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martedì 22 marzo 2016

ORRORE E TERRORE A BRUXELLES: UNA SOLA RISPOSTA POSSIBILE


Je suis européen et citoyen du monde
#‎nonviolenza‬

La guerra è il più grande crimine contro l'umanità, che la facciano le bombe dei terroristi di Daesh o le bombe sganciate da aerei di eserciti regolari. Oggi piangiamo le vittime di Bruxelles e condanniamo i carnefici assassini. Oggi abbiamo bisogno di mezzi di soccorso per salvare i feriti dell'attentato e i profughi in fuga dall'inferno. Oggi sentiamo la mancanza di una polizia efficiente contro i criminali terroristi e di una polizia internazionale per fermare i criminali di guerra. Oggi dobbiamo difendere i diritti umani di tutti, dei turisti e cittadini innocenti come delle popolazioni che subiscono i bombardamenti indiscriminati.
Oggi e domani dev'essere il momento della nonviolenza, l'unica via per salvare l'umanità dal suo suicidio.

Mao Valpiana
presidente del Movimento Nonviolento
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Mao Valpiana
verona

mao@nonviolenti.org

Abbiamo solo bisogno di amore
(John - Paul - George - Ringo)
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Nonviolenti mailing list
Nonviolenti@nonviolenti.org

domenica 13 marzo 2016

Referendum contro la durata indefinita delle trivellazioni a mare: votiamo e facciamo votare sì!


