Dall'amico padre Daniele Moschetti ricevo la seguente mail e la pubblico immediatamente...
Gerusalemme, 1 Maggio 2009
“Quando incontro qualcuno non gli chiedo da dove viene. Non mi interessa. Gli chiedo dove va. Gli chiedo se posso fare un pezzo di strada insieme a lui.”
Papa Giovanni XXIII°
Carissima/o amica/o ! Jambo!
Come stai? Spero di trovarti bene con questo mio scritto che vuole condividere con te un po’ le ultime “mie scoperte” ma anche i sentimenti e i sogni miei ma anche di tanta gente che incontro ogni giorno qui in questa terra così affascinante e misteriosa ma anche piena di sofferenza e di grandi divisioni. Ti avevo scritto prima di Natale, la festa dell’Incarnazione di Gesù, facendoti gli auguri di Pace e con il sogno e la speranza di vivere un anno dove la parola PACE fosse stata più forte, da gridare e gioire insieme ai tanti popoli della terra.
E invece ti scrissi di nuovo neanche due settimane dopo…..proprio due giorni dopo Natale scoppiò la guerra di Gaza. Quella lunga riflessione che mandai voleva essere anche il mio grido di dolore e di impotenza unito a quello di tanta gente qui in Palestina. Quel duro conflitto che durò tre settimane provocò la morte di 1400 persone (400 bambini e più di 200 donne ) e migliaia di persone hanno perso tutto. E’ stato un crimine di guerra che nessuno punirà mai. Hanno usato armi di tutti i tipi in questa guerra assurda e a senso unico. Non esistono giustificazioni che tengano quando si massacrano innocenti con un piano diabolico, che siano uomini o donne, soprattutto bambini. Nemmeno i razzi di Hamas sono una giustificazione per le atrocità, l’immane violenza e lo strapotere militare israeliano che abbiamo visto nelle immagini, foto, nei vari reports preparati da varie organizzazioni internazionali e dall’ONU. Soprattutto per la tanta violenza e sofferenza dei giovani e bambini feriti e morte che è rimasta sul terreno oggi, anche in assenza di guerra. Quanta distruzione di case, palazzi pubblici, strade, scuole, moschee e luoghi di culto, agricoltura e negozi. Questa violenza vive ancora ed è celata nei cuori, negli occhi e nelle menti di tanti bambini, giovani e adulti palestinesi. E sappiamo benissimo cosa voglia dire per il futuro, un uomo ferito nel suo cuore e nella sua dignità e identità.
E COSI’ HO SCOPERTO L’O.R.O. DI….PALESTINA!
Se ancora ce ne era bisogno!! In questo tempo dedicato allo studio della Bibbia e al suo stupendo e variegato e duro territorio ho scoperto davvero l’O.R.O.! Sì hai capito bene, l’oro e l’O.R.O.! Studiare la Bibbia qui, significa conoscere i luoghi, geografia e i siti archeologici dove la storia biblica si è sviluppata nelle migliaia di anni nei quali si è sviluppata. Preparata e preceduta da tante dominazioni e oppressioni di popoli vicini e lontani. Ed è per me davvero oro per la possibilità di conoscere più a fondo la nostra storia, le nostre radici. Quella degli ebrei ma anche quella dei musulmani. Tutti figli di un unico padre, Dio. Ma anche di un padre terreno: Abramo. Un uomo venuto da lontano con un lungo cammino. Sembra che sia partito dalle regioni dell’attuale Iraq. Ironia della sorte e della storia!! Popoli che nascono dallo stesso “padre” ma che oggi sono nemici nella fede, nell’ideologia, nella cultura. E’ quindi ciò che sto vivendo vale più di tanto oro. E me ne rendo conto! Un ricevere questo oro per poterlo ridonare. Pietro diceva allo storpio che gli chiedeva l’elemosina fuori del tempio: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno cammina!” (At 3,1-10) Quello che ha donato al paralitico era la sua fede. Poi lo Spirito del Signore ha compiuto il resto. Credo che è questo il grande oro che sento di ricevere in questo tempo. Per poterlo ridonare ai miei fratelli e sorelle perché Lui compia il resto.
Ma oro qui significa anche altro. L’O.R.O. qui rappresenta una triste triade: Occupazione, Resistenza, Oppressione! O.R.O. appunto!
E’ di questi giorni la notizia della Banca Mondiale che denuncia lo Stato di Israele di lasciare ai palestinesi solo un quarto delle risorse idriche del paese. E infatti è una strategia di controllo e di oppressione per continuare la politica degli insediamenti. Dove arrivano i coloni israeliani la prima cosa da organizzare è avere risorse d’acqua per le famiglie per un nuovo insediamento. Quindi tutte le risorse e sorgenti nel territorio vengono confiscate dallo Stato per favorire l’insediamento di israeliani nella zona.
La Banca Mondiale denuncia come gli accordi di Oslo del 1995, ancora in vigore siano sistematicamente violati rispetto all'accesso alle risorse idriche che, in una situazione di occupazione come quella che i Territori palestinesi conoscono dal 1967, deve essere garantito da Israele. Tutti e tre i settori interessati dagli accordi, l'approvvigionamento, l'uso e il trattamento dell'acqua, sono in crisi per i palestinesi. ''Dal 2000, le restrizioni al movimento e all'accesso dei palestinesi imposte da Israele, hanno reso impossibile l'accesso alle risorse idriche, lo sviluppo delle infrastrutture e le operazioni di manutenzione della rete idrica'', recita il rapporto. La situazione finisce per avere gravi ricadute sulla qualità della vita, sullo sviluppo e sulle condizioni socio - sanitarie della popolazione palestinese. In fondo basterebbe riconoscere ai palestinesi il diritto all'acqua, con la fine di un'occupazione che si trasforma in un furto di risorse.
