Fermiamo il ddl della vergogna, finché siamo in tempo
DIRITTO ALLA SICUREZZA PER TUTTINO AL DDL SICUREZZANO ALLE RONDENO AL RAZZISMOLIBERTÀ DI CURA PER I MEDICI E GLI IMMIGRATILOTTA TOTALE ALLE MAFIE
Nei giorni 21-22 aprile si è svolta l’audizione delle Organizzazioni Sindacali e delle Associazioni da parte delle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera sul DDL sicurezza.La gran parte delle nostre organizzazioni ha potuto esprimere il proprio dissenso sull’insieme del provvedimento.Nello stesso giorno il Senato ha approvato il DL antistupri.Il testo, che è stato convertito in legge, fortunatamente non contiene le due norme più contestate, la legalizzazione delle ronde e l’aumento a 6 mesi della detenzione degli immigrati non identificati dentro il CIE.La maggioranza di governo intende però recuperare la norma sulle ronde nel DDL sulla sicurezza e si è impegnata a presentare un altro DDL sull’aumento del periodo di trattenimento nei CIE.Per quanto riguarda il DDL sicurezza, la maggioranza avrebbe deciso di stralciare la norma più contestata che riguarda la segnalazione da parte dei medici e il personale sanitario degli immigrati irregolari che si rivolgono al sistema sanitario per curarsi, ma se rimane la norma che istituisce il reato penale di clandestinità i medici potranno essere ugualmente obbligati alla segnalazione, nonostante il divieto previsto dal Testo Unico sull’immigrazione. Si configurerebbe in questo modo un complicato contrasto normativo. Comunque tutto l’impianto del DDL sulla sicurezza (con le norme sulla tassa per il rinnovo dei permessi, sulla cittadinanza, sul divieto di registrazione allo stato civile, sul permesso a punti e sul reato di clandestinità), se approvato, configurerebbe una restrizione intollerabile dei diritti umani delle persone con un segno di forte discriminazione e vessazione razziale.Mentre il Parlamento discute di questi provvedimenti il clima e gli episodi di razzismo e di violenza si moltiplicano nel paese con un atteggiamento gravissimo e irresponsabile di certa stampa che istiga alla violenza razzista. Quindi noi dobbiamo manifestare tutto il nostro dissenso e fare il possibile per contrastare questa deriva. Il provvedimento sarà presto in aula alla Camera e quindi promuoviamo un presidio davanti a Montecitorio per la mattina di MERCOLEDÌ 29 aprile. Invitiamo le altre Organizzazioni Sindacali e le altre Associazioni ad aderire, per dare una risposta unitaria così come abbiamo fatto il 18 dicembre prima dell’approvazione del Senato. Invitiamo tutte le cittadine e i cittadini a partecipare al presidio!
CGIL – ASGI – FCEI – UGL – EMMAUS ITALIA – ANTIGONE – UIL – CIR – LIBERA – TERRA DEL FUOCO – CNCA – ARCI – COORD. DONNE CONTRO IL RAZZISMO – DONNE PER LA SINISTRA – CANTIERI SOCIALI - ACLI
martedì 28 aprile 2009
IL DDL DELLA VERGOGNA...
Fermiamo il ddl della vergogna, finché siamo in tempo
DIRITTO ALLA SICUREZZA PER TUTTINO AL DDL SICUREZZANO ALLE RONDENO AL RAZZISMOLIBERTÀ DI CURA PER I MEDICI E GLI IMMIGRATILOTTA TOTALE ALLE MAFIE
Nei giorni 21-22 aprile si è svolta l’audizione delle Organizzazioni Sindacali e delle Associazioni da parte delle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera sul DDL sicurezza.La gran parte delle nostre organizzazioni ha potuto esprimere il proprio dissenso sull’insieme del provvedimento.Nello stesso giorno il Senato ha approvato il DL antistupri.Il testo, che è stato convertito in legge, fortunatamente non contiene le due norme più contestate, la legalizzazione delle ronde e l’aumento a 6 mesi della detenzione degli immigrati non identificati dentro il CIE.La maggioranza di governo intende però recuperare la norma sulle ronde nel DDL sulla sicurezza e si è impegnata a presentare un altro DDL sull’aumento del periodo di trattenimento nei CIE.Per quanto riguarda il DDL sicurezza, la maggioranza avrebbe deciso di stralciare la norma più contestata che riguarda la segnalazione da parte dei medici e il personale sanitario degli immigrati irregolari che si rivolgono al sistema sanitario per curarsi, ma se rimane la norma che istituisce il reato penale di clandestinità i medici potranno essere ugualmente obbligati alla segnalazione, nonostante il divieto previsto dal Testo Unico sull’immigrazione. Si configurerebbe in questo modo un complicato contrasto normativo. Comunque tutto l’impianto del DDL sulla sicurezza (con le norme sulla tassa per il rinnovo dei permessi, sulla cittadinanza, sul divieto di registrazione allo stato civile, sul permesso a punti e sul reato di clandestinità), se approvato, configurerebbe una restrizione intollerabile dei diritti umani delle persone con un segno di forte discriminazione e vessazione razziale.Mentre il Parlamento discute di questi provvedimenti il clima e gli episodi di razzismo e di violenza si moltiplicano nel paese con un atteggiamento gravissimo e irresponsabile di certa stampa che istiga alla violenza razzista. Quindi noi dobbiamo manifestare tutto il nostro dissenso e fare il possibile per contrastare questa deriva. Il provvedimento sarà presto in aula alla Camera e quindi promuoviamo un presidio davanti a Montecitorio per la mattina di MERCOLEDÌ 29 aprile. Invitiamo le altre Organizzazioni Sindacali e le altre Associazioni ad aderire, per dare una risposta unitaria così come abbiamo fatto il 18 dicembre prima dell’approvazione del Senato. Invitiamo tutte le cittadine e i cittadini a partecipare al presidio!
CGIL – ASGI – FCEI – UGL – EMMAUS ITALIA – ANTIGONE – UIL – CIR – LIBERA – TERRA DEL FUOCO – CNCA – ARCI – COORD. DONNE CONTRO IL RAZZISMO – DONNE PER LA SINISTRA – CANTIERI SOCIALI - ACLI
DIRITTO ALLA SICUREZZA PER TUTTINO AL DDL SICUREZZANO ALLE RONDENO AL RAZZISMOLIBERTÀ DI CURA PER I MEDICI E GLI IMMIGRATILOTTA TOTALE ALLE MAFIE
Nei giorni 21-22 aprile si è svolta l’audizione delle Organizzazioni Sindacali e delle Associazioni da parte delle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera sul DDL sicurezza.La gran parte delle nostre organizzazioni ha potuto esprimere il proprio dissenso sull’insieme del provvedimento.Nello stesso giorno il Senato ha approvato il DL antistupri.Il testo, che è stato convertito in legge, fortunatamente non contiene le due norme più contestate, la legalizzazione delle ronde e l’aumento a 6 mesi della detenzione degli immigrati non identificati dentro il CIE.La maggioranza di governo intende però recuperare la norma sulle ronde nel DDL sulla sicurezza e si è impegnata a presentare un altro DDL sull’aumento del periodo di trattenimento nei CIE.Per quanto riguarda il DDL sicurezza, la maggioranza avrebbe deciso di stralciare la norma più contestata che riguarda la segnalazione da parte dei medici e il personale sanitario degli immigrati irregolari che si rivolgono al sistema sanitario per curarsi, ma se rimane la norma che istituisce il reato penale di clandestinità i medici potranno essere ugualmente obbligati alla segnalazione, nonostante il divieto previsto dal Testo Unico sull’immigrazione. Si configurerebbe in questo modo un complicato contrasto normativo. Comunque tutto l’impianto del DDL sulla sicurezza (con le norme sulla tassa per il rinnovo dei permessi, sulla cittadinanza, sul divieto di registrazione allo stato civile, sul permesso a punti e sul reato di clandestinità), se approvato, configurerebbe una restrizione intollerabile dei diritti umani delle persone con un segno di forte discriminazione e vessazione razziale.Mentre il Parlamento discute di questi provvedimenti il clima e gli episodi di razzismo e di violenza si moltiplicano nel paese con un atteggiamento gravissimo e irresponsabile di certa stampa che istiga alla violenza razzista. Quindi noi dobbiamo manifestare tutto il nostro dissenso e fare il possibile per contrastare questa deriva. Il provvedimento sarà presto in aula alla Camera e quindi promuoviamo un presidio davanti a Montecitorio per la mattina di MERCOLEDÌ 29 aprile. Invitiamo le altre Organizzazioni Sindacali e le altre Associazioni ad aderire, per dare una risposta unitaria così come abbiamo fatto il 18 dicembre prima dell’approvazione del Senato. Invitiamo tutte le cittadine e i cittadini a partecipare al presidio!
CGIL – ASGI – FCEI – UGL – EMMAUS ITALIA – ANTIGONE – UIL – CIR – LIBERA – TERRA DEL FUOCO – CNCA – ARCI – COORD. DONNE CONTRO IL RAZZISMO – DONNE PER LA SINISTRA – CANTIERI SOCIALI - ACLI
LA MEMORIA E IL DIALOGO. Tra scuola e differenze sociali
di Laura Tussi
In ambito scolastico risulta necessario attivare percorsi di dialogo intergenerazionale e di memoria individuale e collettiva rispetto ai temi della differenza sociale, partendo dall'insegnamento dell'Olocausto, quale paradigma assoluto di un disegno predeterminato e sistematico di sterminio e di annientamento delle diversità all'interno del tessuto sociocomunitario, nella terribile e agghiacciante prospettiva di omologazione e annullamento delle differenze sociali.
L'insegnamento dell'Olocausto deve aumentare la conoscenza di questo sterminio senza precedenti, conservare il ricordo delle vittime e incoraggiare gli insegnanti e gli studenti a riflettere sulle questioni morali poste dagli eventi dell'Olocausto e sul loro valore per il mondo contemporaneo. Oltre agli ebrei, il sistema nazifascista ha schiavizzato e assassinato milioni di persone tra cui zingari, disabili fisici e mentali, polacchi, prigionieri di guerra sovietici, sindacalisti, avversari politici, obiettore di coscienza, omosessuali e ancora altre tipologie di persone diverse e colpevoli solo di esistere in quanto tali.
È importante trasmettere la conoscenza di tali eventi alle giovani generazioni partendo dal dialogo intergenerazionale e da percorsi di memoria individuale e collettiva a partire dalla conoscenza di sé e degli altri, dei propri compagni di classe, dei pari, degli insegnanti nell'ambito della comunità educante.
La differenza è uno dei principi della cultura postmoderna che insiste sulla diversificazione, sulla molteplicità e le complessità contro i rischi della pianificazione e dell'omologazione sociale. Attraverso il metodo dell’intervista, in ambito scolastico, si intende analizzare l'aspetto autobiografico, la personale storia di vita e di formazione in rapporto all'impegno culturale, sociale e politico.
L'analisi si sposta sulla comprensione delle nuove ed incombenti sfide dettate da una società e da un mondo sempre più globalizzanti, segnati da diversità multiculturali e dalla coesistenza di variegate culture e differenti modi di essere di pensare, fino a giungere al concetto di annientamento totale delle diversità, attraverso l'analisi di processi concentrazionari, con le pratiche di sterminio nell'Olocausto.
Dal racconto della propria storia di vita, delle proprie esperienze esistenziali, si possono evincere temi sostanziali dell'individuale personalità con la finalità di riconoscersi in un'identità che possa diventare sempre fonte di confronto con l'alterità, l'altro da sé e quindi con l'implicita diversità che l'identità altrui presenta.
Il concetto di diversità sollecita riflessioni e associazioni di idee varie e disparate, dal dibattito sulle opinioni e la democrazia, a quello più complesso e inerente ai contesti, agli scenari economici e sociali e alle persone.
Viene spontaneo pensare alle diversità di genere e generazionali, di nazionalità, lingua e religione, di capacità e competenze, di intelligenza e progettualità, tra chi è sempre più debole e chi è sempre più forte.
Tramite la raccolta di esperienze di vita e di concetti narrati da docenti e studenti, si è potuto analizzare il processo di conoscenza autobiografica, quindi di definizione di differenze nelle reciproche identità, per poi elaborare conclusioni in merito al concetto di differenza individuale, soggettiva e, per esteso, di varietà interetnica e multiculturale.
La conoscenza di sé, attraverso il percorso di autoriflessione, di autonarrazione, di racconto di sé, permette di identificare ed approfondire una propria personalità, in rapporto all'alterità e all'altruità di colui che si pone in dialogo.
Di conseguenza le molteplicità e le complessità interetniche, multiculturali si incontrano, si incrociano e si declinano trasversalmente e in maniera unitaria con le diversità psicologiche, identitarie, soggettive, intergenerazionali, di genere, in un pluriverso di alterità sociali, all'interno di un tessuto sociocomunitario che dovrebbe sempre più aprirsi all'accoglienza, al confronto, al dialogo, all'interscambio tra molteplici aspetti che permeano l'intera umanità e che non si possono classificare e attribuire esclusivamente al concetto di razza ed etnia, perché la differenza è ubiquitaria e trasversale al concetto stesso di umanità.
Ognuno di noi presenta una propria specificità e differisce da ogni altro soggetto nelle personali prerogative identitarie.
La considerazione ed il riconoscimento dell'altro da sé permettono il reciproco confronto e la gestione educativa del conflitto dove spesso l'intesa e l’accordo si presentano come una “bella utopia”.
Dal dialogo risulta possibile generare l'intesa, l'accordo, nel confronto tra identità che con l'analisi autobiografica possono assumere una maggiore consapevolezza valoriale, nel rispetto di sé e di conseguenza dell'altro.
L'analisi introspettiva e psicologica permette l'autoriconoscimento del soggetto che indaga sul proprio sé, rispetto alle proprie esperienze esistenziali, ai propri concetti fondamentali, alle visioni ideologiche della vita, dei contesti sociocomunitari e del mondo circostante.
La personale identità, l'interiorità individuale, si forma tramite le relazioni esterne, nel confronto reciproco tra persone, nell'interscambio dialogico, al fine di superare la solitudine e il disagio esistenziali.
La narrazione di sé all'altro implica accoglienza, accettazione, benevolenza, in un reciproco riconoscimento identitario, nella valorizzazione delle identità esterne e diverse rispetto alla propria personalità.
Attualmente risulta necessaria un'innovativa grammatica mentale per costruire la convivenza planetaria in dimensione interculturale.
Sono sempre stata motivata alla ricerca, alla divulgazione culturale per l'importanza del valore educativo, per la trasmissione di contenuti significativi alle giovani generazioni, seguendo i miei maestri, gli intellettuali, come il mio caro amico MONI OVADIA, sempre attivo civilmente, moralmente, politicamente, in strenue battaglie sociali di verità, giustizia e libertà, sul fronte del confronto solidale, del dibattito politico, contro ogni discriminazione, e intellettualmente impegnato in aiuto degli altri, dei diversi, degli emarginati, degli oppressi di tutti gli ultimi e dei più deboli di cui tutti siamo parte nel tessuto sociocomunitario e nel mondo…
Noi riteniamo che lo studio e la crescita culturale abbiano una validità morale ed educativa quando siano posti al servizio degli altri, per i principi sociali, etici e civili, per i diritti universali imprescindibili della persona, sanciti dalla carta costituzionale democratica.
Nel Sistema formativo inteso come ideale comunità educante, l’impegno culturale della testimonianza, del ricordo, della narrazione e del racconto, nel recupero e nella trasmissione del valore di Memoria Storica, individuale, collettiva e condivisa, è il filo rosso del significato di MEMORIA, per il presente e per il futuro, per non dimenticare.
Memoria degli eventi che hanno formato e segnato la coscienza di chi li ha vissuti e, dopo, di chi li ha conosciuti, con il dovere di ricordare...di fronte alla storia, di padre in figlio, di generazione in generazione, dalla resistenza partigiana, ai movimenti operai e studenteschi di lotta e rivendicazione di pari dignità e opportunità, fino alla nuova globalizzazione.
MEMORIA E MEMORIE come modalità interculturale e pedagogica, in ambito sociocomunitario, quale supporto valoriale alla riappropriazione del sentimento etico e civile diun’appartenenza identitaria universale, composta di molteplici alterità, ibridazioni e commistioni umane nella pluriappartenenza etnica al territorio, ai territori nella loro rivalorizzazione ambientale ed ecologica, anche a livello educativo, didattico, socioculturale e lavorativo.
MEMORIA E MEMORIE della città, nelle sue forme, nei suoi monumenti, nelle sue case…contro l’alienante espropriazione del soggetto-persona nella perdita di punti di riferimento e di ideali classici, soppiantati dall’imperante massificazione consumistica e dal mito capitalistico dell’ efficientismo sfrenato e del primato dell’economico, imposti dal sistema.
MEMORIA E MEMORIE di noi donne e uomini, delle nostre idee che si sviluppano nel tempo dell’esperienza, come risorsa interiore, soggettiva, esistenziale di intima festa emozionale, di incontri, dialoghi, rapporti, progetti, da ripartecipare e sperimentare, nella dimensione comunitaria, negli ambiti di intervento socioeducativo ed associazionistico di partecipazione militante e attivismo culturale nei vari settori occupazionali e lavorativi a livello territoriale.
Lo studio e la cultura devono dunque motivare le giovani generazioni alla solidarietà, alla realizzazione di una società che abbia come valore fondante la pace e la convivenza civile tra popoli, genti e minoranze, nel rispetto dei diritti universali e sociali di cittadinanza multietnica, cosmopolita e internazionale.
“La bella utopia” è un mondo dove non esistano patrie e nazioni, frontiere e burocrazie, limiti e confini, ma comunità educanti aperte all’accoglienza, al dialogo, al cambiamento rivoluzionario, al progresso costruttivo, senza stereotipi e pregiudizi, nel rispetto delle culture altre, nella coesistenza pacifica, che agevola il confronto tra diversità interculturali e differenze di genere ed intergenerazionali.
Coniugare la memoria storica consiste nella necessità della costruzione di una coscienza civile che ponga come obiettivo prioritario la conoscenza e la riflessione nelle comunità, nelle città, nel mondo…per un’utopia realizzabile, a partire da ogni singola persona, nel contesto quotidiano e nella partecipazione collettiva, pluralista e democratica.
Laura Tussi
In ambito scolastico risulta necessario attivare percorsi di dialogo intergenerazionale e di memoria individuale e collettiva rispetto ai temi della differenza sociale, partendo dall'insegnamento dell'Olocausto, quale paradigma assoluto di un disegno predeterminato e sistematico di sterminio e di annientamento delle diversità all'interno del tessuto sociocomunitario, nella terribile e agghiacciante prospettiva di omologazione e annullamento delle differenze sociali.