3 Votes

Balena franca nordatlantica (Eubalaena glacialis) con piccolo
Balena franca nordatlantica (Eubalaena glacialis) con piccolo
Pochi ancora lo sanno, ma il 17 aprile 2016 siamo chiamati alle urne per un referendum contro la durata indefinita delle trivellazioni per combustibili fossili (gas naturale e petrolio) a mare.
Dopo la dichiarazione di inammissibilità da parte della Corte costituzionale (9 marzo 2016) relativa ad altri due quesiti referendari, rimane un unico quesito referendario che sarà sottoposto ai cittadini italiani.
E’ l’unico rimasto, dopo il vaglio di ammissibilità della Corte di cassazione e della Corte costituzionale, di un pacchetto di quesiti referendari che puntavano ad amputare le norme del c.d. decreto Sblocca Italia (convertito nella legge n. 164/2014) che assegnavano allacompetenza statale le autorizzazioni per ricerche ed estrazioni di fonti energetiche, in quanto risorse strategiche nazionali. Norme poi parzialmente modificate proprio per evitare le relative consultazioni referendarie.
Il Governo Renzi, è bene premetterlo, con una furbata degna di miglior causa, ha fissato la data della consultazione per il 17 aprile 2016, evitando l’accorpamento con le elezioni amministrative della prossima primavera: l’intento nemmeno nascosto è quello di far fallire il referendum per mancato raggiungimento del quorum.  In ogni caso, si spenderanno colpevolmente centinaia di milioni di euro in più per l’organizzazione della consultazione.
Roma, Corte di cassazione
Roma, Corte di cassazione
Il referendum.
Eccolo:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?”
E’ il cosiddetto referendum “No-Triv”: una consultazione per decidere se vietare il rinnovo delle concessioni estrattive di gas e petrolio per i giacimenti entro le 12 miglia dalla costa italiana.
Sono state le assemblee di nove regioni a chiedere il referendum: BasilicataMarchePuglia,SardegnaVenetoCalabriaLiguriaCampania e Molise. Una raccolta di firme per presentare il referendum era fallita lo scorso inverno.
L’esito del referendum sarà valido solo se andranno a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto.
17. Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonchè di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia marine dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, oltre che per i soli idrocarburi liquidi nella fascia marina compresa entro cinque miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l’intero perimetro costiero nazionale. Per la baia storica del Golfo di Taranto di cui all’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1977, n. 816, il
divieto relativo agli idrocarburi liquidi è stabilito entro le cinque miglia dalla linea di costa. Al di fuori delle medesime aree, le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività di cui al primo periodo. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del presente comma. Resta ferma l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla stessa data. Dall’entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente comma è abrogato il comma 81 dell’articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239
quadro delle istanze di prospezioni petrolifere (da L'Unione Sarda, 2014)
quadro delle istanze di prospezioni petrolifere (da L’Unione Sarda, 2014)
La situazione attuale.
La maggior parte delle 66 concessioni estrattive marine che ci sono oggi in Italia si trovano oltre le 12 miglia marine dalla costa, non coinvolte dal referendum.
Il referendum riguarda soltanto 21 concessioni che invece si trovano entro questo limite: una in Veneto, due in Emilia-Romagna, uno nelle Marche, tre in Puglia, cinque in Calabria, due in Basilicata e sette in Sicilia.
Le prime concessioni che scadranno sono quelle degli impianti più vecchi, realizzati negli anni ’70 del secolo scorso. Il quadro normativo prevede che le concessioni abbiano una durata iniziale di trent’anni, prorogabile una prima volta per altri dieci, una seconda volta per cinque e una terza volta per altri cinque: al termine della concessione, le aziende possono chiedere di prorogare la concessione fino all’esaurimento del giacimento.
Se al referendum dovessero vincere i “sì”, gli impianti delle 21 concessioni di cui si parla dovranno chiudere tra 5-10 anni. Gli ultimi impianti, cioè quelli che hanno ottenuto le concessioni più recenti, dovrebbero chiudere tra circa vent’anni.
In tutto in Italia ci sono circa 130 piattaforme offshore utilizzate in processi di estrazione o produzione di gas e petrolio. L’80% di tutto il gas naturale che viene prodotto in Italia (e che soddisfa circa il 10 per cento del fabbisogno nazionale) viene estratto dal mare, così come circa il 25% di tutto il petrolio estratto in Italia.
Nessuno al momento ha calcolato quale percentuale di gas e petrolio viene prodotta entro le 12 miglia marine, né quanto sono abbondanti le riserve che si trovano in quest’area.
uccello marino incatramato
uccello marino incatramato
Che cosa accade in caso di vittoria del “sì” al referendum.
Una vittoria referendaria del “sì” non modificherebbe la possibilità di compiere nuove trivellazioni oltre le 12 miglia marine (come quelle in progetto nei mari sardi, per esempio) e nemmeno la possibilità di cercare e sfruttare nuovi giacimenti sulla terraferma. Le nuove trivellazioni entro le 12 miglia marine sono già vietate dalla legge (art. 6, comma 17°, del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.).    Una vittoria dei “sì” al referendum impedirà l’ulteriore sfruttamento degli impianti già esistenti una volta scadute le concessioni.
Per esempio, il giacimento di Porto Garibaldi Agostino, al largo di Cervia, in Romagna, è in concessione all’ENI ed è sfruttato da sette piattaforme di estrazione. La concessione risale al 1970 ed è stata rinnovata per dieci anni nel 2000 e per cinque nel 2010. In caso di vittoria del sì, l’ENI potrà ottenere una seconda e ultima proroga per altri cinque: dopo sarà costretta ad abbandonare il giacimento, anche se nei pozzi si trovasse ancora del gas naturale.
CIL-2014Le ragioni del “sì”, le ragioni del “no”.
Le motivazioni dei Consigli regionali promotori, dei Comitati “No Triv” e di buona parte delle associazioni ambientaliste (Greenpeace, WWF, ecc.), riuniti nel Comitato nazionale “No Triv”, sono sostanzialmente politiche: dare al Governo un segnale contrario all’ulteriore sfruttamento dei combustibili fossili e a favore di un maggior utilizzo di fonti energetiche alternative. In minor misura si paventano danni al turismo.[1]
Contrari gli Amici della Terra, perché una chiusura dei pozzi oggi ancora aperti entro le 12 miglia marine dalla costa aumenterebbe solo le importazioni di combustibili fossili, che rappresentano ancora il 79% circa del fabbisogno energetico nazionale (in realtà sarebbe il 62,2%, secondo i dati Terna s.p.a., 2014).
Il comitato “Ottimisti e razionali raggruppa i fautori del “no”, secondo cui l’Italia estrae sul suo territorio circa il 10 per cento del gas naturale e del petrolio che utilizza, evitando il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere, con benefici ambientali. Inoltre, in caso di vittoria referendaria dei “sì”, verrebbero meno numerosi posti di lavoro nel settore estrattivo, cosa in realtà tutta da dimostrare.
stendardo GrIGLa posizione del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus.
E’ vero che una vittoria referendaria dei “sì” avrebbe effetti pratici limitati, tuttavia è semplicemente assurdo prevedereconcessioni estrattive di combustibili fossili (gas naturale, petrolio) senza limiti temporali, lasciati alla mercè delle aziende energetiche entro la zona di mare di immediata prossimità alla costa (12 miglia marine dal litorale), cioè quella più delicata.
Sarebbe certamente anche un forte segnale politico al Governo Renzi (e a qualsiasi altro futuro Governo): non si può agire senza controlli nel campo della politica energetica e ambientale con la scusa dell’interesse strategico nazionale, così come prevede il c.d. decreto Sblocca Italia (convertito nella legge n. 164/2014) e come sta di fatto accadendo per esempio per i nuovi inceneritori imposti in varie regioni.
Votiamo e facciamo votare “sì” al referendum contro la durata illimitata della concessioni di estrazione petrolifera e di gas a mare: otterremo così un vantaggio forse modesto per l’ambiente, ma grande per la democrazia!
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