E ancora. Il primo ministro israeliano Netanyahu ha affermato in questi giorni che “la pace è un interesse israeliano non meno che europeo” ma che non è opportuno “collegare le relazioni con l’Europa alla soluzione del conflitto con i palestinesi”. La comunità europea aveva riferito i timori sull’espansione delle colonie israeliane in Cisgiordania e nel rispondere Netanyahu ha detto che la regione palestinese è un territorio “conteso” e che se agli israeliani non fosse concesso costruirci case, “lo stesso divieto dovrà essere imposto ai palestinesi”. Il capo di governo ha precisato inoltre che non intendeva fermare l’espansione delle colonie già esistenti. Ma anche il suo neo-ministro degli esteri Avigdor Liebermann, ebreo moldavo-russo, personaggio molto contradditorio e anche sotto inchiesta dalla Polizia di Israele, ha detto che la comunità internazionale deve “smettere di parlare per slogan” se veramente vuole contribuire alla pace in Medioriente. Egli affermava che nelle ultime settimane aveva parlato con molti suoi colleghi di tutto il mondo e riferiva che parlavano come fossimo in una campagna: occupazione, insediamenti, coloni. A suo giudizio, “slogan come questi o come terra in cambio di pace o soluzione dei due stati” sono “semplicistici” e prescindono dalle “cause reali” del conflitto.
E allora la verità da che parte sta? Una cosa è certa ed evidente visitando e viaggiando in questo paese a nord e a sud. Purtroppo anche all’interno della Cisgiordania che in teoria dovrebbe essere sotto l’autonomia dell’Autorità Palestinese. Ci sono insediamenti israeliani che crescono come funghi in pochissimi mesi e anni in barba a tanti richiami delle Nazioni Unite, USA o Europa per migliorare il processo di pace.
Mentre la guerra e i carri armati avanzavano a Gaza, Israele continuava la sua espansione di insediamenti illegali nella Cisgiordania che dal 1967 ha visto cambiare il volto del suo territorio. Ci sono stati tanti avvertimenti a Israele di fermarsi con gli insediamenti proprio per definire i confini e i due stati. Sono già passati accordi firmati nei decenni: Madrid, Oslo, la Road Map, Annapolis e poi?? Ad oggi ci sono più di 200 insediamenti ebrei con 450.000 israeliani che occupano territori dell’Autonomia Palestinese: circa 250.000 coloni vivono in Cisgiordania e 200.000 a Gerusalemme est. Dall’anno scorso ad oggi in questi territori sono stati costruite più di 8.000 case israeliane. E’ logico che ci siano resistenza e scontri a volte anche violenti. Questi insediamenti illegali e città nella Cisgiordania, costruite sulle cime delle colline come anelli circolari di case e strade creano una presenza dominante e opprimente sui villaggi palestinesi sottostanti. E’ logico che una delle prime cose che si fa nel costruire queste case è avere sorgenti di acqua, elettricità e strade per poter facilitare la vita della nuova comunità che si insedierà. E questo avviene molto spesso sequestrando sorgenti e corsi d’acqua che la comunità palestinese usufruisce da secoli per il loro sostentamento. Poi si costruiscono strade e si confiscano i campi e territori che servono per migliorare la presenza della nuova colonia. In ultimo o meglio dire sin dall’inizio di questa strategia d’insediamento civile/militare arrivano i soldati che protegerranno i nuovi coloni che arriveranno ad insediarsi in questi territori e campi di olivi sequestrati a famiglie palestinesi che non vivono certamente in comodità e agio.
Quindi la strategia evidente è che se i palestinesi non possono essere trasferiti, devono essere resi invisibili o totalmente controllati in tutti i movimenti della loro vita, in qualsiasi zona siano: A, B, C o anche fuori dai confini. C’è tutto un apparato messo in piedi per sostenere questi controlli e appropriazioni di territori: speciale carta d’identità, permesso speciale per entrare o uscire dalle loro città, i check points che ad oggi sono 622 sullo spezzettato territorio palestinese e di confine. Sono piccoli o grandi posti di blocco dove ogni persona si deve fermare e farsi riconoscere e lasciati passare o rispediti a casa molto spesso dipendente dall’umore dei giovanissimi militari che sono di guardia. Tutto questo mi fa riflettere come l’apatheid sudafricano fosse forse meno crudele e sadico. E questo si nota anche nella costruzione delle strutture architettoniche che utilizzano per controllare il popolo palestinese.
Un esempio di architettura al servizio dell’apparato militare è il famoso muro che divide questi territori per oltre 460 km che sono già stati costruiti e altri 260 km ancora da costruire per arrivare ai programmati 736 km totali. Nemmeno il sistema d’apartheid sudafricano al picco della sua barbarie era arrivato a costruire un muro. Ma sembra che la moda del muro per “dividere” sembra prendere piede anche in altre parti del mondo. Come ad esempio a Rio de Janeiro dove vogliono costruire un muro che divide la città ricca e verde di foresta dalle favelas che in questi ultimi anni sono cresciute a vista d’occhio. Oppure in India al confine con il Pakistan giustificato per motivi di sicurezza. Nessun muro al mondo ha impedito a popoli di incontrarsi e nell’ organizzare la resistenza. Il muro di Berlino ne è stato un esempio eloquente. Ma l’uomo non impara dalla storia. Siamo molto corti di memoria!!!
Indubbiamente un muro alto 9 metri è l’annullamento della propria identità, spazio e tempo. La gente vive in Gaza e in Cisgiordania come in prigione. Sono chiusi a se stessi e al loro mondo. È la concretizzazione della cultura di guerra e occupazione. Quotidiano simbolo di violenza e di oppressione psicologica, fisica e morale. Filo spinato, cancelli, armi e carri armati e camionette militari.
E allora la gente e i giovani specialmente, resistono. E lo fanno con tanta creatività. A volte con tanta violenza. Sul lungo muro hanno disegnato pitture, caricature, slogans, graffiti, messaggi nonviolenti e anche molto forti. Artisti e attivisti politici e tantissimi giovani hanno utilizzato varie immagini per immaginare un mondo diverso da quello in cui vivono tutti i giorni. Molti disegni riproducono messaggi come la bandiera palestinese, la Kaffiyeh palestinese cioè la sciarpa tipica, slogan come “to exist is to resist”, “esistere è resistere”. O anche scale dipinte fino in cima al muro che vogliono scavalcarlo. Oppure una porta di uscita dipinta sul muro per simboleggiare la libertà. Uno dei luoghi dove sono dipinti murales e graffiti più interessanti è il muro che circonda Betlemme, la città della nascita di Gesù, nostro Liberatore. Ci sono una marea di colori e disegni, slogans dipinti da tantissime persone: palestinesi e tanta gente da tante parti del mondo che sono venuti qui in solidarietà in tutti questi anni. Hanno voluto lasciare il loro segno di condivisione, nonviolenza e di sogno per un mondo migliore. E’uno dei tanti modi di resistere nonviolentemente ad una oppressione fisica, militare. Un’occupazione che ha un strategia continua di lento soffocamento territoriale. Non è facile vivere in queste condizioni da sessanta anni.Ii
AL-NAKBA, LA CATASTROFE!
