Pagine

giovedì 6 gennaio 2011

“L’Italia è il laboratorio del totalitarismo moderno”. Intervista a Stefano Rodotà



di Miguel Mora, da El Paìs, traduzione italiana di Andrea Pinna da megachip.info

Difensore della laicità, della democrazia e del buon senso, Stefano Rodotà è uomo di squisita gentilezza. Maestro del diritto, schierato senza ambiguità ed erede dell’operosità di Pasolini, è forse il penultimo umanista europeo ed uno dei pochi intellettuali di razza che rimangono in questa Italia «triste e sfilacciata che si guarda l’ombelico e sembra sempre di più un’appendice del Vaticano mentre si avvicinano i 150 anni dell’unità del Paese.»


Professore emerito di diritto civile alla Sapienza di Roma, Rodotà nato a Cosenza 73 anni fa, scrive libri ed articoli, partecipa a congressi, dirige il Festival del Diritto a Piacenza, promuove manifesti e combatte battaglie per innumerevoli cause,dalla libertà di stampa all’etica pubblica, all’eutanasia.


Eletto deputato del PCI nel ’79, visse come parlamentare la convulsa decade finale della prima Repubblica e fu poi il primo presidente del PDS, fondato nel ’91 da Achille Occhetto dalle ceneri del PCI. Appena un anno dopo, forse prevedendo ciò che sarebbe successo, abbandonò la politica.

Oggi insegna in molte università del mondo e come specialista in filosofia del diritto e coautore della Carta fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea, è un riferimento obbligato in tema di libertà individuali, nuovi diritti, qualità democratica e abusi di potere. Sono ormai dei classici i suoi lavori sulla relazione tra diritto e privacy, tecnologia, lavoro, informazione e religione.


È stato appena tradotto (in spagnolo, NdT) il suo libro “La vita e le regole. Tra diritto e non diritto”, un saggio del 2006 ampliato nel 2009, nel quale Rodotà riesamina i limiti del diritto e ne rivendica una natura «più sobria e rispettosa delle molteplici e nuove forme che ha assunto la vita umana».

Il professore denuncia la tirannia che i nuovi chierici del diritto vogliono imporre ai cittadini: una «casta di notabili» costituita da giuristi e avvocati, dai grandi studi internazionali che «elaborano le regole del diritto globale su incarico delle multinazionali», gli «invisibili legislatori che sequestrano lo strumento giuridico, trasformando una mediazione tecnica in una procedura sacralizzata».


Il libro traccia una critica post-marxista della giungla dei vincoli legali che comprimono le libertà introdotte dalle innovazioni tecniche e scientifiche. Citando Montaigne («la vita è un movimento variabile, irregolare e multiforme») Rodotà spiega come il “vangelo del mercato”, il potere politico e la religione abbiano prodotto insieme «una mercantilizzazione del diritto che apre la strada alla mercificazione persino dei diritti fondamentali», come si rileva da questioni tanto diverse quali l’immigrazione, le tecniche di fecondazione artificiale, o le nuove frontiere della biologia.

A parere di Rodotà questa logica mercantilista e invasiva è «in totale contraddizione con la centralità della libertà e dignità» e la privatizzazione della legalità in un mondo globale crea enormi diseguaglianze, paradisi ed inferni, «luoghi dove si creano nuovi diritti e libertà e altri dove il legislatore pretende di impadronirsi della vita delle persone».

«Il paradosso è che questa disparità, che in teoria dovrebbe favorire la coscienza dell’eguaglianza nel mondo, rischia invece di consacrare una nuova cittadinanza basata sul censo», spiega. «Se si legifera sui geni, il corpo, il dolore, la vita, i privilegi o il lavoro applicando la repressione, l’arroganza e la tecnica d’impresa della delocalizzazione, le libertà diventano merci e solo chi può permettersi di pagare ne potrà fruire».


Rodotà cita come esempio il matrimonio omosessuale o la fecondazione assistita, «che in Italia producono un flusso di turisti del diritto verso paesi come la Spagna e altri meno sicuri come la Slovenia o l’Albania». E per converso, «i paradisi fiscali e i paesi meno rispettosi dei diritti di chi lavora o con una blanda legislazione ambientale che attraggono imprese e capitali».