L'insegnamento dell'Olocausto deve aumentare la conoscenza di questo sterminio senza precedenti, conservare il ricordo delle vittime e incoraggiare gli insegnanti e gli studenti a riflettere sulle questioni morali poste dagli eventi dell'Olocausto e sul loro valore per il mondo contemporaneo. Oltre agli ebrei, il sistema nazifascista ha schiavizzato e assassinato milioni di persone tra cui zingari, disabili fisici e mentali, polacchi, prigionieri di guerra sovietici, sindacalisti, avversari politici, obiettore di coscienza, omosessuali e ancora altre tipologie di persone diverse e colpevoli solo di esistere in quanto tali.
È importante trasmettere la conoscenza di tali eventi alle giovani generazioni partendo dal dialogo intergenerazionale e da percorsi di memoria individuale e collettiva a partire dalla conoscenza di sé e degli altri, dei propri compagni di classe, dei pari, degli insegnanti nell'ambito della comunità educante.
La differenza è uno dei principi della cultura postmoderna che insiste sulla diversificazione, sulla molteplicità e le complessità contro i rischi della pianificazione e dell'omologazione sociale. Attraverso il metodo dell’intervista, in ambito scolastico, si intende analizzare l'aspetto autobiografico, la personale storia di vita e di formazione in rapporto all'impegno culturale, sociale e politico.
L'analisi si sposta sulla comprensione delle nuove ed incombenti sfide dettate da una società e da un mondo sempre più globalizzanti, segnati da diversità multiculturali e dalla coesistenza di variegate culture e differenti modi di essere di pensare, fino a giungere al concetto di annientamento totale delle diversità, attraverso l'analisi di processi concentrazionari, con le pratiche di sterminio nell'Olocausto.
Dal racconto della propria storia di vita, delle proprie esperienze esistenziali, si possono evincere temi sostanziali dell'individuale personalità con la finalità di riconoscersi in un'identità che possa diventare sempre fonte di confronto con l'alterità, l'altro da sé e quindi con l'implicita diversità che l'identità altrui presenta.
Il concetto di diversità sollecita riflessioni e associazioni di idee varie e disparate, dal dibattito sulle opinioni e la democrazia, a quello più complesso e inerente ai contesti, agli scenari economici e sociali e alle persone.
Viene spontaneo pensare alle diversità di genere e generazionali, di nazionalità, lingua e religione, di capacità e competenze, di intelligenza e progettualità, tra chi è sempre più debole e chi è sempre più forte.
Tramite la raccolta di esperienze di vita e di concetti narrati da docenti e studenti, si è potuto analizzare il processo di conoscenza autobiografica, quindi di definizione di differenze nelle reciproche identità, per poi elaborare conclusioni in merito al concetto di differenza individuale, soggettiva e, per esteso, di varietà interetnica e multiculturale.
La conoscenza di sé, attraverso il percorso di autoriflessione, di autonarrazione, di racconto di sé, permette di identificare ed approfondire una propria personalità, in rapporto all'alterità e all'altruità di colui che si pone in dialogo.
Di conseguenza le molteplicità e le complessità interetniche, multiculturali si incontrano, si incrociano e si declinano trasversalmente e in maniera unitaria con le diversità psicologiche, identitarie, soggettive, intergenerazionali, di genere, in un pluriverso di alterità sociali, all'interno di un tessuto sociocomunitario che dovrebbe sempre più aprirsi all'accoglienza, al confronto, al dialogo, all'interscambio tra molteplici aspetti che permeano l'intera umanità e che non si possono classificare e attribuire esclusivamente al concetto di razza ed etnia, perché la differenza è ubiquitaria e trasversale al concetto stesso di umanità.
Ognuno di noi presenta una propria specificità e differisce da ogni altro soggetto nelle personali prerogative identitarie.
La considerazione ed il riconoscimento dell'altro da sé permettono il reciproco confronto e la gestione educativa del conflitto dove spesso l'intesa e l’accordo si presentano come una “bella utopia”.
Dal dialogo risulta possibile generare l'intesa, l'accordo, nel confronto tra identità che con l'analisi autobiografica possono assumere una maggiore consapevolezza valoriale, nel rispetto di sé e di conseguenza dell'altro.
L'analisi introspettiva e psicologica permette l'autoriconoscimento del soggetto che indaga sul proprio sé, rispetto alle proprie esperienze esistenziali, ai propri concetti fondamentali, alle visioni ideologiche della vita, dei contesti sociocomunitari e del mondo circostante.
La personale identità, l'interiorità individuale, si forma tramite le relazioni esterne, nel confronto reciproco tra persone, nell'interscambio dialogico, al fine di superare la solitudine e il disagio esistenziali.
La narrazione di sé all'altro implica accoglienza, accettazione, benevolenza, in un reciproco riconoscimento identitario, nella valorizzazione delle identità esterne e diverse rispetto alla propria personalità.
Attualmente risulta necessaria un'innovativa grammatica mentale per costruire la convivenza planetaria in dimensione interculturale.
Sono sempre stata motivata alla ricerca, alla divulgazione culturale per l'importanza del valore educativo, per la trasmissione di contenuti significativi alle giovani generazioni, seguendo i miei maestri, gli intellettuali, come il mio caro amico MONI OVADIA, sempre attivo civilmente, moralmente, politicamente, in strenue battaglie sociali di verità, giustizia e libertà, sul fronte del confronto solidale, del dibattito politico, contro ogni discriminazione, e intellettualmente impegnato in aiuto degli altri, dei diversi, degli emarginati, degli oppressi di tutti gli ultimi e dei più deboli di cui tutti siamo parte nel tessuto sociocomunitario e nel mondo…
Noi riteniamo che lo studio e la crescita culturale abbiano una validità morale ed educativa quando siano posti al servizio degli altri, per i principi sociali, etici e civili, per i diritti universali imprescindibili della persona, sanciti dalla carta costituzionale democratica.
Nel Sistema formativo inteso come ideale comunità educante, l’impegno culturale della testimonianza, del ricordo, della narrazione e del racconto, nel recupero e nella trasmissione del valore di Memoria Storica, individuale, collettiva e condivisa, è il filo rosso del significato di MEMORIA, per il presente e per il futuro, per non dimenticare.
Memoria degli eventi che hanno formato e segnato la coscienza di chi li ha vissuti e, dopo, di chi li ha conosciuti, con il dovere di ricordare...di fronte alla storia, di padre in figlio, di generazione in generazione, dalla resistenza partigiana, ai movimenti operai e studenteschi di lotta e rivendicazione di pari dignità e opportunità, fino alla nuova globalizzazione.
MEMORIA E MEMORIE come modalità interculturale e pedagogica, in ambito sociocomunitario, quale supporto valoriale alla riappropriazione del sentimento etico e civile diun’appartenenza identitaria universale, composta di molteplici alterità, ibridazioni e commistioni umane nella pluriappartenenza etnica al territorio, ai territori nella loro rivalorizzazione ambientale ed ecologica, anche a livello educativo, didattico, socioculturale e lavorativo.
MEMORIA E MEMORIE della città, nelle sue forme, nei suoi monumenti, nelle sue case…contro l’alienante espropriazione del soggetto-persona nella perdita di punti di riferimento e di ideali classici, soppiantati dall’imperante massificazione consumistica e dal mito capitalistico dell’ efficientismo sfrenato e del primato dell’economico, imposti dal sistema.
MEMORIA E MEMORIE di noi donne e uomini, delle nostre idee che si sviluppano nel tempo dell’esperienza, come risorsa interiore, soggettiva, esistenziale di intima festa emozionale, di incontri, dialoghi, rapporti, progetti, da ripartecipare e sperimentare, nella dimensione comunitaria, negli ambiti di intervento socioeducativo ed associazionistico di partecipazione militante e attivismo culturale nei vari settori occupazionali e lavorativi a livello territoriale.
Lo studio e la cultura devono dunque motivare le giovani generazioni alla solidarietà, alla realizzazione di una società che abbia come valore fondante la pace e la convivenza civile tra popoli, genti e minoranze, nel rispetto dei diritti universali e sociali di cittadinanza multietnica, cosmopolita e internazionale.
“La bella utopia” è un mondo dove non esistano patrie e nazioni, frontiere e burocrazie, limiti e confini, ma comunità educanti aperte all’accoglienza, al dialogo, al cambiamento rivoluzionario, al progresso costruttivo, senza stereotipi e pregiudizi, nel rispetto delle culture altre, nella coesistenza pacifica, che agevola il confronto tra diversità interculturali e differenze di genere ed intergenerazionali.
Coniugare la memoria storica consiste nella necessità della costruzione di una coscienza civile che ponga come obiettivo prioritario la conoscenza e la riflessione nelle comunità, nelle città, nel mondo…per un’utopia realizzabile, a partire da ogni singola persona, nel contesto quotidiano e nella partecipazione collettiva, pluralista e democratica.
Laura Tussi
lunedì 27 aprile 2009
L'ASILO DI BETANIA
da padre Daniele Moschetti ricevo questo testo:
Guardo fuori dalla finestra e vedo Jamil. Lui è un piccolo bambino molto vispo, capelli e occhi nerissimi. Sempre vestito bene. Arriva quasi sempre per primo all’asilo delle sorelle comboniane qui a Betania. La finestra della mia stanza si affaccia proprio sull’area adibita ad asilo nido per i bambini del villaggio palestinese di Al Azaryia ai piedi di una delle tante colline che si estendono sulla strada da Gerusalemme a Gerico. Noi abitiamo proprio sulla cima di questa collina di questo villaggio, un tempo chiamato dai cristiani Betania. Ora è diventato da secoli un villaggio prevalentemente musulmano. Betania nei racconti dei Vangeli ci ricorda le due sorelle Marta e Maria e il loro fratello Lazzaro molto amico di Gesù. Qui anche Gesù vide l’amore e le lacrime che versavano i tanti amici e parenti di Lazzaro e delle due sorelle. E pianse anche Lui (Gv 11,33-44). E così resuscitò Lazzaro…..un dolce preludio a ciò che sarebbe successo a Gesù stesso il giorno della Sua resurrezione. Pensate a come si sarà sentito Lazzaro ritornando in vita dopo quattro giorni dalla sua morte. E chissà come avrà vissuto la sua vita dopo essersi reso conto di ritornare a vita nuova, grazie al suo grande amico Gesù!
Betania è anche il villaggio di Simone il Lebbroso, che proprio per rendergli grazie per la sua guarigione dalla lebbra, aveva invitato Gesù insieme ai suoi discepoli a cena nella sua casa. E qui una donna entrò nella stanza e versò sul capo di Gesù un vaso di alabastro colmo di olio di nardo profumato e costoso. E tutti i discepoli rimasero scossi da questo “spreco” ma Gesù li rimproverò dicendo che i poveri li avrebbero sempre avuti con loro ma non Lui. E il gesto che questa donna anonima fece sarebbe rimasto per sempre in ricordo di lei. Non faceva altro che anticipare la tradizione dello spargere l’olio sul corpo per la sepoltura dei morti. E Lui si riferiva alla Sua morte…..(Mt 26, 6-13).
Insomma questo piccolo villaggio di Betania è stato luogo per molti di amicizia profonda con Gesù. Molti qui erano abituati a vedere Gesù passare tra le stradine del villaggio perché quando Gesù veniva a Gerusalemme passava dagli amici a salutarli. Betania è molto vicino a Gerusalemme quasi 3 km ed è vicinissimo all’orto del Getsemani sul Monte degli Ulivi dove Gesù visse gli ultimi momenti della sua agonia e solitudine, prima di essere arrestato (Mt 26, 36-46). Sono luoghi molto importanti per noi cristiani perché hanno scritto la storia di Gerusalemme, della Terra Santa, del Cristianesimo e del mondo intero.
Oggi Betania, il villaggio dell’amicizia un tempo, si chiama Al Azaryia e fa parte dell’Autonomia Palestinese cioè dei territori che sono sotto l’amministrazione di un governo palestinese che però non è riconosciuto come Stato sovrano all’interno dello Stato di Israele. La storia sarebbe lunga e magari ve la racconto un’altra volta ma ciò che più mi interessa è parlarvi del muro che divide questi due territori.
Jamil e gli altri 52 bambini che vengono all’asilo dalle sorelle Comboniane nella nostra casa, vivono, giocano e guardano al loro futuro all’ombra del muro che divide due popoli (ebrei e palestinesi), due lingue (arabo ed ebraico), due culture e religioni (ebraismo e islam), due storie diverse ma allo stesso molto intrecciate tra loro.
Il nostro cortile dove c’è l’asilo è circondato da un muro alto circa 7-8 metri e in alto c’è anche una rete che impedisce ad eventuali intrusi di entrare. E continua per molti kilometri. Qui proprio a 50 metri dalla casa delle sorelle comboniane c’è un check-point dove ci sono sempre almeno 4 soldati, giorno e notte a presidiare l’area. Dall’altra parte del muro è Israele e inizia la città di Gerusalemme. Questo è il famoso muro che divide per 736 km tutta la Palestina dallo Stato d’Israele in tante parti del suo territorio. Non solo qui.
Noi siamo nel territorio Palestinese e ogni giorno chiunque vuole passare deve avere un permesso speciale e mostrare passaporto o cartà d’identità. Molta gente e tanti bambini palestinesi non possono passare al di là di quel muro. C’è una grande ingiustizia e oppressione che soprattutto i giovani e i bambini subiscono durante tutta la loro crescita ed educazione. E questo dura da oltre 60 anni.
Jamil è palestinese, arabo e musulmano. Come lui nella scuola ci sono tante bambine e bambine molto vivaci, attenti, desiderosi di imparare e voglia di giocare. Su 53 bambini presenti all’asilo, 50 sono musulmani e 3 sono cristiani. Le insegnanti sono suor Germaine, egiziana e Karima (che in arabo vuol dire “generosa”), musulmana Palestinese del villaggio di Al Azaryia. Un’incontro di culture, religioni, storie, lingue che vivono insieme e in comunione per educare e costruire insieme nel dialogo un futuro e un mondo migliore per questi bambini tra i 3 e 5 anni. Sul muro interno che circonda l’asilo sono stati dipinti vari personaggi, paesaggi e tanto colore. È un modo per far vivere a questi bambini una normalità che non esiste ma che vuole simbolizzare invece la Speranza e il Colore di un futuro diverso. Tanti giochi, la loro fantasia e innocenza, le grida e le loro canzoni riempiono il cortile e l’ambiente di un’atmosfera diversa. È un’invito alla vita! A credere che proprio qui dove Gesù viveva la sua umanità di Dio-Uomo nell’ amicizia profonda con Lazzaro, Maria e Marta si può ancora sognare un mondo dove la giustizia, la pace, la solidarietà e la saggezza degli uomini prevalgano sulla voglia di potere e di oppressione di politici e potenti. Come al tempo di Erode che voleva uccidere Gesù sin dalla sua nascita e infanzia. Quante stragi di bambini e donne innocenti abbiamo assistito impotenti e impassibili nella nostra storia?
Non tanto lontano da qui, a Gerico, seguendo la strada ora tagliata dal muro di divisione, che scende da Gerusalemme a Gerico (ricordate la parabola del buon samaritano?) e che passa da Betania, la Bibbia ci ricorda nell’Antico Testamento (Gs 6, 1-26) che un “certo Giosuè”, conducendo il popolo d’Israele, accerchiarono il muro della “città nemica” e cantando e al suono della tromba le mura della città crollarono. Un giorno anche questi e tante altre migliaia di bambini palestinesi ed ebrei che oggi vivono all’ombra di qua e di là di questo muro di odio e di discordia, vivranno nella concordia e nella pace, senza muri e fili spinati. Anche loro vedranno crollare le mura……
E’ un sogno? Forse…..
p. Daniele Moschetti
comboniano
Guardo fuori dalla finestra e vedo Jamil. Lui è un piccolo bambino molto vispo, capelli e occhi nerissimi. Sempre vestito bene. Arriva quasi sempre per primo all’asilo delle sorelle comboniane qui a Betania. La finestra della mia stanza si affaccia proprio sull’area adibita ad asilo nido per i bambini del villaggio palestinese di Al Azaryia ai piedi di una delle tante colline che si estendono sulla strada da Gerusalemme a Gerico. Noi abitiamo proprio sulla cima di questa collina di questo villaggio, un tempo chiamato dai cristiani Betania. Ora è diventato da secoli un villaggio prevalentemente musulmano. Betania nei racconti dei Vangeli ci ricorda le due sorelle Marta e Maria e il loro fratello Lazzaro molto amico di Gesù. Qui anche Gesù vide l’amore e le lacrime che versavano i tanti amici e parenti di Lazzaro e delle due sorelle. E pianse anche Lui (Gv 11,33-44). E così resuscitò Lazzaro…..un dolce preludio a ciò che sarebbe successo a Gesù stesso il giorno della Sua resurrezione. Pensate a come si sarà sentito Lazzaro ritornando in vita dopo quattro giorni dalla sua morte. E chissà come avrà vissuto la sua vita dopo essersi reso conto di ritornare a vita nuova, grazie al suo grande amico Gesù!
Betania è anche il villaggio di Simone il Lebbroso, che proprio per rendergli grazie per la sua guarigione dalla lebbra, aveva invitato Gesù insieme ai suoi discepoli a cena nella sua casa. E qui una donna entrò nella stanza e versò sul capo di Gesù un vaso di alabastro colmo di olio di nardo profumato e costoso. E tutti i discepoli rimasero scossi da questo “spreco” ma Gesù li rimproverò dicendo che i poveri li avrebbero sempre avuti con loro ma non Lui. E il gesto che questa donna anonima fece sarebbe rimasto per sempre in ricordo di lei. Non faceva altro che anticipare la tradizione dello spargere l’olio sul corpo per la sepoltura dei morti. E Lui si riferiva alla Sua morte…..(Mt 26, 6-13).
Insomma questo piccolo villaggio di Betania è stato luogo per molti di amicizia profonda con Gesù. Molti qui erano abituati a vedere Gesù passare tra le stradine del villaggio perché quando Gesù veniva a Gerusalemme passava dagli amici a salutarli. Betania è molto vicino a Gerusalemme quasi 3 km ed è vicinissimo all’orto del Getsemani sul Monte degli Ulivi dove Gesù visse gli ultimi momenti della sua agonia e solitudine, prima di essere arrestato (Mt 26, 36-46). Sono luoghi molto importanti per noi cristiani perché hanno scritto la storia di Gerusalemme, della Terra Santa, del Cristianesimo e del mondo intero.
Oggi Betania, il villaggio dell’amicizia un tempo, si chiama Al Azaryia e fa parte dell’Autonomia Palestinese cioè dei territori che sono sotto l’amministrazione di un governo palestinese che però non è riconosciuto come Stato sovrano all’interno dello Stato di Israele. La storia sarebbe lunga e magari ve la racconto un’altra volta ma ciò che più mi interessa è parlarvi del muro che divide questi due territori.