Ogni anno il popolo ebreo celebra il giorno dell’indipendenza il 14 Maggio ricordando, lo storico giorno della costituzione di Israele a Stato. Ogni anno il popolo palestinese commemora al-Nakba, la catastrofe! Esattamente il giorno dopo! Al Nakba è l’appellativo che i Palestinesi danno al 15 maggio 1948! 61 anni fa! Data in cui lo stato d'Israele si è impossessato delle terre, delle case e delle vite del popolo palestinese. Al Nakba è stato il giorno in cui il popolo palestinese si è trasformato in una nazione di rifugiati interni e all’estero. 750.000 Palestinesi sono stati espulsi dalle loro case e sono stati costretti a vivere nei campi profughi. Molti di quelli che non sono riusciti a scappare sono stati uccisi. Mi hanno aiutato molto a capire la realtà palestinese letture e incontri vari ma anche la lettura di un paio di libri di un vescovo della Chiesa cattolica-melchita, Elias Chacour che allora era un ragazzino ma che nei suoi due libri scritti: Fratelli di sangue e We belong to the Land – Noi apparteniamo alla terra, racconta la sofferenza e quella della sua famiglia e quello del suo popolo palestinese. Lui stesso fu profugo nel suo stesso paese e ancora oggi continua a lottare per la costruzione di un dialogo con gli ebrei e per una soluzione pacifica ma nella giustizia di questa questione così complessa ma che evidenzia forte oppressione e supruso. Come lui, molti altri hanno tentato e cercato di creare le premesse per un saggio cammino comune tra questi due popoli che sono fratelli. Come non ricordare che tutte e due i popoli si riferiscono ad Abramo, padre nella fede? E anche che per molti decenni e secoli hanno vissuto fianco a fianco in accettazione e cammino comune sulla stessa terra?Nel 1948 più del 60% della popolazione palestinese è stato espulso. Più di 530 villaggi palestinesi sono stati evacuati e distrutti completamente. Finora Israele ha impedito il ritorno di circa sei milioni di rifugiati palestinesi e continua ancora oggi a cercare di espellere i palestinesi dalla loro terra. Queste operazioni assumono di volta in volta forme e nomi diversi, attualmente vengono chiamati “trasferimenti”.
Come non rendersi conto di tutto questo in questa terra così preziosa per tutte e due i popoli? E come potrei godere dell’oro scoperto nella mia presenza qui in luoghi così cari chi di storia, senza ascoltare il grido di dolore di un popolo oppresso? Anche a rischio di essere tacciato di anti-semitismo. Ma è chiedere giustizia senza condannare un altro popolo, quello ebreo che ha già scontato il suo inferno nella sua storia recente e passata.Anche i rifugiati palestinesi nella loro storia sono fuggiti in diversi posti, in diaspora; alcuni sono fuggiti nei paesi limitrofi intorno alla Palestina: Egitto, Siria, Libano, Giordania. Altri sono fuggiti all'interno della Palestina ed hanno vissuto nei campi profughi, costruiti appositamente per loro dalle agenzie ONU, e centinaia di migliaia si sono dispersi in vari paesi del mondo. Tutti questi rifugiati hanno un sogno in comune: ritornare nelle loro case di origine, e questo sogno è rinnovato ogni anno attraverso la commemorazione della Nakba.
Il caso dei profughi palestinesi è oggi il più considerevole come numero di persone coinvolte ed anche quello che si protrae da più tempo, rispetto agli altri casi di rifugiati nel mondo.Più di 6 milioni di persone, che rappresentano i tre quarti del popolo palestinese e quasi un terzo della popolazione mondiale dei rifugiati, rimangono senza una soluzione definitiva della loro condizione. Più della metà dei profughi palestinesi non godono dei diritti di base, quali sicurezza fisica, libertà di movimento ed accesso all’impiego. La maggior parte dei rifugiati palestinesi vive ospite negli stati arabi confinanti, soprattutto in campi di profughi nella Cisgiordania oppure nei paesi ospitanti. I profughi palestinesi in Libano hanno un trattamento diverso e più discriminatorio rispetto a quelli che vivono negli altri paesi arabi. Non hanno diritti civili e sociali. Non c’è diritto al lavoro, alla proprietà, alla residenza, alla salute, all’istruzione e all’assistenza, alla sicurezza, e neanche diritto di associazione e di libero movimento.
Prima del 1948 i Palestinesi possedevano più del 90% della terra in Palestina, oggi ne possiedono o hanno accesso solo al 20%. Secondo il diritto internazionale (risoluzione ONU n.194 dell'11 dicembre 1948) i rifugiati hanno il diritto di ritornare nelle loro case di origine, avere la restituzione della proprietà e la compensazione per le perdite e i danni subiti. Ma invano!
