mercoledì 31 ottobre 2007
CITTADINI COMUNITARI E PACCHETTO SULLA SICUREZZA
Cari Ministri, sottopongo alla Vostra attenzione alcune considerazioni sulla disposizione, contenuta nel pacchetto sicurezza, che sanziona con l'arresto da uno a sei mesi e l'ammenda da 200 a 2000 euro il cittadino comunitario che non rispetti l'obbligo di consegnare al consolato italiano l'attestazione di ottemperanza all'allontanamento.
Mi sembra che una disposizione di questo genere non sia compatibile con laDirettiva 38/2004. La direttiva, infatti, stabilisce (art. 15, co. 3) che non può essere vietato il reingresso a seguito di un allontanamento legato alla mancanza dei requisiti previsti per il diritto di soggiorno. Il reingresso rimane quindi regolato dalle disposizioni ordinarie e non può essere condizionato all'adempimento di oneri da parte del comunitario diversi da quelli imposti a qualunque altro cittadino comunitario che entri per la prima volta in Italia. Meno che mai, allora, potrà essere gravato da un obbligo, come quello configurato dalla disposizione del pacchetto sicurezza. Per di più, tale obbligo, costringendo l'interessato a recarsi nel proprio paese, limiterebbe il suo diritto di recarsi direttamente in altro Stato membro e violerebbe l'art. 4, co. 1 della Direttiva 38/2004: "1. Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell'Unione munito di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro." É vero che lo Stato italiano può, in base all'art. 36 della Direttiva,determinare sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni adottate in base alla direttiva stessa. Ma valgono le due considerazioniche seguono:
1) non può che spettare allo Stato stesso la dimostrazione che la violazione ha avuto luogo. E la mancata ottemperanza all'obbligo di consegna dell'attestazione non può evidentemente essere fatta valere come prova di mancata ottemperanza all'allontanamento, a meno di non invertire illegittimamente l'onere della prova;
2) l'imposizione di un obbligo al comunitario allontanato per mancanza dei requisiti si configura di per sé come sanzione (dal momento che limita ilsuo diritto a circolare immediatamente e liberamente negli altri Stati membri), e tale sanzione é di fatto irrogata senza che vi sia stata alcuna violazione delle disposizioni nazionali. La mancanza di requisiti per il soggiorno di lunga durata non costituisce infatti violazione delle disposizioni, ma solo motivo per l'adozione di un provvedimento di allontanamento.
Infine, riguardo all'efficacia della disposizione in esame, occorre tener presente un aspetto non trascurabile. É vero che essa ostacolerebbe il cittadino comunitario che, a seguito di un allontanamento, intenda restare sul territorio. Ma, nella stragrande maggioranza dei casi, non risolverebbe affatto il problema di come adottare, a carico di un comunitario privo di requisiti per il soggiorno di durata superiore a tre mesi, il primo provvedimento di allontanamento. A fronte di qualunque controllo sul possesso dei requisiti, il comunitario potrà sempre affermare di essere appena entrato in Italia o, per controlli successivi al primo, di essere uscito e rientrato successivamente al controllo precedente. Spetterà all'Amministrazione provare il contrario, dato che nessun soccorso viene, in questo caso, dalla disposizione del pacchetto sicurezza. In mancanza di tale prova, il comunitario potrà far valere,con giusta alterigia, il diritto sancito dall'art. 6, co. 1 dellaDirettiva: "1. I cittadini dell'Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d'identitào di un passaporto in corso di validità." E tale diritto vale (art. 14, co. 1 della Direttiva) finché il cittadino comunitario non diventa un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato. Vale quindi in tutti i casi in cui il sistema di assistenza sociale non si sia affatto attivato a beneficio dell'interessato. Benché sia comprensibilissima la preoccupazione di dare sostanza alla facoltà dello Stato di allontanare un cittadino comunitario che non abbiai requisiti previsti, credo si debba accettare il fatto che le disposizioni in materia di limitazione del diritto di soggiorno per ragioni diverse da ordine pubblico e sicurezza sono assolutamente inefficaci ad impedire tale soggiorno. Restano efficaci ai soli fini dell'esclusione del cittadino comunitario dal godimento di diritti correlati (ad esempio, riguardo all'acquisizione del diritto di soggiorno permanente). Si tratta allora di una battaglia irrimediabilmente persa? Credo propriodi sì, sempre che abbia senso combattere di queste battaglie. La situazione é simile a quella di un parroco che non sopporti che un mendicante chieda l'elemosina in chiesa, disturbando i fedeli intenti a pregare. Il parroco in questione non può fare altro che frapporsi tra il mendicante e la persona cui viene chiesta l'elemosina ogni volta che questo avviene. Ma non può mettere fuori dalla chiesa il mendicante. Per due ragioni. Una - che qui non rileva - di carattere sostanziale: Matteo25, 31-46. L'altra, di carattere formale: il mendicante potrebbe dirsi contrito per aver disobbedito agli ordini del parroco ed esigere il proprio diritto di pregare per ottenere il perdono divino.
Cordiali saluti
sergio briguglio
lunedì 29 ottobre 2007
Link et nunc 4: le storie della storia
François Furet e le passioni della democrazia
Il Fronte Popolare: tra unità morale e "grande malinteso" (Versione PDF)
Le virtù della storia. Appunti sulla riflessione blochiana
Sul concetto di storia in Hannah Arendt (Versione PDF)
Prima del "Privilegium": la complessa politica di Ottone I (Versione PDF)
E una ricca sezione Link
Per contatti: dianastoria@hotmail.com
« Accompagnavo, a Stoccolma, Henri Pirenne. Appena giunti mi disse: "Che cosa andiamo a visitare come prima cosa? Sembra che vi sia un municipio nuovissimo. Cominciamo da lì". Poi, come se volesse prevenire un mio moto di meraviglia, aggiunse: "Se fossi un antiquario, non avrei occhi che per le cose vecchie. Ma io sono uno storico. E’ per questo che amo la vita". Questa capacità di afferrare il vivente, ecco davvero, in effetti, la qualità sovrana dello storico».
Marc Bloch, Apologia della storia
« Nella requisitoria che è stata, tante volte, pronunciata contro la storia, un tema ritorna con un'insistenza particolare. La storia, si dice, è una cattiva consigliera. L’accusa risale a molto tempo fa, e non l’hanno inventata né Paul Valéry, né Nietzsche. Ascoltate, per esempio, il vecchio Volney, storico anche lui, nonostante questo, e teorico della storia: "Più analizzo l’influenza che esercita la storia sulle nazioni e le opinioni degli uomini", confessava nel 1799 ai suoi auditori all’École Normale, "più mi sono convinto ch’essa è una delle fonti più feconde dei loro pregiudizi e dei loro errori" ».
Marc Bloch, appunti per la stesura dell’Apologia
La storia dunque, cattiva consigliera.
Sarebbe arduo in queste poche righe definire cosa sia la storia e difenderla dalle critiche numerose e, perché no, a volte fondate che le vengono da più parti mosse. Rientrerebbe, tale difesa, nei compiti per la stesura di una nuova "apologia per la storia".
Non sentendoci a tal punto presuntuosi, ci limitiamo a rimandare alla lettura di quella, chiarissima e ancora emozionante, blochiana.
Che la storia sia in ogni modo una consigliera perfida (d’altronde si sa, come cantava De André, che "la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio": e chi meglio della Storia immortalata da tali parole?), che sia o no una "scienza", che sia in continua competizione agonistica con la memoria, che pretenda di avere un rapporto coi "fatti" e col "tempo" (entità che per la filosofia sono dei misteri teologici) privilegiato quanto problematico, che lo storico sia o no un giudice, … sono tutte questioni antiche quanto la storia e che pure continuano a riproporsi e appassionarci sullo sfondo del vertiginoso scorrere del tempo in cui lo storico, a modo suo, tenta di mettere ordine.
E per certi versi è questo il mestiere di storico: sulla frontiera mobile tra passato e presente sforzandosi di mettere ordine laddove, apparentemente, giace il caos.
Senza pretendere di scrivere manifesti di una nuova storiografia (o della nostra), ci auguriamo, con questo sito, di poter essere un luogo di riflessione attraverso il quale la Storia, o il concetto che abbiamo di essa, emerga, si chiarifichi, ponendosi come un interlocutore per tutti coloro che si interrogano sul "mondo attuale" alla ricerca di riferimenti e chiavi di lettura. Ci sembrerebbe, se quest'obiettivo fosse raggiunto, già lusinghiero. Comprendere, infatti, alla resa dei conti, è l’unica presunzione della storia. E non è poco poiché la nostra comprensione influenzerà il modo in cui noi agiremo e dunque è alla base della nostra esistenza politica (oltre che umana).
Non è il caso, in questa breve presentazione, di soffermarsi su tutte le "coppie" controverse e chiacchierate che la storia forma, accompagnandosi di volta in volta (beffeggiando continuamente le pretese monogamiche delle spartizioni comandate accademiche) e anche contemporaneamente con memoria, testimonianza, racconto, finzione, realtà e chi più ne ha più ne metta.
Però vorremmo, per meglio presentarci, spendere qualche veloce parola (di cui ci si scuserà la sommarietà) su storia e identità, che in effetti attraversa con una fedeltà sospetta tutta la ricerca storiografica.
