Questo non è un appello. Non è una petizione. Non raccogliamo firme, né cerchiamo consensi.
Vogliamo solo offrire qualche spunto di riflessione per il dibattito che si sta sviluppando al seguito dei “venti di guerra” che provengono dallo scenario internazionale che oggi ci consegna una sponda del Mediterraneo
in fiamme, dalla Siria alla Libia, dall'Egitto al Libano (oltre naturalmente alla Palestina). Sull'altra sponda del Mediterraneo si affacciano i paesi occidentali, compresa l'Italia, impotenti sul piano politico, ma molto attivi sul piano del commercio delle armi, che vanno ad alimentare i massacri. In fondo al Mediterraneo ci sono migliaia di profughi in fuga dalle guerre.
Noi possiamo fare poco o niente sul piano immediatamente efficace per impedire il massacro. Nessuna sacrosanta richiesta ai potenti di fermare la guerra ha restituito la pace ai popoli. Non è accaduto a Belgrado, né a Bagdad, né a Kabul e nemmeno a Tripoli. Non accadrà a Damasco. Nè è nostro compito scegliere le parti per le quali parteggiare - tra dittatori di lungo corso, militari golpisti e fondamentalisti jihadisti -
laddove la verità è sempre la prima vittima delle guerre e le responsabilità tra oppressori e oppressi non sono separabili con l'accetta.
Quel che possiamo e dobbiamo fare nell'immediato è stare dalla parte delle vittime, accogliere e portare soccorso, alleviare le sofferenze, salvare singole vite. E' già molto, ma non basta. Come non basta condannare l'intervento armato e i suoi mandanti. E' necessario, ma non basta.
La Siria è piombata in una guerra "civile" (si fa per dire) a causa di una ventennale dittatura (accettata, tollerata, sostenuta dalle grandi potenze) che non ha acconsentito ad alcuna riforma, ma ha fatto
precipitare il paese in una escalation di violenza. A sua volta, l'opposizione pacifica al regime è stata presto messa ai margini da una preponderante contrapposta violenza armata, anche di matrice
fondamentalista jihadista (accettata, tollerata, sostenuta da altre potenze). Gli Stati Uniti con l'Arabia da una parte, la Russia con l'Iran dall'altra, l'Europa, la cosiddetta "comunità internazionale", sono stati a guardare la mattanza, con efferatezze da entrambe le parti, che ha prodotto finora quasi 100mila morti, sopratutto – come in tutte le guerre – tra i civili inermi: nessun tentativo di mediazione internazionale tra le parti, nessun intervento massiccio di intermediazione civile, nessuna presenza di osservatori internazionali, nessuna richiesta di cessate il fuoco da parte degli alleati di una parte e dell'altra, nessuna interruzione del flusso di armi ad entrambe le parti in guerra. A questo punto un intervento armato esterno, con i bombardamenti dall'alto dei
cieli, non solo è completamente privo di senso rispetto alla situazione specifica, non solo – come tutte le guerre – aggiunge crimine a crimine nei confronti della martoriata popolazione civile, non solo è senza alcuna
legittimità internazionale, ma è anche – nonostante il dispiegamento di potenti e terrificanti armamenti – un grave di segno di impotenza della comunità internazionale.
Del resto, tutti gli interventi militari internazionali in zone di conflitto (spesso avviate con pretesti risultati, a posteriori, costruiti a tavolino) non hanno portato ad alcuna stabilizzazione democratica e pacifica in nessuno scenario - dall'Iraq al Kosovo, dalla Somalia alla Libia, all'Afghanistan – ma hanno ulteriormente disastrato popolazioni e territori, aprendo ulteriori focolai di guerra, odio e terrorismo. Chi è responsabile di una guerra assassina in Afghanistan, con stragi di civili, non può farsi paladino dei diritti umani, nascondersi dietro il paravento di un intervento umanitario per punire l'uso di gas contro altri civili. L'opzione militare in Siria sarebbe destabilizzante per l'intera area, anche se l'obiettivo dichiarato è di un intervento limitato e mirato. Le guerre si sa come iniziano ma non si sa come finiscono. L'unica vera stabilizzazione al rialzo è sempre quella per i profitti delle multinazionali delle armi, unici soggetti che da tutte le guerra ne escono comunque trionfanti e pronti a ricominciare.
Non a caso, esattamente un anno fa, il 31 agosto 2012, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, dichiarava che la spesa militare globale annua, mai così alta nella storia dell'umanità, divisa
per i giorni dell'anno, è "di 4,6 miliardi di dollari al giorno, somma che, da sola, è quasi il doppio del bilancio delle Nazioni Unite per un anno intero". Il meccanismo è, dunque, sempre lo stesso: si impedisce alle
Nazioni Unite di agire per la pace con tutti i mezzi diplomatici e operativi possibili e necessari, privandole di quelle risorse che, invece, vanno a gonfiare le spese globali per gli armamenti. Per cui la guerra continua planetaria, che si sposta da uno scenario conflittuale all'altro, è sempre di più una profezia che si autoavvera.