Jamil e gli altri 52 bambini che vengono all’asilo dalle sorelle Comboniane nella nostra casa, vivono, giocano e guardano al loro futuro all’ombra del muro che divide due popoli (ebrei e palestinesi), due lingue (arabo ed ebraico), due culture e religioni (ebraismo e islam), due storie diverse ma allo stesso molto intrecciate tra loro.
Il nostro cortile dove c’è l’asilo è circondato da un muro alto circa 7-8 metri e in alto c’è anche una rete che impedisce ad eventuali intrusi di entrare. E continua per molti kilometri. Qui proprio a 50 metri dalla casa delle sorelle comboniane c’è un check-point dove ci sono sempre almeno 4 soldati, giorno e notte a presidiare l’area. Dall’altra parte del muro è Israele e inizia la città di Gerusalemme. Questo è il famoso muro che divide per 736 km tutta la Palestina dallo Stato d’Israele in tante parti del suo territorio. Non solo qui.
Noi siamo nel territorio Palestinese e ogni giorno chiunque vuole passare deve avere un permesso speciale e mostrare passaporto o cartà d’identità. Molta gente e tanti bambini palestinesi non possono passare al di là di quel muro. C’è una grande ingiustizia e oppressione che soprattutto i giovani e i bambini subiscono durante tutta la loro crescita ed educazione. E questo dura da oltre 60 anni.
Jamil è palestinese, arabo e musulmano. Come lui nella scuola ci sono tante bambine e bambine molto vivaci, attenti, desiderosi di imparare e voglia di giocare. Su 53 bambini presenti all’asilo, 50 sono musulmani e 3 sono cristiani. Le insegnanti sono suor Germaine, egiziana e Karima (che in arabo vuol dire “generosa”), musulmana Palestinese del villaggio di Al Azaryia. Un’incontro di culture, religioni, storie, lingue che vivono insieme e in comunione per educare e costruire insieme nel dialogo un futuro e un mondo migliore per questi bambini tra i 3 e 5 anni. Sul muro interno che circonda l’asilo sono stati dipinti vari personaggi, paesaggi e tanto colore. È un modo per far vivere a questi bambini una normalità che non esiste ma che vuole simbolizzare invece la Speranza e il Colore di un futuro diverso. Tanti giochi, la loro fantasia e innocenza, le grida e le loro canzoni riempiono il cortile e l’ambiente di un’atmosfera diversa. È un’invito alla vita! A credere che proprio qui dove Gesù viveva la sua umanità di Dio-Uomo nell’ amicizia profonda con Lazzaro, Maria e Marta si può ancora sognare un mondo dove la giustizia, la pace, la solidarietà e la saggezza degli uomini prevalgano sulla voglia di potere e di oppressione di politici e potenti. Come al tempo di Erode che voleva uccidere Gesù sin dalla sua nascita e infanzia. Quante stragi di bambini e donne innocenti abbiamo assistito impotenti e impassibili nella nostra storia?
Non tanto lontano da qui, a Gerico, seguendo la strada ora tagliata dal muro di divisione, che scende da Gerusalemme a Gerico (ricordate la parabola del buon samaritano?) e che passa da Betania, la Bibbia ci ricorda nell’Antico Testamento (Gs 6, 1-26) che un “certo Giosuè”, conducendo il popolo d’Israele, accerchiarono il muro della “città nemica” e cantando e al suono della tromba le mura della città crollarono. Un giorno anche questi e tante altre migliaia di bambini palestinesi ed ebrei che oggi vivono all’ombra di qua e di là di questo muro di odio e di discordia, vivranno nella concordia e nella pace, senza muri e fili spinati. Anche loro vedranno crollare le mura……
E’ un sogno? Forse…..
p. Daniele Moschetti
comboniano
sabato 25 aprile 2009
Libertà
Sui miei quaderni di scolaro
Sui miei banchi e sugli alberi
Sulla sabbia e sulla neve
Io scrivo il tuo nome
Su tutte le pagine lette
Su tutte le pagine bianche
Pietra sangue carta cenere
Io scrivo il tuo nome
Sulle dorate immagini
Sulle armi dei guerrieri
Sulla corona dei re
Io scrivo il tuo nome
Sulla giungla e sul deserto
Sui nidi sulle ginestre
Sull'eco della mia infanzia
Io scrivo il tuo nome
Sui prodigi della notte
Sul pane bianco dei giorni
Sulle stagioni promesse
Io scrivo il tuo nome
Su tutti i miei squarci d'azzurro
Sullo stagno sole disfatto
Sul lago luna viva
Io scrivo il tuo nome
Sui campi sull'orizzonte
Sulle ali degli uccelli
Sul mulino delle ombre
Io scrivo il tuo nome
Su ogni soffio d'aurora
Sul mare sulle barche
Sulla montagna demente
Io scrivo il tuo nome
Sulla schiuma delle nuvole
Sui sudori dell'uragano
Sulla pioggia fitta e smorta
Io scrivo il tuo nome
Sulle forme scintillanti
Sulle campane dei colori
Sulla verità fisica
Io scrivo il tuo nome
Sui sentieri ridestati
Sulle strade aperte
Sulle piazze dilaganti
Io scrivo il tuo nome
Sul lume che s'accende
Sul lume che si spegne
Sulle mie case raccolte
Io scrivo il tuo nome
Sul frutto spaccato in due
Dello specchio e della mia stanza
Sul mio letto conchiglia vuota
Io scrivo il tuo nome
Sul mio cane goloso e tenero
Sulle sue orecchie ritte
Sulla sua zampa maldestra
Io scrivo il tuo nome
Sul trampolino della mia porta
Sugli oggetti di famiglia
Sull'onda del fuoco benedetto
Io scrivo il tuo nome
Su ogni carne consentita
Sulla fronte dei miei amici
Su ogni mano che si tende
Io scrivo il tuo nome
Sui vetri degli stupori
Sulle labbra intente
Al di sopra del silenzio
Io scrivo il tuo nome
Su ogni mio infranto rifugio
Su ogni mio crollato faro
Sui muri della mia noia
Io scrivo il tuo nome
Sull'assenza che non desidera
Sulla nuda solitudine
Sui sentieri della morte
Io scrivo il tuo nome
Sul rinnovato vigore
Sullo scomparso pericolo
Sulla speranza senza ricordo
Io scrivo il tuo nome
E per la forza di una parola
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti Libertà.
(Paul Eluard, da Poesia e Libertà, 1942)
Sui miei quaderni di scolaro
Sui miei banchi e sugli alberi
Sulla sabbia e sulla neve
Io scrivo il tuo nome
Su tutte le pagine lette
Su tutte le pagine bianche
Pietra sangue carta cenere
Io scrivo il tuo nome
Sulle dorate immagini
Sulle armi dei guerrieri
Sulla corona dei re
Io scrivo il tuo nome
Sulla giungla e sul deserto
Sui nidi sulle ginestre
Sull'eco della mia infanzia
Io scrivo il tuo nome
Sui prodigi della notte
Sul pane bianco dei giorni
Sulle stagioni promesse
Io scrivo il tuo nome
Su tutti i miei squarci d'azzurro
Sullo stagno sole disfatto
Sul lago luna viva
Io scrivo il tuo nome
Sui campi sull'orizzonte
Sulle ali degli uccelli
Sul mulino delle ombre
Io scrivo il tuo nome
Su ogni soffio d'aurora
Sul mare sulle barche
Sulla montagna demente
Io scrivo il tuo nome
Sulla schiuma delle nuvole
Sui sudori dell'uragano
Sulla pioggia fitta e smorta
Io scrivo il tuo nome
Sulle forme scintillanti
Sulle campane dei colori
Sulla verità fisica
Io scrivo il tuo nome
Sui sentieri ridestati
Sulle strade aperte
Sulle piazze dilaganti
Io scrivo il tuo nome
Sul lume che s'accende
Sul lume che si spegne
Sulle mie case raccolte
Io scrivo il tuo nome
Sul frutto spaccato in due
Dello specchio e della mia stanza
Sul mio letto conchiglia vuota
Io scrivo il tuo nome
Sul mio cane goloso e tenero
Sulle sue orecchie ritte
Sulla sua zampa maldestra
Io scrivo il tuo nome
Sul trampolino della mia porta
Sugli oggetti di famiglia
Sull'onda del fuoco benedetto
Io scrivo il tuo nome
Su ogni carne consentita
Sulla fronte dei miei amici
Su ogni mano che si tende
Io scrivo il tuo nome
Sui vetri degli stupori
Sulle labbra intente
Al di sopra del silenzio
Io scrivo il tuo nome
Su ogni mio infranto rifugio
Su ogni mio crollato faro
Sui muri della mia noia
Io scrivo il tuo nome
Sull'assenza che non desidera
Sulla nuda solitudine
Sui sentieri della morte
Io scrivo il tuo nome
Sul rinnovato vigore
Sullo scomparso pericolo
Sulla speranza senza ricordo
Io scrivo il tuo nome
E per la forza di una parola
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti Libertà.
(Paul Eluard, da Poesia e Libertà, 1942)
giovedì 23 aprile 2009
CELESTINO
di Raniero La Valle
Articolo della rubrica “Resistenza e pace” in uscita sul prossimo numero del quindicinale di Assisi, Rocca (rocca@cittadella.org)
L’Aquila, il centro del terremoto, è stata per un momento, alla fine del Duecento, il centro della cristianità e il luogo da cui sarebbe potuto partire un tutt’altro corso della Chiesa e un ben diverso edificio del mondo. Chissà se il terremoto che ha travolto anche la basilica di Collemaggio, salvando però la teca con i resti di Celestino V, allude a quei lontani eventi.
Fu nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio, da poco costruita come abbazia dei monaci morroniani, che il 29 agosto 1294 Pietro da Morrone, tratto dalle spelonche dei monti d’Abruzzo, fu fatto papa, un “papa di transizione”, in attesa che si quietassero le feroci lotte tra i cardinali. Nella grande piazza gremita per l’incoronazione, fra i pellegrini toscani c’era anche un giovane poeta ventinovenne che si chiamava Dante Alighieri. Non che quella presenza gli abbia giovato perché, come risultò poi, Dante non capì nulla di Celestino, tanto da metterlo nel suo inferno, accusandolo di aver fatto “per viltà”, cinque mesi dopo l’elezione, il “gran rifiuto” del pontificato. Né Dante poteva capire Celestino, che una sola cosa veramente grande aveva fatto nel suo breve pontificato: e stando al potere, una sola cosa veramente grande si può fare, e quasi di sorpresa, perché quando l’hai fatta, ti scoprono, e il potere ti viene tolto o se ne scappa lontano da te.
Celestino aveva istituito il perdono, anzi “la perdonanza”, per “tutti i veramente pentiti”, ricchi e poveri, che, visitando quella chiesa aquilana il 29 agosto, festa di San Giovanni Battista, sarebbero stati liberati (assolti, sciolti) “dalla colpa e dalla pena”, a culpa et poena, “fin dal battesimo”; ciò voleva dire che chi aveva peccato – cioè tutti – in virtù del perdono erano non solo graziati della pena, ma fatti innocenti della colpa, resi liberi come se non avessero peccato; che era poi null’altro che prendere sul serio l’economia della redenzione, col suo rivoluzionario passaggio dalla giustificazione mediante la legge, alla giustificazione donata per grazia. E certo Dante questo non lo poteva capire, lui che della teologia della retribuzione aveva fatto un sistema totale, dentro il quale aveva imprigionato Dio, inquisitore, giudice ed esecutore penale, e aveva imprigionato l’uomo, tutti distribuendo in tre carceri diverse, l’inferno, il purgatorio e il paradiso.
La scelta di Celestino, che ben presto il suo successore Bonifacio VIII avrebbe istituzionalizzato, rarefatto e svuotato nella pia pratica dell’ anno santo, era di “rottura” rispetto al modello di Chiesa che si stava affermando in Occidente a partire dalla “riforma papale” di inizio millennio. Da un lato essa intercettava lo scandalo della compravendita delle indulgenze, messe sul mercato da chi poteva concederle, ed elargite in cambio di denaro o lasciti, sicché solo i ricchi potevano goderne; e questo mordeva su una patologia della Chiesa; ma dall’altro lato incideva sulla fisiologia della Chiesa, per la quale sembrava normale che essa facesse del peccato il criterio assoluto del suo giudizio sul mondo – perciò considerato tutto malnato e perduto se fuori della Chiesa – e nello stesso tempo il fondamento del suo potere. Solo poco più di un secolo prima un altro monaco, Bernardo di Chiaravalle, con una intuizione geniale quanto perversa, aveva spiegato al papa Eugenio III, che era suo discepolo, che il vero potere della Chiesa non poggiava su terre e proprietà, ma si ergeva sul peccato: “in criminibus, non in possessionibus potestas vestra”. E perfino il potere temporale della Chiesa esteso oltre gli Stati pontifici, era legittimato “ratione peccati”, in ragione del peccato; e tanto più universale era il peccato, tanto più universale era il potere; cosa che doveva durare fino al ‘900, se Dietrich Bonhoeffer, dal carcere di Tegel, rivendicherà un Dio che “non approfitta dei nostri peccati, ma sta al centro della nostra vita”, contro “l’atteggiamento che chiamiamo clericale, quel fiutare-la-pista-dei-peccati-umani, per poter prendere in castagna l’umanità”.
È stato poi il Concilio Vaticano II che ha raccolto l’eredità di Celestino, promuovendo una Chiesa capace di accogliere l’umano, tutto l’umano; e che dunque non consideri l’umanità una massa dannata, preda di un illuminismo e di un nichilismo gaio e trionfante; che non attribuisca all’uomo moderno l’idea di essere solo uno sghiribizzo culturale fluttuante nella storia; che non consideri l’attuale come una generazione di omicidi, da Obama a Peppino Englaro alla Corte Costituzionale, perché nella moderna disputa sull’inizio e sulla fine della vita “umana” essi non sarebbero “pro life”; che non percepisca la storia come un mare di morte, sul quale a galleggiare sia solo la Chiesa., come pur si è sentito nelle veglie dell’ultima Pasqua.
Raniero La Valle
Articolo della rubrica “Resistenza e pace” in uscita sul prossimo numero del quindicinale di Assisi, Rocca (rocca@cittadella.org)
L’Aquila, il centro del terremoto, è stata per un momento, alla fine del Duecento, il centro della cristianità e il luogo da cui sarebbe potuto partire un tutt’altro corso della Chiesa e un ben diverso edificio del mondo. Chissà se il terremoto che ha travolto anche la basilica di Collemaggio, salvando però la teca con i resti di Celestino V, allude a quei lontani eventi.
Fu nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio, da poco costruita come abbazia dei monaci morroniani, che il 29 agosto 1294 Pietro da Morrone, tratto dalle spelonche dei monti d’Abruzzo, fu fatto papa, un “papa di transizione”, in attesa che si quietassero le feroci lotte tra i cardinali. Nella grande piazza gremita per l’incoronazione, fra i pellegrini toscani c’era anche un giovane poeta ventinovenne che si chiamava Dante Alighieri. Non che quella presenza gli abbia giovato perché, come risultò poi, Dante non capì nulla di Celestino, tanto da metterlo nel suo inferno, accusandolo di aver fatto “per viltà”, cinque mesi dopo l’elezione, il “gran rifiuto” del pontificato. Né Dante poteva capire Celestino, che una sola cosa veramente grande aveva fatto nel suo breve pontificato: e stando al potere, una sola cosa veramente grande si può fare, e quasi di sorpresa, perché quando l’hai fatta, ti scoprono, e il potere ti viene tolto o se ne scappa lontano da te.
Celestino aveva istituito il perdono, anzi “la perdonanza”, per “tutti i veramente pentiti”, ricchi e poveri, che, visitando quella chiesa aquilana il 29 agosto, festa di San Giovanni Battista, sarebbero stati liberati (assolti, sciolti) “dalla colpa e dalla pena”, a culpa et poena, “fin dal battesimo”; ciò voleva dire che chi aveva peccato – cioè tutti – in virtù del perdono erano non solo graziati della pena, ma fatti innocenti della colpa, resi liberi come se non avessero peccato; che era poi null’altro che prendere sul serio l’economia della redenzione, col suo rivoluzionario passaggio dalla giustificazione mediante la legge, alla giustificazione donata per grazia. E certo Dante questo non lo poteva capire, lui che della teologia della retribuzione aveva fatto un sistema totale, dentro il quale aveva imprigionato Dio, inquisitore, giudice ed esecutore penale, e aveva imprigionato l’uomo, tutti distribuendo in tre carceri diverse, l’inferno, il purgatorio e il paradiso.
La scelta di Celestino, che ben presto il suo successore Bonifacio VIII avrebbe istituzionalizzato, rarefatto e svuotato nella pia pratica dell’ anno santo, era di “rottura” rispetto al modello di Chiesa che si stava affermando in Occidente a partire dalla “riforma papale” di inizio millennio. Da un lato essa intercettava lo scandalo della compravendita delle indulgenze, messe sul mercato da chi poteva concederle, ed elargite in cambio di denaro o lasciti, sicché solo i ricchi potevano goderne; e questo mordeva su una patologia della Chiesa; ma dall’altro lato incideva sulla fisiologia della Chiesa, per la quale sembrava normale che essa facesse del peccato il criterio assoluto del suo giudizio sul mondo – perciò considerato tutto malnato e perduto se fuori della Chiesa – e nello stesso tempo il fondamento del suo potere. Solo poco più di un secolo prima un altro monaco, Bernardo di Chiaravalle, con una intuizione geniale quanto perversa, aveva spiegato al papa Eugenio III, che era suo discepolo, che il vero potere della Chiesa non poggiava su terre e proprietà, ma si ergeva sul peccato: “in criminibus, non in possessionibus potestas vestra”. E perfino il potere temporale della Chiesa esteso oltre gli Stati pontifici, era legittimato “ratione peccati”, in ragione del peccato; e tanto più universale era il peccato, tanto più universale era il potere; cosa che doveva durare fino al ‘900, se Dietrich Bonhoeffer, dal carcere di Tegel, rivendicherà un Dio che “non approfitta dei nostri peccati, ma sta al centro della nostra vita”, contro “l’atteggiamento che chiamiamo clericale, quel fiutare-la-pista-dei-peccati-umani, per poter prendere in castagna l’umanità”.
È stato poi il Concilio Vaticano II che ha raccolto l’eredità di Celestino, promuovendo una Chiesa capace di accogliere l’umano, tutto l’umano; e che dunque non consideri l’umanità una massa dannata, preda di un illuminismo e di un nichilismo gaio e trionfante; che non attribuisca all’uomo moderno l’idea di essere solo uno sghiribizzo culturale fluttuante nella storia; che non consideri l’attuale come una generazione di omicidi, da Obama a Peppino Englaro alla Corte Costituzionale, perché nella moderna disputa sull’inizio e sulla fine della vita “umana” essi non sarebbero “pro life”; che non percepisca la storia come un mare di morte, sul quale a galleggiare sia solo la Chiesa., come pur si è sentito nelle veglie dell’ultima Pasqua.