Di certo la storia è sia un pezzo importante della nostra identità sia un suo "strumento" (limitandoci, è vero, per questa frase, ad un significato molto elementare del termine "storia"): sarebbe tuttavia impossibile dettare le regole di questo legame così duraturo e fissarle una volta per tutte perché cambiano da storico a storico e di epoca in epoca. Per il momento, questa disciplina, per noi, è un punto di partenza: per un ampliamento dello sguardo, nello spazio e nel tempo che anche se consente di ritornare sempre a sé (è prima o poi necessario, ma con una consapevolezza dell’altro), permette di andare oltre, come se la storia fosse una disciplina di una "frontiera" continuamente mobile, intesa non come limite e chiusura, ma come luogo da attraversare e scoprire e con noi sempre in dirittura d’arrivo.
Noi a dire il vero, da questo punto di vista, non possiamo vantare gli attraversamenti degli storici di professione. Ci sentiamo, però, come scriveva Michel de Certeau, lettori, essendo una lettura "milles manières de déchiffrer dans les textes ce qui nous à déjà écrits".
Coloro che desiderano collaborare sono invitati a contattarci.
domenica 28 ottobre 2007
VANDANA SHIVA: PRINCIPI COSTITUTIVI DI UNA DEMOCRAZIA DELLA COMUNITA' TERRENA
Riprendo il seguente testo
VANDANA SHIVA: PRINCIPI COSTITUTIVI DI UNA DEMOCRAZIA DELLA
COMUNITÀ TERRENA
Proponiamo il seguente estratto dall'introduzione del recente libro di Vandana Shiva, Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006, alle pp. 16-19.
Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, è oggi tra i principali punti di
riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi.
Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006
1. Tutte le specie, tutti gli esseri umani e tutte le culture possiedono un valore intrinseco.
Tutti gli esseri viventi sono soggetti dotati di intelligenza, integrità e di un'identità individuale. Non possono essere ridotti al ruolo di proprietà privata, di oggetti manipolabili, di materie prime da sfruttare o di rifiuti eliminabili. Nessun essere umano ha il diritto di possedere altre specie, altri individui, o di impadronirsi dei saperi di altre culture attraverso brevetti o altri diritti sulla proprietà intellettuale.
2. La comunità terrena promuove la convivenza democratica di tutte le forme di vita. Siamo membri di un'unica famiglia terrena, uniti gli uni agli altri dalla fragile ragnatela della vita del pianeta. Pertanto è nostro dovere assumere dei comportamenti che non compromettano l'equilibrio ecologico della Terra, nonché i diritti fondamentali e la sopravvivenza delle altre specie e di tutta l'umanità. Nessun essere umano ha il diritto di invadere lo spazio ecologico di altre specie o di altri individui, né di trattarli con crudeltà e violenza.
3. Le diversità biologiche e culturali devono essere difese. Le diversità biologiche e culturali hanno un valore intrinseco che deve essere riconosciuto. Le diversità biologiche sono fonti di ricchezza materiale e culturale che pongono le basi per la sostenibilità. Le differenze culturali sono portatrici di pace. Tutti gli esseri umani hanno il dovere di difendere tali diversità.
4. Tutti gli esseri viventi hanno il diritto naturale di provvedere al loro sostentamento.
Tutti i membri della comunità terrena, inclusi gli esseri umani, hanno il diritto di provvedere al loro sostentamento: hanno diritto al cibo e all'acqua, a un ambiente sicuro e pulito, alla conservazione del loro spazio ecologico. Le risorse vitali necessarie per il sostentamento non possono essere privatizzate. Il diritto al sostentamento è un diritto naturale perchè equivale al diritto alla vita. È un diritto che non può essere accordato o negato da una nazione o da una multinazionale. Nessun paese e nessuna multinazionale ha il diritto di vanificare o compromettere questo genere di diritto, o di privatizzare le risorse comuni necessarie alla vita.
5. La democrazia della comunità terrena si fonda su economie che apportano la vita e su modelli di sviluppo democratici. La realizzazione di una democrazia della comunità terrena presuppone una gestione democratica dell'economia, dei piani di sviluppo che proteggano gli ecosistemi e la loro integrità, provvedano alle esigenze di base di tutti gli esseri umani e assicurino loro un ambiente di vita sostenibile. Una concezione democratica dell'economia non prevede l'esistenza di individui, specie o culture eliminabili. L'economia della comunità terrena è un'economia che apporta nutrimento alla vita. I suoi modelli sono sempre sostenibili, differenziati, pluralistici, elaborati dai membri della comunità stessa al fine di proteggere la natura e gli esseri umani e operare per il bene comune.
6. Le economie che apportano la vita si fondano sulle economie locali. Il miglior modo di provvedere con efficienza, attenzione e creatività alla conservazione delle risorse terrene e alla creazione di condizioni di vita soddisfacenti e sostenibili è quello di operare all'interno delle realtà
locali. Localizzare l'economia deve diventare un imperativo ecologico e sociale. Si dovrebbero importare ed esportare soltanto i beni e i servizi che non possono essere prodotti localmente, adoperando le risorse e le conoscenze del luogo. Una democrazia della comunità terrena si fonda su delle economie locali estremamente vitali, che sostengono le economie nazionali e globali. Un'economia globale democratica non distrugge e non danneggia le economie locali, non trasforma le persone in rifiuti eliminabili. Le economie che sostengono la vita rispettano la creatività di tutti gli esseri umani e producono contesti in grado di valorizzare al massimo le diverse competenze e capacità. Le economie che apportano la vita sono differenziate e decentralizzate.
7. La democrazia della comunità terrena è una democrazia che tutela la vita.
Una democrazia che tutela la vita si fonda sul rispetto democratico di ogni forma vivente e su un comportamento democratico da adottare già a partire dalla quotidianità. Ogni soggetto coinvolto ha il diritto di partecipare alle decisioni da prendere in merito al cibo, all'acqua, alla sanità e all'istruzione. Una democrazia che tutela la vita cresce dal basso verso l'alto, al pari di un albero. La democrazia della comunità terrena si fonda sulle democrazie locali, lasciando che le singole comunità costituite nel rispetto delle differenze e delle responsabilità ecologiche e sociali
abbiano pieni poteri decisionali riguardo all'ambiente, alle risorse naturali, al sostentamento e al benessere dei loro membri. Il potere viene delegato ai livelli esecutivi più alti applicando il principio della sussidiarietà. La democrazia della comunità terrena si fonda sull'autoregolamentazione e sull'autogoverno.
8. La democrazia della comunità terrena si fonda su culture che valorizzano la vita.
Le culture che valorizzano la vita promuovono la pace e creano degli spazi di libertà per consentire il culto di religioni diverse e l'espressione di diverse fedi e identità. Tali culture lasciano che le differenze culturali si sviluppino proprio a partire dalla nostra umanità e dai nostri comuni diritti in quanto membri della comunità terrena.
9. Le culture che valorizzano la vita promuovono lo sviluppo della vita stessa.
Le culture che valorizzano la vita si fondano sul riconoscimento della dignità e sul rispetto di ogni forma di vita, degli uomini e delle donne di ogni provenienza e cultura, delle generazioni presenti e di quelle future.
Sono culture ecologiche che non producono stili di vita distruttivi o improntati al consumismo, basati sulla sovrapproduzione, sullo spreco o sullo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Le culture che valorizzano la vita sono molteplici, ma ispirate da un comune rispetto per il vivente. Riconoscono la compresenza di identità diverse che condividono lo spazio comune della comunità locale e danno voce a un sentimento di appartenenza che correla i singoli individui alla terra e a tutte le forme di vita.
10. La democrazia della comunità terrena promuove un sentimento di pace e solidarietà universale.
La democrazia della comunità terrena unisce tutti i popoli e i singoli individui sostenendo valori quali la cooperazione e l'impegno disinteressato, anziché separarli attraverso la competizione, il conflitto, l'odio e il terrore. In alternativa a un mondo fondato sull'avidità, sulla diseguaglianza e sul consumismo sfrenato, questa democrazia si propone di globalizzare la solidarietà, la giustizia e la sostenibilità.
sabato 27 ottobre 2007
Segnalazione ImmaginAfrica 2007
Negoziare con il male
Stregoneria e controstregoneria dogon
Piero Coppo
Il sortilegio in terra d’Africa, i suoi rituali di aggressione e protezione nell'esperienze di un etnopsichiatra.
Anno 2007
Collana «Nuova Cultura»
Prezzo €20,00176 pp. con 15 t.f.t.
NEGOZIARE CON IL MALE
A tredici anni di distanza, Piero Coppo si pone idealmente in continuità con Guaritori di follia. Stesso luogo, il Mali, stessa etnia, i Dogon, già oggetto d’elezione dell’africanistica del Novecento, e oggi tra le principali attrattive di un turismo antropologico su cui fanno presa i rituali magici del popolo dell'altopiano.
Coppo muove da un punto di vista che invece non concede nulla alle tinte posticce del folklore maliano vagheggiato in Occidente. In un tono che sa conciliare narrazione senza reticenze e riflessione radicale, racconta sì di sacrifici cruenti, di oggetti malefici o protettivi, di forze dirompenti o conservative, ma interpellando innanzi tutto il senso che assumono all'interno del sistema di regolazione e mediazione con l'invisibile a cui appartengono malattia e cura. Sistema che vede controstregoneria e guaritori contrastare l'azione disaminante e divorante di stregoni occulti, e arrestarsi sulla labile soglia che separa la conoscenza delle cose nascoste dal potere che le riavvolge contro altri umani.