Registriamo positivamente che in quest'ultima occasione il governo italiano abbia voluto finalmente prendere una posizione autonoma, diversa dagli alleati della Nato, rivendicando il ruolo delle Nazioni Unite e
riconoscendo al Parlamento la sovranità delle scelte di politica estera. Ci vuole anche altro, come l'immediata sospensione della produzione e commercio di armi con i paesi belligeranti (comprese le cosiddette armi
leggere), ma sappiamo riconoscere i segnali in controtendenza. A questo punto torna la domanda: ma noi cosa possiamo fare? Oltre ad esprimere la nostra irremovibile contrarietà a questa nuova escalation
internazionale della guerra siriana, foriera di imprevedibili effetti a catena su tutto lo scenario mediorientale, non ci dobbiamo stancare di operare e di chiamare tutti alla necessaria opera per la pace e la
nonviolenza.
Il nostro compito è operare bene e con convinzione, là dove siamo e possiamo, per il disarmo e la riduzione delle spese militari globali e nazionali, per il sostegno alle campagne contro il commercio italiano delle armi usate in tutte le guerre vicine e lontane, per la promuozione dei Corpi civili di pace come forze di intervento preventivo nei conflitti, per la difesa civile non armata e nonviolenta attraverso la formazione di giovani volontari civili, per sviluppare politiche culturali ed educative fondate sulla nonviolenza, per incalzare i nostri governi ad operarsi per la riforma e il rilancio delle Nazioni Unite che possano operare davvero con una legale e democratica polizia internazionale, come superamento degli eserciti, per il rispetto del diritto e la difesa degli aggrediti.
Contro la guerra e per la pace c'è sempre qualcosa da fare. Con la nonviolenza, tutti i giorni.
Movimento Nonviolento
www.nonviolenti.org
29 agosto 2013
giovedì 29 agosto 2013
mercoledì 21 agosto 2013
A RIMINI: ABILE E ARRUOLATO...
In un precedente post, parlando della campagna Scuole smilitarizzate, promossa da Pax Christi, avevo omesso il logo della campagna stessa. Rimedio ora, pubblicando questo post di Renato Sacco
L’opinione di…
A Rimini: abile, arruolato!
21 agosto 2013 - Renato Sacco (coordinatore nazionale di Pax Christi)
Tra poche ore, oggi 21 agosto, al Meeting di Rimini ci sarà una tavola rotonda con il ministro della Difesa Mario Mauro:“Sicurezza ed educazione nelle missioni di pace”. La mia è una lettera, come dire ‘preventiva’ (in quegli ambienti si usa dire così…). Non so come andrà, ma sicuramente le premesse ci sono tutte perché sia un successo. Insieme al ministro ci saranno generali e graduati vari, tutte persone ‘arruolate’, come la stessa Monica Maggioni, chiamata a introdurre il dibattito: una giornalista appunto arruolata (embededd) che ci ha raccontato la guerra in Iraq nel 2003 a bordo dei carri armati americani che entravano a Baghdad… mica storie, qui si fa sul serio. E anche l’informazione è una cosa seria!
Sarà certamente un dibattito ricco e interessante, non con le solite tiritere sulla guerra, sulla violenza, sulle spese militari, sull’articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra, sulla follia della guerra.
No, qui si parla di pace, mica di guerra. Anzi di ‘missioni’ di pace. Mica le solite storie di chi dice che la presenza militare italiana in Afghanistan costa 2 milioni di euro al giorno! O di chi avanza sospetti che la Cooperazione Italiana sia un po’… funzionale alla presenza militare, come dire un po’…‘arruolata’.
No no, qui a Rimini si parla di pace e di educazione. Mica come quelli che addirittura hanno lanciato una campagna “Scuole smilitarizzate. La scuola ripudia la guerra”. Ma pensa...
No, qui si parla di pace, e sono certo che il Ministro non si farà distrarre da queste provocazioni che lo porterebbero fuori strada. Il ministro ribadirà il suo concetto che per‘amare la pace bisogna armare la pace’, che gli F35 sono necessari per la pace e che bisogna mettere la persona al centro, ecc. ecc. Spero che non ci sia qualcuno che vada a tirar fuori le radici cristiane o faccia qualche citazione inopportuna, tipo ‘la guerra è il suicidio dell’umanità’, oppure ‘fede e violenza sono incompatibili’ o richiami una riflessione sull’attuale modello di Difesa, sui grandi interessi delle lobby delle armi o, peggio ancora, vada a tirar in ballo addirittura il Vangelo e Gesù Cristo. No, a Rimini si parla di pace e di educazione. E sarà sicuramente un dibattito serio: abile, arruolato!
Una fuga lunga circa 2000 chilometri. Le strade dell’esilio dei valdesi e degli ugonotti.
Parte il 23 da Saluzzo, destinazione
Ginevra, il test della guida che racconterà, dalla fine dell’autunno, il
percorso che dalla Francia e dall’Italia attraverso la Svizzera raggiunge, e
percorre, la Germania.
«Le strade degli ugonotti e dei valdesi» oggi è un’itinerario da percorrere a piedi o in bicicletta che parte dall’Italia e dalla Francia per arrivare in Germania. Il percorso segue gli antichi itinerari dell’esilio degli ugonotti e dei valdesi superstiti delle prigioni sabaude (ciò che restava nel 1687 degli 8500 imprigionati un anno prima con l’unica colpa di essere protestanti). Gli ugonotti partirono verso Ginevra e poi verso la Germania; sorte simile spettò ai valdesi delle valli del Piemonte che saranno anche protagonisti, però, nel 1689 del Glorioso Rimpatrio, affrontando le truppe francesi e savoiarde e rientrando nelle terre d’origine.