La grande sfida, afferma Rodotà, è «uscire dal diritto e tornare alla vita». O come afferma nel prologo del libro il prof. Josè Luis Piñar Mañas «unire vita e diritto, diritto e persona, persona, libertà e dignità; mettere il diritto al servizio dell’uomo e non del potere».


D. Non è paradossale che un giurista metta in guardia dagli eccessi del diritto?


R. Il vero paradosso è che il diritto, che dev’essere solo una mediazione sobria e sensata, si trasformi in un’arma prepotente e pretenda di appropriarsi della vita umana; il che è collegato alle innovazioni scientifico-tecnologiche. Prima nascevamo in un solo modo, da quando Robert Edwards, premio Nobel, ha inventato il bebè in provetta, sono cambiate le regole del gioco e la legge naturale non è governata solo dalla procreazione naturale. Ci sono altre possibilità e nasce quindi il problema: deve intervenire il diritto? E fino a dove? Talvolta la sua pretesa è di mettere in gabbia la scienza, contrapporre il diritto ai diritti, usare il diritto per negare le libertà. Questo è lecito? Talora può sembrare che lo sia, ad esempio nella clonazione.






D. E in altri contesti?


R. A mio parere il diritto deve intervenire senza arroganza, senza abusare, lasciando le persone libere di decidere in coscienza. Il caso di Eluana Englaro è un esempio lampante dell’uso prepotente della legge e anche del ritardo culturale e politico che vive l’Italia. Il potere e la Chiesa hanno deciso, violando il dettato costituzionale sull’inalienabile diritto della persona alla dignità e alla salute, che era necessario intervenire per limitare la dignità di quella donna ormai senza vita cerebrale e il diritto di suo padre a decidere per lei. Il problema non è solo lo strappo autoritario del potere politico, ma l’insensata sfida alla norma suprema, la Costituzione, e l’attiva partecipazione della Chiesa a quell’attacco.






D. La proibizione della fecondazione assistita è stata confermata in Italia da un referendum popolare.


R. Alcune scoperte scientifiche pongono in dubbio l’antropologia profonda dell’essere umano come l’uso e il non utilizzo di diversi embrioni nelle tecniche di fecondazione assistita. Il diritto deve prevedere queste innovazioni, non bloccarle. Gli scienziati chiedono regole per sapere se le loro scoperte sono eticamente e socialmente accettabili. Un uso prepotente della legge limita le loro ricerche, nega il progresso umano e così si appropria delle nostre vite perché ci nega ogni diritto o peggio, lo nega solo ad alcuni. Gli italiani ricchi possono andare in Spagna a sottoporsi alle tecniche di fecondazione, ai poveri ciò è precluso. Si crea una cittadinanza fondata sul censo e si distrugge lo Stato sociale. La vita viene prima della politica e del diritto.






D. L’Italia attuale è sottomessa al fondamentalismo cattolico?


R. L’Italia è un laboratorio del totalitarismo moderno. Il potere, abusando del diritto, privatizzandolo e considerandolo una merce, crea le premesse per un fondamentalismo politico e religioso e questo mina la democrazia. I vescovi italiani si oppongono al testamento biologico; quelli tedeschi ne hanno proposto una regolamentazione che è più avanzata di quella elaborata dalla sinistra italiana. Ad un anno dalla morte di Eluana, Berlusconi ha scritto una lettera alle suore che l’assistettero comunicando loro il suo dolore per non averle potuto salvare la vita. Ha ammesso pubblicamente che il potere ha tentato di appropriarsi della vita di Eluana; adesso sta proponendo alla Chiesa un “piano per la vita”, come moneta di scambio perché lo appoggi e gli permetta così di continuare a governare. Cioè ha svenduto lo Stato di diritto al Vaticano per quattro soldi.






