosinistra. Qualora dovesse passare potrebbe dare come unico risultato la disobbedienza civile".Di Pietro non solo ritiene che la legge sia stata scritta da chi di rete sa poco o niente, la definisce "pura censura", ma annuncia anche che il suo movimento politico "offrirà tutta l'assistenza legale a chi verrà perseguito per la sua violazione", e sul blog diffonde un banner per spargere ulteriormente la notizia.
Ma l'eco di quanto sta andando avanti alla Camera si riverbera, come era lecito attendersi, proprio sui blog italiani, dove a centinaia esprimono indignazione per quanto si è riusciti a partorire, e vede la luce il gruppo su Facebook che già conta centinaia di aderenti. Allo stesso tempo cresce la petizione contro l'iscrizione al ROC dei siti italiani, che conta più di 12mila firme, nonché un'altra iniziativa specifica per quest'ultimo DDL partita nelle scorse ore, una petizione rivolta al Presidente della Camera dei Deputati affinché si blocchi sul nascere quella che da più parti viene definita "mostruosità legislativa".In attesa che l'intera vicenda conquisti le prime pagine dei quotidiani internazionali, come già avvenuto all'epoca per il DDL Levi, proprio Luca Spinelli precisa con un post dedicato come la proposta normativa tutto è meno che pensata per i soli blog: ad essere tirati in ballo sono centinaia di migliaia di siti Internet italiani. Non solo chi "fa informazione", per quel che questa espressione può significare, ma anche siti che raccolgono barzellette, enciclopedie, guide online, siti culturali, educativi, formativi, e così via. Nel DDL non si parla infatti solo di informazione, osserva Spinelli, ma più in generale di qualunque spazio web che si occupi anche di formazione, divulgazione, intrattenimento."Basterebbe - sottolinea Spinelli - l'uso di qualche banner, o l'uso di quel sito come fonte di guadagno, per farlo ricadere nella tipologia indicata dal DDL come prodotto editoriale che deve iscriversi al ROC, ha maggiori responsabilità, maggiori costi, maggiore burocrazia, ed è imputabile per i reati sulla stampa".Il problema centrale, suggerisce ancora Spinelli, non è tanto una improbabile messa in stato d'accusa dell'intero web italiano, quanto invece che questa legge, come tante che l'hanno preceduta, sia tenuta nel cassetto finché non serva al (pre)potente di turno, che ricorra ad essa per tacitare voci sgradite. "Invece che chiarire e ripulire uno dei corpus normativi più grandi e impenetrabili al mondo - conclude riferendosi all'ordinamento italiota - si propongono altre leggi fumose e contestabili che prestano il fianco a pruriti censori".
Postilla mia:
se andate sul sito http://punto-informatico.it, troverete il link per firmare la petizione…
Grazie
mercoledì 12 novembre 2008
CONVEGNO A GENOVA
“Una generazione in movimento. Adolescenti stranieri a scuola”
14 novembre 2008
Fiera di Genova – Padiglione B
Sala K – ore 15.00
Saluti delle Autorità:
Massimiliano Costa: Assessore alle Politiche sociali, Terzosettore, Cooperazione internazionale, Istruzione, Formazione, Ricerca,Innovazione tecnologica e informatica e Vice Presidente della RegioneLiguria
Manuela Cappello: Assessora all’Istruzione e alle PoliticheGiovanili della Provincia di Genova
Attilio Massara: Direttore Generale Ufficio ScolasticoRegionale per la Liguria
Interventi:
Graziella Giovannini: Università di Bologna – Dipartimento diSociologia
“Apprendere a vivere insieme”
Vinicio Ongini: MIUR – Dipartimento per l’Istruzione;Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e laComunicazione
“Studenti stranieri nel sistema scolastico italiano. Presenze, esiti,orientamenti”
Marta Favara: (Dottoranda DISEFIN)
Presentazione della ricerca “Analisi descrittiva della presenza di studenticon cittadinanza non italiana nelle scuole secondarie superiori dellaProvincia di Genova”
Modera:
Claudia Nosenghi: CRAS – Ufficio Scolastico Regionale per la Liguria
Seguirà lo spettacolo “Imbarazzismi” con gli studenti del Liceo “Colombo” sutesti di Kossi Komla Ebri ed Enzo Costa regia di Roberta Alloisio – incollaborazione con Festival delle Culture Suq a Genova
martedì 11 novembre 2008
L'INCLUSIONE COMPETENTE, testo di Andrea Canevaro