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[1] Secondo Pro e contro il referendum sulle trivellazioni (Il Post, 8 marzo 2016), “questa settimana Greenpeace ha pubblicato uno studio realizzato dall’ISPRA, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca, che mostra come tra il 2012 e il 2014 ci siano stati dei superamenti dei livelli stabiliti dalla legge per gli agenti inquinanti nel corso della normale amministrazione di alcuni dei 130 impianti attualmente in funzione in Italia. Non sembra però che i valori fossero particolarmente preoccupanti”.

Gabbiano reale (Larus michahellis, foto Cristiana Verazza)
Gabbiano reale (Larus michahellis, foto Cristiana Verazza)

(tabella da http://www.imille.org, foto National Geographic, A.N.S.A., Cristiana Verazza, S.D., archivio GrIG)

fonte: http://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2016/03/13/referendum-contro-la-durata-indefinita-delle-trivellazioni-a-mare-votiamo-e-facciamo-votare-si/

sabato 12 marzo 2016

FERMIAMO LA CACCIA AL LUPO IN LIGURIA. FERMIAMO LA LEGA NORD!

Il lupo, dopo essere stato sterminato dall’uomo, è un animale protetto dall’Unione europea ed è tornato a vivere anche sui monti della Liguria grazie a un lungo e faticoso lavoro di ripopolamento.
Senza nessun approccio scientifico e nessun rispetto per gli equilibri fragili dell’ecosistema regionale, l’Assessore all’Ambiente della Liguria è già pronto a imbracciare il fucile per andare a caccia dei lupi.
Chiediamo alla Regione di rafforzare invece gli strumenti di rilevazione e monitoraggio del lupo e conservazione e gestione con metodi non cruenti, anche promuovendo un serio confronto scientifico nella comunità (università, enti locali, allevatori e agricoltori, associazioni); chiediamo poi alla Regione di domandare nella Conferenza Stato-Regioni un incremento dei fondi necessari, incluso per risarcire i danni subiti da allevatori e agricoltori.

firma su:
https://www.change.org/p/fermiamo-la-caccia-al-lupo-in-liguria?source_location=petitions_share_skip

giovedì 10 marzo 2016

FERMARE LE GUERRE, NON LE PERSONE...

"Fermate la guerra e noi non verremo in Europa", con poche parole un tredicenne spiega al mondo l'esodo siriano

Alessandra Teichner, L'Huffington Post   03/09/2015 

"Fermate la guerra in Siria, e noi non verremmo in Europa". Schietto come solo un bambino potrebbe dirlo. E infatti è stato proprio un tredicenne a spiegare con queste parole alle telecamere di Al Jazeera la motivazione dell'esodo dei siriani verso l'Europa: la guerra.
Insieme a tanti altri è giunto a Budapest con la sorellina, fuggito da Daraa, città della Siria. I suoi occhi sembrano rassegnati, e con umiltà ed estrema lucidità, in poche parole (e in perfetto inglese), lancia un appello al mondo, che sembra quasi una preghiera.
Nell'inquadratura di Al Jazeera si nota attorno a lui un gruppo di adulti, accennano un sorriso intenerito, osservano come le sue parole così semplici riescano a dipingere una realtà così complessa.

"Alla polizia non piacciono i siriani, in Serbia, in Ungheria, in Macedonia, in Grecia" dice il bambino. "Perciò, qual è il tuo messaggio", gli chiede il giornalista. "Il mio messaggio è: per favore, aiutate i siriani. I siriani hanno bisogno di aiuto adesso. Fermate la guerra adesso. Semplicemente fermate la guerra. Solo questo".

il 17 aprile un bel SI' al referendum contro le trivellazioni....