Sul versante italiano è in preparazione il tratto di percorso corrispondente all’esilio dei valdesi che dopo un periodo di prigionia in tredici carceri piemontesi partirono scortati dai militari sabaudi verso la Svizzera e quindi la Germania. Il percorso partirà da Saluzzo (una delle tredici prigioni) per arrivare dopo aver attraversato la pianura e toccato l’area pedemontana del Pinerolese in val di Susa e quindi in Francia attraverso il Moncenisio, ricongiungendosi quindi con il tracciato franco-svizzero a Ginevra.
Nell’ambito della predisposizione del percorso dell’esilio dei valdesi, il 23 agosto partirà da Saluzzo il test della guida cartacea in preparazione: dovrebbe essere data alle stampe in autunno e guiderà chi vorrà percorrere le tappe «dell’esilio» lungo il percorso che dal Saluzzese arriva a Ginevra.
Alcuni viaggiarono da soli altri in gruppo, altri ancora scortati
dall’esercito. Partirono dalla Francia e dall’Italia: la destinazione era il
nord Europa. Si passò dalla Svizzera e si raggiunse la Germania, i Paesi Bassi,
c’è addirittura chi arrivò fino alla Scandinavia. La revoca dell’Editto di
Nantes da parte del re di Francia nel 1685, e gli editti emanati dal duca di
Savoia l’anno successivo, ha significato tutto questo per 200.000 ugonotti e
circa 3000 valdesi.
Questa storia lontana, ma molto simile purtroppo a quella che vivono ai
giorni nostri molte persone che approdano sulle coste europee, è stata
giudicata dal Consiglio d’Europa fra quelle da non dimenticare. Una tragedia
frutto delle persecuzioni ma anche una storia di solidarietà da parte di chi li
ospitò, che acquista un valore fondativo dell’identità europea.«Le strade degli ugonotti e dei valdesi» oggi è un’itinerario da percorrere a piedi o in bicicletta che parte dall’Italia e dalla Francia per arrivare in Germania. Il percorso segue gli antichi itinerari dell’esilio degli ugonotti e dei valdesi superstiti delle prigioni sabaude (ciò che restava nel 1687 degli 8500 imprigionati un anno prima con l’unica colpa di essere protestanti). Gli ugonotti partirono verso Ginevra e poi verso la Germania; sorte simile spettò ai valdesi delle valli del Piemonte che saranno anche protagonisti, però, nel 1689 del Glorioso Rimpatrio, affrontando le truppe francesi e savoiarde e rientrando nelle terre d’origine.
Sul versante italiano è in preparazione il tratto di percorso corrispondente all’esilio dei valdesi che dopo un periodo di prigionia in tredici carceri piemontesi partirono scortati dai militari sabaudi verso la Svizzera e quindi la Germania. Il percorso partirà da Saluzzo (una delle tredici prigioni) per arrivare dopo aver attraversato la pianura e toccato l’area pedemontana del Pinerolese in val di Susa e quindi in Francia attraverso il Moncenisio, ricongiungendosi quindi con il tracciato franco-svizzero a Ginevra.
Nell’ambito della predisposizione del percorso dell’esilio dei valdesi, il 23 agosto partirà da Saluzzo il test della guida cartacea in preparazione: dovrebbe essere data alle stampe in autunno e guiderà chi vorrà percorrere le tappe «dell’esilio» lungo il percorso che dal Saluzzese arriva a Ginevra.
Il «test», che servirà a
mettere a punto l’ultima stesura della guida, consisterà nel percorrere in
bicicletta il tratto di percorso di circa 350 chilometri che separa Saluzzo da
Ginevra seguendo le indicazioni fornite dal volume in
modo da verificarne «passo passo» le tappe e le indicazioni. Queste le tappe del test che verrà
realizzato da diverse persone e si daranno appuntamento lungo il percorso:
venerdì 23 agosto partenza da Saluzzo e arrivo ad Avigliana; sabato 24 agosto
partenza da Avigliana e arrivo a Novalesa; domenica 25 agosto partenza da
Novalesa e arrivo a Lanslebourg (passando dal valico del Moncenisio); lunedì 26
agosto partenza da Lanslebourg e arrivo a Saint-Jean-De-Maurienne; martedì 27
agosto: partenza da Saint-Jean e arrivo a Chamousset; mercoledì 28 agosto:
partenza da Chamousset e arrivo a Faverges; giovedì 29 agosto: partenza da
Faverges e arrivo a Cruseilles; venerdì 30 agosto: partenza da Cruseilles e
arrivo a Ginevra.
«Un modo, quello del test – dice Davide Rosso, direttore della Fondazione Centro Culturale Valdese –, per provare sul campo questo strumento che poi dovrà essere la guida per chi vorrà percorrere il Sentiero dell’esilio dei valdesi nel tratto italiano e francese fino a Ginevra. Il test vuole essere anche un ulteriore approccio ai territori per cominciare a dare visibilità a questo Itinerario europeo che in Francia, Svizzera e Germania ha già una buona diffusione. Quella ‘degli Ugonotti e dei valdesi’ del resto è una ‘strada protetta’ (la maggior parte del percorso è su piste ciclabili o pedonali; solo una piccola parte di essa su strade percorse dal grande traffico) non solo per scoprire e attraversare godevoli luoghi dal punto di vista ambientale ma anche per permettere di riflettere su una storia di più di 300 anni fa che tratta, purtroppo, temi di stretta attualità ancora oggi come i diritti negati, la lotta per la libertà, l'incontro fra culture differenti, l’intolleranza... ».