Chi opera laggiù - terapeuta o uomo di chiesa - non può permettersi di ignorare il paradigma africano del male, quella paziente concezione negoziale intesa a disattivarne, volta per volta, gli effetti, piuttosto che a neutralizzarne la temibilità e a estirparlo con accanimento prometeico. Di tutto questo Coppo ha fatto esperienza: ha affrontato il sospetto verso il bianco che indaga il dominio esoterico (perchè chiedere è per sapere, e sapere è per fare), ha lavorato a lungo con i "negoziatori", ha lasciato che l'angoscia arcaica prendesse forma anche dentro di lui e si elaborasse in un libro.
Piero Coppo, neuropsichiatra e psicoterapeuta, insegna Etnopsichiatria all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha lavorato a lungo in Mali e in Guatemala, come esperto del Ministero degli Esteri italiano, in programmi di cooperazione tecnica sui sistemi locali di cura. Tra i suoi ultimi saggi: Etnopsichiatria (il Saggiatore, Milano 1996) e Passaggi. Elementi di critica dell’antropologia occidentale (Colibrì, Paderno Dugnano 1998).
venerdì 26 ottobre 2007
CINQUE PROPOSTE
di PEPPE SINI
1. Un movimento nonviolento contro la guerra in corso.
E' scandaloso che mentre l'Italia partecipa alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan i sedicenti movimenti per la pace su tutto s'impegnino tranne che nel contrastare la guerra e le stragi.
Opporsi alla guerra e' necessario e urgente; opporsi alla guerra con una posizione nonviolenta: antimilitarista e disarmista.
2. Un movimento nonviolento contro la violenza maschile.
La più feroce e diffusa delle guerre è quella dei maschi contro le donne. Se non si contrasta e non si sconfigge la violenza maschile, l'ideologia maschilista, le strutture del patriarcato, non può esservi né pace né giustizia né convivenza; non può esservi riconoscimento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani.
3. Un movimento nonviolento per la difesa della biosfera.
L'ecosistema e' al collasso. Il modello di sviluppo dominante, capitalista e industrialista, sta provocando una catastrofe planetaria che mette a rischio la stessa civiltà umana. Occorrono scelte ecoequosolidali, rigorosamente ispirate al principio responsabilità, alla scelta della sobrietà e della condivisione, della nonviolenza nella sua pienezza; scelte cogenti nell'economia, nell'amministrazione, nelle relazioni internazionali, nella gestione del territorio, nelle relazioni interpersonali, nei modelli di pensiero e negli stili di vita.
4. Preparare liste nonviolente per le prossime elezioni politiche, europee ed amministrative.
Dopo il fragoroso fallimento e la devastante corruzione della ex-sinistra più o meno democratica e più o meno ecopacifista, e di fronte al rischio di una dilagante vittoria della destra eversiva più oltranzista, è necessario che giunga nelle istituzioni in modo nitido ed intransigente la proposta politica e amministrativa della nonviolenza, il progetto e l'azione della nonviolenza giuriscostituente.
5. Costruire un quotidiano che porti ogni giorno in edicola le idee, le proposte, le iniziative della nonviolenza.
Un quotidiano femminista, ecologista, equosolidale, dei diritti umani, per i beni comuni e la socializzazione - almeno della gestione e del controllo -dei mezzi di produzione e dell'accesso alle risorse. Un quotidiano della nonviolenza in cammino.
giovedì 25 ottobre 2007
PER ALTRI VERSI
Esistono molte solitudini intersecate -dice- sopra e sotto
ed altre in mezzo; diverse o simili, ineluttabili, imposte
o come scelte, come libere -intersecate sempre.
Ma nel profondo, in centro, esiste l'unica solitudine- dice;
una città sorda, quasi sferica, senza alcuna
insegna luminosa colorata, senza negozi, motociclette,
con una luce bianca, vuota, caliginosa, interrotta
da bagliori di segnali sconosciuti. In questa città
da anni dimorano i poeti. Camminano senza far rumore, con le mani conserte,
ricordando vagamente fatti dimenticati, parole, paesaggi,
questi consolatori del mondo, i sempre sconsolati, braccati
dai cani, dagli uomini, dalle tarme, dai topi, dalle stelle,
inseguiti dalle loro stesse parole, dette o non dette.
tratto dal volume Ghianni Ritsos, Poesie gesti, 1978, Roma, Newton Compton
Ritsos nasce il 1 maggio 1909 a Monemvassia (Grecia) e muore ad Atene nel 1990. E' uno dei maggiori poeti greci del secolo scorso.
Per saperne di più: http://www.girodivite.it/antenati/xx3sec/_ritsos.htm
martedì 23 ottobre 2007
Liberiamo l'Italia dalle atomiche
La messa al bando di tutte le armi nucleari è un’aspirazione condivisa da tutta l’umanità.
A livello internazionale, invece, stanno aumentando ricerca e produzione di nuovi tipi di bombe atomiche. Altre potenze finanziano l’ammodernamento dei propri arsenali nucleari. Ed aumentano, di conseguenza, i Paesi che vogliono entrarne in possesso per acquistare peso sulla scena mondiale.
In Italia abbiamo 90 testate atomiche. Non dovrebbero esserci. Nel 1975 l’Italia ha ratificato il Trattato di Non Proliferazione nucleare impegnandosi (art. 2) a non produrre né ad accettare mai sul proprio territorio armi nucleari. Secondo il diritto internazionale, l’Italia le deve rifiutare. Per Alleanza (NATO), invece, le accetta. Non possiamo avere due pesi e due misure.
I negoziati internazionali per liberare l’umanità dalla minaccia atomica rimangono impantanati perché chi possiede le armi atomiche vuole solo che nessun altro le abbia. Ma non è disposto a rinunciarvi. E questo invece era l’impegno sottoscritto nel Trattato di Non Proliferazione (art.6): arrivare al disarmo nucleare totale e globale.
Cominciamo da qui. Cominciamo da noi.
Per questo lanciamo una raccolta di firme per una legge d’iniziativa popolare. Affinché si dichiari l’Italia "Paese Libero da Armi Nucleari". Diventeremo, come l’Austria, uno dei 106 Stati del mondo dove le bombe atomiche non hanno diritto di cittadinanza. Saremo la maggioranza, nella buona compagnia di tutti gli Stati dell’America centro-meridionale, dell’Africa, del Pacifico, del sud-est asiatico. E cammineremo anche noi verso un futuro senza atomiche.
Dichiarazione del territorio della Repubblica Italiana "Zona Libera da Armi Nucleari"Relazione Tecnica accompagnatoria del disegno di legge di iniziativa popolare
Scritto da Comitato promotore e pubblicato il 30-09-2007
Il presente disegno di legge si prefigge l’obiettivo di dichiarare l’Italia "Zona Libera da Armi Nucleari" (Nuclear Weapons Free Zone), aggiungendo quindi il territorio della Repubblica all’elenco delle aree geografiche nelle quali, in virtù di Trattati Internazionali o di autonomi atti legislativi è vietato il transito ed il deposito di armi nucleari.
L’Italia aderisce come ‘Stato Non Nucleare’ al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), firmato in data 28 gennaio 1969 e ratificato dal Parlamento con legge L. 24 aprile 1975, n. 131 (pubblicata sulla G.U. n. 113 del 30/04/75). Si è quindi già impegnato a non ricercare né ottenere il controllo, diretto o indiretto, di armi nucleari (v. art. 2 del TNP). Tuttavia, questo non ha finora impedito all’Italia di concedere agli Stati Uniti il permesso di dislocare armi atomiche sul territorio della Repubblica. Anche se i vari governi che si sono succeduti non hanno mai reso pubblico numero e dislocazione delle atomiche in Italia, hanno peraltro ufficialmente ammesso la partecipazione del nostro paese al cosiddetto "Nuclear Sharing" (Condivisione nucleare) della Nato.Va ricordato che la partecipazione al "Nuclear Sharing" non discende automaticamente dall’adesione al Patto Atlantico, tanto che su 25 paesi membri, sono solo 6 (Italia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, UK, Turchia) quelli che ospitano sul proprio territorio atomiche statunitensi. Rinunciare a tali atomiche non implica quindi la fuoriuscita dalla Nato, come ha dimostrato recentemente la Grecia, che nel 2001 ha raggiunto un accordo con gli Stati Uniti affinché fossero rimosse dal proprio territorio le atomiche fino ad allora presenti, senza che questo comportasse una rottura con la Nato.
Il testo del presente disegno di legge va però oltre gli impegni previsti per l’Italia dal TNP, in quanto dichiara ‘Zona Libera da Armi Nucleari’ anche le proprie acque territoriali. Tale misura, peraltro analoga a quella già assunta dalla Nuova Zelanda, mira a vietare il transito nei mari e nei porti italiani di navi e sommergibili dotati di armi atomiche. La concreta applicazione del presente provvedimento richiederà al Governo di attivarsi immediatamente nei confronti del Governo degli Stati Uniti per rinegoziare gli attuali accordi, sia in materia di deposito di atomiche che di transito di naviglio nucleare. A tal fine, è stato previsto un apposito comma, che stabilisce un periodo di sessanta giorni entro i quali il Governo dovrà adottare tutte le misure necessarie per la piena applicazione della legge. Tale periodo appare decisamente congruo, in presenza di un’adeguata volontà politica da parte del Governo Italiano.
