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Pochi ancora lo sanno, ma il 17 aprile 2016 siamo chiamati alle urne per un referendum contro la durata indefinita delle trivellazioni per combustibili fossili (gas naturale e petrolio) a mare.
Dopo la dichiarazione di inammissibilità da parte della Corte costituzionale (9 marzo 2016) relativa ad altri due quesiti referendari, rimane un unico quesito referendario che sarà sottoposto ai cittadini italiani.
E’ l’unico rimasto, dopo il vaglio di ammissibilità della Corte di cassazione e della Corte costituzionale, di un pacchetto di quesiti referendari che puntavano ad amputare le norme del c.d. decreto Sblocca Italia (convertito nella legge n. 164/2014) che assegnavano allacompetenza statale le autorizzazioni per ricerche ed estrazioni di fonti energetiche, in quanto risorse strategiche nazionali. Norme poi parzialmente modificate proprio per evitare le relative consultazioni referendarie.
Il Governo Renzi, è bene premetterlo, con una furbata degna di miglior causa, ha fissato la data della consultazione per il 17 aprile 2016, evitando l’accorpamento con le elezioni amministrative della prossima primavera: l’intento nemmeno nascosto è quello di far fallire il referendum per mancato raggiungimento del quorum. In ogni caso, si spenderanno colpevolmente centinaia di milioni di euro in più per l’organizzazione della consultazione.
Il referendum.
Eccolo:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?”
E’ il cosiddetto referendum “No-Triv”: una consultazione per decidere se vietare il rinnovo delle concessioni estrattive di gas e petrolio per i giacimenti entro le 12 miglia dalla costa italiana.
Sono state le assemblee di nove regioni a chiedere il referendum: Basilicata, Marche, Puglia,Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Una raccolta di firme per presentare il referendum era fallita lo scorso inverno.
L’esito del referendum sarà valido solo se andranno a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto.
L’art. 6, comma 17°, del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i. attualmente stabilisce:
“17. Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonchè di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia marine dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, oltre che per i soli idrocarburi liquidi nella fascia marina compresa entro cinque miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l’intero perimetro costiero nazionale. Per la baia storica del Golfo di Taranto di cui all’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1977, n. 816, il
divieto relativo agli idrocarburi liquidi è stabilito entro le cinque miglia dalla linea di costa. Al di fuori delle medesime aree, le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività di cui al primo periodo. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del presente comma. Resta ferma l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla stessa data. Dall’entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente comma è abrogato il comma 81 dell’articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239”
divieto relativo agli idrocarburi liquidi è stabilito entro le cinque miglia dalla linea di costa. Al di fuori delle medesime aree, le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività di cui al primo periodo. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del presente comma. Resta ferma l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla stessa data. Dall’entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente comma è abrogato il comma 81 dell’articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239”
La situazione attuale.
La maggior parte delle 66 concessioni estrattive marine che ci sono oggi in Italia si trovano oltre le 12 miglia marine dalla costa, non coinvolte dal referendum.
Il referendum riguarda soltanto 21 concessioni che invece si trovano entro questo limite: una in Veneto, due in Emilia-Romagna, uno nelle Marche, tre in Puglia, cinque in Calabria, due in Basilicata e sette in Sicilia.
Le prime concessioni che scadranno sono quelle degli impianti più vecchi, realizzati negli anni ’70 del secolo scorso. Il quadro normativo prevede che le concessioni abbiano una durata iniziale di trent’anni, prorogabile una prima volta per altri dieci, una seconda volta per cinque e una terza volta per altri cinque: al termine della concessione, le aziende possono chiedere di prorogare la concessione fino all’esaurimento del giacimento.
Se al referendum dovessero vincere i “sì”, gli impianti delle 21 concessioni di cui si parla dovranno chiudere tra 5-10 anni. Gli ultimi impianti, cioè quelli che hanno ottenuto le concessioni più recenti, dovrebbero chiudere tra circa vent’anni.
In tutto in Italia ci sono circa 130 piattaforme offshore utilizzate in processi di estrazione o produzione di gas e petrolio. L’80% di tutto il gas naturale che viene prodotto in Italia (e che soddisfa circa il 10 per cento del fabbisogno nazionale) viene estratto dal mare, così come circa il 25% di tutto il petrolio estratto in Italia.