I profughi palestinesi registrati dall'UNRWA (agenzia ONU per i rifugiati) nel 2007 sono 4.504.169 distribuiti fra i 59 campi profughi in Giordania (10 campi), Libano (12 campi), Siria (10 campi), Cisgiordania (19 campi) e Gaza (8 campi).Territorio Nr. campi ufficiali Prof. registrati Prof. reg. nei campi
Giordania 10 1.880.740 330.468Libano 12 411.005 217.441Siria 10 446.925 120.383Cisgiordania 19 734.861 187.916Gaza 8 1.030.638 481.180Totale 59 4.504.169 1.337.388(Dati aggiornati al 2007)E’ anche interessante leggere libri e saggi di cittadini israeliani che rileggono la storia del loro paese e del loro popolo in maniera critica e obiettiva. È il caso di giornalisti come Gideon Levy ma anche di Ilan Pappe, professore di storia che ha anche ricevuto minacce di morte per ciò che scrive sulla storia di Israele. Da poco ha pubblicato un libro dal titolo “Storia della Palestina moderna” edito dalla Einaudi. Questo è uno dei suoi tanti scritti:“…………Tra febbraio e dicembre del 1948 l’esercito israeliano ha occupato sistematicamente i villaggi e le città palestinesi, facendo fuggire con la forza la popolazione e nella maggior parte dei casi anche distruggendo le case, devastando le proprietà e portando via loro averi e i loro ricordi. Una vera e propria pulizia etnica. Durante questa pulizia etnica ogni volta che vi è stata resistenza da parte della popolazione questa è stata sempre massacrata……….La comunità internazionale era al corrente di questa pulizia ernica, ma decise, soprattutto in occidente, di non scontrarsi con la comunità ebraica in Palestina dopo l’olocausto…….Le operazioni di pulizia etnica non consistono solo nell’annientare una popolazione e cacciarla dalla terra. Perché la pulizia etnica sia efficace è necessario cancellare quel popolo dalla storia, dalla memoria.Gli Israeliani sono molto bravi a fare ciò e lo realizzano in due modi. Sulle rovine dei villaggi palestinesi costruiscono insediamenti per i coloni chiamandoli con nomi che richiamano quello precedente. Un monito ai palestinesi: ora il territorio è nelle nostre mani e non c’è possibilità di far tornare indietro l’orologio.Oppure costruiscono spazi ricreativi che sono l’opposto della commemorazione: vivere la vita, goderla nel divertimento e nel piacere.E’ un strumento formidabile per un atto di “memoricidio”……..”
MA ANCHE GLI EBREI TEMONO LA “CATASTROFE” ..….
Gli ebrei israeliani però temono anche loro la catastrofe. Una catastrofe di tipo nuovo, come la definisce Zeev Bielski parlamentare neo-eletto nelle liste di Kadima dopo essere stato dal 2005 presidente dell’Agenzia ebraica e dell’Organizzazione sionista mondiale. E’ una notizia che ho letto nella rivista Terra Santa periodico della Custodia Francescana. Una sciagura che consiste nello scollamento e nella disaffezione degli ebrei della diaspora rispetto allo Stato di Israele. Bielski ha scritto un articolo recentemente su un quotidiano locale con accenti preoccupati.
Per documentare che i legami tra Israele e le nuove generazioni degli ebrei diasporici vanno allentandosi, Bielski offriva alcuni dati. Anzitutto diminuisce il tasso di natalità e aumentano in modo consistente i matrimoni con non-ebrei, visti con preoccupazione perché affievoliscono il senso di appartenenza all’ebraismo: si arriva al 50% nel Nord America, all’80% in Russia, al 40% in Francia e Inghilterra, al 45% in Brasile e Argentina. Tra i giovani ebrei nordamericani sotto i 35 anni solo il 24% aderisce ad associazioni ebraiche, e solo uno su due nutre un senso di appartenenza al suo popolo. Uno su quattro si considera sionista; oltre il 60% non ha mai messo piede in Israele. Proprio per questo, sottolineava il deputato è nell’interesse e obbligo dello Stato Ebraico fare tutto il possibile perché tra gli ebrei della diaspora ritorni forte il senso di appartenenza e si recuperi interesse per la lingua, la religione e la cultura giudaica. Ne va del futuro stesso di Israele in quanto questa giovane nazione conta moltissimo sugli ebrei della diaspora sia finanziariamente ma soprattutto anche per le giovani coppie che vengono invitate a rientrare in Israele e stanziarsi negli insediamenti di coloni sparsi nel paese. Un calo di migrazione ebrea e natalità che nel paese è molto bassa diventeranno sicuramente una delle priorità di questo governo ma anche dei prossimi.
Se poi ci mettiamo anche l’immigrazione di stranieri e profughi che vengono spesso dai paesi in guerra, dalla violenza o piegati dalla carestia dell’Africa nera, passando spesso per l’Egitto, sfidando la morte. E molti ci restano nel deserto o uccisi dai militari. Secondo l’Authority sull’immigrazione israeliana, si tratta di un flusso compreso tra i 400 e i 600 immigrati al mese. Una marea di profughi che ha ormai raggiunto le 20.000 unità. È un numero enorme se pensiamo che appunto i coloni ebrei che sono ritornati in Israele nel 2007 per insediarsi definitivamente sono stati poco più di 18 mila e in diminuzione rispetto agli scorsi anni.
Dal Corno d’Africa non si fugge solo via terra, verso Israele. Nel 2008, si sono susseguiti sbarchi di somali, etiopi ed eritrei sulle coste del vicino Yemen. Anche qui come nel Mediterraneo molti africani con barconi trovano la morte nel mare oppure sulle spiagge yemenite. Chi ce la fa tenta in tutti i modi di passare i deserti che da queste parti sono davvero trappole di morte.
Come vedi ci sarebbero mille ragioni perché a tutti gioverebbe un dialogo sincero di pace basato sulla giustizia, mutuo rispetto e fraterna accoglienza al di là della storia, ideologie e religioni diverse. Il continuo conflitto porterà soltanto ad una guerra fratricida e all’annientamento dei due popoli.
E ORA IL VIAGGIO DI PAPA BENEDETTO XVI°.…..
E proprio in questo complicato e teso contesto politico, sociale e interreligioso che il Papa verrà in visita alla Terra Santa. Ci sono tante aspettative. Da parte degli ebrei, dei musulmani e dei cristiani. Ognuno vorrà avere un posto al sole in un modo o nell’altro in questo viaggio difficile . Queste che riporto sono alcune delle dichiarazioni di alcune persone che stanno preparando a nome di tanti questa visita. Sono tratte dalla rivista Bocche Scucite dell’amico don Nandino Capovilla, coordinatore in Italia per Pax Christi della campagna per il popolo palestinese “Ponti non muri!”