Raniero La Valle
PROGRAMMA ELETTORALE DELLA LISTA PER IL BENE COMUNE per la Provincia di Savona
PROGRAMMA ELETTORALE per la PROVINCIA
Di SAVONA Candidato Presidente: Renzo Briano
Ambiente, Natura e Territorio
Obbligo di depotenziamento e completa metanizzazione dell’intera centrale Tirreno Power di Vado Ligure attraverso l’ eliminazione dei due inquinanti gruppi 3 e 4 a carbone attualmente in funzione, lasciando il gruppo a metano da 760 Mw, meno inquinante del carbone e che da solo produce già il doppio dell’energia consumata in Provincia di Savona (Fonte Terna nazionale),. La Liguria produce già il 56% in più del fabbisogno Regionale e l’ARPAL nel 2001, accertava e documentava sia un deserto di licheni che la più alta concentrazione di radioattività delle quattro province prodotta dalla combustione del carbone. Studi di biomonitoraggio del Prof. Luigi Nimis e Prof. Massimiliano Lupieri hanno dimostrato nel savonese complessivamente livelli di inquinamento tra i più alti d’Italia e maggiori di quelli della pianura Padano Veneta, nonché un litorale marino davanti a Vado Ligure saturo di metalli pesanti, in particolare arsenico – (Biomonitoraggio del SO2 (anidride solforosa) e l’inquinamento da metalli pesanti nei licheni e nelle cortecce degli alberi del Savonese);
Avvio urgente ricorso al TAR e/o ogni atto opportuno finalizzato all’impugnazione di ogni provvedimento amministrativo che consente l’ampliamento della centrale a carbone Tirreno Power, ovvero dell’ulteriore gruppo da 460 Mw;
Realizzazione di studi corretti sulla qualità ambientale attraverso un adeguamento dell’ ARPAL provinciale alle normative di legge, (con particolare riferimento alla misurazione degli inquinanti PM10 e PM 2,5 su tutto il territorio Provinciale),con riferimento alle linee guida dell’ OMS e della UE , anche attraverso la collaborazione con strutture universitarie;
Attuazione di uno studio epidemiologico correlato allo studio della qualità dell’ aria condotti in maniera coordinata, al fine di individuare le aree della provincia maggiormente inquinate in rapporto alle attività umane, ed eventuali correlazioni fra maggiori inquinamento e incidenza di malattie da espletarsi, possibilmente, da una Università fuori della Regione Liguria, in collaborazione con l’Ordine dei Medici;
REVISIONE DELLE PIANIFICAZIONI PROVINCIALI IN MATERIA DI RIFIUTI
per attivare la promozione, con il coinvolgimento delle di tutte le amministrazioni comunali coordinate nell’ATO, di una raccolta differenziata porta a porta di qualità controllata e conseguente tariffa puntuale finalizzata al riciclo-riuso-recupero dei materiali e alla produzione di compost di qualità, attraverso filiere certe ed incentivate in ambito locale, secondo i principi di Rifiuti Zero che prevedono la minimizzazione delle frazioni da smaltire attraverso investimenti mirati nella fase di raccolta e riimmissione nel circuito produttivo e di utilizzo di beni e materiali. A tal fine si prevede l’analisi della frazione residua e l’avvio di fasi di studio dei materiali e prodotti critici. Tale prospettiva permetterà il raggiungimento di alte percentuali di raccolta differenziata (verosimilmente intorno al 90%) , la creazione di imprese alternative e finalizzate alla salvaguardia ambientale, il rispetto della salute dei cittadini, l’innovazione tecnologica; ciò evitando il ricorso all’ incenerimento e a nuove discariche attraverso un ciclo responsabile di gestione che dice NO alle combustioni, ai liquami tossici, alla produzione di CDR (combustibile da rifiuti);
SAVONA RIFIUTI ZERO E’ OPPORTUNITA’ PER LA SALUTE E PER LE NUOVE POSSIBILITA’ DI MERCATO CHE L’INNOVAZIONE PUO’ OFFRIRE
Precisi impegni di piano volti al superamento della produzione di CDR e l’attivazione di precise direttive affinché lo stesso CDR (anche se proveniente da altre aree geografiche) non venga utilizzato in impianti situati ed attivi nell’ambito provinciale (es: centrali elettriche, cementifici, inceneritori ecc.). Tale tipo di combustibile (CDR), come è noto, sarebbe più dannoso e pericoloso di un inceneritore di (RSU) rifiuti. Non a caso l’Amministrazione precedente è caduta proprio in tema di rifiuti e discarica Passeggi, quest’ultima contenente centinai di t. di rifiuti speciali accatastati da anni e prodotti da un vecchio inceneritore chiuso nel 1986 a seguito di esposto all’Autorità Giudiziaria;
Controllo costante in merito della bonifica della discarica Passeggi con accertamenti dal punto di vista chimico con campionamenti delle acque a monte ed a valle della discarica per valutarne il rilascio di metalli pesanti e il rischio di inquinamento ambientale, visto e considerato che precedenti accertamenti rilevarono valori di metalli pesanti superiore a quelli indicati nel D.M. 471, nonché di verificare la possibile contaminazione delle acque che infiltrandosi scorrono nel rio Madonna del Monte che, a sua volta, confluisce nel fiume Quiliano, fiume nel quale letto vi sono ubicati più pozzi per l’acqua potabile. Analoghi controlli anche in per tutte le discariche della Provincia ed in particolare la Ramognina;
Controlli seriati al fine di garantire un buon funzionamento dei depuratori ed incentivarne la realizzazione laddove non ci sono;
Obbligo di installazione impianti per solare termico e fotovoltaici, su edifici di competenza provinciale. Congrui investimenti in favore delle energie rinnovabili, eolico, solare termico e fotovoltaico, in particolare la realizzazione del progetto eolico ad alta quota,
ovvero KITE WIND GENERATOR
Obbligo di adottare i più moderni sistemi antisismici e di isolamento termico per i nuovi edifici in tutta la Provincia di Savona;
Obbligo di tutela ambientale del territorio provinciale nel rispetto dei beni paesaggistici- storico- ambientali e della rete natura 2000, comprensiva degli habitat naturali, nonché delle relative specie animali e vegeta
Obbligo di adottare i più moderni sistemi antisismici e di isolamento termico per i nuovi edifici in tutta la Provincia di Savona;
Obbligo di tutela ambientale del territorio provinciale nel rispetto dei beni paesaggistici- storico- ambientali e della rete natura 2000, comprensiva degli habitat naturali, nonché delle relative specie animali e vegeta
Cultura, Formazione ed Istruzione
Promozione di una campagna informativa capillare, a partire dalle scuole di ogni ordine e grado sul risparmio energetico, raccolta differenziata, salute, ambiente e territorio, anche con la collaborazione di Associazioni di volontariato attive sul territorio
(Scout, Gruppi Parrocchiali, Associazioni Sportive, Culturali e SMS, ecc..
Incentivazione di ogni iniziativa finalizzata alla cultura del mare, della vela e dello sport in genere, per giovani, meno giovani e, principalmente, per diversamente abili.
Messa in sicurezza tutti gli edifici scolastici per quanto di competenza.
Promozione di incontri con residenti appartenenti ad altre culture, paesi e religioni, soprattutto nelle Scuole al fine di una fruttuosa ed auspicata integrazione
Incentivazione di ogni iniziativa finalizzata alla cultura del mare, della vela e dello sport in genere, per giovani, meno giovani e, principalmente, per diversamente abili.
Messa in sicurezza tutti gli edifici scolastici per quanto di competenza.
Promozione di incontri con residenti appartenenti ad altre culture, paesi e religioni, soprattutto nelle Scuole al fine di una fruttuosa ed auspicata integrazione
nel rispetto delle regole vigenti del paese ospitante.
Collaborazione con il CESAVO e le Associazioni presenti sul territorio per la creazione di una Provincia solidale, dando vita a iniziative che promuovano la cultura e l’opera del Volontariato;
Promozione dell’integrazione degli immigranti , lavorando a una Consulta Provinciale delle varie associazioni ed a un tavolo intereligioso;
Promozione progetti di Cooperazione Internazionale Decentrata;
Promozione delle dinamiche di integrazione delle persone diversamente abili e mette in atto quanto possibile per il superamento delle barriere architettoniche e mentali;
Promozione di iniziative finalizzate ad aiutare le famiglie con persone diversamente abili, in stato di disagio o sofferenza per motivi sociali,
Collaborazione con Associazioni e le Agenzie formative (Università, Agenzie per il Supporto delle Autonomie Scolastiche, ecc.) al fine di creare, soprattutto nei giovani, ma non solo, una mentalità accogliente ed aperta a tutte le problematiche sociali, culturali e politiche.
Promozione iniziative formative/culturali per la scuola in collegamento con altre città europee, favorendo scambi culturali e progetti didattici europei,
Promozione ed incentivare di iniziative culturali favorendo associazioni e artisti già presenti sul territorio come gruppi teatrali, gruppi musicali (musica classica, musica antica e di folklore locale) allo scopo di valorizzare turisticamente i luoghi di pregio artistico della nostra provincia e ottenere così un salto di qualità culturale tanto auspicato.
Collaborazione con il CESAVO e le Associazioni presenti sul territorio per la creazione di una Provincia solidale, dando vita a iniziative che promuovano la cultura e l’opera del Volontariato;
Promozione dell’integrazione degli immigranti , lavorando a una Consulta Provinciale delle varie associazioni ed a un tavolo intereligioso;
Promozione progetti di Cooperazione Internazionale Decentrata;
Promozione delle dinamiche di integrazione delle persone diversamente abili e mette in atto quanto possibile per il superamento delle barriere architettoniche e mentali;
Promozione di iniziative finalizzate ad aiutare le famiglie con persone diversamente abili, in stato di disagio o sofferenza per motivi sociali,
Collaborazione con Associazioni e le Agenzie formative (Università, Agenzie per il Supporto delle Autonomie Scolastiche, ecc.) al fine di creare, soprattutto nei giovani, ma non solo, una mentalità accogliente ed aperta a tutte le problematiche sociali, culturali e politiche.
Promozione iniziative formative/culturali per la scuola in collegamento con altre città europee, favorendo scambi culturali e progetti didattici europei,
Promozione ed incentivare di iniziative culturali favorendo associazioni e artisti già presenti sul territorio come gruppi teatrali, gruppi musicali (musica classica, musica antica e di folklore locale) allo scopo di valorizzare turisticamente i luoghi di pregio artistico della nostra provincia e ottenere così un salto di qualità culturale tanto auspicato.
Lavoro
Controlli seriati circa l’obbligo di inserimento in organico nella P.A. concernente la Provincia di personale appartenente alle categorie protette, ovvero con handicap (uno ogni 15), nonché le verifiche finalizzate al controllo delle mansioni effettivamente compatibili con la diminuzione dell’attitudine al lavoro dell’invalido assunto e/o da assumere;
Incentivo alle opportunità di lavoro, con una intermediazione seria tra domanda e offerta, favorire l’inclusione sociale e le pari opportunità, e offrire servizi specifici di orientamento e di consulenza alle Aziende in tema di lavoro;
Promuovere tutte quelle iniziative che consentono un turismo intelligente, che non sia “ mordi e fuggi” ma che contribuisca allo sviluppo ed alla crescita sia del territorio che del fruitore;
Promuove ogni iniziativa in favore dell’agricoltura biologica ed una sana e corretta alimentazione (soprattutto nelle scuole);
Controlli seriati circa l’obbligo di inserimento in organico nella P.A. concernente la Provincia di personale appartenente alle categorie protette, ovvero con handicap (uno ogni 15), nonché le verifiche finalizzate al controllo delle mansioni effettivamente compatibili con la diminuzione dell’attitudine al lavoro dell’invalido assunto e/o da assumere;
Incentivo alle opportunità di lavoro, con una intermediazione seria tra domanda e offerta, favorire l’inclusione sociale e le pari opportunità, e offrire servizi specifici di orientamento e di consulenza alle Aziende in tema di lavoro;
Promuovere tutte quelle iniziative che consentono un turismo intelligente, che non sia “ mordi e fuggi” ma che contribuisca allo sviluppo ed alla crescita sia del territorio che del fruitore;
Promuove ogni iniziativa in favore dell’agricoltura biologica ed una sana e corretta alimentazione (soprattutto nelle scuole);
Organizzazione uffici provinciali
Ridimensionamento del compenso mensile del Presidente ed Assessori,
Ridimensionamento del compenso mensile del Presidente ed Assessori,
in linea con gli standard Europei.
Razionalizzazione ed ottimizzazione degli uffici provinciali e delle risorse umane. Evitare in poche parole l’esistenza di uffici inutili e gravosi per il contribuente. E’ garantito in ogni caso il lavoro al personale esistente con inserimento in Enti locali territoriali
Razionalizzazione ed ottimizzazione degli uffici provinciali e delle risorse umane. Evitare in poche parole l’esistenza di uffici inutili e gravosi per il contribuente. E’ garantito in ogni caso il lavoro al personale esistente con inserimento in Enti locali territoriali
(Regione, Provincia, ASL, Tribunale, con mansioni di pubblica utilità)
Turismo, Viabilità e Trasporti
Promozione di una viabilità snella e intelligente, con infrastrutture compatibili con il rispetto ambientale: mezzi pubblici a basso impatto ambientale, elettrici e misti. Non è più accettabile nel 2009 che l’unica via di accesso tra Savona i Finale Ligure rimanga chiusa per svariati mesi all’anno a causa di cedimenti, creando ai cittadini notevolissimi disagi di ogni genere, specialmente economici
Realizzazione di un approdo alla francese a Zinola, (ovvero un piccolo porto), senza speculazione edilizia, con posti barca dai 4 ai 12 m., non oltre, con apposito sollevatore per i diversamente abili. Ciò significherebbe incentivare la nautica, il turismo, la riqualificazione della zona, lasciando intatte le spiagge, anzi ampliandole dai ritorni di maree, si aumenterebbero posti di lavoro, verrebbe creata una barriera che impedirebbe l’allagamento della parte storica di Zinola.
Proporre il tratto autostradale tra Savona ed Albisola a libera circolazione, facendola divenire Aurelia bis, con la costruzione del nuovo tragitto all’interno, ovvero a monte.
Attuazione, per quanto concerne la piattaforma container di Vado Ligure, tutte le possibili iniziative che dipendono dalla Provincia per concretizzare ciò che i Cittadini di Vado Ligure hanno, palesemente, espresso con il Loro voto, durante il referendum promosso dall’Amministrazione Comunale di Vado Ligure, diritto dei medesimi Cittadini palesemente negato e calpestato.
martedì 21 aprile 2009
NON CI SONO SOLDI PER NULLA...MA PER ACQUISTARE AEREI DA GUERRA SI'...
Il caccia F-35 di cui si doterà l'Italia è funzionale all'attuale scenario di guerra permanente
Scritto per noi da Stefano Ferrario
Il nuovo 'caccia da attacco combinato' (Joint Strike Fighter) F-35 'Fulmine', di cui l'Italia acquisterà 131 esemplari, è un aereo militare che, per la sua configurazione, è predisposto non per giacere in un hangar o per il controllo dei cieli di un paese, bensì per compiere azioni di aggressione - anche con armi nucleari - tipiche dell'attuale scenario di guerra permanente.
Alenia costruirà 700 esemplari. La costruzione dell'F-35 avverrà negli Usa (negli stabilimenti della Lockheed Martin in Texas) per le forze armate nordamericane e britanniche (2.581 aerei), e in Italia (nello stabilimento Alenia Aeronautica all'aeroporto militare di Cameri, a Novara) per la nostra aeronautica militare (131 aerei) e per quelle degli altri sei partner internazionali del progetto: Olanda, Danimarca, Norvegia, Turchia, Canada e Australia (570 aerei). A questi potrebbero aggiungersi in futuro altri clienti internazionali: già certi Singapore e Israele (con 25 aerei già ordinati più 50 in opzione).
13 miliardi solo per cominciare. Il costo dei 131 F-35 per i cittadini italiani sarà elevatissimo: la cifra di 13 miliardi di euro, che è solo il prezzo per l'acquisto dei velivoli, è destinata ad aumentare poiché gli aggiornamenti tecnici che questi aerei necessiteranno nel corso degli anni sono molto costosi.
Questa è la più imponente commessa per Alenia Aeronautica (appartenente al Gruppo Finmeccanica), che fa già affari d'oro con le forniture all'aeronautica militare italiana dei caccia Eurofighter e con quelle degli aerei militari da trasporto C-27J 'Spartan' alle forze aeree degli ex satelliti sovietici recentemente entrati a far parte della Nato.
E i risvolti occupazionali? Anche per il programma F-35 si conferma la scarsissima ricaduta occupazionale per la costruzione di sistemi d'arma in campo aeronautico rispetto ad analoghi progetti in campo civile. La differenza di base sta nell'enorme fatturato che garantisce il militare rispetto al civile. Infatti, sono 2.000 le persone, più l'indotto, che già vivono a Cameri sull'industria dei caccia. Potrebbero diventare 2.200, cui si aggiungerebbero 800 dipendenti dell'indotto, con la partenza del progetto.
Intervista a Walter Bovolenta, dell'Assemblea Permanente 'NO F-35'
Perché siete contrari al programma di riarmo F-35 Joint Strike Fighter?
I caccia-bombardieri F-35 rappresentano il primo sistema d'arma concepito per rispondere alle esigenze della nuova 'gendarmeria mondiale' rappresentata dalla Nato. L'Italia produrrà e si doterà di un aereo militare ideato non per difendere il nostro spazio aereo nazionale, ma per partecipate a future missioni di guerra all'estero, per andare a bombardare in giro per il mondo, seminando morte, distruzione e sofferenza.
Oltre a queste ragioni di principio, siamo contrari agli F-35 anche per ragioni di ordine economico: questa impresa costerà ai cittadini italiani almeno 13 miliardi di euro. Una cifra impressionante, soprattutto in tempi di crisi economica, che potrebbe essere investita per migliorare le condizioni di vita di tutti, per redistribuire il reddito, per sviluppare fonti di energia rinnovabili o per tutelare il nostro territorio.
A proposito di territorio, perché giudicate negativo l'impatto dello stabilimento di Cameri dove verranno prodotti gli F-35?
L'aeroporto militare di Cameri, a due passi da Novara e Varese, diventerà il centro di collaudo di tutti i velivoli che verranno prodotti e in futuro aggiornati nello stabilimento di Finmeccanica all'interno della base. Questo significa che per i prossimi decenni i nostri cieli saranno continuamente solcati da questi caccia, che producono un enorme inquinamento ambientale e acustico, con le relative gravi conseguenze per la salute e la qualità della vita degli abitanti della zona. Non dimentichiamo che Cameri si trova ai confini del Parco del Ticino.
Inoltre, la nascita di uno stabilimento militare di importanza internazionale produrrà un'ulteriore militarizzazione del nostro territorio, su cui già gravano le grandi basi militari di Solbiate Olona e di Bellinzago.
Quando e come è nata la vostra associazione contro gli F-35?
L'adesione iniziale dell'Italia al progetto Joint Strike Fighter risale al 1996 ed è stata successivamente confermata da tutti i governi, sia di centrodestra che di centrosinistra. Ma la firma definitiva dell'accordo è avvenuta solo nel febbraio 2007, quando il sottosegretario alla Difesa del governo Prodi, Lorenzo Forcieri, ha incontrato a Washington il suo collega statunitense Gordon England. E' stato allora che diversi gruppi e associazioni locali presenti sul territorio novarese si erano unite in un Coordinamento contro gli F-35'. Nel 2008, con l'adesione di alcuni gruppi lombardi contrari al progetto Joint Strike Fighter, il Coordinamento si è trasformato in L'Assemblea Permanente 'NO F-35'.
Come mai l'opposizione a questo progetto, vecchio di tredici anni, si fa sentire solo adesso?
Il consenso 'bipartisan' di tutto il mondo politico italiano su questo programma di riarmo e il conseguente assoluto silenzio mediatico verso questa faccenda hanno fatto sì che il movimento pacifista non si sia mai mobilitato in merito. Finora abbiamo fatto tutto da soli.
Quali azioni di protesta avete organizzato finora?
Abbiamo informato e sensibilizzato la popolazione locale, interessata dal futuro stabilimento di Cameri, organizzando incontri, manifestazioni, presidi e mettendo in piedi un sito Internet con documenti e notizie, abbiamo scritto lettere e appelli alle autorità locali, nazionali e perfino al presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Ora stiamo organizzando una grande manifestazione di protesta a Novara per sabato 30 maggio: l'appuntamento è alle 15, davanti alla stazione ferroviaria in piazza Garibaldi. Da lì partiremo per percorrere le strade della città e per gridare forte la nostra opposizione a questa ennesima impresa di morte.
Enrico Piovesana
Scritto per noi da Stefano Ferrario
Il nuovo 'caccia da attacco combinato' (Joint Strike Fighter) F-35 'Fulmine', di cui l'Italia acquisterà 131 esemplari, è un aereo militare che, per la sua configurazione, è predisposto non per giacere in un hangar o per il controllo dei cieli di un paese, bensì per compiere azioni di aggressione - anche con armi nucleari - tipiche dell'attuale scenario di guerra permanente.
Alenia costruirà 700 esemplari. La costruzione dell'F-35 avverrà negli Usa (negli stabilimenti della Lockheed Martin in Texas) per le forze armate nordamericane e britanniche (2.581 aerei), e in Italia (nello stabilimento Alenia Aeronautica all'aeroporto militare di Cameri, a Novara) per la nostra aeronautica militare (131 aerei) e per quelle degli altri sei partner internazionali del progetto: Olanda, Danimarca, Norvegia, Turchia, Canada e Australia (570 aerei). A questi potrebbero aggiungersi in futuro altri clienti internazionali: già certi Singapore e Israele (con 25 aerei già ordinati più 50 in opzione).
13 miliardi solo per cominciare. Il costo dei 131 F-35 per i cittadini italiani sarà elevatissimo: la cifra di 13 miliardi di euro, che è solo il prezzo per l'acquisto dei velivoli, è destinata ad aumentare poiché gli aggiornamenti tecnici che questi aerei necessiteranno nel corso degli anni sono molto costosi.
Questa è la più imponente commessa per Alenia Aeronautica (appartenente al Gruppo Finmeccanica), che fa già affari d'oro con le forniture all'aeronautica militare italiana dei caccia Eurofighter e con quelle degli aerei militari da trasporto C-27J 'Spartan' alle forze aeree degli ex satelliti sovietici recentemente entrati a far parte della Nato.
E i risvolti occupazionali? Anche per il programma F-35 si conferma la scarsissima ricaduta occupazionale per la costruzione di sistemi d'arma in campo aeronautico rispetto ad analoghi progetti in campo civile. La differenza di base sta nell'enorme fatturato che garantisce il militare rispetto al civile. Infatti, sono 2.000 le persone, più l'indotto, che già vivono a Cameri sull'industria dei caccia. Potrebbero diventare 2.200, cui si aggiungerebbero 800 dipendenti dell'indotto, con la partenza del progetto.
Intervista a Walter Bovolenta, dell'Assemblea Permanente 'NO F-35'
Perché siete contrari al programma di riarmo F-35 Joint Strike Fighter?
I caccia-bombardieri F-35 rappresentano il primo sistema d'arma concepito per rispondere alle esigenze della nuova 'gendarmeria mondiale' rappresentata dalla Nato. L'Italia produrrà e si doterà di un aereo militare ideato non per difendere il nostro spazio aereo nazionale, ma per partecipate a future missioni di guerra all'estero, per andare a bombardare in giro per il mondo, seminando morte, distruzione e sofferenza.
Oltre a queste ragioni di principio, siamo contrari agli F-35 anche per ragioni di ordine economico: questa impresa costerà ai cittadini italiani almeno 13 miliardi di euro. Una cifra impressionante, soprattutto in tempi di crisi economica, che potrebbe essere investita per migliorare le condizioni di vita di tutti, per redistribuire il reddito, per sviluppare fonti di energia rinnovabili o per tutelare il nostro territorio.
A proposito di territorio, perché giudicate negativo l'impatto dello stabilimento di Cameri dove verranno prodotti gli F-35?
L'aeroporto militare di Cameri, a due passi da Novara e Varese, diventerà il centro di collaudo di tutti i velivoli che verranno prodotti e in futuro aggiornati nello stabilimento di Finmeccanica all'interno della base. Questo significa che per i prossimi decenni i nostri cieli saranno continuamente solcati da questi caccia, che producono un enorme inquinamento ambientale e acustico, con le relative gravi conseguenze per la salute e la qualità della vita degli abitanti della zona. Non dimentichiamo che Cameri si trova ai confini del Parco del Ticino.
Inoltre, la nascita di uno stabilimento militare di importanza internazionale produrrà un'ulteriore militarizzazione del nostro territorio, su cui già gravano le grandi basi militari di Solbiate Olona e di Bellinzago.
Quando e come è nata la vostra associazione contro gli F-35?
L'adesione iniziale dell'Italia al progetto Joint Strike Fighter risale al 1996 ed è stata successivamente confermata da tutti i governi, sia di centrodestra che di centrosinistra. Ma la firma definitiva dell'accordo è avvenuta solo nel febbraio 2007, quando il sottosegretario alla Difesa del governo Prodi, Lorenzo Forcieri, ha incontrato a Washington il suo collega statunitense Gordon England. E' stato allora che diversi gruppi e associazioni locali presenti sul territorio novarese si erano unite in un Coordinamento contro gli F-35'. Nel 2008, con l'adesione di alcuni gruppi lombardi contrari al progetto Joint Strike Fighter, il Coordinamento si è trasformato in L'Assemblea Permanente 'NO F-35'.
Come mai l'opposizione a questo progetto, vecchio di tredici anni, si fa sentire solo adesso?
Il consenso 'bipartisan' di tutto il mondo politico italiano su questo programma di riarmo e il conseguente assoluto silenzio mediatico verso questa faccenda hanno fatto sì che il movimento pacifista non si sia mai mobilitato in merito. Finora abbiamo fatto tutto da soli.
Quali azioni di protesta avete organizzato finora?
Abbiamo informato e sensibilizzato la popolazione locale, interessata dal futuro stabilimento di Cameri, organizzando incontri, manifestazioni, presidi e mettendo in piedi un sito Internet con documenti e notizie, abbiamo scritto lettere e appelli alle autorità locali, nazionali e perfino al presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Ora stiamo organizzando una grande manifestazione di protesta a Novara per sabato 30 maggio: l'appuntamento è alle 15, davanti alla stazione ferroviaria in piazza Garibaldi. Da lì partiremo per percorrere le strade della città e per gridare forte la nostra opposizione a questa ennesima impresa di morte.
Enrico Piovesana
lunedì 20 aprile 2009
AL PEGGIO NON C'E' MAI FINE: FIRMA LA PETIZIONE!!!
DICIANO NO alla proposta di legge n. 1360 che vuole equiparare
tutti i combattenti della Seconda Guerra Mondiale.
Rispettiamo tutti i caduti, ma pensiamo che esista una differenza tra chi ha combattuto per la libertà e la democrazia del nostro Paese e chi invece ha fatto il gioco del regime nazifascista.
Chiediamo Rispetto per tutte le persone che hanno dato la vita pergarantire la nostra libertà.
FIRMA LA PETIZIONE
http://no1360.it/
Per mandare un messaggio a questo gruppo, invia una email a semprecontrolaguerra@googlegroups.com Per annullare l'iscrizione a questo gruppo, invia un'email a semprecontrolaguerra-unsubscribe@googlegroups.com Per maggiori opzioni, visita questo gruppo all'indirizzo http://groups.google.com/group/semprecontrolaguerra?hl=it-~----------~----~----~----~------~----~------~--~---
IL GOLPE RAZZISTA IN ITALIA
Da NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 796 del 20 aprile 2009 pubblico il sommario e l’editoria
Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Sommario di questo numero:
1. Il golpe razzista in Italia
2. Stragi
3. Giulio Vittorangeli: L'anniversario della Liberazione
4. Per la solidarietà con la popolazione colpita dal terremoto
5. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
6. Alessandro Corio presenta "Memoria e saperi. Percorsi transdisciplinari"
a cura di Elena Agazzi e Vita Fortunati
7. Isabella Mattazzi presenta "Un uomo che dorme" di Georges Perec
8. Valentina Parisi presenta "Il castello alto" di Stanislaw Lem
9. Gian Antonio Stella presenta "Il cammino della speranza" di Sandro
Rinauro
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di più
1. EDITORIALE. IL GOLPE RAZZISTA IN ITALIA
Stenta ad emergere nell'opinione pubblica la chiara, piena consapevolezza dell'immensa gravità di ciò che sta accadendo nel nostro paese: incombe in Italia il regime dell'apartheid.
Non siamo di fronte a singoli episodi di razzismo, siamo di fronte alla strategia (una strategia di lungo periodo, in cui un ruolo cruciale ha avuto alla fine del secolo scorso la riapertura dei campi di concentramento con la legge Turco-Napolitano) che mira a introdurre nel nostro paese il regime
dell'apartheid; siamo di fronte all'eversione razzista dall'alto; siamo di fronte a un colpo di stato inteso a denegare i principi che inverano il riconoscimento della dignità e dei diritti di ogni essere umano scritti nella Costituzione della Repubblica Italiana così come nella Dichiarazione
universale dei diritti umani.
Non si tratta solo di respingere in Parlamento le proposte razziste più aberranti e disumane del cosiddetto "pacchetto sicurezza", si tratta di contrastare il regime della segregazione razzista così come si sta costruendo passo dopo passo con provvedimenti amministrativi a livello locale e nazionale, con condotte discriminatorie e torturatrici attuate dalle istituzioni territoriali e statali. E si tratta di contrastare le organizzazioni razziste e golpiste che impadronitesi dei pubblici poteri per
via elettorale li usano per imporre la dittatura e la schiavitù.
Organizzazioni golpiste e razziste come la Lega Nord, punta di lancia del blocco politico e sociale propugnatore del colpo di stato che tende a instaurare il regime dell'apartheid. Resistere e' necessario. In difesa della legalità, in difesa della civiltà giuridica, in difesa dell'ordinamento democratico, in difesa della dignità e dei diritti di ogni essere umano.
Vi e' una sola umanità.
Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Sommario di questo numero:
1. Il golpe razzista in Italia
2. Stragi
3. Giulio Vittorangeli: L'anniversario della Liberazione
4. Per la solidarietà con la popolazione colpita dal terremoto
5. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
6. Alessandro Corio presenta "Memoria e saperi. Percorsi transdisciplinari"
a cura di Elena Agazzi e Vita Fortunati
7. Isabella Mattazzi presenta "Un uomo che dorme" di Georges Perec
8. Valentina Parisi presenta "Il castello alto" di Stanislaw Lem
9. Gian Antonio Stella presenta "Il cammino della speranza" di Sandro
Rinauro
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di più
1. EDITORIALE. IL GOLPE RAZZISTA IN ITALIA
Stenta ad emergere nell'opinione pubblica la chiara, piena consapevolezza dell'immensa gravità di ciò che sta accadendo nel nostro paese: incombe in Italia il regime dell'apartheid.
Non siamo di fronte a singoli episodi di razzismo, siamo di fronte alla strategia (una strategia di lungo periodo, in cui un ruolo cruciale ha avuto alla fine del secolo scorso la riapertura dei campi di concentramento con la legge Turco-Napolitano) che mira a introdurre nel nostro paese il regime
dell'apartheid; siamo di fronte all'eversione razzista dall'alto; siamo di fronte a un colpo di stato inteso a denegare i principi che inverano il riconoscimento della dignità e dei diritti di ogni essere umano scritti nella Costituzione della Repubblica Italiana così come nella Dichiarazione
universale dei diritti umani.
Non si tratta solo di respingere in Parlamento le proposte razziste più aberranti e disumane del cosiddetto "pacchetto sicurezza", si tratta di contrastare il regime della segregazione razzista così come si sta costruendo passo dopo passo con provvedimenti amministrativi a livello locale e nazionale, con condotte discriminatorie e torturatrici attuate dalle istituzioni territoriali e statali. E si tratta di contrastare le organizzazioni razziste e golpiste che impadronitesi dei pubblici poteri per
via elettorale li usano per imporre la dittatura e la schiavitù.
Organizzazioni golpiste e razziste come la Lega Nord, punta di lancia del blocco politico e sociale propugnatore del colpo di stato che tende a instaurare il regime dell'apartheid. Resistere e' necessario. In difesa della legalità, in difesa della civiltà giuridica, in difesa dell'ordinamento democratico, in difesa della dignità e dei diritti di ogni essere umano.
Vi e' una sola umanità.
venerdì 17 aprile 2009
TERMOVALORIZZATORI: UN SISTEMA STUPIDO PER RISOLVERE UN PROBLEMA SEMPLICE
Prof. Federico VALERIO dell’I.S.T.
Questa è la sintesi della mia lunga intervista che avrebbe dovuto andare in onda il 14 settembre su RAI 1, in un numero speciale di Super – Quark, dedicato all’incenerimento dei rifiuti, in cui Piero Angela aveva garantito un adeguato spazio alle ragioni di chi non gradisce questa opzione.
Per una serie di circostanze, il giorno prima della messa in onda, un cambiamento di programma ha annullato la trasmissione e gli italiani non avranno mai più la possibilità di capire per quali motivi c’è qualcuno che ritiene essere una scelta assolutamente stupida quella che pensa di risolvere con la termovalorizzazione i problemi creati dai rifiuti.
Infatti, come si può definire altrimenti la scelta che, per risolvere il problema dell’ingombro di giornali, imballaggi, fazzoletti di carta, bucce di patate e pannoloni, li termovalorizza trasformandoli, da oggetti ingombranti e nel peggiore dei casi maleodoranti, in composti altamente tossici?
E quale giudizio si può dare ad una tecnologia che per cercare di neutralizzare la tossicità dei composti da lei stessa prodotta, costringe a gestire complessi impianti di trattamento fumi, il cui costo di installazione e gestione fa diventare la termovalorizzazione, in assoluto, il più costoso sistema di trattamento dei rifiuti urbani?
Peraltro, nonostante i sofisticati sistemi di disinquinamento dei termovalorizzatori dell’ultima generazione, dai camini non esce, come qualcuno crede, profumo di limoni. In base alle dichiarazioni pubbliche del Vice Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti della Campania, il costruendo termovalorizzatore di Acerra “ garantisce, “ per chi abita nelle zone di ricaduta dei suoi fumi, qualcosa come 1.024 tonnellate all’anno di anidride solforosa, acido cloridrico, polveri, ossidi di azoto ed una ventina di chili tra cadmio, tallio e mercurio.
Per quanto riguarda le emissioni di diossine e furani, la quantità giornaliera che il Vice Commissario di Governo per l’Emergenza Rifiuti, Bonifiche e tutela delle acque della Regione Campania “ garantisce “ ai cittadini di Acerra e dintorni, è di 548 milioni di picogrammi, quanto basta per coprire la dose massima giornaliera, giudicata tollerabile dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per tre milioni novecento quattordicimila e rotti soggetti adulti.
Ma l’impianto ambientale dei tanto decantati termovalorizzatori dell’ultima generazione non finisce qui. Molti degli inquinanti che meravigliosi macchinari sottraggono ai fumi non spariscono certo per magia!
Rimangono intrappolati nelle cosidette polveri volanti o nei fanghi prodotti dal lavaggio dei fumi. In altre parole, i termovalorizzatori oltre che inquinanti aeriformi, producono rifiuti tossici che devono essere smaltiti con le dovute cautele.
E non è un problema da poco, anche in termini finanziari.
I due tanto decantati inceneritori di Vienna, ogni anno spediscono 506 tonnellate di questi rifiuti da loro prodotti, nelle ex miniere di salgemma di Heilbrom, a nord di Stoccarda, con un viaggio di oltre 200 chilometri. E in queste stesse miniere finiscono, a caro prezzo, le polveri volanti dei termovalorizzatori tedeschi, come pure quelle prodotte dal termovalorizzatore di Brescia!
La stupidità della scelta che in modo massiccio si vuole imporre, anche con la forza, agli italiani è che i termovalorizzatori neanche riescono a far meno delle discariche.
Dopo la termovalorizzazione, dal 20 al 30% in peso di quello che entra nell’impianto lo si trova, sotto forma di scorie e ceneri pesanti, tutt’altro che inerti come si vuol far credere, con l’aggravante che metalli e diossine, ancora presenti in queste ceneri, risultano più solubili e biodisponibili dei metalli e delle diossine che si trovano nei rifiuti prima della termovalorizzazione.
La stupidità della termovalorizzazione a tutti i costi è che esistono altri metodi, non solo accettati dalla popolazione, ma anche più economici, meno energivori, intrinsecamente a minore impatto ambientale, idonei a risolvere i problemi rifiuti e questi metodi sono: il riuso, il riciclaggio, il compostaggio, l’ossidazione biologica.
Ancora migliori, dal punto di vista ambientale, economico energetico sono le politiche che inducono una minore produzione di rifiuti, come il compostaggio domestico e la reintroduzione del vuoto a rendere. Ognuno di voi faccia mente locale e quanta posta indesiderata ha trovato questa mattina nella propria casella postale, per valutare gli effetti di una semplice norma che vietasse la pubblicità a domicilio, o sul parabrezza delle auto, peraltro pratiche giudicate poco efficaci anche da parte degli stessi pubblicitari!.
La richiesta di privilegiare queste scelte, prima di pensare a qualunque termovalorizzatore, non è solo da parte di alcune minoranze disinformate, come in Italia si vuol far credere. E’ la scelta che gran parte dell’Europa ha avviato da tempo, ma ancor più, queste sono le scelte di una Nazione che non a caso, non viene mai citata dagli amici dei termovalorizzatori: gli Stati Uniti.
In questo Paese, grazie ad opportune scelte politiche, la produzione procapite dei rifiuti si è ridotta, in dieci anni, del 19% ed è ormai stabile da diversi anni; il 32% di tutti i prodotti negli è riciclato o compostato e l’incenerimento è passato dal 30,6% degli anni “60”, all’attuale 15,9%. Questo forte alo non è casuale.
La crisi degli inceneritori negli USA è cominciata quando gli Stati Federali, uno dopo l’altro, hanno deciso di non sovvenzionare l’elettricità prodotta dai termovalorizzatori. Questo ha comportato l’annullamento dei progetti di oltre duecento nuovi termovalorizzatori e la chiusura di numerosi altri impianti, diventati improvvisamente troppo costosi.
La crisi dei termovalorizzatori negli U.S.A. ha costretto le multinazionali dei rifiuti a trovare mercati più facili nel terzo mondo e l’Italia, che offre generose sovvenzioni ed agevolazioni di ogni genere, a che realizza termovalorizzatori, è diventata terra di conquista.
Prof. Federico VALERIO
Questa è la sintesi della mia lunga intervista che avrebbe dovuto andare in onda il 14 settembre su RAI 1, in un numero speciale di Super – Quark, dedicato all’incenerimento dei rifiuti, in cui Piero Angela aveva garantito un adeguato spazio alle ragioni di chi non gradisce questa opzione.
Per una serie di circostanze, il giorno prima della messa in onda, un cambiamento di programma ha annullato la trasmissione e gli italiani non avranno mai più la possibilità di capire per quali motivi c’è qualcuno che ritiene essere una scelta assolutamente stupida quella che pensa di risolvere con la termovalorizzazione i problemi creati dai rifiuti.
Infatti, come si può definire altrimenti la scelta che, per risolvere il problema dell’ingombro di giornali, imballaggi, fazzoletti di carta, bucce di patate e pannoloni, li termovalorizza trasformandoli, da oggetti ingombranti e nel peggiore dei casi maleodoranti, in composti altamente tossici?
E quale giudizio si può dare ad una tecnologia che per cercare di neutralizzare la tossicità dei composti da lei stessa prodotta, costringe a gestire complessi impianti di trattamento fumi, il cui costo di installazione e gestione fa diventare la termovalorizzazione, in assoluto, il più costoso sistema di trattamento dei rifiuti urbani?
Peraltro, nonostante i sofisticati sistemi di disinquinamento dei termovalorizzatori dell’ultima generazione, dai camini non esce, come qualcuno crede, profumo di limoni. In base alle dichiarazioni pubbliche del Vice Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti della Campania, il costruendo termovalorizzatore di Acerra “ garantisce, “ per chi abita nelle zone di ricaduta dei suoi fumi, qualcosa come 1.024 tonnellate all’anno di anidride solforosa, acido cloridrico, polveri, ossidi di azoto ed una ventina di chili tra cadmio, tallio e mercurio.
Per quanto riguarda le emissioni di diossine e furani, la quantità giornaliera che il Vice Commissario di Governo per l’Emergenza Rifiuti, Bonifiche e tutela delle acque della Regione Campania “ garantisce “ ai cittadini di Acerra e dintorni, è di 548 milioni di picogrammi, quanto basta per coprire la dose massima giornaliera, giudicata tollerabile dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per tre milioni novecento quattordicimila e rotti soggetti adulti.
Ma l’impianto ambientale dei tanto decantati termovalorizzatori dell’ultima generazione non finisce qui. Molti degli inquinanti che meravigliosi macchinari sottraggono ai fumi non spariscono certo per magia!
Rimangono intrappolati nelle cosidette polveri volanti o nei fanghi prodotti dal lavaggio dei fumi. In altre parole, i termovalorizzatori oltre che inquinanti aeriformi, producono rifiuti tossici che devono essere smaltiti con le dovute cautele.
E non è un problema da poco, anche in termini finanziari.
I due tanto decantati inceneritori di Vienna, ogni anno spediscono 506 tonnellate di questi rifiuti da loro prodotti, nelle ex miniere di salgemma di Heilbrom, a nord di Stoccarda, con un viaggio di oltre 200 chilometri. E in queste stesse miniere finiscono, a caro prezzo, le polveri volanti dei termovalorizzatori tedeschi, come pure quelle prodotte dal termovalorizzatore di Brescia!
La stupidità della scelta che in modo massiccio si vuole imporre, anche con la forza, agli italiani è che i termovalorizzatori neanche riescono a far meno delle discariche.
Dopo la termovalorizzazione, dal 20 al 30% in peso di quello che entra nell’impianto lo si trova, sotto forma di scorie e ceneri pesanti, tutt’altro che inerti come si vuol far credere, con l’aggravante che metalli e diossine, ancora presenti in queste ceneri, risultano più solubili e biodisponibili dei metalli e delle diossine che si trovano nei rifiuti prima della termovalorizzazione.
La stupidità della termovalorizzazione a tutti i costi è che esistono altri metodi, non solo accettati dalla popolazione, ma anche più economici, meno energivori, intrinsecamente a minore impatto ambientale, idonei a risolvere i problemi rifiuti e questi metodi sono: il riuso, il riciclaggio, il compostaggio, l’ossidazione biologica.
Ancora migliori, dal punto di vista ambientale, economico energetico sono le politiche che inducono una minore produzione di rifiuti, come il compostaggio domestico e la reintroduzione del vuoto a rendere. Ognuno di voi faccia mente locale e quanta posta indesiderata ha trovato questa mattina nella propria casella postale, per valutare gli effetti di una semplice norma che vietasse la pubblicità a domicilio, o sul parabrezza delle auto, peraltro pratiche giudicate poco efficaci anche da parte degli stessi pubblicitari!.
La richiesta di privilegiare queste scelte, prima di pensare a qualunque termovalorizzatore, non è solo da parte di alcune minoranze disinformate, come in Italia si vuol far credere. E’ la scelta che gran parte dell’Europa ha avviato da tempo, ma ancor più, queste sono le scelte di una Nazione che non a caso, non viene mai citata dagli amici dei termovalorizzatori: gli Stati Uniti.
In questo Paese, grazie ad opportune scelte politiche, la produzione procapite dei rifiuti si è ridotta, in dieci anni, del 19% ed è ormai stabile da diversi anni; il 32% di tutti i prodotti negli è riciclato o compostato e l’incenerimento è passato dal 30,6% degli anni “60”, all’attuale 15,9%. Questo forte alo non è casuale.
La crisi degli inceneritori negli USA è cominciata quando gli Stati Federali, uno dopo l’altro, hanno deciso di non sovvenzionare l’elettricità prodotta dai termovalorizzatori. Questo ha comportato l’annullamento dei progetti di oltre duecento nuovi termovalorizzatori e la chiusura di numerosi altri impianti, diventati improvvisamente troppo costosi.
La crisi dei termovalorizzatori negli U.S.A. ha costretto le multinazionali dei rifiuti a trovare mercati più facili nel terzo mondo e l’Italia, che offre generose sovvenzioni ed agevolazioni di ogni genere, a che realizza termovalorizzatori, è diventata terra di conquista.
Prof. Federico VALERIO
mercoledì 15 aprile 2009
SPIRITO INQUIETO E ANTI-ACCADEMICO
Franco Volpi, grande filosofo e storico della filosofia, è improvvisamente mancato a seguito di un incidente stradale. Dal sito del quotidiano La Repubblica, traggo questo bellissimo ricordo di Antonio Gnoli...
IL RICORDO. 57 anni, visse l'università con insofferenza, estraneo al potere
Spirito inquieto e anti-accademico
di ANTONIO GNOLI
FRANCO Volpi è morto. E il primo pensiero va alla lunga amicizia che ci ha legato nel corso degli anni. Guardo con gratitudine a quel legame che è stato intenso e singolare. Il professore e il giornalista. C'eravamo conosciuti in occasione di una polemica che aveva diviso la scena filosofica italiana e che riguardava Nietzsche e il suo presunto testo La volontà di potenza. Mi colpì l'intervento che Volpi fece su queste pagine: demoliva i colpevolisti - coloro che imputavano a Nietzsche la sciocchezza di essere un nazista ante litteram - con garbo e competenza. Dietro lo stile preciso e l'argomentazione esauriente si scorgeva un'inquietudine antiaccademica che col tempo imparai a conoscere. Gli chiesi se avesse voglia di collaborare con Repubblica e mi rispose che per lui sarebbe stato come evadere da una gabbia. Visse l'università con insofferenza: si sentiva estraneo alle beghe accademiche, ai rapporti di potere, ai programmi normalizzanti. Eppure era all'apparenza un tradizionalissimo filosofo venuto su con il pane di Aristotele e di Plotino, con i timidi affacci in Germania, dove aveva cominciato a specializzarsi su Heidegger. Del filosofo della Selva Nera sapeva tutto, aveva letto tutto, frugato negli archivi, conosciuto le persone che gli erano state vicine e che potevano offrire una testimonianza di prima mano. Come il figlio Hermann, che andammo a trovare in una giornata di sole pallido, mentre tornavamo da Wilflingen, dove il giorno prima avevamo incontrato Ernst Jünger. Lungo la strada Volpi mi disse: "Sai, da queste parti abita il figlio di Heidegger. Non c'entra nulla con la filosofia, però gestisce l'intera eredità spirituale del padre". Gli chiesi se si poteva intervistare. Rispose che era molto difficile, e che aveva sempre rifiutato di incontrare i giornalisti. "Forse farà un'eccezione se sei tu a chiederglielo", replicai. Ci fermammo a pochi chilometri da Friburgo davanti a una cabina telefonica. Volpi lo chiamò e, con sorpresa di entrambi, Hermann Heidegger ci ricevette il giorno dopo. Quell'intervista fece il giro del mondo.
Se ripenso ai nostri viaggi, in Germania, in Francia, in Italia, mi torna in mente la sua velocità di pensiero. Sembrava un elfo contagiato dall'inquietudine. Credo si sentisse libero solo in movimento. Poteva coprire in macchina migliaia di chilometri su e giù per l'Europa - ha insegnato in molte università - o in aereo al di qua e al di là degli oceani, senza risentirne. Non so come facesse: un seminario a Nizza, una lezione a Jena, un convegno a Buenos Aires. Era un filosofo poliglotta. Non ho mai conosciuto nessuno che avesse la versatilità per le lingue che aveva Volpi. Di tutti i viaggi fatti, di tutte le persone incontrate, di tutte le esperienze condivise - i luoghi, gli individui, i libri - mi resta chiarissima una frase che amava ripetere: "Sbagliano quelli che pensano che la vita si spiega con la filosofia. Per quanti sforzi il pensiero faccia, il risultato è sempre lo stesso: la filosofia arranca dietro la vita che se la ride". Volpi pensava da filosofo, ma agiva da uomo che vede il mondo andare in tutt'altra direzione. Era convinto che i filosofi avessero perso la curiosità, il gusto di meravigliarsi, di lasciarsi sorprendere, di gioire del nuovo. Credevano di avere in pugno il mondo e avevano in pugno solo se stessi. Pochi giorni fa ci sentimmo per un articolo sulle posizioni espresse dal Papa su Nietzsche. Fu puntuale come al solito. La nostra amicizia cominciò con Nietzsche e si è interrotta con lui. Continueremo a seguire da lontano gli amici che se ne vanno. La loro morte è parte della nostra morte che si annuncia attraverso il lutto e il dolore. Ma è anche la vita che ci donano come esempio e ricordo. È l'immagine che si fa traccia, che supera il pianto e ci fa dire: ho avuto la fortuna di conoscerti.
(tratto da www.repubblica.it del 15 aprile 2009)
IL RICORDO. 57 anni, visse l'università con insofferenza, estraneo al potere
Spirito inquieto e anti-accademico
di ANTONIO GNOLI
FRANCO Volpi è morto. E il primo pensiero va alla lunga amicizia che ci ha legato nel corso degli anni. Guardo con gratitudine a quel legame che è stato intenso e singolare. Il professore e il giornalista. C'eravamo conosciuti in occasione di una polemica che aveva diviso la scena filosofica italiana e che riguardava Nietzsche e il suo presunto testo La volontà di potenza. Mi colpì l'intervento che Volpi fece su queste pagine: demoliva i colpevolisti - coloro che imputavano a Nietzsche la sciocchezza di essere un nazista ante litteram - con garbo e competenza. Dietro lo stile preciso e l'argomentazione esauriente si scorgeva un'inquietudine antiaccademica che col tempo imparai a conoscere. Gli chiesi se avesse voglia di collaborare con Repubblica e mi rispose che per lui sarebbe stato come evadere da una gabbia. Visse l'università con insofferenza: si sentiva estraneo alle beghe accademiche, ai rapporti di potere, ai programmi normalizzanti. Eppure era all'apparenza un tradizionalissimo filosofo venuto su con il pane di Aristotele e di Plotino, con i timidi affacci in Germania, dove aveva cominciato a specializzarsi su Heidegger. Del filosofo della Selva Nera sapeva tutto, aveva letto tutto, frugato negli archivi, conosciuto le persone che gli erano state vicine e che potevano offrire una testimonianza di prima mano. Come il figlio Hermann, che andammo a trovare in una giornata di sole pallido, mentre tornavamo da Wilflingen, dove il giorno prima avevamo incontrato Ernst Jünger. Lungo la strada Volpi mi disse: "Sai, da queste parti abita il figlio di Heidegger. Non c'entra nulla con la filosofia, però gestisce l'intera eredità spirituale del padre". Gli chiesi se si poteva intervistare. Rispose che era molto difficile, e che aveva sempre rifiutato di incontrare i giornalisti. "Forse farà un'eccezione se sei tu a chiederglielo", replicai. Ci fermammo a pochi chilometri da Friburgo davanti a una cabina telefonica. Volpi lo chiamò e, con sorpresa di entrambi, Hermann Heidegger ci ricevette il giorno dopo. Quell'intervista fece il giro del mondo.
Se ripenso ai nostri viaggi, in Germania, in Francia, in Italia, mi torna in mente la sua velocità di pensiero. Sembrava un elfo contagiato dall'inquietudine. Credo si sentisse libero solo in movimento. Poteva coprire in macchina migliaia di chilometri su e giù per l'Europa - ha insegnato in molte università - o in aereo al di qua e al di là degli oceani, senza risentirne. Non so come facesse: un seminario a Nizza, una lezione a Jena, un convegno a Buenos Aires. Era un filosofo poliglotta. Non ho mai conosciuto nessuno che avesse la versatilità per le lingue che aveva Volpi. Di tutti i viaggi fatti, di tutte le persone incontrate, di tutte le esperienze condivise - i luoghi, gli individui, i libri - mi resta chiarissima una frase che amava ripetere: "Sbagliano quelli che pensano che la vita si spiega con la filosofia. Per quanti sforzi il pensiero faccia, il risultato è sempre lo stesso: la filosofia arranca dietro la vita che se la ride". Volpi pensava da filosofo, ma agiva da uomo che vede il mondo andare in tutt'altra direzione. Era convinto che i filosofi avessero perso la curiosità, il gusto di meravigliarsi, di lasciarsi sorprendere, di gioire del nuovo. Credevano di avere in pugno il mondo e avevano in pugno solo se stessi. Pochi giorni fa ci sentimmo per un articolo sulle posizioni espresse dal Papa su Nietzsche. Fu puntuale come al solito. La nostra amicizia cominciò con Nietzsche e si è interrotta con lui. Continueremo a seguire da lontano gli amici che se ne vanno. La loro morte è parte della nostra morte che si annuncia attraverso il lutto e il dolore. Ma è anche la vita che ci donano come esempio e ricordo. È l'immagine che si fa traccia, che supera il pianto e ci fa dire: ho avuto la fortuna di conoscerti.
(tratto da www.repubblica.it del 15 aprile 2009)
OLTRE 14 MILIARDI DI EURO PER IL CACCIA F-35 MENTRE MANCANO I SOLDI PER I TERREMOTATI
www.disarmiamoli.org
Di Manlio Dinucci
Per i terremotati dell’Abruzzo il governo ha messo a disposizione 100 milioni di euro, ma ce ne vorranno molti di più: solo per le esigenze del ministero dell'interno, si dovranno trovare 130 milioni nei prossimi sei mesi. E, se si vorrà veramente ricostruire, occorreranno stanziamenti ben maggiori. Dove trovare questi fondi, in una fase di crisi come quella attuale, senza dover con ciò tagliare ulteriormente le spese sociali (scuola, sanità, ecc.)? La risposta è più semplice di quanto sembri: basterebbe bloccare l’enorme stanziamento che sta per essere destinato all’acquisizione del caccia statunitense F-35 Lightning II (Joint Strike Fighter) della Lockeed Martin.
La commissione difesa della camera ha già dato parere favorevole all’acquisizione del caccia e quella del senato lo farà entro il 16 aprile. Nel budget 2009 del ministero della difesa è già previsto uno stanziamento di 47 milioni di euro per l’F-35. E’ solo un piccolo anticipo: per partecipare al programma, l’Italia si è impegnata a versare oltre un miliardo di euro. Ma sono ancora spiccioli, di fronte alla spesa che il parlamento sta per approvare: 12,9 miliardi di euro per l’acquisto di 131 caccia, più 605 milioni per le strutture di assemblaggio e manutenzione. Complessivamente, 14,5 miliardi di euro. Saranno pagati a rate di circa un miliardo l’anno tra il 2009 e il 2026. Ma, come avviene per tutti i sistemi d’arma, il caccia verrà a costare più del previsto e, una volta prodotto, dovrà essere ulteriormente ammodernato. E’ quindi certo che l’esborso totale (di denaro pubblico) sarà molto maggiore di quello preventivato. Va inoltre considerato che l’aeronautica sta acquistando 121 caccia Eurofighter Typhoon, il cui costo supera gli 8 miliardi di euro.
La partecipazione dell’Italia al programma del Joint Strike Fighter, ribattezzato F-35 Lightning (fulmine), costituisce un perfetto esempio di politica bipartisan. Il primo memorandum d’intesa è stato firmato al Pentagono, nel 1998, dal governo D’Alema; il secondo, nel 2002, dal governo Berlusconi; il terzo, nel 2007, dal governo Prodi. E nel 2009 è di nuovo un governo presieduto da Berlusconi a deliberare l’acquisto dei 131 caccia che, a onor del vero, era già stato deciso dal governo Prodi nel 2006 (v. il manifesto, 25-10-2006). Si capisce quindi perché, quando il governo ha annunciato l’acquisto di 131 F-35, l’«opposizione» (PD e IdV) non si sia opposta.
L’Italia partecipa al programma dell’F-35 come partner di secondo livello: ciò significa che contribuisce allo sviluppo e alla costruzione del caccia. Vi sono impegnate oltre 20 industrie, cioè la maggioranza di quelle del complesso militare, tra cui Alenia Aeronautica, Galileo Avionica, Selex Communications, Datamat e Otomelara di Finmeccanica e altre non-Finmeccanica, come Aerea e Piaggio. Negli stabilimenti Alenia in Campania e Puglia, e successivamente in quelli piemontesi, verranno prodotte oltre 1.200 ali dell’F-35. Presso l’aeroporto militare di Cameri (Novara) sarà realizzata una linea di assemblaggio e collaudo dei caccia destinati ai paesi europei, che verrà poi trasformata in centro di manutenzione, revisione, riparazione e modifica. Dalla catena di montaggio italiana usciranno probabilmente anche i 25 caccia acquistati da Israele, cui se ne potranno aggiungere altri 50. Il governo lo presenta come un grande affare per l’Italia: non dice però che, mentre i miliardi dei contratti per l’F-35 entrano nelle casse di aziende private, i miliardi per l’acquisto dei caccia escono dalle casse pubbliche. Questa attività, secondo il governo, creerà subito 600 posti di lavoro e una «spinta occupazionale» che potrebbe tradursi in 10mila posti di lavoro. Una bella prospettiva quella di puntare, per far crescere l’occupazione, su uno dei più micidiali sistemi d’arma.
L’F-35 è un caccia di quinta generazione, prodotto in tre varianti: a decollo/atterraggio convenzionale, per le portaerei, e a decollo corto/atterraggio verticale. L’Italia ne acquisterà 69 della prima variante e 62 della terza, che saranno usati anche per la portaerei Cavour. I caccia a decollo corto/atterraggio verticale, spiega la Lockheed, sono i più adatti a «essere dispiegati più vicino alla costa o al fronte, accorciando la distanza e il tempo per colpire l’obiettivo». Grazie alla capacità stealth, l’F-35 Lightning «come un fulmine colpirà il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente». Un aereo, dunque, destinato alle guerre di aggressione, a provocare distruzioni peggiori di quelle del terremoto dell’Abruzzo. Ma per le vittime non ci saranno funerali di stato, né telecamere a mostrarli.
Tratto dalla lista semprecontrolaguerra@tiscali.it
Di Manlio Dinucci
Per i terremotati dell’Abruzzo il governo ha messo a disposizione 100 milioni di euro, ma ce ne vorranno molti di più: solo per le esigenze del ministero dell'interno, si dovranno trovare 130 milioni nei prossimi sei mesi. E, se si vorrà veramente ricostruire, occorreranno stanziamenti ben maggiori. Dove trovare questi fondi, in una fase di crisi come quella attuale, senza dover con ciò tagliare ulteriormente le spese sociali (scuola, sanità, ecc.)? La risposta è più semplice di quanto sembri: basterebbe bloccare l’enorme stanziamento che sta per essere destinato all’acquisizione del caccia statunitense F-35 Lightning II (Joint Strike Fighter) della Lockeed Martin.
La commissione difesa della camera ha già dato parere favorevole all’acquisizione del caccia e quella del senato lo farà entro il 16 aprile. Nel budget 2009 del ministero della difesa è già previsto uno stanziamento di 47 milioni di euro per l’F-35. E’ solo un piccolo anticipo: per partecipare al programma, l’Italia si è impegnata a versare oltre un miliardo di euro. Ma sono ancora spiccioli, di fronte alla spesa che il parlamento sta per approvare: 12,9 miliardi di euro per l’acquisto di 131 caccia, più 605 milioni per le strutture di assemblaggio e manutenzione. Complessivamente, 14,5 miliardi di euro. Saranno pagati a rate di circa un miliardo l’anno tra il 2009 e il 2026. Ma, come avviene per tutti i sistemi d’arma, il caccia verrà a costare più del previsto e, una volta prodotto, dovrà essere ulteriormente ammodernato. E’ quindi certo che l’esborso totale (di denaro pubblico) sarà molto maggiore di quello preventivato. Va inoltre considerato che l’aeronautica sta acquistando 121 caccia Eurofighter Typhoon, il cui costo supera gli 8 miliardi di euro.
La partecipazione dell’Italia al programma del Joint Strike Fighter, ribattezzato F-35 Lightning (fulmine), costituisce un perfetto esempio di politica bipartisan. Il primo memorandum d’intesa è stato firmato al Pentagono, nel 1998, dal governo D’Alema; il secondo, nel 2002, dal governo Berlusconi; il terzo, nel 2007, dal governo Prodi. E nel 2009 è di nuovo un governo presieduto da Berlusconi a deliberare l’acquisto dei 131 caccia che, a onor del vero, era già stato deciso dal governo Prodi nel 2006 (v. il manifesto, 25-10-2006). Si capisce quindi perché, quando il governo ha annunciato l’acquisto di 131 F-35, l’«opposizione» (PD e IdV) non si sia opposta.
L’Italia partecipa al programma dell’F-35 come partner di secondo livello: ciò significa che contribuisce allo sviluppo e alla costruzione del caccia. Vi sono impegnate oltre 20 industrie, cioè la maggioranza di quelle del complesso militare, tra cui Alenia Aeronautica, Galileo Avionica, Selex Communications, Datamat e Otomelara di Finmeccanica e altre non-Finmeccanica, come Aerea e Piaggio. Negli stabilimenti Alenia in Campania e Puglia, e successivamente in quelli piemontesi, verranno prodotte oltre 1.200 ali dell’F-35. Presso l’aeroporto militare di Cameri (Novara) sarà realizzata una linea di assemblaggio e collaudo dei caccia destinati ai paesi europei, che verrà poi trasformata in centro di manutenzione, revisione, riparazione e modifica. Dalla catena di montaggio italiana usciranno probabilmente anche i 25 caccia acquistati da Israele, cui se ne potranno aggiungere altri 50. Il governo lo presenta come un grande affare per l’Italia: non dice però che, mentre i miliardi dei contratti per l’F-35 entrano nelle casse di aziende private, i miliardi per l’acquisto dei caccia escono dalle casse pubbliche. Questa attività, secondo il governo, creerà subito 600 posti di lavoro e una «spinta occupazionale» che potrebbe tradursi in 10mila posti di lavoro. Una bella prospettiva quella di puntare, per far crescere l’occupazione, su uno dei più micidiali sistemi d’arma.
L’F-35 è un caccia di quinta generazione, prodotto in tre varianti: a decollo/atterraggio convenzionale, per le portaerei, e a decollo corto/atterraggio verticale. L’Italia ne acquisterà 69 della prima variante e 62 della terza, che saranno usati anche per la portaerei Cavour. I caccia a decollo corto/atterraggio verticale, spiega la Lockheed, sono i più adatti a «essere dispiegati più vicino alla costa o al fronte, accorciando la distanza e il tempo per colpire l’obiettivo». Grazie alla capacità stealth, l’F-35 Lightning «come un fulmine colpirà il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente». Un aereo, dunque, destinato alle guerre di aggressione, a provocare distruzioni peggiori di quelle del terremoto dell’Abruzzo. Ma per le vittime non ci saranno funerali di stato, né telecamere a mostrarli.
Tratto dalla lista semprecontrolaguerra@tiscali.it
martedì 14 aprile 2009
HANS JONAS, MEMORIE
LIBRI. MARIO PORRO PRESENTA LE "MEMORIE" DI HANS JONAS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 febbraio 2009 col titolo "La parabola
di Hans Jonas attraverso i suoi incontri" e il sommario "Saggi. Pubblicate
le Memorie del filosofo tedesco"]
Hans Jonas, Memorie. Conversazioni con Rachel Salamander, Il Melangolo,
pp. 411, euro 30.
*
Le Memorie di Hans Jonas cominciano dalla rievocazione del mondo ebraico e
dell'ambiente intellettuale della Germania precedente l'avvento di Hitler.
In Jonas la passione per la filosofia conviveva con la volonta' di
riscoprire la tradizione ebraica che Martin Buber gli fece conoscere;
restava salda in lui la convinzione che la ricerca filosofica imponesse di
"diventare atei", cioe' di negare preliminarmente dogmi e certezze di fede.
Iniziati gli studi universitari nel 1921, Jonas si reco' a Friburgo a
studiare con Husserl, per il quale provava un grande rispetto umano e
intellettuale; la fenomenologia pero' non lo attrasse. Sosteneva che "una
pagina di Thomas Mann contiene giudizi piu' profondi di interi trattati
sulla costituzione del mondo concreto negli atti intenzionali della
coscienza". Al seminario tenuto dal giovane Martin Heidegger, Jonas
incontro' Karl Loewith e Guenther Anders e in seguito, alle lezioni di
Rudolf Bultmann sul Nuovo Testamento, conobbe Hannah Arendt, che ritrovo' a
Marburg dove intanto Heidegger si era trasferito. Hannah era allora una
diciottenne, "affascinante, attraente, ammaliatrice", ricorda Jonas; ne
nacque un'amicizia intensa, in cui la confidenza era totale - tanto che lei
gli avrebbe presto rivelato la sua relazione con Heidegger.
Schieratosi presto nel campo sionista, Jonas giunse in Palestina poco dopo
l'ascesa al potere di Hitler; frequentava la cerchia degli amici di Gershom
Scholem ed entro' come volontario nell'organizzazione clandestina che
proteggeva gli insediamenti ebraici dagli attacchi arabi. Allo scoppio della
guerra Jonas promosse un appello in cui invitava gli ebrei a porsi in prima
linea nella lotta al nazismo: le vittime designate, minacciate di
annientamento, a cui e' negata la possibilita' stessa di esistere sulla
Terra, sono chiamate ad allearsi con l'occidente cristiano, che porta in se'
l'eredita' di Israele, per sconfiggere il disprezzo per l'umanita' del
paganesimo nazista.
Rientrato in Germania come soldato del Jewish Brigade Group, costituitosi
sotto la giurisdizione dell'esercito britannico, Jonas apprese la morte
della madre ad Auschwitz. Le preoccupazioni per il permanente conflitto con
gli arabi lo indussero ad accettare incarichi di insegnamento prima in
Canada e poi a New York, dove ritrovo' la Arendt. La pubblicazione nel '62
della Banalita' del male apri' pero' fra loro un contrasto profondo; Jonas
non poteva accettare l'esplicita impronta antisionista del libro, le accuse
di collaborazione (forzata o volonterosa) al loro stesso sterminio da parte
delle comunita' ebraiche. Aveva dedicato la sua tesi di laurea
all'inquietudine gnostica dei primi secoli dell'era cristiana, rileggendola
attraverso le categorie esistenziali di Essere e tempo. Il mondo era il
luogo delle tenebre e del male, da cui fuggire, distaccandosi da tutti i
vincoli terreni, per cercare la salvezza nel regno ultraterreno della luce.
Ma un analogo senso di estraneita' gli veniva comunicato dall'esser-ci di
Heidegger, dal venire "gettato" in un mondo nemico se non assurdo; qui sta
la ragione del contrasto col suo maestro, in quanto "sebbene vi accadano
naturalmente cose terribili, il mondo per me non e' mai stato un luogo
ostile", scriveva Jonas. Lo smarrimento di Heidegger di fronte al nazismo
non fu allora solo una terribile delusione personale: quando lo rivide
ottantenne, Jonas resto' deluso dalla mancanza di un chiarimento o di una
parola di rincrescimento. Ma, soprattutto, quel cedimento aveva
rappresentato una catastrofe per la filosofia; l'indifferenza etica, anche
nei confronti dei crimini nazisti, era radicata nel nichilismo secolarizzato
che faceva dell'esistenzialismo l'erede della gnosi. Su questo punto molti
critici hanno pero' rilevato che il suo "debito impensato" Heidegger lo
contrasse proprio con l'ebraismo, da cui aveva attinto il senso angosciante
della caduta, conseguente alla cacciata dal paradiso. Non e' comunque dal
linguaggio oracolare del tardo Heidegger che la teologia cristiana puo'
apprendere qualcosa, sostiene Jonas in Heidegger e la teologia (Medusa). Chi
aveva definito l'uomo il "pastore dell'essere" aveva poi miseramente fallito
quando si era trattato di farsi "custode del proprio fratello".
La filosofia della vita che Jonas elaboro' mentre la guerra stava finendo
(abbozzata nelle "lettere didascaliche" spedite alla moglie dal fronte, e
riportate nelle Memorie) poneva le premesse ontologiche perche' la liberta'
umana si traducesse in responsabilita' morale verso la vita.
All'esistenzialismo che ci vuole estranei al mondo, alla concezione
meccanicistica della scienza moderna che vede la natura neutra, indifferente
e priva di valori, i saggi raccolti in Organismo e liberta' (Einaudi)
oppongono l'idea, per molti versi romantica, di una natura partecipe dello
spirito. Nel contesto dell'evoluzione, la morte non e' solo il termine del
cammino concesso alla finitudine umana, e' al contrario la condizione che
consente alla vita di rinnovarsi; il mondo e' lo spazio in cui l'organismo
conquista la sua esistenza strappandola al non-essere. Di qui l'interesse di
Jonas, negli anni '60, per le questioni di etica medica, e la stesura del
libro che, come gli scrisse la Arendt, "il buon Dio aveva in mente per te",
Il Principio responsabilita' (Einaudi). Nel tempo in cui la tecnica ci ha
resi creatori, siamo chiamati ad assumere la responsabilita', nei confronti
delle generazioni future, dei suoi potenziali effetti distruttivi. All'etica
tradizionale, ristretta alle relazioni interumane, ecco sostituirsi una
nuova formulazione dell'imperativo kantiano: "Agisci in modo che gli effetti
delle tue azioni siano compatibili con il permanere di una vita
autenticamente umana sulla Terra". Abbandonato il sogno utopico di un
perfezionamento dell'umano, il principio speranza di Ernst Bloch si traduce
ora nella piu' modesta prospettiva di conservare per il futuro la
vivibilita' del mondo, quella sopravvivenza che il nazismo voleva annullare
per il popolo ebraico. Come nei racconti "fantascientifici" di Primo Levi,
la catastrofe nazista rende avvertiti di una cosmica infezione, di un "vizio
di forma" che, anche per i rischi connessi alle innovazioni tecnologiche,
sgretola il tessuto dell'essere.
La responsabilita' dell'uomo nei confronti della creazione comporta anche la
sua collaborazione all'opera di un Dio immortale ma sofferente. Gia' dagli
anni '60 Jonas elaboro' il "mito" di un Dio che ha rinunciato ai suoi
poteri, si e' spogliato della propria divinita' per riaverla di nuovo
nell'odissea del tempo, trasfigurata o sfigurata. Nel 1984 il tema venne
ripreso nel saggio Il concetto di Dio dopo Auschwitz (Il melangolo): lo
sgomento esistenziale per il silenzio di Dio di fronte al genocidio impone
la rinuncia alle tradizionali risposte ebraiche a Giobbe, compresa quella
del martirio per amore di un Dio che non possiamo piu' credere signore della
Storia. Affidando il mondo all'essere umano, Dio gli ha concesso in sorte
anche il proprio destino; ed ora accompagna impotente la storia umana
"trattenendo il respiro".
Tratto da:
==============================
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 323 del 14 aprile 2009
In questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Urgenze
2. Il 24 aprile a Roma
3. Stefano Catucci presenta alcuni recenti saggi su Michel Foucault
4. Ermanno Paccagnini presenta "La mostra" di Claudio Magris
5. Mario Porro presenta le "Memorie" di Hans Jonas
6. Massimiliano Tomba presenta "The Beginning of History. Value Struggles
and Global Capital" di Massimo De Angelis
7. Benedetto Vecchi presenta alcuni scritti di Andre' Gorz
8. Letture: Anne Applebaum, Gulag
9. Letture: Giorgio Colli, Filosofi sovrumani
10. Riedizioni: Soeren Kierkegaard, Briciole di filosofia. Timore e tremore
11. Riedizioni: Denis Mack Smith, Le guerre del duce
12. Riedizioni: Charles Sanders Peirce, Scritti scelti
13. Riedizioni: David Ricardo, Principi di economia politica e dell'imposta
14. Riedizioni: Arthur Schopenhauer, Il mondo come volonta' e
rappresentazione
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 febbraio 2009 col titolo "La parabola
di Hans Jonas attraverso i suoi incontri" e il sommario "Saggi. Pubblicate
le Memorie del filosofo tedesco"]
Hans Jonas, Memorie. Conversazioni con Rachel Salamander, Il Melangolo,
pp. 411, euro 30.
*
Le Memorie di Hans Jonas cominciano dalla rievocazione del mondo ebraico e
dell'ambiente intellettuale della Germania precedente l'avvento di Hitler.
In Jonas la passione per la filosofia conviveva con la volonta' di
riscoprire la tradizione ebraica che Martin Buber gli fece conoscere;
restava salda in lui la convinzione che la ricerca filosofica imponesse di
"diventare atei", cioe' di negare preliminarmente dogmi e certezze di fede.
Iniziati gli studi universitari nel 1921, Jonas si reco' a Friburgo a
studiare con Husserl, per il quale provava un grande rispetto umano e
intellettuale; la fenomenologia pero' non lo attrasse. Sosteneva che "una
pagina di Thomas Mann contiene giudizi piu' profondi di interi trattati
sulla costituzione del mondo concreto negli atti intenzionali della
coscienza". Al seminario tenuto dal giovane Martin Heidegger, Jonas
incontro' Karl Loewith e Guenther Anders e in seguito, alle lezioni di
Rudolf Bultmann sul Nuovo Testamento, conobbe Hannah Arendt, che ritrovo' a
Marburg dove intanto Heidegger si era trasferito. Hannah era allora una
diciottenne, "affascinante, attraente, ammaliatrice", ricorda Jonas; ne
nacque un'amicizia intensa, in cui la confidenza era totale - tanto che lei
gli avrebbe presto rivelato la sua relazione con Heidegger.
Schieratosi presto nel campo sionista, Jonas giunse in Palestina poco dopo
l'ascesa al potere di Hitler; frequentava la cerchia degli amici di Gershom
Scholem ed entro' come volontario nell'organizzazione clandestina che
proteggeva gli insediamenti ebraici dagli attacchi arabi. Allo scoppio della
guerra Jonas promosse un appello in cui invitava gli ebrei a porsi in prima
linea nella lotta al nazismo: le vittime designate, minacciate di
annientamento, a cui e' negata la possibilita' stessa di esistere sulla
Terra, sono chiamate ad allearsi con l'occidente cristiano, che porta in se'
l'eredita' di Israele, per sconfiggere il disprezzo per l'umanita' del
paganesimo nazista.
Rientrato in Germania come soldato del Jewish Brigade Group, costituitosi
sotto la giurisdizione dell'esercito britannico, Jonas apprese la morte
della madre ad Auschwitz. Le preoccupazioni per il permanente conflitto con
gli arabi lo indussero ad accettare incarichi di insegnamento prima in
Canada e poi a New York, dove ritrovo' la Arendt. La pubblicazione nel '62
della Banalita' del male apri' pero' fra loro un contrasto profondo; Jonas
non poteva accettare l'esplicita impronta antisionista del libro, le accuse
di collaborazione (forzata o volonterosa) al loro stesso sterminio da parte
delle comunita' ebraiche. Aveva dedicato la sua tesi di laurea
all'inquietudine gnostica dei primi secoli dell'era cristiana, rileggendola
attraverso le categorie esistenziali di Essere e tempo. Il mondo era il
luogo delle tenebre e del male, da cui fuggire, distaccandosi da tutti i
vincoli terreni, per cercare la salvezza nel regno ultraterreno della luce.
Ma un analogo senso di estraneita' gli veniva comunicato dall'esser-ci di
Heidegger, dal venire "gettato" in un mondo nemico se non assurdo; qui sta
la ragione del contrasto col suo maestro, in quanto "sebbene vi accadano
naturalmente cose terribili, il mondo per me non e' mai stato un luogo
ostile", scriveva Jonas. Lo smarrimento di Heidegger di fronte al nazismo
non fu allora solo una terribile delusione personale: quando lo rivide
ottantenne, Jonas resto' deluso dalla mancanza di un chiarimento o di una
parola di rincrescimento. Ma, soprattutto, quel cedimento aveva
rappresentato una catastrofe per la filosofia; l'indifferenza etica, anche
nei confronti dei crimini nazisti, era radicata nel nichilismo secolarizzato
che faceva dell'esistenzialismo l'erede della gnosi. Su questo punto molti
critici hanno pero' rilevato che il suo "debito impensato" Heidegger lo
contrasse proprio con l'ebraismo, da cui aveva attinto il senso angosciante
della caduta, conseguente alla cacciata dal paradiso. Non e' comunque dal
linguaggio oracolare del tardo Heidegger che la teologia cristiana puo'
apprendere qualcosa, sostiene Jonas in Heidegger e la teologia (Medusa). Chi
aveva definito l'uomo il "pastore dell'essere" aveva poi miseramente fallito
quando si era trattato di farsi "custode del proprio fratello".
La filosofia della vita che Jonas elaboro' mentre la guerra stava finendo
(abbozzata nelle "lettere didascaliche" spedite alla moglie dal fronte, e
riportate nelle Memorie) poneva le premesse ontologiche perche' la liberta'
umana si traducesse in responsabilita' morale verso la vita.
All'esistenzialismo che ci vuole estranei al mondo, alla concezione
meccanicistica della scienza moderna che vede la natura neutra, indifferente
e priva di valori, i saggi raccolti in Organismo e liberta' (Einaudi)
oppongono l'idea, per molti versi romantica, di una natura partecipe dello
spirito. Nel contesto dell'evoluzione, la morte non e' solo il termine del
cammino concesso alla finitudine umana, e' al contrario la condizione che
consente alla vita di rinnovarsi; il mondo e' lo spazio in cui l'organismo
conquista la sua esistenza strappandola al non-essere. Di qui l'interesse di
Jonas, negli anni '60, per le questioni di etica medica, e la stesura del
libro che, come gli scrisse la Arendt, "il buon Dio aveva in mente per te",
Il Principio responsabilita' (Einaudi). Nel tempo in cui la tecnica ci ha
resi creatori, siamo chiamati ad assumere la responsabilita', nei confronti
delle generazioni future, dei suoi potenziali effetti distruttivi. All'etica
tradizionale, ristretta alle relazioni interumane, ecco sostituirsi una
nuova formulazione dell'imperativo kantiano: "Agisci in modo che gli effetti
delle tue azioni siano compatibili con il permanere di una vita
autenticamente umana sulla Terra". Abbandonato il sogno utopico di un
perfezionamento dell'umano, il principio speranza di Ernst Bloch si traduce
ora nella piu' modesta prospettiva di conservare per il futuro la
vivibilita' del mondo, quella sopravvivenza che il nazismo voleva annullare
per il popolo ebraico. Come nei racconti "fantascientifici" di Primo Levi,
la catastrofe nazista rende avvertiti di una cosmica infezione, di un "vizio
di forma" che, anche per i rischi connessi alle innovazioni tecnologiche,
sgretola il tessuto dell'essere.
La responsabilita' dell'uomo nei confronti della creazione comporta anche la
sua collaborazione all'opera di un Dio immortale ma sofferente. Gia' dagli
anni '60 Jonas elaboro' il "mito" di un Dio che ha rinunciato ai suoi
poteri, si e' spogliato della propria divinita' per riaverla di nuovo
nell'odissea del tempo, trasfigurata o sfigurata. Nel 1984 il tema venne
ripreso nel saggio Il concetto di Dio dopo Auschwitz (Il melangolo): lo
sgomento esistenziale per il silenzio di Dio di fronte al genocidio impone
la rinuncia alle tradizionali risposte ebraiche a Giobbe, compresa quella
del martirio per amore di un Dio che non possiamo piu' credere signore della
Storia. Affidando il mondo all'essere umano, Dio gli ha concesso in sorte
anche il proprio destino; ed ora accompagna impotente la storia umana
"trattenendo il respiro".
Tratto da:
==============================
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 323 del 14 aprile 2009
In questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Urgenze
2. Il 24 aprile a Roma
3. Stefano Catucci presenta alcuni recenti saggi su Michel Foucault
4. Ermanno Paccagnini presenta "La mostra" di Claudio Magris
5. Mario Porro presenta le "Memorie" di Hans Jonas
6. Massimiliano Tomba presenta "The Beginning of History. Value Struggles
and Global Capital" di Massimo De Angelis
7. Benedetto Vecchi presenta alcuni scritti di Andre' Gorz
8. Letture: Anne Applebaum, Gulag
9. Letture: Giorgio Colli, Filosofi sovrumani
10. Riedizioni: Soeren Kierkegaard, Briciole di filosofia. Timore e tremore
11. Riedizioni: Denis Mack Smith, Le guerre del duce
12. Riedizioni: Charles Sanders Peirce, Scritti scelti
13. Riedizioni: David Ricardo, Principi di economia politica e dell'imposta
14. Riedizioni: Arthur Schopenhauer, Il mondo come volonta' e
rappresentazione
S C I A C A L L I
Mosaico dei giorni
Sciacalli14 aprile 2009 - Tonio Dell'Olio
Nello sciame sismico dell'informazione del dopo-terremoto, non vi sarà sfuggita la notizia dei "4 rumeni" arrestati in flagranza di reato mentre si introducevano furtivamente nelle case semidistrutte per sottrarre beni e valori.
Il giorno dopo, con meno enfasi, siamo stati informati che i quattro, processati per direttissima nel tribunale da campo di L'Aquila, sono stati assolti con formula piena perché stavano frugando sì, ma nelle proprie abitazioni e in quella di un anziano di cui una delle quattro è badante: cercavano di recuperare ciò che poteva essere utile alla sopravvivenza nella vita in tenda. Tante scuse! Ma è lecito chiedersi a questo punto quando accadrà che televisioni, radio e giornali ci indicheranno a dito le forme di "sciacallaggio preventivo" compiuto da amministratori distratti o complici, imprese edili e speculatori d'altro genere che hanno costruito case ed edifici pubblici mettendo in pericolo la vita di tante persone per lucrare maggiori guadagni. Quando indicheranno chi sta speculando sulla sciagura abruzzese per garantirsi visibilità e consenso? Quando si dirà che sono sciacalli (e stupidi!) anche i giornalisti che pensando di partecipare a un reality, insistentemente andavano chiedendo di notte alla gente che dormiva in macchina: "Perché avete scelto di dormire in auto?" È sciacallo chiunque trae vantaggio dalla disgrazia altrui, qualunque tipo di vantaggio. Processiamoli per direttissima almeno nella nostra coscienza.
http://www.peacelink.it/mosaico/a/29228.html
_______________________________________
Mosaico di paceVia Petronelli n.670052 Bisceglie (BA)tel. 080-395.35.07
fax 080-395.34.50www.mosaicodipace.itorari di apertura: lun - ven dalle 8 alle 13
post scriptum:
ora si scopre che L'Aquila era una città fuori regola, che ben pochi costruttori avevano rispettato le norme. Una domanda sorge spontanea: chi doveva controllare? perchè non lo ha fatto? Si facciano i nomi dei costruttori e dei (presunti) controllori...Altrimenti è inutile piangere i morti...
e il governo cosa fa, oltre le solite sceneggiate (ma un sisma non è il Grande Fratello!) rinvia l'applicazione delle norme antisismiche...non solo chi propone questo è un senatore PDL eletto in provincia di Imperia, una delle zone sismiche...
Sciacalli14 aprile 2009 - Tonio Dell'Olio
Nello sciame sismico dell'informazione del dopo-terremoto, non vi sarà sfuggita la notizia dei "4 rumeni" arrestati in flagranza di reato mentre si introducevano furtivamente nelle case semidistrutte per sottrarre beni e valori.
Il giorno dopo, con meno enfasi, siamo stati informati che i quattro, processati per direttissima nel tribunale da campo di L'Aquila, sono stati assolti con formula piena perché stavano frugando sì, ma nelle proprie abitazioni e in quella di un anziano di cui una delle quattro è badante: cercavano di recuperare ciò che poteva essere utile alla sopravvivenza nella vita in tenda. Tante scuse! Ma è lecito chiedersi a questo punto quando accadrà che televisioni, radio e giornali ci indicheranno a dito le forme di "sciacallaggio preventivo" compiuto da amministratori distratti o complici, imprese edili e speculatori d'altro genere che hanno costruito case ed edifici pubblici mettendo in pericolo la vita di tante persone per lucrare maggiori guadagni. Quando indicheranno chi sta speculando sulla sciagura abruzzese per garantirsi visibilità e consenso? Quando si dirà che sono sciacalli (e stupidi!) anche i giornalisti che pensando di partecipare a un reality, insistentemente andavano chiedendo di notte alla gente che dormiva in macchina: "Perché avete scelto di dormire in auto?" È sciacallo chiunque trae vantaggio dalla disgrazia altrui, qualunque tipo di vantaggio. Processiamoli per direttissima almeno nella nostra coscienza.
http://www.peacelink.it/mosaico/a/29228.html
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Mosaico di paceVia Petronelli n.670052 Bisceglie (BA)tel. 080-395.35.07
fax 080-395.34.50www.mosaicodipace.itorari di apertura: lun - ven dalle 8 alle 13
post scriptum:
ora si scopre che L'Aquila era una città fuori regola, che ben pochi costruttori avevano rispettato le norme. Una domanda sorge spontanea: chi doveva controllare? perchè non lo ha fatto? Si facciano i nomi dei costruttori e dei (presunti) controllori...Altrimenti è inutile piangere i morti...
e il governo cosa fa, oltre le solite sceneggiate (ma un sisma non è il Grande Fratello!) rinvia l'applicazione delle norme antisismiche...non solo chi propone questo è un senatore PDL eletto in provincia di Imperia, una delle zone sismiche...
martedì 7 aprile 2009
il nucleare e il terremoto
Le catastrofi naturali recano anche, col loro carico di immedicabile dolore, la manifestazione di un'inesorabile verita'. L'essere umano e' fragile, fragili i suoi manufatti, fragile la sua civilta'.
E la natura e' un gioco di equilibri che possono improvvisamente spezzarsi. Con questa fragilita' e precarieta' occorre imparare a convivere, agendo in modo da tenerne sempre conto.
*Anche per questo - oltre che per molti altri motivi - e' insensato voler realizzare opere pericolose come le centrali nucleari in un paese ad alto rischio sismico come l'Italia. Anche per questo e' criminale cementificare i suoli ed edificare oltre ogni ragionevole limite, senza tener conto della capacita' di carico degli ecosistemi e senza rispettare quelle norme edilizie ed urbanistiche che sole garantiscono - tra l'altro - l'attenuazione dell'impatto dei sismi. Anche per questo occorre contrastare l'ideologia consumista e le sue concrete realizzazioni che mercificano e devastano e alienano ed annichiliscono l'ambiente, la salute, la dignita' della vita, i beni comuni e la stessa umanita'.
*Anche per questo ci opponiamo alle opere nocive e distruttive, speculative e fuorilegge, che poteri irresponsabili ed interessi illeciti vorrebbero imporre al nostro territorio. Dal mega-aeroporto di Viterbo all'autostrada Livorno-Civitavecchia, dalla centrale a carbone di Torvaldaliga Nord alla centrale nucleare a Montalto.
L'associazione "Respirare"
Viterbo, 7 aprile 2009
* * *
L'associazione "Respirare" e' stata promossa dalla sezione di Viterbo dell'"Associazione medici per l'ambiente (Isde - Italia)" e dal "Centro diricerca per la pace" di Viterbo.
Per informazioni e contatti: Sezione di Viterbo dell'Associazione italiana medici per l'ambiente - Isde (International Society of Doctors for theEnvironment - Italia), tel. 3383810091,
e-mail: antonella.litta@libero.it,web: www.coipiediperterra.org;
Centro di ricerca per la pace di Viterbo:strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail:nbawac@tin.it, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/.
* * *
_______________________________________________
Eco-fem-nonviolenta mailing list
Eco-fem-nonviolenta@lists.nonviolenti.org
http://lists.nonviolenti.org/mailman/listinfo/eco-fem-nonviolenta
E la natura e' un gioco di equilibri che possono improvvisamente spezzarsi. Con questa fragilita' e precarieta' occorre imparare a convivere, agendo in modo da tenerne sempre conto.
*Anche per questo - oltre che per molti altri motivi - e' insensato voler realizzare opere pericolose come le centrali nucleari in un paese ad alto rischio sismico come l'Italia. Anche per questo e' criminale cementificare i suoli ed edificare oltre ogni ragionevole limite, senza tener conto della capacita' di carico degli ecosistemi e senza rispettare quelle norme edilizie ed urbanistiche che sole garantiscono - tra l'altro - l'attenuazione dell'impatto dei sismi. Anche per questo occorre contrastare l'ideologia consumista e le sue concrete realizzazioni che mercificano e devastano e alienano ed annichiliscono l'ambiente, la salute, la dignita' della vita, i beni comuni e la stessa umanita'.
*Anche per questo ci opponiamo alle opere nocive e distruttive, speculative e fuorilegge, che poteri irresponsabili ed interessi illeciti vorrebbero imporre al nostro territorio. Dal mega-aeroporto di Viterbo all'autostrada Livorno-Civitavecchia, dalla centrale a carbone di Torvaldaliga Nord alla centrale nucleare a Montalto.
L'associazione "Respirare"
Viterbo, 7 aprile 2009
* * *
L'associazione "Respirare" e' stata promossa dalla sezione di Viterbo dell'"Associazione medici per l'ambiente (Isde - Italia)" e dal "Centro diricerca per la pace" di Viterbo.
Per informazioni e contatti: Sezione di Viterbo dell'Associazione italiana medici per l'ambiente - Isde (International Society of Doctors for theEnvironment - Italia), tel. 3383810091,
e-mail: antonella.litta@libero.it,web: www.coipiediperterra.org;
Centro di ricerca per la pace di Viterbo:strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail:nbawac@tin.it, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/.
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Eco-fem-nonviolenta@lists.nonviolenti.org
http://lists.nonviolenti.org/mailman/listinfo/eco-fem-nonviolenta
sabato 4 aprile 2009
FOGGIA: IL PD AL CAPOLINEA
Sono giorni che provo a scrivere qualcosa di sensato, e non offensivo, sulla vicenda di Foggia e della linea di trasporto pubblico separata indigeni/migranti.
Sono giorni che provo...ma non ci riesco...non è garantito che ci riesca oggi!
Per chi ne fosse all'oscuro, il sindaco di Foggia che ha avuto questa bella pensata è un sindaco di centrosinistra, del partito democratico...
Questo fatto dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, che il PD è allo sfascio: non ha un minimo di idee -tanto meno sul gestire l'immigrazione- e che insegue il centrodestra...
...non ha ancora capito che la gente (come dicono i destri) tra dover scegliere l'originale e una pallida imitazione, preferisce l'originale, anche se si chiama Silvio Berlusconi.
Che fare? Intanto occorre distinguersi: proprio su un tema caldo come l'immigrazione è assurdo inseguire la destra: dobbiamo creare l'alternativa...
Garantire gli immigranti, i settori deboli, i precari; far pagare i ricchi e gli evasori; valorizzare il nostro patrimonio, fatto di persone, di idee, di paesaggi e monumenti...rivedere il nostro modo di vivere e di pensare...
...e rimangiarsi la delibera sulla linea per bianchi/linea per neri: dove siamo nel SudAfrica di qualche decennio fa?
Intanto occorre andare a votare, ad esempio, votanto liste come Per il Bene Comune...
Sono giorni che provo...ma non ci riesco...non è garantito che ci riesca oggi!
Per chi ne fosse all'oscuro, il sindaco di Foggia che ha avuto questa bella pensata è un sindaco di centrosinistra, del partito democratico...
Questo fatto dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, che il PD è allo sfascio: non ha un minimo di idee -tanto meno sul gestire l'immigrazione- e che insegue il centrodestra...
...non ha ancora capito che la gente (come dicono i destri) tra dover scegliere l'originale e una pallida imitazione, preferisce l'originale, anche se si chiama Silvio Berlusconi.
Che fare? Intanto occorre distinguersi: proprio su un tema caldo come l'immigrazione è assurdo inseguire la destra: dobbiamo creare l'alternativa...
Garantire gli immigranti, i settori deboli, i precari; far pagare i ricchi e gli evasori; valorizzare il nostro patrimonio, fatto di persone, di idee, di paesaggi e monumenti...rivedere il nostro modo di vivere e di pensare...
...e rimangiarsi la delibera sulla linea per bianchi/linea per neri: dove siamo nel SudAfrica di qualche decennio fa?
Intanto occorre andare a votare, ad esempio, votanto liste come Per il Bene Comune...
mercoledì 1 aprile 2009
PER IL BENE COMUNE...
Nel triste panorama politico italiano, Per il Bene Comune è l'unica lista nonviolenta e pacifista.
Qui accanto ci sono due link...
Buona lettura...
Giuliano
Qui accanto ci sono due link...
Buona lettura...
Giuliano
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