Nessuno al momento ha calcolato quale percentuale di gas e petrolio viene prodotta entro le 12 miglia marine, né quanto sono abbondanti le riserve che si trovano in quest’area.
Che cosa accade in caso di vittoria del “sì” al referendum.
Una vittoria referendaria del “sì” non modificherebbe la possibilità di compiere nuove trivellazioni oltre le 12 miglia marine (come quelle in progetto nei mari sardi, per esempio) e nemmeno la possibilità di cercare e sfruttare nuovi giacimenti sulla terraferma. Le nuove trivellazioni entro le 12 miglia marine sono già vietate dalla legge (art. 6, comma 17°, del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.). Una vittoria dei “sì” al referendum impedirà l’ulteriore sfruttamento degli impianti già esistenti una volta scadute le concessioni.
Per esempio, il giacimento di Porto Garibaldi Agostino, al largo di Cervia, in Romagna, è in concessione all’ENI ed è sfruttato da sette piattaforme di estrazione. La concessione risale al 1970 ed è stata rinnovata per dieci anni nel 2000 e per cinque nel 2010. In caso di vittoria del sì, l’ENI potrà ottenere una seconda e ultima proroga per altri cinque: dopo sarà costretta ad abbandonare il giacimento, anche se nei pozzi si trovasse ancora del gas naturale.
Le motivazioni dei Consigli regionali promotori, dei Comitati “No Triv” e di buona parte delle associazioni ambientaliste (Greenpeace, WWF, ecc.), riuniti nel Comitato nazionale “No Triv”, sono sostanzialmente politiche: dare al Governo un segnale contrario all’ulteriore sfruttamento dei combustibili fossili e a favore di un maggior utilizzo di fonti energetiche alternative. In minor misura si paventano danni al turismo.[1]
Contrari gli Amici della Terra, perché una chiusura dei pozzi oggi ancora aperti entro le 12 miglia marine dalla costa aumenterebbe solo le importazioni di combustibili fossili, che rappresentano ancora il 79% circa del fabbisogno energetico nazionale (in realtà sarebbe il 62,2%, secondo i dati Terna s.p.a., 2014).
Il comitato “Ottimisti e razionali“ raggruppa i fautori del “no”, secondo cui l’Italia estrae sul suo territorio circa il 10 per cento del gas naturale e del petrolio che utilizza, evitando il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere, con benefici ambientali. Inoltre, in caso di vittoria referendaria dei “sì”, verrebbero meno numerosi posti di lavoro nel settore estrattivo, cosa in realtà tutta da dimostrare.
E’ vero che una vittoria referendaria dei “sì” avrebbe effetti pratici limitati, tuttavia è semplicemente assurdo prevedereconcessioni estrattive di combustibili fossili (gas naturale, petrolio) senza limiti temporali, lasciati alla mercè delle aziende energetiche entro la zona di mare di immediata prossimità alla costa (12 miglia marine dal litorale), cioè quella più delicata.
Sarebbe certamente anche un forte segnale politico al Governo Renzi (e a qualsiasi altro futuro Governo): non si può agire senza controlli nel campo della politica energetica e ambientale con la scusa dell’interesse strategico nazionale, così come prevede il c.d. decreto Sblocca Italia (convertito nella legge n. 164/2014) e come sta di fatto accadendo per esempio per i nuovi inceneritori imposti in varie regioni.
Votiamo e facciamo votare “sì” al referendum contro la durata illimitata della concessioni di estrazione petrolifera e di gas a mare: otterremo così un vantaggio forse modesto per l’ambiente, ma grande per la democrazia!
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
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[1] Secondo Pro e contro il referendum sulle trivellazioni (Il Post, 8 marzo 2016), “questa settimana Greenpeace ha pubblicato uno studio realizzato dall’ISPRA, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca, che mostra come tra il 2012 e il 2014 ci siano stati dei superamenti dei livelli stabiliti dalla legge per gli agenti inquinanti nel corso della normale amministrazione di alcuni dei 130 impianti attualmente in funzione in Italia. Non sembra però che i valori fossero particolarmente preoccupanti”.
(tabella da http://www.imille.org, foto National Geographic, A.N.S.A., Cristiana Verazza, S.D., archivio GrIG)
fonte: http://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2016/03/13/referendum-contro-la-durata-indefinita-delle-trivellazioni-a-mare-votiamo-e-facciamo-votare-si/
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