L'inclusione competente di Andrea Canevaro
1. La situazione in cui si trova il nostro paese mette al primo piano un problema: fare incontrare i bisogni con le competenze utili agli stessi, nella prospettiva inclusiva. Forse non sarebbe necessario fare degli esempi ma è utile invece riprendere alcune espressioni che anni fa Sergio Neri utilizzava dichiarando come sarebbe stato importante mettere mano ad una riorganizzazione delle figure professionali per evitare che vi sia un soggetto con un certo problema dovuto – ad esempio – alla sordità e la persona (insegnate specializzato/a per il sostegno all’integrazione) preparata per educarlo non sia presente nel contesto in cui vive e va a scuola quel soggetto quel soggetto, in cui ma sia “assegnata” a xy chilometri di distanza. Le assegnazioni fatte secondo una certa logica degli insegnanti chiamati, per brevità, di sostegno provoca questi paradossi. Vi sono situazioni in cui gli operatori hanno preparazioni specifiche, in particolare su determinati argomenti quali possono essere i deficit sensoriali oppure l’autismo e non hanno – se non molto raramente – la possibilità di mettere la loro competenza al servizio delle tematiche per cui hanno una preparazione specifica. La possibilità di affrontare questo problema è diventata non solo un utile impegno ma un indispensabile dovere. Bisogna affrontarlo in breve tempo, probabilmente avendo cura di fornire degli esempi prototipali ma non fermandosi a quelli, e avanzando verso una diffusione di un sistema che premi la possibilità di fare incontrare competenze e bisogni. Questo è il problema fondamentale.Temiamo che il nostro procedere nella prospettiva inclusiva possa riservare delle cadute notevoli se non dedichiamo la massima attenzione a questo aspetto e a questa soluzione importante. Ma questo significa avere un’idea più chiara dei profili professionali che accompagnano la vita di un soggetto che abbia bisogni ordinari o che abbia bisogni speciali. La necessità di partire dai profili professionali è suggerita anche dalla confusione che è stata fatta negli ultimi tempi a proposito di alcuni riconoscimenti, certamente formali ma con ricadute pratiche.Valga come esempio più rilevante quello dell’equiparare la figura dell’insegnante di educazione fisica al ruolo del fisioterapista. E’ quantomai evidente – e dovrebbe esserlo anche a coloro che non sono addetti allo specifico – che avere una preparazione per essere fisioterapisti è cosa assai lontana dall’avere la preparazione per fare l’insegnante di educazione fisica; sono due profili professionali, possono avere alcuni elementi che li possono rendere percorribili in una formazione condivisa ma sono molto pochi.In realtà il fisioterapista ha dalla sua una formazione che si specifica in tirocini mirati e in una forma di organizzazione degli apprendimenti che vede al centro della sua attenzione – quindi della sua formazione – il percorso riabilitativo, e che si rivolge a chi ha subito un trauma che può essere stato prenatale, alla nascita o durante il percorso di vita, con delle differenze notevoli.
L’insegnante di educazione fisica evidentemente di questo ha una visione del tutto marginale o ne è assolutamente fuori. Al massimo vi può essere l’insegnante di educazione fisica che si è voluto specializzare come figura che chiamiamo – per assunzione di linguaggio gergale – “di sostegno”. Diventa quindi un insegnante di educazione fisica specializzato per il sostegno all’integrazione e come tale potrebbe avere delle informazioni che lo avvicinano un po’ di più alla figura del fisioterapista.
Ma anche questo è un elemento discutibile e non probante perché potrebbe avere informazioni buone, esperienza che lo rende anche capace di trasformare le informazioni in un agire a proposito dell’insufficienza mentale, della sindrome di Down. Ma un fisioterapista che cosa ha a che fare con la Sindrome di Down? Mentre un insegnante di sostegno per l’integrazione può avere una preparazione specifica o orientata alla specificità, il fisioterapista – a meno che non ci siano delle questioni che sono non legate alla Sindrome di Down ma ad altri fattori del percorso di vita del soggetto – non ha preparazione per tale Sindrome.