L’itinerario escursionistico culturale europeo è promosso per parte italiana dalla Provincia di Torino, dal Centro culturale valdese di Torre Pellice e dal Gal Escarton e valli valdesi. Dopo il riconoscimento del Consiglio d’Europa si va ad affiancare a percorsi come “I Cammini di Santiago de Compostela”, “La via Francigena”, “Le vie di Mozart”, “La rotta dei Fenici”...
Nel tratto francese parte da Pöet Laval nella Drôme, e si congiunge a Ginevra con il percorso seguito dagli esiliati piemontesi, attraversando quindi la Svizzera ed entrando in Germania nel Baden-Württemberg per raggiungere l’Hesse fino a Bad Karlshafen. In Germania l’itinerario attraversa numerosi insediamenti ugonotti e valdesi. Lo sviluppo complessivo dell’itinerario, da sud a nord, è di circa 1800 km e prevede inoltre da Ginevra a Bobbio Pellice l’itinerario del Glorioso Rimpatrio, già completamente predisposto per la parte italiana sul tracciato seguito dai valdesi nel loro rientro nelle valli piemontesi.
«Un modo, quello del test – dice Davide Rosso, direttore della Fondazione Centro Culturale Valdese –, per provare sul campo questo strumento che poi dovrà essere la guida per chi vorrà percorrere il Sentiero dell’esilio dei valdesi nel tratto italiano e francese fino a Ginevra. Il test vuole essere anche un ulteriore approccio ai territori per cominciare a dare visibilità a questo Itinerario europeo che in Francia, Svizzera e Germania ha già una buona diffusione. Quella ‘degli Ugonotti e dei valdesi’ del resto è una ‘strada protetta’ (la maggior parte del percorso è su piste ciclabili o pedonali; solo una piccola parte di essa su strade percorse dal grande traffico) non solo per scoprire e attraversare godevoli luoghi dal punto di vista ambientale ma anche per permettere di riflettere su una storia di più di 300 anni fa che tratta, purtroppo, temi di stretta attualità ancora oggi come i diritti negati, la lotta per la libertà, l'incontro fra culture differenti, l’intolleranza... ».
L’itinerario escursionistico culturale europeo è promosso per parte italiana dalla Provincia di Torino, dal Centro culturale valdese di Torre Pellice e dal Gal Escarton e valli valdesi. Dopo il riconoscimento del Consiglio d’Europa si va ad affiancare a percorsi come “I Cammini di Santiago de Compostela”, “La via Francigena”, “Le vie di Mozart”, “La rotta dei Fenici”...
Nel tratto francese parte da Pöet Laval nella Drôme, e si congiunge a Ginevra con il percorso seguito dagli esiliati piemontesi, attraversando quindi la Svizzera ed entrando in Germania nel Baden-Württemberg per raggiungere l’Hesse fino a Bad Karlshafen. In Germania l’itinerario attraversa numerosi insediamenti ugonotti e valdesi. Lo sviluppo complessivo dell’itinerario, da sud a nord, è di circa 1800 km e prevede inoltre da Ginevra a Bobbio Pellice l’itinerario del Glorioso Rimpatrio, già completamente predisposto per la parte italiana sul tracciato seguito dai valdesi nel loro rientro nelle valli piemontesi.
domenica 18 agosto 2013
Rapporto UNICEF sulle Mutilazioni Genitali Femminili: un cambiamento di strategia necessaria?
Intervista con Alvilda Jablonko, Coordinatrice del Programma sulle MGF di Non c'è Pace Senza Giustizia, Bruxelles, 13 agosto 2013
- See more at: http://www.npwj.org/it/node/7359#sthash.mbVI66Kq.dpuf
Lo scorso mese UNICEF ha pubblicato un importante rapporto sulle mutilazioni genitali femminili (MGF), il quale rappresenta ad oggi il più esauriente studio sulla pratica, con dati provenienti da ricerche effettuate in 29 paesi africani dove la pratica è molto diffusa. Secondo I dati raccolti e contenuti nel rapporto, le MGF sono sempre una delle più diffuse e sistematiche violazioni del dirritto umano all'integrità personale. Dei 125 milioni di donne e bambine che sono state soggette alla pratica, molte non si riprenderanno mai dalle ferite e dal trauma fisico e psicologico che tali pratiche hanno loro inflitto. Inoltre sono 30 milioni i bambini che sono a rischio di essere sottoposti a MGF nei prossimi dieci anni. Alvilda Jablonko, Coordinatrice del programma sulle MGF di Non c'è Pace Senza Giustizia, commenta il rapporto UNICEF. Perchè i risultati di questo rapporto sono così rilevanti? Alvilda Jablonko : "Questo rapporto fornisce un quadro statistico completo delle MGF, esaminando il maggior numero in assoluto di indagini rappresentative a livello nazionale svolte in 29 paesi dove la pratica è più diffusa, incluse 17 nuove indagini svolte negli ultimi tre anni. La raccolta e l'analisi dei dati in materia di MGF è di vitale importanza al fine di valutare e aumentare la consapevolezza della portata e della prevalenza di tali pratiche, nonché per discernere dove e come la queste stanno cambiando e per misurare e verificare se si stanno facendo progressi. Criticamente, questa conoscenza può anche informare la progettazione e l'attuazione di politiche e programmi efficaci volti all'eliminazione delle pratiche. Il rapporto analizza i dati attraverso la lente delle norme sociali, analizzando i livelli di sostegno per la pratica a livello nazionale e tra gruppi di popolazione selezionati. Questo permette anche una valutazione dell'impatto delle azioni intraprese per favorire l'eliminazione della pratica, e in particolare delle strategie di sensibilizzazione su base comunitaria, che sono state sostenute sin dal 2008 dal Programma Congiunto UNFPA-UNICEF sulle Mutilazioni Genitali Femminili / Escissione: accelerare il cambiamento. Purtroppo