Il 17 aprile, oltre a votare SI contro le trivellazioni petrolifere, deve essere un SI per lanciare un grido per volere una nuova politica energetica nazionale. La domanda che occorre farsi è: 
MA DAVVERO VOGLIAMO RISCHIARE DI AVERE QUESTO?
Diffondiamo, tutti devono essere coscienti e consapevoli che può accadere questo (Purtroppo).



mercoledì 9 marzo 2016

Una petizione per salvare un lembo della Costa ligure...FIRMATE!

Alla c.a.         Presidente del Consiglio dei Ministri
            Presidente Regione Liguria
            Presidente della Provincia di Savona
            Soprintendenza per i Beni Ambientali della Liguria
            Soprintendenza per i Beni Archeologici
                        Sindaco Comune di Albissola Marina
                        Sindaco Comune di Savona
                        Presidente Autorità portuale di Savona

e p.c.              Il Secolo XIX
                        La Stampa
                        Repubblica
                        Il Fatto Quotidiano
                        Corriere della Sera
                        Il Giornale
                        Il Manifesto
                        IVG (Il Vostro Giornale)
                        Savonanews
                        Uominiliberi
                        Trucioli
                        Il Letimbro
                        Campanassa
                        RSVN

Con la presente esprimiamo il nostro più totale dissenso alla realizzazione del porticciolo turistico con relativa edilizia residenziale, nel tratto compreso fra la zona del Molo Verde e la spiaggia della Madonnetta.

Ancora una volta si sono già sacrificati posti di lavoro esistenti e generati da questo litorale e si vuole distruggere la certezza di una risorsa ambientale ed economica che valorizza questo territorio, sulla promessa di un progetto che, anche in un recente studio sui porti turistici realizzato da una delle maggiori società internazionali di consulenza per gli investitori del settore, non è nemmeno menzionato tra i progetti di rilievo previsti sulla costa Ligure.  
La realizzazione del porto, nel sito attualmente individuato, implicherebbe la perdita definitiva dell'ultimo tratto di costa, scarsamente antropizzato, compreso tra la zona S. Cristoforo e lo scoglio della Madonnetta, perfettamente balneabile.  
Tale tratto, periodicamente monitorato ai sensi di legge, è stato appena classificato come “eccellente”, ai fini della balneazione, ai sensi del D.Lgs 116/08.  
In questo tratto sono presenti due arenili con una superficie complessiva di circa 5000 mq,  e con uno sviluppo lineare di circa 400 m. Le spiagge, per le cittadine balneari a vocazione turistica, rappresentano un bene irrinunciabile ed una risorsa, unica e preziosa, da salvaguardare.
Gli arenili attualmente presenti nelle Albissole, risultano, in taluni casi, già insufficienti ad accogliere la massa di turisti, nei periodo di maggiore afflusso. Le poche spiagge libere rimaste, risultano, talvolta, impraticabili. Gli stabilimenti balneari espongono, abitualmente, la domenica, il cartello “completo”. Non è raro osservare asciugamani posati nelle aiuole della passeggiata, o ombrelloni, nella barra del Torrente Sansobbia.
Le spiagge sono il nostro “oro”!
La realizzazione del porto oltre, a cancellare i tratti di arenile attualmente presenti, potrebbe produrre fenomeni erosivi a levante. Il Comune di Albissola Marina, in tal senso, non escludendo a priori, evidentemente, questo rischio, ha richiesto, in sede di Conferenza dei Servizi, come prescrizione, la presentazione di uno studio idraulico e meteo marino completo, preventivo.
 