Questi elementi fanno pensare che si é proprio persa la strada della chiarezza dei profili professionali. C’è bisogno di riprenderla con vigore, con una certa rapidità perché sappiamo quanto una operazione di chiarezza delle figure professionali e del loro profilo permetta di realizzare una economia del tempo, che non può essere trascurato. La possibilità di dare formazione secondo una logica di profili professionali non vuol dire che avremo immediatamente gli esiti ed i risultati.
La formazione esige tempo. Prima si mette in ordine questo settore e meglio è. Ma per essere realistici non riteniamo possibile fare un quadro completo delle professioni e dei loro profili professionali. Realizziamolo attorno ad alcune professioni più diffuse e più capaci di stabilire logiche conseguenti e dinamiche virtuose.
Cominciamo ad esempio dai profili professionali degli insegnanti e in particolare degli insegnanti che hanno il compito specifico della specializzazione per l’integrazione. Ma non fermiamoci lì: in parallelo cerchiamo di avere la stessa attenzione per le figure degli educatori sociali ovvero quelle figure professionali che non fanno parte del sistema sanitario in senso stretto – questi ultimi è bene chiamarli educatori professionali, come il decreto fatto dall’allora ministro della Sanità Bindi aveva indicato, distinguendo gli educatori sociali che fanno parte dell’extrasanitario in un senso rigorosamente amministrativo. Certamente la cura della salute, connessa alla qualità della vita, non è un compito unicamente delle figure sanitarie ma anche delle figure sociali.
Gli educatori sociali hanno bisogno di un riconoscimento formale del profilo professionale. E questo esiste sia negli ordinamenti universitari che di fatto, avendo paradossalmente una grande diffusione nel nostro paese. Negli ordinamenti universitari vi è una formazione assai frequentata e premiata dal lavoro, certo non molto retribuito, ma che ha numeri piuttosto rilevanti e alti. Ma questa professione non viene riconosciuta nei concorsi e nelle gare d’appalto: è un paradosso che ci aspettiamo venga messo in ordine quanto prima.
I due profili professionali richiamati hanno bisogno di interagire con altri profili professionali quali quelli che sono più sicuri di sé - e questo potrebbe essere un limite perché una sicurezza impedisce di avere una autoanalisi precisa - quali quelli del Neuropsichiatria Infantile, dello Psicologo, dello Psicologo Cognitivo e altri, Logopedista, Assistente Sociale.
Il sistema cura interagisce con il sistema educante, formando un solo sistema.E’ interessante utilizzare questo modo di esprimersi facendo vivere il termine ‘cura’ non in senso strettamente farmacologico medico ma nella accezione più ampia del “prendersi cura”, dell’accrescere le caratteristiche che possono dare qualità alla vita degli individui e della società. Questi ultimi due termini – individuo e società – possono anche essere vissuti e organizzati come contrapposti. E’ ciò che risultava chiaramente dalla “confusione” fra “insegnamento individualizzato” e “insegnamento individuale”: emerge da un’impostazione organizzativa basata sulla contrapposizione secondo la quale la buona riuscita individuale è più realizzabile se viene abbandonata la troppa attenzione alla dimensione sociale.
La qualità della vita, e della scuola, che punta più sull’individuale, vuole recuperare il sociale (la società) in un secondo tempo. Elogia il volontariato, e riconosce crediti a chi si impegna in tal senso. Rinforza una visione della realtà in cui gli individui di successo aiutano con beneficenze chi vive nell’insuccesso. In questa prospettiva, proprio il termine competenza risulta evocato in un senso sbagliato – a nostro avviso -.
Dobbiamo ricordare, brevemente, che mentre le “capacità” hanno una dimensione sostanzialmente individuale, le “competenze” sono sociali o non sono. Ne sa qualcosa chi affronta le tematiche dell’autismo, in può vivere o trovare capacità che non riescono a diventare competenze, e in cui un problema è costituito dalla difficoltà a sviluppare un’intelligenza sociale. Gli studiosi e gli operatori hanno continuamente riscoperto gli apporti di Vigotskij, che fa riferimento all’individuo sociale come prospettiva da perseguire (educare ed educarsi).