il quadro che emerge mostra quanto il cambiamento sia stato minimo, nonostante gli sforzi ed i programmi". Questo significa che è necessario attuare un cambiamento di strategia? Alvilda Jablonko: "In realtà, il rapporto mostra una mancanza di un rilevante cambiamento di atteggiamenti e la prevalenza delle MGF in una serie di paesi, tra cui il Senegal, nonostante il lavoro di lunga data nel paese supportato da UNICEF. Nonostante questo risultato, il rapporto non suggerisce un cambiamento di strategia, ma sostiene che vi sia la necessità di ulteriori investimenti programmatici nel modello di cambiamento sociale che è stato fino ad ora la spina dorsale del loro programma. Campagne per favorire consapevolezza e di educazione e sforzi di sensibilizzazione delle comunità, in corso da decenni, sono ovviamente importanti. Tuttavia, al fine di contestare con successo la pratica e promuovere la sua eliminazione, è essenziale che sia adottata la legislazione che vieta esplicitamente le mutilazioni genitali femminili e che venga effettivamente promulgata, con sufficienti risorse dedicate alla sua messa in pratica e sforzi di conformità. Una chiara ed inequivocabile legislazione nazionale è essenziale per consolidare un impegno formale ed esplicito da parte dello Stato contro le MGF, riconoscendo la pratica come una massiccia e sistematica violazione dei diritti umani delle donne e delle bambine. La legislazione stabilisce il contesto giuridico che legittima e facilita il lavoro di attivisti anti-MGF e dei gruppi per i diritti delle donne. E' anche in grado di proteggere e di fornire gli strumenti legali alle donne ed alle ragazze che vogliono sfidare la convenzione sociale rifiutando di sottoporsi a MGF, contribuendo a creare reali cambiamenti nelle norme culturali che rafforzano la pratica". Il rapporto riconosce che l’adozione, il 20 dicembre 2012, della risoluzione "Intensificare gli sforzi globali per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili" ("Intensifying global efforts for the elimination of female genital mutilations") , da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha segnato una pietra miliare nella lotta per porre fine alla pratica? Perché è così importante questa risoluzione? Alvilda Jablonko: "Senza dubbio, l’adozione della Risoluzione 67/149 da parte dell’AG, che invoca un bando mondiale sulle MGF, costituisce un cambiamento nel paradigma della lotta a questa violazione dei diritti umani che tutti i paesi del mondo dovrebbero affrontare e prevenire attraverso "tutte le misure necessarie, incluse la creazione o un rafforzamento della legislazione atta a proibire le MGF e a proteggere quelle donne e bambini che sono soggette a tale pratiche, e a porre un termine all’impunità". L’adozione formale di questo innovativo documento costituisce il culmine di anni di perpetuazione degli sforzi per portare l’attenzione mondiale sulle MGF guidati da una coalizione sempre crescente di ONG e attivisti dei diritti umani, tra cui Non c'è Pace Senza Giustizia. Dalle organizzazioni di base al livello politico, quanti coinvolti nella campagna Ban FGM premono costantemente per una legislazione chiara e efficace che inequivocabilmente bandisca le MGF nei propri paesi, con lo scopo di legittimare la loro attività locale di advocacy e i loro sforzi educativi, di rinforzare quanti vogliono rigettare le FGM e la pressione sociale della tradizione e di proteggere le vittime. Il bando mondiale adottato dall'ONU dà il potere agli attivisti di agire e rinforzare le legislazioni nazionali contro le MGF e porre fine all’impunità per questa violazione dei diritti umani. L’adozione della Risoluzione 67/146 è, comunque, non fine a sé stessa: è un importante innovazione, che segna l’inizio di un nuovo capitolo nella lotta alla pratica: ora è compito di tutti noi e degli Stati continuare a lottare e lavorare insieme così che donne e bambine siano finalmente libere dalla minaggia delle MGF." Qual è il prossimo passo e il prossimo focus per le attività di NPSG? Alvilda Jablonko: "Abbiamo bisogno di continuare a costruire sull’occasione ottenuta con l’adozione della Risoluzione e lavorare per la sua concreta e piena implementazione. In alte parole la sfida ora quella di favorire l'impegno politico dei governi e della società civile di tutto il mondo per assicurare che questo documento realizzi il suo potenziale come strumento concreto per la lotta contro le MGF e che rafforza veramente gli sforzi volti alla eliminazione delle MGF, una volta per tutte. Gli sforzi di sensibilizzazione della comunità che sono in corso da decenni hanno bisogno di essere sostenuti da una legislazione efficace per proteggere le donne e le ragazze dalla mutilazione genitale femminile. Dove le leggi sono state emanate, la volontà politica di attuarli in modo efficace deve essere incoraggiata. NPSG continuerà pertanto a coinvolgere i governi nazionali, i parlamenti e attivisti per promuovere l'adozione e l'applicazione di leggi efficaci contro le MGF a livello nazionale, tra cui il lavoro di prevenzione e di condanna della medicalizzazione delle MGF. Inoltre, le attività di NPSG mireranno a favorire l'armonizzazione delle misure legislative e politiche e rafforzare la cooperazione a livello regionale e internazionale ". For more information, contact Alvilda Jablonko, Coordinator of the FGM Program, on ajablonko@npwj.org or Nicola Giovannini, email: ngiovannini@npwj.org, phone: +32 2 548 39 15.
tratto da http://www.npwj.org/it/node/7359
- See more at: http://www.npwj.org/it/node/7359#sthash.mbVI66Kq.dpuf
Lo scorso mese UNICEF ha pubblicato un importante rapporto sulle mutilazioni genitali femminili (MGF), il quale rappresenta ad oggi il più esauriente studio sulla pratica, con dati provenienti da ricerche effettuate in 29 paesi africani dove la pratica è molto diffusa. Secondo I dati raccolti e contenuti nel rapporto, le MGF sono sempre una delle più diffuse e sistematiche violazioni del dirritto umano all'integrità personale. Dei 125 milioni di donne e bambine che sono state soggette alla pratica, molte non si riprenderanno mai dalle ferite e dal trauma fisico e psicologico che tali pratiche hanno loro inflitto. Inoltre sono 30 milioni i bambini che sono a rischio di essere sottoposti a MGF nei prossimi dieci anni. Alvilda Jablonko, Coordinatrice del programma sulle MGF di Non c'è Pace Senza Giustizia, commenta il rapporto UNICEF. Perchè i risultati di questo rapporto sono così rilevanti? Alvilda Jablonko : "Questo rapporto fornisce un quadro statistico completo delle MGF, esaminando il maggior numero in assoluto di indagini rappresentative a livello nazionale svolte in 29 paesi dove la pratica è più diffusa, incluse 17 nuove indagini svolte negli ultimi tre anni. La raccolta e l'analisi dei dati in materia di MGF è di vitale importanza al fine di valutare e aumentare la consapevolezza della portata e della prevalenza di tali pratiche, nonché per discernere dove e come la queste stanno cambiando e per misurare e verificare se si stanno facendo progressi. Criticamente, questa conoscenza può anche informare la progettazione e l'attuazione di politiche e programmi efficaci volti all'eliminazione delle pratiche. Il rapporto analizza i dati attraverso la lente delle norme sociali, analizzando i livelli di sostegno per la pratica a livello nazionale e tra gruppi di popolazione selezionati. Questo permette anche una valutazione dell'impatto delle azioni intraprese per favorire l'eliminazione della pratica, e in particolare delle strategie di sensibilizzazione su base comunitaria, che sono state sostenute sin dal 2008 dal Programma Congiunto UNFPA-UNICEF sulle Mutilazioni Genitali Femminili / Escissione: accelerare il cambiamento. Purtroppo il quadro che emerge mostra quanto il cambiamento sia stato minimo, nonostante gli sforzi ed i programmi". Questo significa che è necessario attuare un cambiamento di strategia? Alvilda Jablonko: "In realtà, il rapporto mostra una mancanza di un rilevante cambiamento di atteggiamenti e la prevalenza delle MGF in una serie di paesi, tra cui il Senegal, nonostante il lavoro di lunga data nel paese supportato da UNICEF. Nonostante questo risultato, il rapporto non suggerisce un cambiamento di strategia, ma sostiene che vi sia la necessità di ulteriori investimenti programmatici nel modello di cambiamento sociale che è stato fino ad ora la spina dorsale del loro programma. Campagne per favorire consapevolezza e di educazione e sforzi di sensibilizzazione delle comunità, in corso da decenni, sono ovviamente importanti. Tuttavia, al fine di contestare con successo la pratica e promuovere la sua eliminazione, è essenziale che sia adottata la legislazione che vieta esplicitamente le mutilazioni genitali femminili e che venga effettivamente promulgata, con sufficienti risorse dedicate alla sua messa in pratica e sforzi di conformità. Una chiara ed inequivocabile legislazione nazionale è essenziale per consolidare un impegno formale ed esplicito da parte dello Stato contro le MGF, riconoscendo la pratica come una massiccia e sistematica violazione dei diritti umani delle donne e delle bambine. La legislazione stabilisce il contesto giuridico che legittima e facilita il lavoro di attivisti anti-MGF e dei gruppi per i diritti delle donne. E' anche in grado di proteggere e di fornire gli strumenti legali alle donne ed alle ragazze che vogliono sfidare la convenzione sociale rifiutando di sottoporsi a MGF, contribuendo a creare reali cambiamenti nelle norme culturali che rafforzano la pratica". Il rapporto riconosce che l’adozione, il 20 dicembre 2012, della risoluzione "Intensificare gli sforzi globali per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili" ("Intensifying global efforts for the elimination of female genital mutilations") , da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha segnato una pietra miliare nella lotta per porre fine alla pratica? Perché è così importante questa risoluzione? Alvilda Jablonko: "Senza dubbio, l’adozione della Risoluzione 67/149 da parte dell’AG, che invoca un bando mondiale sulle MGF, costituisce un cambiamento nel paradigma della lotta a questa violazione dei diritti umani che tutti i paesi del mondo dovrebbero affrontare e prevenire attraverso "tutte le misure necessarie, incluse la creazione o un rafforzamento della legislazione atta a proibire le MGF e a proteggere quelle donne e bambini che sono soggette a tale pratiche, e a porre un termine all’impunità". L’adozione formale di questo innovativo documento costituisce il culmine di anni di perpetuazione degli sforzi per portare l’attenzione mondiale sulle MGF guidati da una coalizione sempre crescente di ONG e attivisti dei diritti umani, tra cui Non c'è Pace Senza Giustizia. Dalle organizzazioni di base al livello politico, quanti coinvolti nella campagna Ban FGM premono costantemente per una legislazione chiara e efficace che inequivocabilmente bandisca le MGF nei propri paesi, con lo scopo di legittimare la loro attività locale di advocacy e i loro sforzi educativi, di rinforzare quanti vogliono rigettare le FGM e la pressione sociale della tradizione e di proteggere le vittime. Il bando mondiale adottato dall'ONU dà il potere agli attivisti di agire e rinforzare le legislazioni nazionali contro le MGF e porre fine all’impunità per questa violazione dei diritti umani. L’adozione della Risoluzione 67/146 è, comunque, non fine a sé stessa: è un importante innovazione, che segna l’inizio di un nuovo capitolo nella lotta alla pratica: ora è compito di tutti noi e degli Stati continuare a lottare e lavorare insieme così che donne e bambine siano finalmente libere dalla minaggia delle MGF." Qual è il prossimo passo e il prossimo focus per le attività di NPSG? Alvilda Jablonko: "Abbiamo bisogno di continuare a costruire sull’occasione ottenuta con l’adozione della Risoluzione e lavorare per la sua concreta e piena implementazione. In alte parole la sfida ora quella di favorire l'impegno politico dei governi e della società civile di tutto il mondo per assicurare che questo documento realizzi il suo potenziale come strumento concreto per la lotta contro le MGF e che rafforza veramente gli sforzi volti alla eliminazione delle MGF, una volta per tutte. Gli sforzi di sensibilizzazione della comunità che sono in corso da decenni hanno bisogno di essere sostenuti da una legislazione efficace per proteggere le donne e le ragazze dalla mutilazione genitale femminile. Dove le leggi sono state emanate, la volontà politica di attuarli in modo efficace deve essere incoraggiata. NPSG continuerà pertanto a coinvolgere i governi nazionali, i parlamenti e attivisti per promuovere l'adozione e l'applicazione di leggi efficaci contro le MGF a livello nazionale, tra cui il lavoro di prevenzione e di condanna della medicalizzazione delle MGF. Inoltre, le attività di NPSG mireranno a favorire l'armonizzazione delle misure legislative e politiche e rafforzare la cooperazione a livello regionale e internazionale ". For more information, contact Alvilda Jablonko, Coordinator of the FGM Program, on ajablonko@npwj.org or Nicola Giovannini, email: ngiovannini@npwj.org, phone: +32 2 548 39 15.
tratto da http://www.npwj.org/it/node/7359
giovedì 15 agosto 2013
NON SOLO F-35...
Pubblichiamo il testo di un’intervista rilasciata da Mao Valpiana alla Free
Lance International Press.
Il Ministro Mauro non fa altro che dire e ridire che gli F-35 sono indispensabili, che il Parlamento, per 15 anni, si è pronunciato tante volte favorevolmente e che abbiamo, con i nostri alleati, ben precisi impegni di carattere vincolante.
Come giudicate tali argomentazioni?
Lance International Press.
Il Ministro Mauro non fa altro che dire e ridire che gli F-35 sono indispensabili, che il Parlamento, per 15 anni, si è pronunciato tante volte favorevolmente e che abbiamo, con i nostri alleati, ben precisi impegni di carattere vincolante.
Come giudicate tali argomentazioni?
La verità dei fatti è che tutti i governi delle ultime legislature (dal 1998) hanno aderito e sostenuto il progetto Joint Strike Fighter, trovando il consenso nelle commissioni difesa della Camera e del Senato. C’è stato, in questo, una drammatica continuità tra governi di centro-sinistra e di centro-destra. Addirittura l’ultimo giorno utile della precedente legislatura (11 dicembre 2012) il Parlamento ha approvato una delega al governo che prevede di utilizzare i risparmi effettuati con i tagli al personale e alle strutture militari, a favore degli investimenti proprio sugli F35. Il tutto, però, è avvenuto senza voler coinvolgere l’opinione pubblica, che è venuta a sapere degli F35 solo grazie alle iniziative di informazione della Rete Italiana Disarmo promosse dal 2009 ed in particolare dalla campagna "Taglia le ali alle armi", la quale ha anche "sbugiardato" il Ministero della Difesa che sosteva essere ormai impossibile uscire dal progetto, a causa delle forti penali che ci sarebbero state, mentre (documenti alla mano) è possibile uscire semplicemtne non ordinando nuovi cacciabombardieri.
E come giudicate la posizione di coloro che sostengono che il progetto F-35 dovrebbe fruttare al nostro Paese ben 10.000 posti di lavoro qualificati?
Il cosiddetto "ricatto occupazionale" è sempre stato un argomento sbandierato da chi (purtroppo anche all’interno del mondo sindacale) vuole sostenere i benefici economici dell’industria bellica.
Anche qui la realtà dei fatti parla chiaro: si tratterebbe sostanzialmente di un semplice spostamento di lavoratori oggi già occupati nella produzione degli aerei Eurofighter (che verrebbero messi in soffitta dagli F35) ; secondo la stessa Finmeccanica sarebbero al massimo 2000 i nuovi posti di lavoro effettivi. Dal punto di vista economico, l’argomento è risibile. Basti pensare che con il solo costo di un caccibombardiere F35 potremmo mantenere 17.200 lavoratori precari coperti da indennità di disoccupazione oppure sostenere 14.742 famiglie con disabili e anziani non autosufficenti a carico.