"Sarà un evento storico. Gli abitanti del campo profughi di Aida attendono con gioia il Papa e gli diranno tutta la loro sofferenza direttamente.Questa visita dimostra che il Papa riconosce i diritti del popolo palestinese, in particolare il diritto dei rifugiati al ritorno. Il Papa passerà attraverso il campo di Aida, ossia proprio sotto il muro di separazione. Sua Santità, che è tedesco, è ben consapevole delle sofferenze dei palestinesi e sa cosa sia un muro di separazione. La sua visita darà ai profughi di Aida la speranza che le tenebre in cui sono immersi un giorno finiranno, la speranza che il muro crollerà quando finalmente la pace regnerà in questa terra grazie ai negoziati per tutelare i diritti dei palestinesi"
Padre Majdi Syriani, sacerdote del Patriarcato Latino, nominato dal Vaticano e dalla Chiesa locale per la Commissione della Visita del Santo Padre
"Questa visita coincide quasi esattamente con il 61° anniversario della Nakba (catastrofe). Anche se i media internazionali sembrano accordarsi sul presentare unicamente il punto di vista israeliano sul conflitto ignorando le sofferenze del popolo palestinese, musulmani e cristiani che qui vivono insieme da sempre, sono certi che il Papa quando vedrà le condizioni di oppressione in cui vivono i palestinesi potrà misurare l'impatto del muro, torri e zone militari. La sua visita darà al mondo l'immagine del dolore e della disperazione del popolo palestinese, che languisce anelando alla libertà, all'indipendenza e alla fine dell' occupazione."
Dott. Issa Qaraqe ', membro del Parlamento palestinese e della Commissione per la Visita del Santo Padre
29 aprile 2009. L'esercito israeliano è entrato a Betlemme per bloccare i lavori di allestimento del palco installato dall'autorità palestinese a ridosso del muro che circonda Aida Camp. Il Papa e le telecamere di tutto il mondo non devono vedere un tratto degli oltre 700 chilometri di muro! L'esercito ha dichiarato che "il muro è un' area militare e che i palestinesi non hanno ottenuto il permesso per costruire a pochi metri dalla barriera il palco" sul quale il papa leggerà un discorso e assisterà ad un spettacolo di danze popolari. Il palco insomma, va spostato. E il muro?
In un intervista rilasciata da padre David Neuhaus, ebreo e gesuita, docente al Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme ma anche segretario del vicariato per i cattolici di lingua ebraica in Israele ha affermato in maniera molto chiara:
“Prima di tutto e soprattutto i cristiani attendono la visita del loro pastore. Si aspettano che egli venga come testimone di Cristo risorto. Si attendono una parola di consolazione e di speranza nella difficile situazione in cui vivono. Forse c’è maggior bisogno che parli ai nostri giovani. Sono alla ricerca di quanto la loro fede può significare in questa situazione di costante guerra e crisi, in cui i cristiani si trovano a vivere come un piccolissimo gregge. Qual’è il senso della loro testimonianza non solo per essi stessi ma per la Chiesa universale? Quali sono le ragioni per cui dovrebbero continuare a restare qui in Terra Santa piuttosto che emigrare in paesi in cui la vita potebbe essere più facile? Nell’aspetto delle relazioni con l’ebraismo, i progressi compiuti nel dialogo ebraico-cristiano in Occidente (soprattutto in Europa e negli Stati Uniti) non si applicano pienamente in questa terra a causa della cruda realtà politica che fa sì che gli ebrei israeliani e i palestinesi e gli altri arabi cristiani si ritrovino spesso sul versante opposto degli schieramenti politici. Non bisogna dimenticare che oltrettutto i cristiani qui in Terra Santa sono una minoranza piccola, inerme e vulnerabile mentre gli ebrei sono una maggioranza schiacciante e forte. Qui c’è bisogno di relazioni ebrei/cristiani molto particolari rispetto ad altri contesti mondiali dove l’ebraismo è minoranza. Gli aspetti politici del viaggio saranno senz’altro i più delicati. Gli ebrei mirano al riconoscomento dello Stato di Israele e della rivendicazione ebraica sulla terra che ha sì una valenza politica, ma anche teologica e spirituale. I cristiani invece, che sono prevalentemente palestinesi, chiedono giustizia, democrazia e uguaglianza. In effetti anche all’interno della Chiesa c’è tensione tra queste due linee di tendenza: una che, spesso unilateralmente, promuove la riconciliazione storica con il popolo giudaico e l’altra che invoca a gran voce giustizia e pace per i palestinesi. Due posizioni che non dovrebbero stare l’una contrapposta all’altra, ma spesso lo sono per via del conflitto tra ebrei israeliani e palestinesi. Ogni parola e ogni azione del Papa verranno meticolosamente analizzate per attribuirle all’una o all’altra di queste due posizioni. Il che renderà ogni parola pronunciata e ogni atto compiuto estremamente delicati.”
Purtroppo per il Papa ci sono già stati altri precedenti anche recenti di dichiarazioni e disappori mediatici che hanno causato “tensioni e incomprensioni” sia con il mondo islamico che ebreo e dei media. E qui abbiamo tutta la triade delle più grandi religioni presenti in una città, Gerusalemme, che ha sempre dimostrato di essere “esplosiva” storicamente. Tutti gli occhi del mondo saranno puntati su questo piccolo paese mediorientale proprio per vedere come si comporterà Benedetto XVI, purtroppo anche dopo le vicissitudini dopo il suo primo viaggio in Africa. Le valenze però qui sono molto forti e delicate. Recentemente gli è stata anche consegnata una lettera intitolata: “Non dimentichi…!” E’ stata firmata da oltre 3000 persone che amano la Palestina e i popoli che ci vivono. Chiedono al Papa di non dimenticare la storia e l’oppressione che c’è stata ma anche che esiste ancora oggi. E Gaza è soltanto l’anello ultimo di una lunga catena….. Mi auguro anch’io che il Papa abbia il coraggio di parlare con verità e coraggio, senza paura e troppa diplomazia che non aiuterebbe a fare dei passi verso un vero processo di pace. Ma anche io non dimentico che chi ha invitato il Papa a venire in Terra Santa è stato proprio il governo di Israele per festeggiare la chiusura proprio in questi giorni del suo 60° annivesario della sua costituzione come Stato. Infatti in onore di questo 60° sono passati tutti i capi di stato che riconosco Israele come Stato sovarno. E che il governo stesso abbia investito circa 8 milioni di euro per migliorie in preparazione della sua visita guardando al futuro: immagine, affermazione politica, turismo, investimenti e in cerca di un “alleato fedele” per sostenerlo nelle crisi che costantemente emergono con il popolo Palestinese.