Da un punto di vista ambientale, la stessa Sentenza del Consiglio di Stato n° 4545/2015, nell'individuare un'incoerenza dell'iter procedimentale, e nel determinare, al punto 8, l'invalidità derivata della “Variante di Aggiornamento del Piano Territoriale di Coordinamento della Costa” nella DGR 936/2011, fa salve le valutazioni tecniche, in materia ambientale, contenute al suo interno e non nega l'incidenza negativa del porto, sull'habitat naturale.
Nello specifico, la sentenza, cita espressamente la presenza del madreporario Oculina patagonica, che, come approfondito nello stesso documento regionale, trova rifugio esclusivo, tra i comuni di Savona e Albisola Marina (insieme alle altre specie Pinna nobilis e Cladocora caespitosa).
La DGR 936/2011 aggiunge, che: “Risulta l’unico tratto residuo in un arco costiero di circa 13 km” “La realizzazione del porto turistico  provocherebbe la distruzione dell’habitat marino costituito dalle scogliere naturali emerse e sommerse; in considerazione della limitata estensione del sito, ogni ulteriore riduzione incide pesantemente sul suo significato ecologico; l’insieme delle considerazioni svolte obbliga alla posizione cautelativa di mantenerne inalterate le condizioni di estensione (già critiche) ed idrodinamiche del sito: né l’una né l’altra condizione risulterebbero soddisfatte dalla realizzazione di un nuovo sito portuale. Infine occorre considerare che il nuovo impianto nautico occuperebbe una significativa superficie di arenile, intaccando l’attuale patrimonio delle spiagge liguri”.
La sentenza sovracitata, dopo la discussione degli aspetti ambientali, nel medesimo paragrafo, dettaglia che: “ogni più opportuna scelta localizzativa nonché ulteriori e diverse prescrizioni conformative sui contenuti degli elaborati progettuali da approvare potranno essere assunte dagli organi competenti in esito all’ulteriore tratto procedimentale che dovrà essere compiuto in esecuzione della presente pronuncia”. La logica sequenziale del  paragrafo 7, sembrerebbe auspicare l'opportunità, di individuare un sito alternativo, proprio alla luce degli aspetti ambientali, citati dalla stessa sentenza.
Da un punto di vista sociale, la spiaggia della Madonnetta rappresenta un punto di ritrovo importante, da decenni. E' frequentata da tante famiglie, della zona, con bambini. Da quando sono stati chiusi gli stabilmente balneari la spiaggia, nonostante la evidente scomodità, non è stata abbandonata. Anzi. E' stata autogestita da abitanti della zona. Un ottimo esperimento...che ha funzionato. Le famiglie hanno continuato a frequentare la spiaggia. A queste si aggiungono decine di turisti. E' un arenile frequentatissimo, nonostante l’attuale, pressoché totale, assenza di servizi.
Noi riteniamo necessaria la “riqualificazione” della zona, ma nella direzione della salvaguardia e valorizzazione dell’arenile attualmente presente, dello specchio acqueo antistante, e della costa rocciosa compresa tra lo scoglio della Madonnetta e quello della Margonara.
 Il tratto di costa compreso tra lo scoglio della Margonara e gli ex bagni San Cristoforo, per noi, NON RAPPRESENTA UNA ZONA DEGRADATA, ma una VERA E PROPRIA ATTRATTIVA, in termini economici, sociali e ambientali, da salvaguardare e valorizzare come testimoniano le centinaia di bagnanti che ogni anno continuano a sceglierla e i proprietari dei natanti che è frequentissimo vedere sostare proprio davanti a questo tratto !

Gruppi FB:
Margonara Viva
Madonnetta Forever
Gruppo Mamme Margonara
Salviamo la Madonnetta e le spiagge della Margonara!!
Bagni S. Cristoforo

https://www.change.org/p/margonara-madonnetta-gmail-com-salviamo-la-margonara-dal-cemento?recruiter=49405959&utm_source=share_petition&utm_medium=copylink

domenica 6 marzo 2016

17 aprile: vota SI



Il prossimo 17 aprile si terrà un referendum popolare. Si tratta di un referendum abrogativo, e cioè di uno dei pochi strumenti di democrazia diretta che la Costituzione italiana prevede per richiedere la cancellazione, in tutto o in parte, di una legge dello
Stato. 
Perché la proposta soggetta a referendum sia approvata occorre che vada a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto e che la maggioranza dei votanti si esprima con un “Sì”.
Hanno diritto di votare al referendum tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto la maggiore età. Votando “Sì” i cittadini avranno la possibilità di cancellare la norma sottoposta a referendum.

Dove si voterà?

Si voterà in tutta Italia e non solo nelle Regioni che hanno promosso il referendum. Al referendum potranno votare anche gli italiani residenti all’estero.

Quando si voterà?

Sarà possibile votare per il referendum soltanto nella giornata di domenica 17 aprile.

Cosa si chiede esattamente con il referendum del 17 aprile 2016?

Con il referendum del 17 aprile si chiede agli elettori di fermare le trivellazioni in mare. In questo modo si riusciranno a tutelare definitivamente le acque territoriali italiane. Nello specifico si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Nonostante, infatti, le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero più scadenza certa.
Se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere occorre votare “Sì” al referendum. In questo modo, le attività petrolifere andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento
del rilascio delle concessioni.

Qual è il testo del quesito?

Il testo del quesito è il seguente: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto
degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?».

È possibile che qualora il referendum raggiunga la maggioranza dei “Sì” il risultato venga poi “tradito”?

A seguito di un eventuale esito positivo del referendum, il Parlamento o il Governo non potrebbero modificare il risultato ottenuto. La cancellazione della norma che al momento consente di estrarre gas e petrolio senza limiti di tempo sarebbe immediatamente operativa. L’obiettivo del referendum è chiaro e mira a far sì che il divieto di estrazione entro le 12 miglia marine sia assoluto. Come la Corte costituzionale ha più volte recisato, il Parlamento non può successivamente modificare il risultato che si è avuto con il referendum, altrimenti lederebbe la volontà popolare espressa attraverso la consultazionereferendaria.
Qualora però non si raggiungesse il quorum pr evisto perché il referendum sia valido (50% più uno degli aventi diritto al voto), il Parlamento potrebbe fare ciò che vuole: anche prevedere che si torni a cercare ed estrarre gas e petrolio ovunque.

È vero che se vincesse il “Sì” si perderebbero moltissimi posti di lavoro?

Un’eventuale vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. Un esito positivo del referendum non farebbe cessare immediatamente, ma solo progressivamente, ogni attività petrolifera in corso. Prima che il Parlamento introducesse la norma sulla quale gli italiani sono chiamati alle
urne il prossimo 17 aprile, le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di trenta anni (più altri venti, al massimo, di proroga). E questo ogni società petrolifera lo
sapeva al momento del rilascio della concessione. Oggi non è più così: se una società petrolifera ha ottenuto una concessione nel 1996 può – in virtù di quella norma – estrarre fino a quando lo desideri. Se, invece, al referendum vincerà il “Sì”, la società petrolifera che ha ottenuto una concessione nel 1996 potrà estrarre per dieci anni ancora e basta, e cioè fino al 2026.
Dopodiché quello specifico tratto di mare interessato dall’estrazione sarà libero per sempre.

L’Italia dipende fortemente dalle importazioni di petrolio e gas dall’estero. Non sarebbe opportuno, al contrario, investire nella ricerca degli idrocarburi e incrementare l’estrazione di gas e petrolio?

L'aumento delle estrazioni di gas e petrolio nei nostri mari non è in alcun modo direttamente collegato al soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale. Gli idrocarburi presenti in Italia appartengono al patrimonio dello Stato, ma lo Stato dà in
concessione a società private – per lo più straniere – la possibilità di sfruttare i giacimenti esistenti. Questo significa che le società private divengono proprietarie di ciò che viene estratto e possono disporne come meglio credano: portarlo via o magari
rivendercelo. Allo Stato esse sono tenute a versare solo un importo corrispondente al 7% del valore della quantità di petrolio estratto o al 10% del valore della quantità di gas estratto.
Non tutta la quantità di petrolio e gas estratto è però soggetta a royalty. Le società petrolifere non versano niente alle casse dello Stato per le prime 50.000 tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno e godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo. Nell’ultimo anno dalle royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle casse dello Stato solo 340 milioni di euro.

Il rilancio delle attività petrolifere non costituisce un’occasione di crescita per l’Italia?

Secondo le ultime stime del Ministero dello Sviluppo Economico effettuate sulle riserve certe e a fronte dei consumi annui nel nostro Paese, anche qualora le estrazioni petrolifere e di gas fossero collegate al fabbisogno energetico nazionale, le risorse rinvenute sarebbero comunque esigue e del tutto insufficienti. Considerando tutto il petrolio presente sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale di greggio per 8 settimane.
La ricchezza dell’Italia è, in verità, un’altra: per esempio il turismo, che contribuisce ogni anno circa al 10% del PIL nazionale, dà lavoro a quasi 3 milioni di persone, per un
fatturato di circa 160 miliardi di euro; la pesca, che si esercita lungo i 7.456 km di costa entro le 12 miglia marine, produce circa il 2,5% del PIL e dà lavoro a quasi 350.000 persone; il patrimonio culturale, che vale 5,4% del PIL e che dà lavoro a circa 1 milione e 400.000 persone, con un fatturato annuo di circa 40 miliardi di euro; il comparto agroalimentare, che vale l’8,7% del PIL, dà lavoro a 3 milioni e 300.000 persone con un
fatturato annuo di 119 miliardi di euro e che nel solo 2014 ha conosciuto l’esportazione di prodotti per un fatturato di circa 34,4 miliardi di euro; e soprattutto la piccola e media impresa, che conta circa 4,2 milioni di piccole e medie “industrie” (e, cioè, il 99,8% del totale delle industrie italiane), e che costituisce il vero motore dell’intero sistema economico nazionale: tali imprese assorbono l'81,7% del totale dei lavoratori del nostro Paese, generano il 58,5% del valore delle esportazioni e contribuiscono al 70,8% del PIL. Il solo comparto manifatturiero, che conta circa 530.000 aziende, occupa circa 4,8 milioni di addetti, fattura 230 miliardi di euro l’anno, equivalente al 13% del PIL nazionale, e
contribuisce al totale delle esportazioni del Made in Italy nella misura del 53,6%.

Però gli italiani utilizzano sempre di più la macchina per spostarsi. Non è un controsenso?

Ciò che si estrae in Italia non è necessariamente destinato alla produzione del carburante per le autovetture ed ancor meno per quelle in circolazione nel nostro Paese.
Ad ogni modo, gli italiani si trovano spesso costretti ad utilizzare l'auto di proprietà. A fronte di un sistema di trasporti pubblici gravemente lacunoso non hanno praticamente scelta. In alcuni Paesi del Nord Europa l’utilizzo dell'auto privata è spesso avvertito come un “peso” e ritenuto economicamente non vantaggioso. Le cose andrebbero diversamente se si perseguisse una seria politica dei trasporti pubblici. Secondo l’Unione europea, rispetto agli altri Stati membri, l’Italia è al riguardo agli ultimi posti.

Cosa ci si attende?

Il voto referendario è uno dei pochi strumenti di democrazia a disposizione dei cittadini italiani ed è giusto che i cittadini abbiano la possibilità di esprimersi anche sul futuro energetico del nostro Paese. Nel dicembre del 2015 l’Italia ha partecipato alla Conferenza ONU sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi, impegnandosi, assieme ad altri 185 Paesi, a contenere il
riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi e a seguire la strada della decarbonizzazione.
Fermare le trivellazioni in mare è in linea con gli impegni presi a Parigi e contribuirà al raggiungimento di quell’obiettivo.
È necessario, nel frattempo, affrontare il problema della transizione energetica, puntando anche sul risparmio e sull’efficienza energetica e investendo da subito nel settore
delle energie rinnovabili, che potrà generare progressivamente migliaia di nuovi posti di lavoro.
Il tempo delle fonti fossili è scaduto: è ora di aprire ad un modello economico alternativo.

Perché questo referendum?

Per tutelare i mari italiani, anzitutto. Il mare ricopre il 71% della superficie del Pianeta e svolge un ruolo fondamentale per la vita dell’uomo sulla terra. Con la sua enorme moltitudine di esseri viventi vegetali e animali – dal fitoplancton alle grandi balene –
produce, se in buona salute, il 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe fino ad 1/3 delle emissioni di anidride carbonica prodotta dalle attività antropiche.
La ricerca e l’estrazione di idrocarburi ha un notevole impatto sulla vita del mare: la ricerca del gas e del petrolio attraverso la tecnica dell’airgun incide, in particolar modo, sulla fauna marina: le emissioni acustiche dovute all’utilizzo di tale tecnica può elevare il livello di stress dei mammiferi marini, può modificare il loro comportamento e indebolire il loro sistema immunitario.
Ricerca e trivellazioni offshore costituiscono un rischio anche per la pesca. Le attività di prospezione sismica e le esplosioni provocate dall’uso dell’airgun possono provocare danni diretti a un’ampia gamma di organismi marini – cetacei, tartarughe, pesci, molluschi e crostacei – e alterare la catena trofica.
Senza considerare che i mari italiani sono mari “chiusi” e un incidente anche di piccole dimensioni potrebbe mettere a repentaglio tutto questo.
Un eventuale incidente – nei pozzi petroliferi offshore e/o durante il trasporto di petrolio – sarebbe fonte di danni incalcolabili con effetti immediati e a lungo termine sull’ambiente, la qualità della vita e con gravi ripercussioni gravissime sull’economia turistica e della pesca.