Materiale tratto dal sito ufficiale della campagna per una proposta di legge di iniziativa popolare che dichiari l'Italia "Zona Libera da Armi Nucleari" www.unfuturosenzatomiche.org
Per informazioni: info@unfuturosenzatomiche.org
lunedì 22 ottobre 2007
GIU' LE MANI DAI BLOG!!!
Oggetto: no al DDL che limita la democrazia in Rete petizione on line. http://www.petitiononline.com/noDDL/petition.html
To: Consiglio dei Ministri No al DDL che trasforma la libera espressione della rete in testate giornalistiche. I siti e i blog sono libera espressione democratica non paragonabile alle testate giornalistiche registrate al Registro Operatori della Comunicazione che devono osservare l'apposita legge sulla stampa.
Ancora unavolta si cerca di limitare le libertà degli Italiani procedendo sulla strada della censura. I reati di diffamazione sono tranquillamente perseguibili senza porre ostacoli alla libertà d'espressione.
Chiediamo al Consiglio dei Ministri di ritirare il DDL che imporrebbe l'iscrizione al Registro Operatori della Comunicazione anche dei semplici blog.
Io ho già sottoscritto...
domenica 21 ottobre 2007
PROPOSTA
Gli Ebrei in Italia, a cura di Luciano Tas
La storia degli ebrei italiani incomincia a Roma, forse nel 300 A.E.V, ma le prime tracce ufficiali della loro presenza risalgono al 168 A.E.V., quando la Giudea chiede al Senato romano un'alleanza nella guerra contro i Seleucidi.
Tra il 168 e il 139 A.E.V. Gerusalemme manda a Roma diverse ambascerie, e dietro gli ambasciatori vengono i mercanti, gli artigiani, gli studiosi, i viaggiatori. A loro si aggiungeranno, dopo il 63 A.E.V., i prigionieri di guerra fatti da Pompeo nella campagna militare romana conclusa con l'occupazione di Gerusalemme.
Gli ebrei presenti in Italia intorno a quegli anni (forse 30.000 nella capitale e 40/50.000 in tutto il paese su una popolazione globale di 4 o 5 milioni di abitanti) hanno in comune non tanto una "nazionalità", concetto che doveva farsi strada nel mondo assai più tardi, quanto una religione. Osservanti di precetti rigorosi là dove è diffuso un certo lassismo, gli ebrei costituiscono un interrogativo e un problema. Interrogativo per quanto riguarda i loro usi e costumi, così diversi da quelli romani, problema per quanto riguarda, ad esempio, l'osservanza del sabato, "luogo" sacro agli ebrei, che include tra gli obblighi anche quello di non effettuare alcun lavoro. Tuttavia gli ebrei s'inseriscono bene nella società romana, offrendo sostegno politico a Giulio Cesare, che ricambia questa simpatia, e quando assume il potere riconosce alla comunità ebraica il diritto di osservare liberamente i precetti religiosi e di seguire le norme alimentari rituali.
Dopo il 70 da cittadini a profughi
Un cambiamento nella vita della comunità ebraica italiana si produce nel 70, quando cessa in Giudea ogni parvenza di sovranità. Gerusalemme ribelle è rasa al suolo dalle legioni di Tito e il Tempio è distrutto. I prigionieri affluiscono a Roma a migliaia. La fine della Giudea trasforma gli ebrei da cittadini in profughi.
Quando insorgono le prime dispute tra gli ebrei-cristiani (i primi adepti della nuova religione sono raccolti più tra gli ebrei che tra i pagani) e gli ebrei-ebrei, i disturbi provocati all'ordine pubblico provocano l'espulsione da Roma dei primi e dei secondi, senza distinzione. Con Diocleziano la "carta dei privilegi" di Cesare viene un po' alla volta mutilata. Infine, se Roma politeista e pagana poteva tollerare tutte le credenze, dopo Costantino Roma monoteista e cristiana non può accettare alcuna concorrenza, perché la nuova religione rappresenta al meglio l'elemento politico unificante di un impero incrinato. Incomincia così il lungo calvario ebraico nei secoli.
Bene gli Ostrogoti, meglio Arabi e Normanni
Ma dove si trovano gli ebrei in Italia nel 313? Una parte ancora a Roma, ma forti colonie sono presenti un po' ovunque e specialmente nel Meridione, a Pompei, a Capua, a Fondi, nelle Puglie, in Calabria e in Sicilia. Le prime discriminazioni statuali contro gli ebrei sono adottate dall'imperatore Costantino che vieta le conversioni all'ebraismo e proibisce agli ebrei di avere schiavi cristiani. Sono vietati i matrimoni misti e agli ebrei s'impongono corvées. La propaganda antiebraica porta immancabili frutti. Viene data alla fiamme una sinagoga a Tortona, in Piemonte, poi, nel 368, una a Roma e un'altra ad Aquileia.Nel 476, quando cade l'Impero Romano d'Occidente, gli ebrei si trovano sparsi in tutta Italia, a Bologna, Ferrara, Trieste, Torino, e in molti centri minori. Le invasioni barbariche - Visigoti, Vandali, Unni - costituiscono per ebrei e non ebrei, motivo di sofferenze. A riportare un minimo d'ordine nel paese sono gli Ostrogoti, il cui grande re Teodorico riesce, a cavallo tra il 400 e il 500, a stabilire un certo equilibrio tra la sua gente vittoriosa e quella italica dominata. Ed anche per gli ebrei sono decenni di relativa tranquillità, perché Teodorico ridimensiona il potere dei vescovi. Alla sua morte l'Italia diventa di nuovo campo di battaglia.Nel 600 gli ebrei lasciano il regno Franco-Longobardo del nord, dove le rigide strutture unitarie non favoriscono l'inserimento di elementi diversi, per i più frantumati centri di potere del sud, dove il pullulare di principati, ducati, città libere, rende più sicure le comunità ebraiche che vi si formano.
Il Mezzogiorno d'Italia è affacciato sul Mediterraneo, i suoi contatti con i paesi rivieraschi sono più fitti, gli scambi mercantili sono anche scambi culturali. Per quattro secoli vi si sviluppa una florida colonia ebraica. Il dominio arabo in Sicilia è, per l'epoca, assai liberale e l'unica misura restrittiva disposta nei confronti degli ebrei è un segno giallo sulle vesti. Quello normanno consentirà agli ebrei di condurre una vita relativamente normale e di espandersi socialmente e culturalmente, inserendosi nel tessuto circostante.
Ovunque si estende la potenza dei Normanni gli ebrei hanno scuole, sinagoghe, botteghe artigiane. La loro arte di fabbricare e dipingere stoffe e sete si estende all'estero. L'uso della lingua ebraica facilita i contatti con i correligionari di altri paesi, e quindi i traffici marittimi. L'elemento ebraico costituisce il necessario propellente allo sviluppo economico dei dominî normanni.
Tra Papato e Impero
Nel 1120 la "bolla" di Callisto II, Constitutio pro Judaeis, vieta agli ebrei di erigere nuove sinagoghe, o abbellire quelle esistenti. Né possono tenere servi o balie cristiane.
Ma Federico II, lo Svevo, che finirà poi scomunicato, promulga nel 1231 a Melfi una serie di leggi, raccolte nel Liber Augustalis, che garantiscono agli ebrei la parità con gli altri cittadini. È una sfida al Papato.
Nel 1267 Papa Clemente IV, nella sua bolla Turbato corde, incita domenicani e francescani a una maggiore severità nei confronti degli ebrei.
Ucciso Manfredi, la saga dei Normanni si chiude.
A Napoli, verso la fine del 1200, si scatena quello che molto più tardi verrà chiamato, con parola russa, un pogrom: case assaltate, sinagoghe date alle fiamme, botteghe saccheggiate, uomini uccisi e donne violentate. Una serie di violenze che verranno ricordate a Napoli con il nome dato a una strada: "Via Scannagiudei".
I Crociati verso la Terrasanta passando per la Germania
L'alba del XIV secolo vede in Italia, su una popolazione di 8 milioni di abitanti, 40.000 ebrei. Incalzati da decreti vessatori, da frequenti aggressioni e saccheggi, molti lasciano l'Italia per cercare rifugio provvisorio al di là delle Alpi, da dove per le stesse ragioni altri ebrei compiono il cammino inverso. Si calcolano in 100.000 gli ebrei uccisi al passaggio dei Crociati nelle città tedesche del Reno.
La Morte Nera e gli "untori"
Nel 1348 si abbatte sull'Europa una terribile epidemia di peste che verrà ricordata come la Morte Nera. Gli ebrei vengono accusati di esserne gli "untori" e di voler uccidere tutti i cristiani.
L'Italia è relativamente al riparo da questa ondata di follia, e diventa sempre più rifugio per migliaia e migliaia di ebrei, che si concentrano ora in Lombardia, nel Trentino, in Piemonte, nel Veneto, in Emilia, dove devono pagare un "diritto di residenza", portare un segno distintivo, subire altre restrizioni. Ma insomma vivono e producono. E godono del beneficio di saper leggere e scrivere.