E LA MIA GERUSALEMME……
E io continuo il mio cammino di preghiera, aggiornamento e approfondimento nella fede e nella vita quotidiana incontrando gente. Persone di tante nazionalità, culture, religioni e costumi. Qui è proprio l’ombelico del mondo come dice il talmud ma anche tante leggende e tradizioni islamiche e cristiane. Sono felice di esserci e di aver vissuto fino ad ora momenti e incontri molto arricchenti e umanamente e spiritualmente toccanti. È logico che non si può essere inermi e neutri al vedere soprusi e oppressioni quotidiane in questa terra che ha dato alla luce un uomo-Dio, Gesù, che ha cambiato i parametri e i valori di un mondo confuso e violento già nel suo tempo. E ancor più oggi dove abbiamo grande bisogno di saggezza biblica per vivere meglio come uomini e donne del nostro tempo. Il valore più grande di cui abbiamo bisogno nell’epoca attuale è il “discernimento” che è fondamento per la vita cristiana. Cioè il saper scegliere, saper separare con la mente e con il cuore, con la preghiera ciò che è bene per la vita umana e ciò che invece è male, che ci fa sentire inadeguati, tristi, non pienamente vivi.
Lo studio della Bibbia, della sua storia e della sua geografia mi sta aiutando molto ad entrare sempre di più nel mistero di una incarnazione di Dio che comprendo sempre di più. Perché Gesù è nato qui, in questa terra martoriata e dilaniata dai conflitti da oltre 3.000 anni? Quante dominazioni e oppressione, sangue, divisioni e suprusi. Eppure Dio-Gesù ha voluto nascere qui per darci ancora una volta una lezione di grande Amore proprio un’area di questo mondo sempre in conflitto, fino ad ora!! Quindi era ed è proprio necessario nascere in un contesto di grande separazione umana per dirci e darci una lezione di Vita, Pace e Solidarietà con l’uomo, con gli uomini di tutte le razze che in effetti sono passati da qui nel corso della sua storia. Oggi leggere la Bibbia o i Vangeli ha un valore più grande per me dopo aver visto, letto, incontrato, toccato e soprattutto cercato di entrar dentro questo Mistero di fede in un territorio e in un contesto preciso. Dio continua a parlarci oggi e lo fa attraverso i tanti profeti e comunità che credono profodamente nella pace qui in Palestina, come in Congo, Kenya, Somalia, Iraq, Sri Lanka, Afganistan, Sudan e tante altre realtà a rischio. Ne sono pienamente grato a Dio per avermi aiutato a osare di più in questo mio cammino di vita.
UN VIAGGIO NON PREVISTO….
Prima di iniziare la settimana santa, durante la quaresima sono tornato in Italia per una settimana per celebrare un grande evento. Questo viaggio non previsto è stato voluto fortemente da Giovanni e Luisa, amici e padrini spirituali che mi hanno seguito in tutta la mia formazione comboniana: dal noviziato ad oggi. E’ una bellissima coppia di Teglio, in Valtellina. Loro hanno ora circa 85 anni e a marzo celebravano il loro 60° anno di matrimonio. Davvero una semplice e bella festa vissuta in famiglia dove si celebravano i valori fondamentali della vita nella loro storia: amore, pazienza, gioia, rispetto reciproco, sacrificio, sofferenza, fedeltà, croce, perseveranza e umorismo. E ad aumentare la mia stima e affetto per questa speciale coppia è il fatto che non hanno mai avuto figli. Eppure sono insieme da sempre….sin dalla loro giovinezza con tanto amore reciproco come ai vecchi tempi. Credo che sia il segno chiaro e lampante che quando tra un uomo e una donna si pone Dio come fondamento, nulla è impossibile a Lui insieme a noi. E così in tante vocazioni e missione. Grazie di cuore Giovanni e Luisa!! Siete Luce e Lampada ai nostri passi! Cento di questi anni!!
LA SETTIMANA SANTA A GERUSALEMME
La domenica delle Palme è iniziata con una grande processione che per tradizione evangelica inizia proprio a Betfage. Un piccolo villaggio sulle pendici del Monte degli Ulivi. Non molto lontano dalla città di Gerusalemme ma anche vicinissimo a Betania, alla casa delle suore comboniane dove vivo. In questa zona del Monte degli Ulivi, Gesù era solito venire spesso a riposarsi, a dormire quando veniva a Gerusalemme. Oppure a visitare gli amici Lazzaro, Marta e Maria proprio a Betania 3 km dalla città. Da una piccola cappella francescana è partita una immensa processione umana, composta di volti e di storie disparate e provenienti da tutte le parti del mondo. Una grande presenza di arabi palestinesi cristiani della parrocchia locale con i loro sacerdoti che con canti e preghiere hanno aiutato tutti ad entrare in questo momento di festa: l’entrata di Gesù, nostro salvatore e re a Gerusalemme. Tante bande musicali di giovani cristiani palestinesi ci accompagnavano con la loro musica cadenzata, rulli di tamburi e creando un’atmosfera di convivialità di culture e provenienze diverse della gente che era accorsa per questa tradizionale processione annuale. Ma questo evento racchiude anche un grande mistero che Gesù consapevole della sua morte portava in sé quel giorno preciso. Una convivialità delle differenze ma che un uomo-Dio ha saputo mettere insieme, in comunione, per Amore.
La settimana si è sviluppata sulla preparazione al triduo pasquale in maniera profonda, nelle diverse chiese soprattutto al Santo Sepolcro. Ho avuto proprio in quei giorni la grazia di riincontrare proprio nella casa delle comboniane un grande amico padre missionario della congregazione dello Spirito Santo: padre Patrick O’Toole, irlandese. Con lui abbiamo fatto un pezzo di strada insieme durante la nostra permanenza di qualche anno a Nairobi con le nostre comunità di Korogocho e Mukuru Kwa Njenga. Senza volerlo e programmarlo ci siamo ritrovati insieme a celebrare tutta questa settimana santa. E’ stato un grande dono del Signore per me, per noi perché ci ha permesso di scambiarci molto fraternamente e onestamente le difficoltà, le sfide ma anche le gioie della vita missionaria che abbiamo condiviso nelle rispettive baraccopoli. Certamente il pensiero, il condividere, la preghiera e l’affetto che ci legano alla gente del Kenya è grande e non potevamo non esprimerlo profondamente tra noi e soprattutto con il Signore in questo tempo speciale. Specialmente in questo tempo nel quale la situazione politica ed economica del paese stesso non sta andando per niente bene. Dobbiamo pregare e renderci partecipi di questa situazione perché non degeneri come l’anno scorso in un bagno di sangue e di grandi divisioni che ancora oggi emergono ancora più forti.
A lui si è aggiunta anche la presenza nella nostra comunità di una sorella del Sacro Cuore, Suor Toya, spagnola. Molto simpatica e ricettiva, semplice e amante della vita vera. Si è unita a noi ed è entrata in forte sintonia con noi due che stavamo vivendo forse inconsapevolmente una grande Grazia del Signore. Padre Pat al termine della settimana santa è ritornato definitivamente in Irlanda per continuare la sua missione là. Dice che vuole prepararsi a vivere gli ultimi anni della sua vita umilmente e al servizio ancora della gente del suo paese.
I giorni sono passati veloci ma intensi. E così ci siamo preparati anche noi al triduo pasquale in modo particolare. Siamo andati a fare una giornata di deserto nel vicino Deserto di Giuda che vediamo dalle finestre della casa comboniana. Sul fondo, oltre alle dune di sabbia rossastra, si intravede il Mar Morto e le montagne della Giordania, altri stupendi luoghi di vita cenobitica dei primi secoli del cristianesimo. Nel deserto abbiamo camminato, pregato, ascoltato il silenzio e ammirato la natura e la sua bellezza e durezza del paesaggio solitario. Ma sempre con grande fascino. Il deserto di S.Giovanni Battista e di tanti monaci che hanno scelto di vivere in solitudine per ascoltare profondamente il messaggio di Dio. Abbiamo così visitato il monastero di S.Giorgio nel Wadi Kelt, un torrente nel deserto che nasce da una sorgente sotterranea e che va direttamente nel Mar Morto. La natura rifiorisce a nuova vita, accanto all’acqua che diventa oro passando tra la sabbia e le rocce. Nel monastero i monaci Greco-Ortodossi ci hanno accolto con grande calore e offrendoci bevande per dissetarci dalla calura del giorno. Dopo qualche conversazione fraterna con loro e visita al monastero, giù di nuovo a piedi verso Gerico che stava nella valle sottostante. Il giorno successivo ci siamo immersi nel dolore e sofferenza dello Yad Vashem di Gerusalemme, il museo dell’olocausto ebreo durante la seconda guerra mondiale. 6 milioni di ebrei innocenti eliminati dalla follia umana. Un grande silenzio avvolgeva le numerose sale frequentate da migliaia e migliaia di pellegrini e di turisti o di ebrei che venivano da tante parti del mondo. Il dolore e morte di innocenti soffocati dall’assurdità e dall’accecamento umano per il potere, l’ideologia e interessi personali e di un popolo. Abbiamo ricordato i tanti genocidi avvenuti nel corso della storia umana: armenia, russia, rwanda, gaza e palestina, iraq e tanti altri. Il sangue innocente di Gesù continua ad essere versato in tante parti del mondo e in tutti i periodi della storia. È proprio vero che l’uomo fa grande fatica ad imparare dalla propria storia. E la recente guerra di Gaza ne è la prova!! Un crimine di guerra commesso da un popolo un tempo oppresso che diventa oggi oppressore!
Questa settimana coincideva come sempre anche con la preparazione alla Pasqua ebraica. Una delle sensazioni che si vivono qui a Gerusalemme è che quasi ogni settimana siamo in festa o per una religione o per l’altra. È un fatto molto bello che ti dà il senso della diversità e della ricerca di Dio. Ma allo stesso tempo crea tensioni in città per ragioni di sicurezza ed eventuali dimonstrazioni o altro. Durante l’anno, ogni settimana da venerdi a domenica abbiamo tutte e tre le grandi religioni che celebrano la loro festa in giorno diverso: venerdi, sabato e domenica. E’ interessante vedere ebrei, musulmani e cristiani vivere questi momenti di festa in questi giorni diversi. E tutti che fanno riferimento alla città vecchia dove ci sono i più importanti luoghi di culto delle tre religioni. E poi c’è tutto il calendario liturgico proprio. E di feste ce ne sono parecchie. Quindi una città “quasi sempre in festa”!!!
Il triduo è trascorso veloce rievocando i momenti più importanti di Gesù con i suoi discepoli ma anche la passione e morte del Signore. I luoghi storici che richiamavano questi momenti forti erano immersi da folle oceaniche che era a volte difficile vivere nel dovuto rispetto e silenzio. Ma per noi era importante esserci….per portare nomi e storie di tante persone che portiamo nel cuore proprio qui nel cuore della Cristianità e del mondo. La via crucis sulla via Dolorosa del venerdi santo è stata una confusione grandissima perché la gente era tantissima e non si riusciva a camminare. Mi chiedevo spesso durante il tempo del cammino e della preghiera strettamente in latino cosa attirasse davvero tutta questa gente che camminava stretti stretti l’un l’altro attraverso le piccolissime viuzze (i suk) della città vecchia. Davvero l’amore per Cristo oppure folklore? Del così fan tutti….? Una speranza grande che con la stessa intensità e pazienza del camminare la via crucis sia per tutti noi un cammino paziente nella storia dell’uomo, davvero seguendo il Maestro che sta avanti. Camminavamo in mezzo a tanti negozi di vario tipo. E i musulmani che ci guardavano meravigliati per la tanta gente che seguiva la funzione ma altri anche un po’ scocciati da una presenza invadente. Giungere al Golgota, al Santo Sepolcro alla tomba di Gesù è stato un momento forte. Lì abbiamo depositato tutte le pene e sofferenze di popoli, persone precise e volti della nostra gente. Una grande speranza che Lui ci aiuti ad entrare sempre più nel suo mistero di amore.