Questa impostazione deve essere accompagnata da un altro aspetto. Prendiamo ad esempio l’educatore sociale: la possibilità che l’educatore sociale abbia un profilo professionale deve essere accompagnata dalla possibilità che ciascuno possa curare se stesso o se stessa costruendosi un profilo di competenza.
Vorremmo chiarire come all’interno di un profilo professionale vi possono essere più profili di competenza; che non sono un sistema chiuso: sono una dinamica aperta per cui vi può essere l’educatore sociale che acquisisce un profilo di competenze ben documentabile a proposito dell’autismo infantile, ed ha poi la possibilità di avere a che fare con problemi inerenti la cooperazione internazionale, aggiungendo al profilo di competenza acquisito a proposito dell’autismo quest’altra competenza che riguarda l’intercultura. In questo modo non abbiamo una fissità di competenze ma una possibilità di acquisirne nel corso della vita professionale.
Un altro esempio che può permettere di capire meglio: se il profilo di competenza riguarda la sordità, può essere che l’insegnante specializzato per il sostegno all’integrazione come l’educatore sociale abbia la necessità di prendersi cura, di dover educare ed istruire un soggetto plurideficiario sordocieco, e abbia la necessità quindi di acquisire ulteriori competenze. Il suo profilo di competenza si arricchisce per rispondere ai bisogni di quel soggetto sordocieco.
Questa organizzazione più sistematica ha bisogno di precisazioni. Occorre evitare che tale operazione non crei una serie di specialismi poco adatti ad accostare le realtà nella loro pluralità di problemi. Bisogna rendersi conto che la competenza reale rende l’ambiente competente, e questo accade perché vive lo scambio e la contaminazione delle competenze, sapendole invidiare e valorizzare negli altri. Bisogna fare chiarezza anche a partire dagli abusi di competenza o dai limiti che lo specialismo delle competenze può produrre: occorre avere uno sguardo critico e conoscere i rischi, per fare in modo, all’interno della formazione, di imparare a considerarli.
2. I rischi delle competenze possono essere ordinati secondo alcuni punti. Il rischio di una competenza chiusa significa la possibilità che vi sia una tale presunzione – il termine è nell’ordine dell’etica ma può essere declinato anche secondo l’etica professionale – da ritenere che il proprio sguardo competente elimini ogni altra realtà.
E’ quella situazione che più volte abbiamo cercato di spiegare utilizzando la metafora che in realtà è un punto della biologia animale dell’occhio della rana, indicando nell’occhio della rana quella specializzazione – usiamo il termine in un’estensione che non è del tutto corretta – biologica della rana che le permette di individuare il più piccolo movimento – il movimento della cimice dicono gli esperti in un gergo che però è abbastanza comprensibile anche a noi che non lo siamo – mentre non ha la minima possibilità di vedere e di accorgersi degli elementi che sono attorno a lei se non sono in movimento. Per questo si dice che l’occhio della rana permette di individuare la mosca in movimento e di far scattare la lingua in una presa immediata del cibo che rappresenta, mentre la stessa rana muore di fame se attorno a lei vi sono molte mosche morte e non c’è movimento d’aria per creare qualche possibilità di individuarle. Ci troviamo davanti ad uno specialismo chiuso.
La conseguenza di una competenza chiusa può essere quella di non vedere altro se non le realtà contenute nella propria competenza, ma può essere anche quella di privilegiare e considerare come unicamente importanti le realtà che si vedono attraverso la propria competenza trascurando le interazioni, le relazioni tra quelle realtà, visibili attraverso gli occhi della competenza, e l’esterno, e il contesto, o meglio i contesti.