D. Gli omosessuali continuano a non avere diritti e i laici contano sempre meno.


R. La Corte costituzionale si è pronunciata nel senso che il Parlamento deve legiferare riconoscendo il matrimonio omosessuale; questo diritto è già garantito dalla Carta dei diritti dell’Unione europea. Abbiamo bisogno di un diritto sobrio, non negatore dei diritti; la religione non può condizionare la libertà. La Costituzione del 1948 all’art.32 afferma che la legge non può mai violare i limiti imposti dal rispetto della vita umana; detto articolo fu elaborato ricordando gli esperimenti nazisti e con la memoria rivolta ai processi contro i medici (nazisti NdT) a Norimberga. Fu un articolo voluto da Aldo Moro, un politico cattolico!






D. Ha mai pensato che avrebbe un giorno rimpianto la Democrazia Cristiana?


R. Quei politici avevano ben altro spessore culturale. La dialettica parlamentare tra la DC e il PCI era di un livello che oggi appare impensabile. Mentre la DC era al potere, si approvarono le leggi sul divorzio e sull’aborto; i democristiani sapevano che la società e il femminismo le volevano e capirono che opporsi li avrebbe danneggiati politicamente. Molti di loro erano dei veri laici,avevano il senso della misura e maggior rispetto verso gli avversari. Oggi siamo ridotti al turismo per poter nascere e morire, la gente si prenota negli ospedali svizzeri per poter morire con dignità. È mai possibile che uno Stato democratico obblighi i suoi cittadini a chiedere asilo politico per morire? Il diritto deve regolare questi conflitti, non acuirli.






D. Rosa Luxemburg diceva che dietro ogni dogma c’era un affare da difendere.


R. Certo, immagino che gli interessi della sanità privata influenzino le posizioni del Vaticano. Rispetto alle conclusioni del Concilio, le cose sono andate progressivamente peggiorando e oggi l’Italia è governata da movimenti come Comunione e Liberazione, che fanno affari favolosi con l’aiuto e il consenso del Governo. La cattiva politica è figlia della cattiva cultura; i problemi attuali nascono dal degrado culturale. Spero che il regime politico di Berlusconi finisca al più presto, ma ci vorranno decenni per superare gli effetti di questo deserto culturale. L’uso della televisione non solo come strumento di propaganda, ma come mezzo di abbruttimento; la degenerazione del linguaggio… tutto è peggiorato. Il degrado ha invaso un’area molto più ampia di quella del centro-destra e c’imbattiamo dovunque in comportamenti speculari a quelli di Berlusconi.






D. Vengono posti in discussione persino i diritti del lavoro.


R. Il pensiero giuridico si è molto impoverito. Negli anni settanta approvammo una riforma radicale del diritto di famiglia perché la cultura giuridica e la sua ispirazione democratica lo permisero. Si chiusero i manicomi, si approvò lo Statuto dei lavoratori… riforme che oggi sarebbero impensabili.






D. La sinistra non reagisce adeguatamente, perché?


R. Il recupero della cultura è la premessa per ridar fiato all’iniziativa della sinistra. Tutti dicono che si deve guardare al centro, io credo che si debba prima rianimare la sinistra. Craxi distrusse la socialdemocrazia, il PCI si è suicidato, un cataclisma di cui perdurano ancora gli effetti. Abbiamo perso il primato della libertà e oggi comanda l’uso privato e autoritario delle istituzioni. La società si è decomposta, il Paese rischia il disfacimento. La politica mostra i muscoli e il diritto si sbriciola.






D. L’Europa ci salverà?


R. L’Europa non vive un momento splendido. Aumentano xenofobia e razzismo; la debolezza culturale italiana si allarga a tutto il continente. Trono e altare sono di nuovo alleati, anche se in un’altra maniera rispetto al passato. Oggi assistiamo alla fusione di mercato, fede e politica che pretendono di organizzare le nostre vite manipolando il diritto. Il problema italiano non è l’insufficiente contrasto della corruzione, bensì che la si promuove ai sensi di legge, come emerge dallo scandalo della Protezione civile: si è derogato dalla trasparenza e dai controlli ordinari per poter rubare più facilmente. Negli anni settanta le tangenti erano ridicole e comunque c’era maggiore compostezza e rispetto della collettività. Craxi ebbe un ruolo devastante, rappresentò un cambio d’epoca. Adesso si è imposta la regola “Se lo fa Berlusconi, perché non lo posso fare io?”.






(3 gennaio 2011)

tratto da http://www.micromega.net/

Nessun commento: