Lettera 134 agosto settembre 2008
LL'articolo 10 e il comma 22
Nessun discorso teorico sulla pace vale quanto lo strazio dei ricordi, nessun discorso mostra, quanto lo strazio dei ricordi, le ragioni per le quali l’Italia inserì nella sua Costituzione l’articolo 10, il ripudio della guerra. I testimoni degli orrori che devastarono il nostro paese fra il 1940 e il 1945 vanno scomparendo rapidamente, per ovvie ragioni anagrafiche. Bisognerebbe raccoglierne con ben maggior cura i racconti perché certi eventi proiettano la loro ombra per generazioni. Temo, invece, che il razzismo “federalista” finirà per spezzettare le vicende delle guerre in Italia, trasformandole in fatti locali proprio mentre occorrerebbe, di fronte alle tentazioni militariste delle destre, diffondere una consapevolezza unitaria del passato.
Ho scoperto per caso, in Internet, che l’11 agosto era il 60mo anniversario del bombardamento di Terni e ho pensato che fosse una delle tante pagine di storia da rileggere.
Le vittime...
Le “fortezze volanti” americane– dodici – arrivarono sulla città alle 10,29 dell’11 agosto dell’anno 1943. La visibilità era ottima. Volando a 6-7 mila metri di quota, gli aerei sganciarono il loro carico micidiale. Quattro minuti dopo, Terni, mentre i bombardieri americani se ne tornavano alle loro basi tunisine, 1600 km a sud-est. era una città profondamente ferita.
Allora la gente andò a cercare i propri cari fra le macerie, la polvere fitta e acre, le urla dei bambini e delle donne imprigionati nelle case diventate sepolcri. Le strade si affollarono di soccorritori, di barelle, di traumatizzati incapaci di muoversi dai rifugi in cui avevano cercato riparo. Ma alle ore 12 arrivarono altri 32 bombardieri. Rimasero sul cielo di Terni, anche loro, a quota 6000, quattro minuti. Quando se ne andarono, la città era morta. Non c’erano più l’Ospedale, la stazione ferroviaria, il municipio né le scuole né le chiese. Interi quartieri erano trasformati in voragini, caverne, rovine crollanti.
Nel caldo atroce di quei giorni fu necessario seppellire i cadaveri al più presto, in grandi fosse comuni. Le autorità ne contarono 500. Nei mesi successivi, dalle macerie vennero estratti altri 450 corpi straziati.
... e gli “altri”
Per anni, dapprima con odio e furore, poi con rassegnata curiosità, i ternani, come quasi tutti i superstiti delle centinaia di bombardamenti che l’Italia subì in seguito alla guerra di Mussolini, si sono domandati chi fossero stati gli autori della carneficina. Adesso molti documenti militari sono stati desecretati e la verità appurata. Vale la pena, secondo me, di conoscerla.
I 1320 aviatori che costituivano gli equipaggi delle “fortezze volanti” (gli US-B17) che compivano “azioni” sull’Italia facevano parte del NAFAS (il Sistema strategico americano del Nordafrica) ed erano di base a Port du Fahs, in Tunisia. Quella mattina gli era stato ordinato di volare ad almeno 6 mila metri di quota, per non essere colpiti dalla contraerea. Quanto agli aerei italiani da combattimento che avrebbero potuto intercettarli, i superiori gli avevano garantito che nella zona non ne esistevano più: l’Italia era al collasso, gli Alleati erano ormai sbarcati in Sicilia, il duce era stato deposto, l’intero apparato difensivo e quello burocratico si sfari-navano. Trattative per un armistizio erano già in atto, ma nei cervelli dei militari esisteva una sola idea: schiacciare il nemico, subito, a costo di compiere stragi di civili.
I ragazzi delle fortezze volanti avevano un’ età media di 21 anni; significa che alcuni di loro ne avevano poco più di 18. Li avevano addestrati con 100 ore di volo. Molti di loro, quell’11 agosto dell’anno 1943, erano alla loro prima impresa bellica. Terni era per loro, sino a quella mattina, un nome sconosciuto sulla carta geografica appesa, quella mattina, all’alba, nella sala del briefing. Provenivano da tutti gli States e da tutte le condizioni sociali, esclusa quella più povera e meno colta (che vuol dire anche: negra). Godevano di un trattamento logistico particolarmente buono ma sino all’ultimo giorno di guerra furono sfruttati dai generali– e spesso con una leggerezza criminale. Molti di loro furono colpiti da turbe psichiatriche. Lo scrittore Joseph Heller, che fu dei loro, dopo la guerra scrisse sulla loro vicenda un libro umoristico ma anche terribile. Il titolo era “Comma 22” e riportava una norma (inventata dai piloti) del regolamento del NASAF:
“Articolo 12, Comma 1
«L'unico motivo valido per chiedere il congedo dal fronte è la pazzia.»
“Articolo 12, Comma 22
«Chiunque chieda il congedo dal fronte non è pazzo.»
Il protagonista del romanzo era un pilota che, se ricordo bene, si chiamava Yossanan. La sua paranoia era quella di sentirsi odiato da tutti gli esseri umani, mentre lui non aveva “mai fatto male ad alcuno”. Vittime dei bombardamenti, naturalmente, escluse.
La guerra aerea
La guerra aerea ha caratteristiche di particolare efferatezza. Nella sua ultima versione strategica non mira soltanto né soprattutto ad abbattere aerei nemici né a colpire reparti nemici o installazioni e industrie belliche; i portavoce militari possono dichiarare il loro profondo rammarico ogni volta che vengono compiute stragi di civili, ma il compito principale dell’aviazione è quello di seminare il terrore.
Di più: mentre il soldato “di terra” rimane, per così dire, immerso nell’orrore della battaglia, il pilota di oggi potrebbe indossare il camice bianco del tecnico che si trova a passare di lì per caso. A 8 mila metri di quota il nemico diventa un’astrazione e l’aviatore può seminare morte e distruzione senza vedere i risultati della sua impresa, senz’altra interiore vergogna che quella del turista che lascia cadere una cartaccia in un bosco. Ricordo la dichiarazione (pubblicata dal Corriere della Sera) di un pilota appena rientrato dopo un bombardamento della Serbia: “E pensare che il panorama è così bello!”. La tecnologia ha provveduto anche ai sensi di colpa del pilota Yossanan. Ecco un esempio di stravolgimento del concetto di onore, per non parlare di quello di eroismo. Ed ecco altre vittime, in divisa, non uccise ma disumanizzate.
E noi?
Avendo letto, postato da clochard spartacok@alice.it, il racconto del bombardamento di Terni, mi è sembrato così interessante nella sua tragica eloquenza di dolore, morte e trasformazione di giovani in automi da parte della casta militare, da sembrarmi quasi doverosa la sua diffusione fra le mie amiche e i miei amici. Per una di quelle coincidenze di cui la vita è tanto generosa, mentre io cominciavo a scrivere, il cielo di Orbetello (il luogo in cui mi trovavo) si è riempito di rumore ed è comparsa una squadriglia acrobatica dell’aviazione italiana. Per un’ora ha compiuto le sue straordinarie evoluzioni, riempiendo l’orizzonte di fittissime scie. Una capacità di coordinamento, una sapienza tecnologica, una lucidità di riflessi ammirevoli. Mi sono trovato di colpo sbalzato dal passato e dal teorico al presente e al concreto. Quelle armi esteticamente bellissime e quei piloti ardimentosi appartengono al nostro passato o al nostro futuro?
Mi sono domandato ancora una volta quale sia il cordone ombelicale che ci lega alla violenza in modo che sembra irresistibile, senza rimedio. Non so darmi risposta ma come vecchio mi sembra di portarmi addosso errori (per non dire: peccati) a non finire.
Ettore Masina
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