La competenza chiusa rischia di creare dei danni e di non accorgersene; o per lo meno di avere delle difese tali da ritenersi non confrontabile, fuori da ogni comparazione e valutazione da parte degli esterni alla competenza. Un altro punto di rischio della competenza è quello che permette di utilizzare delle attività violente. Noi abbiamo una idea della violenza immediatamente collegata allo spargimento di sangue, alla coercizione fisica; vi sono però molti tipi di violenza e quelli a cui ci riferiamo sono la possibilità di coartare i ritmi biologici di un soggetto, di non attivare delle condivisioni, delle alleanze con il soggetto e con l’ambiente sociale in cui vive, di non sapere riformulare i piani d’azione secondo le caratteristiche socioculturali e di personalità del soggetto stesso. Noi abbiamo esempi purtroppo molto numerosi di questo tipo di violenza e in particolare uno studio a suo tempo svolto da Tomkievitz ci ha reso possibile una riflessione sulla violenza derivata da un eccesso di presunzione nella propria competenza.
Infine una terza possibilità di rischio della competenza è quella legata – naturalmente implicita già nelle due precedenti e soprattutto nella prima – alla possibilità di sentirsi gerarchicamente superiore ai colleghi. Bisognerebbe ricordare – e riprenderemo questo punto – che il profilo di competenze è all’interno di un profilo professionale e che questo deve collegare alla comunità allargata a cui si appartiene,, che comprende non solo gli altri professionisti ma anche i ruoli sociali del contesto allargato. Bisogna avere il senso dell’appartenenza ad un profilo professionale e non ritagliarsi un profilo di competenze equivocandole e rendendolo equivoco, facendolo diventare un’altra professione. Non è così, e riprenderemo questo punto.
3. Una terza parte di questa riflessione riguarda la possibilità che il profilo professionale completato dal profilo di competenze entri a far parte di una proposta e di una prospettiva inclusiva. In parte questo punto cerca di tener conto dei rischi già delineati e di proporre salvaguardie da quei rischi stessi. Intanto bisognerebbe chiarire - ma per i lettori questo lo diamo per scontato - che cosa si intende per prospettiva inclusiva; ma non sarà chiaro per tutti coloro che accostano il tema e sarà quindi necessario non stancarsi di riprenderlo in tempi eproposte di formazione sia di base che permanente.
E’ necessario che nei profili professionali a cui facciamo allusione ci sia un chiarimento relativamente alla prospettiva inclusiva nella formazione di base dei profili professionali e non lasciata unicamente a coloro che entrano nello specifico che riguarda l’inclusione. Spieghiamoci meglio: un insegnante deve nella sua formazione avere conoscenze della prospettiva inclusiva senza la necessità di optare per diventare insegnante specializzato, o specializzata, per l’integrazione. Un insegnante di matematica, un insegnante di educazione fisica, devono avere conoscenze di base che comprendano la prospettiva inclusiva e dovrebbe essere chiaro – ma sappiamo che ciò non è – che nella prospettiva inclusiva non si tratta unicamente delle categorie dei disabili che chiamiamo per brevità, in un gergo che è consueto alla nostra situazione italiana, “certificati”: si tratta di tutti coloro che hanno dei bisogni specifici e speciali. Anche coloro che, ad esempio, vengono da altre culture.
La prospettiva inclusiva non può essere riservata a categorie: è aperta a tutti. E’ un elemento che rinforza la necessità che tale prospettiva venga acquisita nella formazione di base di alcune professioni, possibilmente il più possibile delle professioni. Immaginiamo, anche se non è oggetto della nostra riflessione, che anche chi si prepara a fare il medico debba conoscere la prospettiva inclusiva. Sappiamo quanto sia difficile inserire in una formazione che si vuole mirata ad alcune competenze qualcosa che sembra non avere una qualifica specificamente competente ma più una sensibilità culturale, che può sembrare caratterizzata da buoni sentimenti, con equivoci che sono immediatamente percepibili da chi è addetto ai lavori e forse anche percepibili da coloro che si accostano per la prima volta a questi argomenti.
La possibilità che la presunzione di competenza giochi dei brutti scherzi è presente, e richiama il paragrafo precedente; ma è chiaro che ritorna anche nella riflessione che stiamo cercando di fare su questo aspetto. Prospettiva inclusiva quindi come elemento di base e di conseguenza possibilità che nell’elemento di base che è il profilo professionale vi siano delle necessità di competenze specifiche ma non esclusive: specificità e non esclusività.