La vigilia di Pasqua l’abbiamo voluta vivere vegliando! E così siamo rimasti tutta la notte al Santo Sepolcro….aspettando le donne che venivano a cercarlo! Quella notte abbiamo avuto l’opportunità di partecipare a liturgie diverse perché nel Santo Sepolcro vi sono diverse Chiese Ortodosse. Per noi era la vigilia di Pasqua ma per gli Armeni, Etiopi, Greco-Ortodossi e Copti iniziava la settimana santa. Era la domenica delle Palme. Una settimana dopo di noi per ragioni legate al calendario liturgico che quest’anno non combaciava con il nostro. E’ una delle tante contraddizioni del nostro cristianesimo che cerca la comunione e l’unità ma che nella storia durante i secoli han visto divisioni e lotte anche con sangue tra le stesse chiese cristiane. E ancora oggi c’è una suddivisione all’interno del Santo Sepolcro regolato da un decreto dello Status Quo del 1800 sottoscritto e imposto a tutti dall’imperatore Ottomano a Gerusalemme di quel tempo. Come vedete abbiamo ancora da camminare per l’unità anche del Cristianesimo e delle nostre Chiese, non solo del mondo.
Le liturgie si sono susseguite ininterrottamente per tutta la notte al sepolcro di Cristo. I sacerdoti e persone delle varie chiese pregavano insieme e lasciavano poi il posto a quelli successivi dopo qualche ora. E così è passata la notte. Abbiamo cercato di essere in comunione di preghiera con tutti. Anche nelle loro liturgie che possono anche essere strane o lontane dalle nostre ma che esprimono la dimensione profonda della ricerca spirituale dell’uomo e della sua sensibilità in varie parti del mondo. La ricerca dell’unità nella diversità! E non dobbiamo scordare che Cristo è morto per tutti e sicuramente non gioisce nel realizzare come il mondo è ancora tanto diviso.
La domenica di Pasqua, durante la messa mattutina era difficilissimo seguire la liturgia perché in quel momento anche gli altri celebravano le loro liturgie e nel Santo Sepolcro non si possono usare altoparlanti. Quindi vi lascio immaginare la confusione e le grida di una moltitudine in festa. Ma anche tanti turisti che veniva solo per curiosare e partecipare agli eventi. Ma ciò che contava era che Gesù era Risorto! Di nuovo mi e ci ha donato nuova vita e passione per il nuovo!! La vita è risorta dalla morte! Così come nella nostra esperienza personale!
Il lundì dell’Angelo, molto presto insieme a una cinquantina di persone provenienti da tutti i continenti del mondo abbiamo camminato verso Emmaus (Nicopolis). Ci siamo trovati al Cenacolo dove Gesù celebrò l’ultima cena e dove i discepoli erano nascosti nel tempo della passione e morte di Gesù. Da lì abbiamo camminato per circa 32 km in mezzo agli stupendi colori e fiori delle campagne e pinete delle montagne circostanti. Abbiamo letto il Vangelo dei due discepoli di Emmaus che volevamo umilmente e indegnamente rappresentare in questa giornata particolare. Anche noi con le nostre tristezze e dolori ma sicuri che Gesù inaspettatamente si sarebbe messo in cammino con noi. E lo fa tutti i giorni della nostra vita, su tutte le strade che portano all’Emmaus degli uomini. “E lo riconobbero allo spezzare del pane….” Abbiamo anche noi celebrato l’eucaristia nel pomeriggio dopo un lungo cammino, stanchi ma contenti. Con la bellezza di aver spezzato le nostre storie e vite nel raccontarcele durante il percorso. Cristo è veramente Risorto!
ED ORA?
Ieri ho concluso gli studi allo Studio Biblico Francescano che ho frequentato in questi mesi. Ho salutato gli amici studenti. Sabato inizierò il mio mese ignaziano/comboniano dai padri Bianchi qui a Gerusalemme, in via Dolorosa presso la piscina probatica del Vangelo dove ci raccontano la guarigione di un paralitico. Rimarrò immerso nel silenzio e nella preghiera per fare sintesi di ciò che ho vissuto in questi ultimi 7 mesi qui in questa terra preziosa ma soprattutto della vita e missione che Lui mi ha affidato fino ad ora. Sono certo un tempo di Grazia da condividere con voi nello Spirito. Al termine di questo tempo forte partirò per la Turchia per 15 giorni, con gli studenti professori, padri, suore e laici con i quali studio. Sulle orme di S.Paolo visitando i luoghi delle prime comunità cristiane fondate dall’Apostolo delle Genti e anche dagli altri Apostoli. Un’occasione più unica che rara che non capita tutti i giorni. E’ un altro grande dono che sento il Signore mi concede. L’oro della fede!
Tornato dalla Turchia, la mia ultima tappa sarà un pellegrinaggio a piedi da Nazaret, villaggio di Gesù, Maria e Giuseppe, passando dal lago di Galilea fino a Gerusalemme. Più o meno circa 200 km sulle orme di Gesù e dei discepoli nei luoghi ancora oggi suggestivi e importanti per la cristianità e le Scritture. A metà luglio tornerò in Italia dove sicuramente ci potremo vedere prima o poi, prima di ripartire per l’Africa of course!!! Ti porterò anche in questo pellegrinaggio a piedi che voglio offrire per la pace in Palestina, in Africa, per noi comboniani che ci prepariamo al capitolo generale nel mese di settembre 09 e per il Sinodo Africano nel mese di ottobre 09. Che sia davvero tempo di Grazia per tutti noi!!! Prega per me! Io lo farò per te!
Un mondo di Pace e Bene!!! Mungu akubariki
p. Daniele Moschetti
Missionario Comboniano
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