Redazione aperta - David Bidussa:
"La Storia non può ridursi senza rischi a una collezione di memorie personali"
“Da quando si è cominciato a parlare della Shoah, sono sempre state prese in considerazione le vicende personali e continuando su questa strada tutto finirà con le vicende personali” parafrasando David Bidussa, storico sociale delle idee, invitato a parlare a Trieste in occasione dell’iniziativa Redazione aperta, nel mondo ebraico si pensa di avere a disposizione un'unica verità sulla Shoah, un'unica versione sopportabile da raccontare, senza che ci sia la possibilità di affrontare un contraddittorio. La nostra memoria di oggi è costruita sull’offerta delle voci testimoniali, che lentamente vanno scomparendo e su una cospicua produzione editoriale e documentaristica. Il documentario, per la sua natura intrinseca, non potrà mai rappresentare una realtà storica attendibile,poiché è già un’accurata selezione di materiali, che non rivelano mai gli specifici percorsi mentali che l’autore ha seguito nella creazione del prodotto.La prima battaglia gnoseologica da fare è quella di riuscire ad indagare gli eventi passati attraverso il mestiere di storico, fatto di scavo nei documenti, di ricostruzione della storia nella forma più dettagliata possibile, tenendo conto però che in definitiva nessun documento fornirà mai una versione totalmente esaustiva dell’argomento. A oggi indagare la storia attraverso l’incomparabilità dell’esperienza delle vittime ci spinge a considerare il silenzio come l’unica alternativa alla vuotezza dell’eccesso di parole, che spesso i media strumentalmente ci propinano. Il Giorno della Memoria, istituito il 20 luglio 2000 come occasione di riflessione sulla tragedia, denuncia a oggi una crisi: proposto come male assoluto, la Shoah si presenta non come evento storico, ma come dato etico-spirituale, come elemento intangibile e astratto. Se è vero che il contenuto di questa giornata si è definitivamente esaurito è pur vero che una delle ragioni è l’aver voluto per motivi di convenienza focalizzare l’attenzione sulla tragedia specifica degli ebrei, senza pensare che il Giorno della Memoria potesse essere un’ occasione di riflessione pubblica non solo sull’antisemitismo, bensì sul razzismo in tutte le sue declinazioni. David Bidussa nel suo libro intitolato Dopo l’ultimo testimone afferma che la problematica che in futuro dovremo affrontare è legata al concetto di postmemoria. Nel momento in cui anche l’ultimo dei testimoni diretti scomparirà, si dovrà ridiscutere il rapporto tra storia e passato per essere capaci di gestire e riordinare l’enorme cumulo di storie, immagini e testimonianze che avremo raccolto, dovendo purtroppo effettuare anche una selezione delle fonti. In un midrash caro ad Elie Wiesel si dice: “Quando il Baal Shem Tov doveva assolvere un compito difficile, per il bene delle creature, andava nel bosco, accendeva un fuoco, pregava, meditava e tutto si realizzava secondo il suo proposito. Una generazione dopo il Maggid di Meseritz si trovava di fronte allo stesso compito, riandava nel bosco e diceva: “Non posso più accendere il fuoco, ma posso pregare” e tutto andava secondo il suo desiderio. Una generazione dopo ancora, Moshe Leib di Sassov, doveva assolvere lo stesso compito: andava nel bosco e diceva: “Non posso accendere il fuoco e non conosco più le preghiere segrete, ma conosco il posto nel bosco, dove tutto accadeva, e questo basta”: Infatti era sufficiente alla realizzazione dei desideri. Ma quando nella successiva generazione Israel di Razin doveva affrontare lo stesso compito, se ne stava seduto nella sinagoga e diceva: "Non posso fare il fuoco, non so dire le preghiere, non conosco più il posto nel bosco, ma di tutto ciò posso raccontare la storia”. Il suo racconto da solo aveva la stessa efficacia delle azioni degli altri predecessori”.Per tener viva la memoria ci vuole uno sforzo immane e forse un miracolo, noi non siamo più in grado di compiere miracoli poiché abbiamo dimenticato le segrete meditazioni che li realizzano e tra poco non saranno più presenti i testimoni che fino a ora hanno prestato la loro voce alla storia; è importante quindi che non si dimentichi come raccontare e tramandare ciò che fino ad oggi è stato narrato dai sopravvissuti, affinché la memoria sia la coscienza viva della storia e non diventi uno squallido rituale di convenienza.
Michael Calimani
da L'Unione informa, mail del sito www.ucei.it (portale dell'ebraismo italiano), Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
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