Alla metà del XV secolo, l'Italia è divisa in una serie di piccoli Stati idealmente separati tra loro da una linea che passa tra il Papa e l'Imperatore, supremo reggitore del Sacro Romano Impero.
Vi è il Ducato di Savoia, con capitale Torino, entro la cui orbita si muovono altri tre feudi: Saluzzo, Asti e il Monferrato. Tutti e tre vedono un progressivo afflusso di ebrei che costituiscono altrettante comunità. A Venezia s'insedia una comunità ebraica cosmopolita che avrà un ruolo rilevante nello sviluppo della Repubblica, anche se è proprio qui, a Venezia, che nasce il primo Ghetto.
Altri centri ricchi di storia e di cultura ebraiche sono Mantova, Modena e Ferrara. A Firenze, sotto le sue Signorie, si sviluppa una intensa attività ebraica, specie nel settore bancario.
Addio alla Spagna
I dominî della Chiesa, come l'Emilia, la Romagna, l'Umbria e le Marche, non favoriscono l'afflusso ebraico, così come non lo favorisce il regno di Napoli, passato sotto il dominio degli spagnoli. E con il peggiorare delle condizioni degli ebrei in Spagna, fino alla definitiva cacciata, anche gli ebrei siciliani, calabresi e napoletani vedono volgere al termine un plurisecolare periodo di tolleranza e di relativa tranquillità. La scoperta dell'America nel 1492 coincide con l'espulsione, decretata dai sovrani spagnoli Ferdinando e Isabella, di tutti gli ebrei dalla Spagna e da tutti i dominî spagnoli, Sicilia inclusa.
A tutto il 1492 sono almeno 200.000 gli ebrei espulsi dalla Spagna e 40.000 dalla Sicilia, dove finisce così una presenza durata quindici secoli.
Riforma e Controriforma
Nel XVI secolo il Rinascimento si diffonde in tutta Europa, e oltralpe assume anche il carattere di contestazione e rivolta contro la Chiesa romana.
È la Riforma, sarà lo scisma. I cristiani non sono più solo cattolici e i contestatori diventano "protestanti".
La metà del Cinquecento segna per gli ebrei un drastico giro di vite. La Riforma induce il Papato a un generale irrigidimento. È la Controriforma.
Alcune conseguenze le conoscono nel 1555 in Italia gli ebrei, per i quali la Controriforma ha un nome: la bolla Cum nimis absurdum emessa dal papa Paolo IV il 15 luglio.
In essa si dice che "è assurdo e sconveniente al massimo grado che gli ebrei, che per loro colpa sono stati condannati da Dio alla schiavitù eterna, possano, con la scusa di essere protetti dall'amore cristiano e tollerati nella loro coabitazione in mezzo a noi, mostrare tale ingratitudine verso i cristiani da oltraggiarli per la loro misericordia e da pretendere dominio invece di sottomissione".
Questi ebrei, si legge ancora, osano "vivere in mezzo ai cristiani" e perfino "nelle vicinanze delle chiese", si vestono come gli altri, senza perciò potersi fare riconoscere, comprano case, assumono balie cristiane, insomma, commettono questi e "numerosi altri misfatti a vergogna e disprezzo del nome cristiano".
La bolla papale impone agli ebrei di abitare in una o più strade, dove non ci sia possibilità di contatto con i cristiani: è l'istituzionalizzazione del ghetto. Gli uomini sono obbligati a portare un berretto che li distingua; le donne un velo o uno scialle, sempre con caratteristiche tali da rendere subito nota la loro identità. Ogni contatto con i cristiani, di lavoro o di amicizia, è vietato. Agli ebrei è vietato ogni tipo di lavoro, d'arte o di commercio che non sia il traffico di stracci e di abiti usati - "sola arte strazziariae seu cenciariae".
Nel 1559 muore papa Paolo IV, ma le leggi antiebraiche del suo predecessore restano in vigore.
Col succedersi dei papi, Pio V, Gregorio XIII, Sisto V, Clemente VII, le condizioni di vita imposte agli ebrei non mutano. La politica della Chiesa ha conseguenze negative anche negli Stati che non sono direttamente dominati dal papato.
Liberté, Egalité, Fraternité
Con la Rivoluzione francese, esportata anche in Italia, gli ebrei italiani, che sono circa 30.000 su una popolazione di 17 milioni, fanno il loro ingresso nella vita pubblica del paese.
Occupati gli Stati pontifici, imposta a Roma una Repubblica retta da patrioti italiani liberali, i francesi favoriscono una Costituzione (20 marzo 1798) che garantisce a tutti i cittadini e a tutti i culti eguaglianza di trattamento da parte dello Stato.
Gli ebrei accolgono con entusiasmo l'ingresso dei francesi in Italia, ma restano prudenti, quasi presaghi che alla Rivoluzione e a Napoleone sarebbe succeduta la Restaurazione. E con la Restaurazione molti degli antichi ceppi.
Con la Restaurazione il pendolo torna indietro
Il Congresso di Vienna del 1814/15 s'incarica di mandare indietro il pendolo della Storia. Lo status quo ante è ripristinato e in Italia la condizione ebraica torna, segnatamente nello Stato pontificio, al disgraziato punto in cui si trovava nel XVIII secolo. Con la parziale eccezione della città di Livorno dove il Granduca di Toscana incoraggia l'afflusso degli ebrei, garantendone la sicurezza con un decreto noto come la "Livornina".
Anche in Piemonte tornano i ghetti, ma l'espansione economica ebraica negli anni di libertà ha creato situazioni di fatto difficilmente reversibili.
Nel Lombardo-Veneto vivono 7000 ebrei, che qui possono studiare e laurearsi. Condizioni simili si hanno in Toscana, a Parma, a Modena, a Mantova. In quest'ultima città agli ebrei è consentito uscire di giorno dal ghetto e persino tenervi "granari e magazzeni, purchè si osservi la debita distanza dalle Chiese".
Fratelli d'Italia
A partire dalla metà dell'800 la storia degli ebrei italiani si confonde sempre di più con la storia d'Italia e non può meravigliare il fatto che gli ebrei partecipino ai moti risorgimentali. I patrioti italiani, come Mazzini e Cattaneo, tendono all'abbattimento di un mondo chiuso, reazionario, antisemita. È proprio Cattaneo, con il suo Interdizioni imposte dalla legge civile agli Israeliti, a denunciare l'insostenibile condizione ebraica, anche se nel Regno di Sardegna alcune delle conquiste civili degli ebrei restano acquisite con lo Statuto albertino.
Alle campagne che Garibaldi conduce nel 1848 e nel 1849 partecipano duecento ebrei, e quando a Torino le responsabilità di governo sono affidate a Camillo Benso conte di Cavour, questi si avvale dell'opera di consiglieri e amici ebrei, come Ottolenghi, Todros, Vitta, Leonino. Segretario particolare di Cavour è un altro ebreo, Isacco Artom, mentre a dirigere il giornale governativo di Torino, L'Opinione, è chiamato Giacomo Dina.
Dietro l'angolo c'è il 1870 e la presa di Roma da parte dei bersaglieri. L'ultimo ghetto d'Europa è abbattuto. La Chiesa cattolica cessa di essere - per sua stessa fortuna - una potenza temporale.
L'Italia unita porta agli ebrei libertà e uguaglianza. Nel codice del 1889 non c'è più traccia della vecchia divisione tra religione di Stato e culti tollerati. Tutti i culti ora sono ammessi ed è punito il vilipendio di ogni religione professata.
La gente del Libro
Nel corso dei secoli gli ebrei non hanno mai smesso di produrre cultura. Dal filosofo, medico e astrologo Shabbatai ben Avraham Donnolo, vissuto nel X secolo nel Mezzogiorno, al pugliese Achimoaz da Oria che nel 1054 ha lasciato una preziosa Cronaca, agli anonimi estensori del dotto Sefer Josipon, è lunga la lista degli ebrei illustri. O dei grandi stampatori, come i Soncino, come Avraham di Chaim de' Tintori, da Pesaro, o il mantovano Avraham Conat. O dei medici come i Portaleone da Mantova, dei filologi come Azaria de' Rossi, dei commediografi come Leone de' Sommi Portaleone, dei musicisti come Salomone de' Rossi.
L'abitudine a leggere, scrivere e studiare agevola l'integrazione con la cultura circostante.
Alla fine del XIX secolo gli ebrei costituiscono il 6 per cento del corpo insegnante universitario (nel paese sono l'uno per mille). Già nel 1871, all'indomani della presa di Roma, la Camera dei Deputati conta undici ebrei ed è ebreo, tra il 1907 e il 1913, il sindaco di Roma Ernesto Nathan.
E sono gli ebrei di Trieste ad assumere un ruolo di rilievo nel movimento irredentista e nella cultura italiana, il cui simbolo triestino è Italo Svevo.
"Fatta salva la sua onorabilità"
La guerra mondiale del 1914/18 (l'Italia vi entra nel 1915) vede anche gli ebrei italiani al fronte.
Dopo il conflitto, per il quale l'Italia ha pagato il prezzo altissimo di 600.000 morti, in un clima di confusione e disordini, nel 1922 nel paese s'impone il fascismo, nei confronti del quale la posizione degli ebrei non è diversa da quella degli altri italiani: chi è a favore, chi è contro, chi si rassegna.
Il fascismo non si presenta come un movimento antisemita, ma i pochi teorici dell'antisemitismo, come Paolo Orano e Giovanni Preziosi, vi aderiscono subito.
Nemmeno Mussolini si era sottratto a un certo antisemitismo popolare. Già nel 1919 scriveva che il bolscevismo rappresentava "la vendetta dell'ebraismo contro il cristianesimo".
Ma ecco lo stesso Mussolini, appena un anno dopo, nel 1920: "Il bolscevismo non è, come si crede, un fenomeno ebraico. È vero invece che il bolscevismo condurrà alla rovina totale gli ebrei dell'oriente europeo".
Che un certo antisemitismo sia di uso corrente lo dimostra la curiosa conclusione di una nota che il capo della polizia Carmine Senise invia al Questore di Roma che lo aveva incaricato di compiere alcune indagini sullo psicoanalista Emilio Servadio (la psicoanalisi è malvista dal fascismo): "La madre del dott. Servadio, senza voler con ciò toccare la sua onorabilità, sembra essere israelita". Nel 1930, dopo il Concordato tra lo Stato e la Chiesa avvenuto l'anno prima, viene approvata una legge che regola il funzionamento delle Comunità ebraiche.
Il primo sospetto del fascismo sui sentimenti degli ebrei nasce alla fine del 1931, quando i docenti universitari sono chiamati al giuramento di fedeltà al regime. Su oltre mille professori, solo dodici rifiutano di piegarsi. Tra questi cinque sono ebrei: Giorgio Errera, Giorgio Levi della Vida, Vito Volterra, Mario Carrara e Fabio Luzzatto.
Alcuni ebrei italiani aderiscono a gruppi di opposizione, naturalmente clandestina, al regime. Tra loro i fratelli Carlo e Nello Rosselli - assassinati in Francia da sicari fascisti - che hanno fondato il movimento di "Giustizia e Libertà", al quale aderiscono anche altri ebrei: Carlo, Mario, Riccardo Levi, Max Ascoli, Leone Ginzburg, Gino Luzzatto.
Nel marzo 1934 a Torino viene scoperta una rete antifascista. I quindici arrestati sono in gran parte ebrei. Ciò dà adito a tutti i giornali di scatenare una campagna antisemita, orchestrata dall'alto, che a un certo punto però misteriosamente si spegne.
"Grandi razze e piccole razze"
Nel 1938 la campagna antisemita riprende più virulenta e il 14 luglio "Un gruppo di studiosi fascisti docenti nelle Università italiane", fissa "la posizione del Fascismo nei confronti del problema della razza".
E' un "Manifesto" che dice: "le razze umane esistono", "esistono grandi razze e piccole razze", "la popolazione dell'Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana", e "esiste ormai una pura razza italiana".
Poi si afferma che "Gli ebrei non appartengono alla razza italiana", e "i caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo".
Sotto al "Manifesto" vi è la firma di dieci docenti universitari.
Il 7 settembre il governo emana il primo decreto contro gli ebrei: quelli stranieri, entrati nel paese dopo il 1919, dovranno andarsene.
Poi il regio decreto del 17 novembre vieta "il matrimonio del cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza" e stabilisce che gli ebrei non possono "prestare servizio militare in pace e in guerra; esercitare l'ufficio di tutore o curatore di minori o di incapaci non appartenenti alla razza ebraica; essere proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende dichiarate interessanti la difesa della nazione (...) e di aziende di qualunque natura che impieghino cento o più persone, né di avere di dette aziende la direzione, né assumervi comunque l'ufficio di amministratore o di sindaco; essere proprietari di terreni che in complesso abbiano un estimo superiore a lire cinquemila; essere proprietari di fabbricati urbani che in complesso abbiano un imponibile superiore a lire ventimila".
Inoltre "il genitore di razza ebraica può essere privato della patria potestà sui figli che appartengano a religione diversa da quella ebraica". Gli ebrei sono esclusi "con effetto immediato" dalle occupazioni che dipendono da "Amministrazioni civili e militari dello Stato", dalle organizzazioni del partito fascista, da tutte le amministrazioni pubbliche (Province, Comuni, Aziende di trasporto, Ferrovie, Consorzi), dalle banche e dalle aziende di assicurazione. E naturalmente tutti, docenti e discenti, dalle scuole del Regno.
Successivamente saranno ritirate le licenze commerciali e artigiane, e le libere professioni, dall'avvocato all'ingegnere, dall'architetto al medico, saranno precluse.
Una parte della comunità ebraica italiana (forse 4/5000 persone), lascia il paese, ma il grosso resta.
La Chiesa protesta per il disconoscimento delle conversioni, e per la proibizione di contrarre matrimonio misto, anche quando il coniuge ebreo abbraccia il cattolicesimo.
Oltre a tutti gli altri provvedimenti, gli ebrei subiscono anche umiliazioni. Non possono avere apparecchi radio, né frequentare luoghi di villeggiatura e di cura. Taluni esercizi commerciali esibiscono la scritta "Vietato l'ingresso agli ebrei".
La guerra e la resa dell'Italia, invasa dai tedeschi
Il 10 giugno 1940 l'Italia entra in guerra a fianco della Germania, ma anno dopo anno matura il disastro, tanto che nel settembre del 1943 deve arrendersi. Anche la resa è gestita tanto disastrosamente da trasformarsi in catastrofe.
Il 25 luglio 1943, con gli anglo-americani già in casa, Mussolini è rovesciato da una congiura di palazzo. Il nuovo presidente del Consiglio, il Maresciallo Pietro Badoglio, nasconde ai tedeschi le trattative per la resa. Quando l'8 settembre l'annuncia, il risultato è disastroso. I tedeschi, che avevano comunque saputo subito che cosa si stava preparando, disarmano l'esercito italiano, i cui capi, re e generali in testa, si erano dati alla fuga.
Senza ordini, senza ufficiali superiori, l'esercito italiano si sfalda, conosce la tragedia, come a Cefalonia, dove la guarnigione è massacrata a tradimento dai tedeschi. 600.000 soldati sono catturati e portati in Germania.
Qualche giorno dopo l'armistizio si ricostituisce a Salò, sul Lago di Garda, il partito fascista, che darà vita all'effimera "Repubblica Sociale Italiana" del tutto asservita ai tedeschi. Molto spesso i militi della Repubblica di Salò sono gli zelanti complici dei tedeschi nella caccia agli ebrei e nelle azioni più efferate.
Nei primi giorni dell'invasione tedesca alcune migliaia di ebrei fuggono in Svizzera, altri passano la confusa linea del fronte e raggiungono il sud d'Italia già liberato. Altri ancora, specie i più giovani, finiscono per raggiungere le formazioni partigiane. Molti cercano di nascondersi. Ma un gran numero non ce la fa. Gli ebrei del vecchio quartiere ebraico di Roma, l'antico ghetto, sono colti di sorpresa.
La razzia del 16 ottobre '43 a Roma
Il 26 settembre 1943 due esponenti dell'ebraismo romano e italiano sono convocati dal comandante della polizia tedesca, il maggiore delle SS Herbert Kappler, che chiede la consegna entro 36 ore di cinquanta chili d'oro, in cambio della vita di 200 ebrei romani.
L'oro viene reperito, i tedeschi sembrano placati, molti ebrei si tranquillizzano. Tra il 29 settembre e il 13 ottobre i tedeschi penetrano negli uffici della Comunità, ne asportano documenti e libri antichi.
Tre giorni più tardi, all'alba del 16 ottobre, circondano il Ghetto di Roma e di colpo irrompono nelle case. È razzia.
Per tutta la mattina di sabato 16 ottobre i tedeschi strappano gli ebrei, uomini, donne, bambini dalle loro abitazioni, li caricano su camion, li avviano a una caserma di via della Lungara. Da qui pochi giorni dopo gli oltre mille ebrei catturati nella razzia vengono gettati su treni piombati e avviati a Fossoli e da qui ad Auschwitz, dove in gran parte saranno uccisi subito (come i bambini e gli anziani) e il resto, salvo un pugno di superstiti, più tardi.
Nell'infausta geografia dei campi di sterminio nazisti, uno si trova anche in Italia, a San Sabba, vicino Trieste.
La razzia continua per tutta Roma nelle settimane e nei mesi seguenti. In totale sono deportati dalla capitale 2091 ebrei. In tutta Italia (comprese le isole dell'Egeo) vengono deportati tra il 1943 ed il 1945 oltre 8500 ebrei. Ne torneranno poche centinaia.
La Resistenza e le stragi naziste
Su 200.000 italiani che scelgono la via della resistenza all'invasore, ci sono 2000 ebrei. Sui 70.000 partigiani caduti in combattimento, 700 sono ebrei.
Delle stragi perpetrate dai tedeschi in Italia (come Marzabotto o Sant'Anna di Stazzema), una resterà a simbolo, quella delle Fosse Ardeatine, dove per rappresaglia dell'uccisione di trentadue soldati tedeschi in un attentato del 23 marzo 1944 a Via Rasella a Roma, 355 uomini, e tra loro anche 75 ebrei, sono condotti sulla via Ardeatina e massacrati. Sopra di loro, per cancellare ogni traccia, viene fatto precipitare con la dinamite un pezzo di montagna sovrastante.
Roma è liberata il 4 giugno del 1944, ma bisogna aspettare fino al 25 aprile del 1945 perché le forze anglo-americane costringano alla rotta finale i tedeschi.
Gli ebrei d'Europa superstiti si aggirano come fantasmi tra rovine morali e materiali. Quelli italiani si contano.
Da questo momento, così come avviene per il resto del paese, anche per l'ebraismo italiano incomincia la ricostruzione.
Lo Stato ebraico, la cui nascita era stata solennemente sancita da una Risoluzione delle Nazioni Unite nel Novembre 1947, si ricostituisce il 14 maggio del 1948. Il suo nome è Israele. Appena nato, è subito attaccato da cinque eserciti arabi.
Lo Stato d'Israele e le sue guerre
Nel maggio del 1967 si produce una svolta importante.
Tra maggio ed i primi di giugno del 1967 incombe su Israele una minaccia mortale da parte di Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq. La possibilità di un nuovo genocidio sembra concreta e tutta l'Italia manifesta la sua emozione.
La guerra-lampo, che sarà chiamata la "guerra dei sei giorni", porta invece a una travolgente vittoria israeliana, che ha una funzione catalizzatrice sugli ebrei italiani che si rendono conto del ruolo di uno Stato ebraico. L'immagine dell'ebreo condannato al ruolo di vittima sacrificale è infranta.
Dopo questa guerra diminuiscono lentamente nella società italiana le simpatie per Israele. I motivi non sono sempre limpidi, e vanno riferiti agli schieramenti politici.
Nel 1973, a ottobre, nel giorno di Kippur, Israele è ancora una volta aggredito, e sembra soccombere. Poi la risposta del suo esercito lo porta a 101 chilometri dal Cairo e a 30 da Damasco. Gli Stati Uniti lo fermano.
Con il "fattore Israele" la vita degli ebrei italiani si politicizza, ma questo li aiuta in una più vasta ricerca di sé, della propria identità, ciò che non impedisce loro di partecipare con passione alle vicende del nostro paese, di cui sono parte integrante. Un attentato da parte di terroristi palestinesi contro i fedeli usciti dal Tempio Maggiore di Roma il 9 ottobre 1982, in occasione di una cerimonia religiosa, lascia sangue sull'asfalto. Un bambino di tre anni è ucciso, decine sono i feriti. L'attentato riporta la Comunità ebraica romana a una realtà che sembrava consegnata al passato.
Gli ebrei, lo Stato e la Chiesa cattolica
Una nuova Intesa con lo Stato è firmata dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nel 1987. In applicazione all'art. 8 della Costituzione rinnova il precedente accordo e lo rende più compatibile con la sensibilità democratica.
Anche i rapporti con la Chiesa registrano cambiamenti. A rompere certi pregiudizi antiebraici è per primo papa Giovanni XXIII.
La dichiarazione Nostra Aetate, al Concilio Vaticano II del 1965, "riabilita", poi, il popolo ebraico dall'accusa di "deicidio".
Le nuove direttrici della Chiesa saranno clamorosamente portate all'esterno da un altro papa, Giovanni Paolo II, che il 13 aprile del 1986 si reca in visita al Tempio Maggiore di Roma. L'evento è senza precedenti. Mai, in tutta la storia, un pontefice aveva varcato la soglia di una sinagoga. È un momento di grandissima emozione. Dopo il gesto e le parole di Giovanni Paolo II ai "fratelli maggiori" ebrei, la strada della revisione critica della Chiesa sembra irreversibile.
Gli ebrei italiani oggi
Oggi gli ebrei italiani iscritti alle 21 Comunità del paese sono meno di 30.000 su una popolazione di 57 milioni.
Quasi la metà vivono a Roma, meno di 10.000 a Milano. Gli altri sono sparsi in Comunità definite "medie" (Torino, Firenze, Trieste, Livorno, Venezia) o "piccole".
Le varie Comunità, ognuna delle quali retta da un Consiglio eletto dagli iscritti, sono riunite nell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che ha sede a Roma e le rappresenta nei rapporti con il Governo e con le Istituzioni pubbliche. L'Unione provvede poi al coordinamento delle esigenze culturali e cultuali delle Comunità ebraiche e al sostegno di quelle più piccole.
Malgrado i molti problemi, malgrado la crisi demografica, l'ebraismo italiano resta vivo e vivace e rappresenta, in seno alla società circostante, un elemento di stimolo, di riflessione e di confronto.
Nota del curatore del blog: riporto questo articolo, tratto dal sito dell'Unione delle Comunità Ebraiche in Italia (http://www.ucei.it/), pur non condividendo le valutazioni su Israele.
Una riflessione di Doris Lessing
[Dal "Corriere della sera" del 21 maggio 2003, col titolo "Doris Lessing: Non credano i potenti di oggi di essere eterni"]
Oggi, quando i giovani osservano il mondo che hanno ereditato, vedono immense e spaventose strutture di potere che ci minacciano tutti - e minacciano anche loro. Vedono gli imperi economici globali; gli Stati Uniti, un impero al vertice della sua potenza; il conflitto israeliano-palestinese; le minacce della guerra e del terrorismo - e ve ne sono molte altre.
Con quale disappunto e quale scoraggiamento i giovani che immaginiamo osservano tutto questo, chiedendosi cosa possono fare per cambiare le cose. Quando io ero giovane, le nuove generazioni si trovavano di fronte a un mondo che incuteva altrettanta paura. C'era l'Unione Sovietica, che sembrava dover durare per sempre. Hitler intendeva regnare per mille anni, e Mussolini aveva le stesse pretese. L'impero britannico era vanaglorioso e arrogante. Lo erano anche tutti gli imperi europei. Il Giappone invadeva la Cina, e cio' che all'epoca era chiamata la Barriera del Colore - ilrazzismo - sembrava dover esistere in eterno. Eppure, nel giro di pochi anni, tutte queste potenti strutture sono crollate. Nulla ne e' rimasto, non erano piu' solide delle nuvole.
Sono giunta alla conclusione che le grandi organizzazioni monolitiche, apparentemente indistruttibili, sono di fatto le piu' fragili, e quando sembrano essere al culmine della loro forza, sono in realta' nel loro momento piu' vulnerabile.
Quando rifletto sul passato, oggi non vedo i grandi imperi e i dittatori, ma solo i piccoli individui, e le cose straordinarie che sanno realizzare.
Tratto da: LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100Viterbo, tel. 0761353532,
e-mail: nbawac@tin.it Numero 134 del 21 ottobre 2007
sabato 20 ottobre 2007
4 novembre: non festa, ma lutto!
Nonviolenza, Gandhi, Capitini, obiezione di coscienza, disarmo ...
... nelle pagine del sito del Movimento Nonviolento
Benvenuti nel sito del Movimento Nonviolento e della rivista Azione nonviolenta. In queste pagine potete trovare molto materiale utile per avvicinarsi o per approfondire la proposta nonviolenta. Nella colonna di destra trovate "le novità ": annunci, avvisi, appuntamenti. Nella colonna di sinistra trovate le varie sezioni per conoscere più a fondo il Movimento Nonviolento e la rivista Azione nonviolenta, oltre al notiziario quotidiano "La nonviolenza in cammino".
Azione nonviolentaDirettore Responsabile: Pietro PinnaDirettore: Mao Valpiana Registrazione del Tribunale di Verona n° 818 del 7/7/1988
Il Movimento Nonviolento propone la bandiera della nonviolenza (vedi sopra).
.: 2007 :.
Nel 1964, con pochi amici e pochi mezzi, Aldo Capitini dava vita alla prima rivista italiana interamente dedicata alla nonviolenza. "Può essere il programma e la tensione di persone isolate, e può diventare il metodo di lotta di grandi moltitudini", scrisse il fondatore del Movimento Nonviolento. Poteva sembrare un sogno utopico quello di Capitini, e molti ne erano convinti, attratti da altre proposte politiche. Ma il tempo e i fatti hanno dato ragione a Capitini. "Il metodo nonviolento è destinato a rinnovare profondamente la società umana e questa volta veramente in modo universale, perché il problema è comune a tutti". E ancor oggi i grandi movimenti che pensano che un altro mondo migliore sia possibile, e le singole coscienze che vogliono convertirsi, devono fare i conti con le sfide che la nonviolenza pone.Azione nonviolenta, con umiltà e costanza, vuole essere uno strumento al servizio di tutti gli amici e le amiche della nonviolenza. Come scrisse Capitini nel primo editoriale: "Con Azione nonviolenta poniamo un centro di questo lavoro". Per questo, fra tante difficoltà , ma con lo stesso entusiasmo, da più di 40 anni la rivista del Movimento Nonviolento esce regolarmente, ogni mese". Per tutto questo ti chiediamo di diventare amico di Azione nonviolenta, sottoscrivendo per il 2007 un abbonamento annuo. Puoi versare 29,00 euro sul conto corrente postale numero 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. Grazie!
Mao Valpiana Direttore
Un nonviolento aperto, libero, religioso: Aldo Capitini
L'ho visto solo nelle poche foto in bianco e nero. Mi ha sempre piacevolmente stupito il contrasto tra quell'aria austera dietro gli occhiali spessi, ed il suo indomabile spirito giovanile, aperto ed innovativo, in perenne ricerca.
venerdì 19 ottobre 2007
SULLE SPALLE DEI GIGANTI: un'iniziativa del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano
SULLE SPALLE DEI GIGANTI Scienza e società
SULLE SPALLE DEI GIGANTI Scienza e società Ciclo di incontri e dialoghi con i protagonisti della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico
giovedì 18 ottobre 2007
Creazionismo e teoria dell'evoluzione
DEL RESTO QUESTO BLOG NON HA VERITA' ASSOLUTE DA DIFENDERE E/O DIFFONDERE: SIA LODE AL DUBBIO, SCRIVEVA BRECHT...
I PERICOLI DEL CREAZIONISMO NELL’ISTRUZIONE
Adottata nella seduta n° 35 del 4 ottobre 2007.
1 Lo scopo di questa risoluzione non è quella di combattere una fede: il diritto alla libertà di credo non lo permetterebbe. L’obiettivo è di mettere in guardia contro alcuni tentativi di far passare una Fede come una Scienza. E’ necessario mantenere separate la Fede e la Scienza. Ciò non è una questione di antagonismo. Scienza e Fede possono coesistere. Non c’è motivo di contrapporre fede e Scienza, ma è necessario prevenire che il Credo si opponga alla Scienza.
2 Per molte persone la Creazione, come parte del proprio Credo religioso, dà un significato alla propria vita. Tuttavia, l’Assemblea Parlamentare è preoccupata per i cattivi effetti della diffusione delle idee creazioniste nei sistemi educativi, e delle conseguenze per le nostre democrazie. Se non stiamo attenti, il Creazionismo può diventare una minaccia dei diritti umani, che sono il principale pensiero del Consiglio d’Europa.
3 Il Creazionismo, nato come negazione della evoluzione della specie mediante la selezione naturale, è stato per parecchio tempo un fenomeno quasi esclusivamente americano. Oggi, le idee creazioniste cercano di prendere piede in Europa, e la loro diffusione riguarda alcuni stati membri del Consiglio d’Europa.
4 Oggi, il primario obiettivo dei creazionisti, quasi tutti cristiani o musulmani, è l’istruzione. I creazionisti stanno tentando di fare in modo che le loro idee siano inserite nei programmi scientifici delle scuole. Il Creazionismo, tuttavia, non può ingannevolmente reclamare di diventare una disciplina scientifica.
5 I creazionisti sostengono il sicuro carattere scientifico di alcuni punti delle loro teorie, ed affermano che la teoria dell’Evoluzione è solo una interpretazione fra le altre. Essi accusano gli evoluzionisti di non fornire sufficienti prove per stabilire che la teoria dell’evoluzione sia scientificamente valida. Al contrario, essi difendono le loro tesi come scientifiche. Al proposito, non forniscono nessuna testimonianza, né analisi oggettive.
6 Noi siamo consapevoli delle sfide che si sviluppano fra le teorie e le conoscenze circa la natura, l’evoluzione, le nostre origini ed il nostro scopo nell’Universo
7 C’è un rischio reale di seria confusione, nell’introdurre nelle menti dei nostri bambini ciò che ha a che fare con credenze, convinzioni ed ideali, insieme ad argomenti che riguardano la conoscenza scientifica. Il principio che "tutte le cose sono uguali" può sembrare allettante e tollerante, ma nei fatti esso è pericoloso.
8 Il Creazionismo ha parecchi aspetti contraddittori. L’idea del "Disegno Intelligente", che è l’ultima raffinata versione del Creazionismo, non può negare un certo grado di evoluzione. Il "Disegno Intelligente", prospettato in forme sempre più sottili, tenta di mostrarsi in un quadro scientifico, ed il pericolo è proprio in questa bugia.
9 L’Assemblea ha costantemente dichiarato che la Scienza è di fondamentale importanza. La Scienza ha reso possibili considerevoli miglioramenti nelle condizioni di vita e di lavoro, ed è un notevole fattore di sviluppo economico, tecnologico e sociale. La teoria dell’Evoluzione non ha nulla a che vedere con le rivelazioni divine, ma è costruita sui fatti.
10 Il Creazionismo pretenderebbe di essere basato sul rigore scientifico. Al momento, i metodi impiegati dai creazionisti sono di tre tipi: affermazioni puramente dogmatiche; uso distorto di citazioni scientifiche, a volte illustrate con magnifiche fotografie; ed infine appoggiandosi a più o meno noti scienziati, molti dei quali non sono specialisti in queste materie. Con questi mezzi i creazionisti tentano di convincere gli inesperti, e seminano dubbi e confusioni nelle loro menti.
11 L’evoluzione non è semplicemente il tema dell’evoluzione della popolazione umana. Negare questo può avere serie conseguenze nello sviluppo delle nostre società. I progressi nella ricerca medica, con l’obiettivo di combattere le malattie infettive come l’AIDS, sono impossibili, se viene negato il principio dell’evoluzione. Non si può essere pienamente informati dei complicati rischi legati al notevole declino della biodiversità e nei cambiamenti climatici, se i meccanismi dell’evoluzione non sono conosciuti.
12 Il nostro mondo moderno è basato su una lunga storia, nella quale lo sviluppo delle scienze e della tecnologia ha avuto una parte importante. Naturalmente, le regole scientifiche non sono ancora ben conosciute, e questo probabilmente alimenta lo sviluppo dei fondamentalismi e degli estremismi. Il rifiuto della Scienza è senza dubbio la più seria minaccia dei diritti umani e civili.
13 I movimenti che si oppongono alla teoria dell’evoluzione e nei confronti dei suoi sostenitori, hanno spesso origine da forme di estremismi religiosi che sono strettamente legati con movimenti politici di estrema destra. I movimenti creazionisti possiedono un forte potere politico. Alla base delle dispute - e questo è stato denunciato in parecchie occasioni - c’è che molti sostenitori del Creazionismo intendono sostituire la Democrazia con la Teocrazia.
14 Tutti i più autorevoli esponenti delle principali religioni monoteistiche hanno adottato un atteggiamento piuttosto moderato. Per esempio, Papa Benedetto XVI, come il suo predecessore Papa Giovanni Paolo II, apprezza il ruolo della Scienza nell’evoluzione dell’umanità, e riconosce che la teoria dell’evoluzione è "più che un’ipotesi".
15 L’insegnamento di tutti i fenomeni inerenti l’Evoluzione come fondamentale teoria scientifica è quindi decisivo per le nostre società e per le nostre democrazie. Per questa ragione essa deve occupare una posizione centrale nei programmi scolastici, specialmente in quelli scientifici, dato che, come qualsiasi altra teoria, essa deve assoggettarsi ad accurati esami scientifici. L’Evoluzione è presente dappertutto, dall’eccesso di prescrizioni degli antibiotici, che causano l’emergenza della resistenza dei batteri, all’abuso dei pesticidi, che causa la mutazione degli insetti, per cui dopo qualche tempo i pesticidi non hanno effetto.
16 Il Consiglio d’Europa è consapevole dell’importanza dell’insegnamento delle tradizioni e delle religioni. In nome della libertà di espressione e del credo individuale, le idee creazioniste e le altre opinioni teologiche possono essere valide come complementi dell’educazione culturale e religiosa, ma non possono pretendere rispettabilità scientifica.
17 La Scienza offre un’insostituibile preparazione al rigore intellettuale. Essa non cerca di spiegare "perché le cose sono", ma di capire come queste funzionano.
18 Le ricerche sullo sviluppo dell’influenza del Creazionismo dimostrano che le contese fra Creazionismo ed Evoluzione vanno parecchio oltre il dibattito intellettuale. Se noi non stiamo attenti, i valori che sono alla base del Consiglio d’Europa saranno minacciati dal fondamentalismo creazionista. Fa parte del ruolo del Consiglio reagire, prima che sia troppo tardi.
19 Pertanto, l’Assemblea Parlamentare raccomanda agli stati membri, ed in particolare alle loro Autorità preposte all’istruzione:1.1 di difendere e promuovere la conoscenza scientifica;1.2 di rafforzare l’insegnamento dei fondamenti della Scienza, la loro storia, la filosofia dei metodi che affiancano l’insegnamento degli obiettivi della conoscenza scientifica;1.3 di rendere la Scienza più comprensibile, più attraente e legata alla realtà del mondo contemporaneo;1.4 di opporsi fermamente all’insegnamento del Creazionismo come una disciplina scientifica sullo stesso piano della teoria dell’evoluzione, ed in generale di contrastare ogni introduzione di idee creazioniste in qualsiasi disciplina, al di fiori dell’insegnamento della religione;1.5 di promuovere l’insegnamento dell’evoluzione come una fondamentale teoria nei programmi scolastici.
20 L’Assemblea approva la Dichiarazione che le 27 Accademie delle Scienze dei paesi membri del Consiglio d’Europa hanno sottoscritto nel giugno 2006, in merito all’insegnamento dell’evoluzione, e sollecitano le Accademie delle Scienze che ancora non lo hanno fatto, ad attuare ciò che è riportato nella risoluzione.
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