Non è possibile che chi avrà un profilo di competenza abbia la pretesa di occuparsi esclusivamente dei soggetti che sono previsti da quelle competenze. Bisognerà che ci sia una capacità di flessibilizzare le proprie competenze per aprirle alla continuità che dallo specifico va verso il generale. Vogliamo essere più precisi attraverso un esempio pur sapendo che gli esempi, nelle intenzioni di chi li propone, possono essere usati per chiarire ulteriormente e poi il più delle volte fanno lo scherzo opposto, ossia chiudono un discorso in una situazione circoscritta.
Ritorniamo all’esempio dell’autismo: se nell’autismo elementi interessanti che nelle competenze si devono mettere in luce sono relativi alla comunicazione, alla capacità di leggere i comportamenti emotivi, di determinare delle cornici metacognitive che permettano ai soggetti di ritrovare il senso delle loro azioni ecc. ecc., è chiaro – o dovrebbe essere tale – che questo profilo di competenze non è esercitabile in esclusiva per i soggetti autistici perché vi saranno certamente – è la legge dei grandi numeri – tanti altri soggetti che, pur essendo assolutamente lontani dall’autismo vivono delle condizioni di marasma comunicativo, di incapacità di orientarsi in una pluralità di simboli e significati,…, ed hanno comportamenti problematici chee possono essere affrontati utilizzando al meglio le competenze mirate all’autismo.
Nella prospettiva inclusiva significa utilizzarle per potere trasmettere le competenze a colleghe e colleghi che non hanno lo stesso profilo di competenza. Questo significa che nel profilo di competenza – ed è anche questo un elemento che dovrebbe essere predisposto dal profilo professionale – vi è la capacità già indicata di rendere il contesto competente e capaci di dialogo e di scambio le figure professionali del contesto.
L’operazione importante della formazione è quella di pensare di avere una professione che si esercita sempre con una responsabilità personale aperta alla cooperazione con le altre figure che vivono nel contesto educativo, sia esso scolastico, extrascolastico, sia di infanzia, preadolescenza, adolescenza ma anche nella prospettiva di essere con responsabilità educativa per adulti. Questo è un elemento di grande importanza e riteniamo che debba essere il più possibile approfondito in continuità, non chiuso in una dichiarazione di principio: reso partecipe e verificato nei fatti. Sappiamo essere nell’ordine della realtà la possibilità di provocare esclusioni.
Abbiamo vissuto e viviamo una frequente esclusione dell’insegnante che chiamiamo di sostegno che, insieme al soggetto di cui si deve occupare, vive una forma di esclusione nei fatti dal contesto classe – e questo succede molte volte –. Non vorremmo arrivare ad un’esclusione attraverso il profilo delle competenze che giocherebbe al ribasso e permetterebbe di mortificare la prospettiva inclusiva, fingendola e non realizzandola.
La possibilità che il profilo di competenze eviti quella dimensione prevalentemente di dedizione oblativa, di sacrificio affettivo che a volte si verifica nelle migliori delle persone che si dedicano a quello che viene chiamato “il sostegno” e che chiude in un binomio, in una dinamica a due la relazione, anziché aprirla alla pluralità dei soggetti che compongono un contesto educativo, si può trasferire in una situazione di esclusione attraverso un profilo di competenze tecniche.
La possibilità auspicata è quella di arrivare a mettere in moto un sistema premiante della cura educativa ampia e con capacità di autocorreggersi. La nostra proposta è evidentemente segnata dal calendario storico, nel senso che riteniamo opportuna questa proposta negli anni in cui siamo e nel contesto che abbiamo l’avventura di vivere. Non la facciamo diventare un assoluto: è un correttivo necessario in una situazione in cui il rischio maggiore è stato quello di avere competenze, qualche volta e neanche troppo estese, lontane da dove ve ne è bisogno.
Il nostro assunto principale - fare incontrare i bisogni con le competenze utili agli stessi, nella prospettiva inclusiva - ha una funzione storica, e non è un assoluto. Al momento è una necessità da costruire e garantire, perché ne siamo lontani. Dovrà essere continuamente riesaminata e corretta senza però perdere o sacrificare il ruolo importante delle competenze nella prospettiva inclusiva.
Tratto da: http://www.pedagogiaspeciale.it/Materiali-inclusionecompetente.htm