La recente mozione che impegna il governo a "non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso" possiamo considerarla una vittoria (per quanto parziale) o un’amara sconfitta?
E’ senz’altro positivo che la mobilitazione sollecitata dai movimenti nonviolenti e per il disarmo abbia costretto il parlamento ad affrontare pubblicamente la spinosa questione degli F35. Noi siamo convinti che se i singoli parlamentari fossero stati lasciati liberi, davanti alla scelta netta sì o no agli F35, avrebbero prevalso i no. Invece le lobby militari, potenti e trasversali, si sono messe all’opera ed hanno influito sui vertici dei partiti della grande coalizione, ottenendo il classico risultato della peggiore tradizione politica italiana: decidere di non decidere, lasciando le cose come sono. La mozione approvata rinvia di 6 mesi la scelta sugli F35, affida alle commissioni un’indagine conoscitiva e ribadisce l’ovvietà che il governo non potrà decidere nuovi programmi senza un nuovo voto di merito delle Camere (è la Legge che lo stabilisce).
L’indagine conoscitiva sui veri costi del programma JSF l’ha già fatta in questi ultimi quattro anni la Rete Italiana Disarmo, supplendo a negligenze ed omertà dei vari governi che hanno sempre tentato di nascondere cifre e verità. Le schede sono a disposizione di chi le voglia consultare, sul sito disarmo.org e sono state in parte pubblicate su "Azione nonviolenta"…. se i deputati lo desiderano, possono informarsi risparmiando tempo e denaro.
Come valutate l’iniziativa del Presidente Napolitano e del Consiglio supremo di difesa?
Il consiglio supremo della difesa, presieduto dal Capo dello Stato, ha detto che in materia di armamenti il Parlamento è esautorato, decide il governo (influenzato direttamente dai militari). Questa, evidentemente, è la prassi, ma non corrisponde a quanto era stato previsto dalla Carta Costituzionale. A scuola ci avevano insegnato una cosa diversa: che il popolo è sovrano, che la democrazia la si esercita eleggendo i rappresentanti del corpo elettorale nelle due Camere, che sono il luogo dove si esprime la volontà dei cittadini, mentre il governo dovrebbe essere solo l’organo esecutivo della Repubblica parlamentare. Ma erano solo bei sogni…. Quella in atto non è una democrazia parlamentare, ma una democrazia armata.
Naturalmente noi non possiamo accettare questa realtà. Ad essa dobbiamo opporci e possiamo farlo a partire dalla nostra personale obiezione di coscienza.
Alla fine sugli F35 a decidere non sarà il parlamento e nemmeno il governo, non sarà il capo dello stato e nemmeno il consiglio supremo di difesa: a decidere sarà il popolo italiano. Se rimarrà passivo e inerte, gli F35 saranno costruiti e utilizzati, se si opporrà e rifiuterà di pagare con il propri denaro, gli F35 non saranno acquistati.
La scelta è nelle nostre mani.
Fino ad ora, dopo tanta disattenzione, si è riusciti a far diventare la questione F-35 una questione di interesse generale. Ritengo, tra l’altro, che la carta stampata abbia avuto, in questo processo di informazione-sensibilizzazione, un ruolo davvero centrale. Che altro si dovrebbe/potrebbe fare per riuscire ad ottenere qualche reale risultato?
L’informazione è importante, ma non e sufficiente. Dobbiamo anche essere coscienti che gli F35 sono solo un aspetto della questione più generale, che è quella del disarmo o meglio ancora del superamento della struttura militare, preposta alla preparazione della guerra. Il nostro obiettivo è quello del disarmo unilaterale: rinunciare noi per primi agli strumenti che rendono possibile la guerra: armi ed eserciti. Il cammino è lungo, ma è lo stesso che ci hanno insegnato i grandi maestri della nonviolenza da Tolstoj a Gandhi, da Martin Luther King ad Aldo Capitini. Il primo passo è quello di avere coscienza che ognuno di noi contribuisce al mantenimento della grande macchina bellica (ad esempio affidando i nostri risparmi a banche che li utilizzano per finanziare industrie militari, o votando partiti che sostengono i bilanci militari, ecc.) e quindi la scelta da fare è quella della non-collaborazione. La strada è lunga, ma noi dobbiamo lavorare per creare le condizioni affichè possa svilupparsi un grande movimento di rifiuto culturale e pratico della guerra e della sua preparazione (che oggi passa anche attraverso l’acquisto degli F35).
Certamente, la questione F-35 ha finito per attirare l’attenzione generale soprattutto per motivi di carattere economico. Quanto ritenete possibile, nel prossimo futuro, che si riesca davvero a realizzare la "rivoluzione contro la guerra" auspicata da Aldo Capitini?
La risposta ci viene dallo stesso Capitini che già nel 1936, prima del secondo conflitto mondiale, aveva profetizzato: "Tanto dilagheranno violenza e materialismo, che ne verrà stanchezza e disgusto; e dalle gocce di sangue che colano dai ceppi della decapitazione salirà l’ansia appassionata di sottrarre l’anima ad ogni collaborazione con quell’errore, e di instaurare subito, a cominciare dal proprio animo (che è il primo progresso), un nuovo modo di sentire la vita: il sentimento che il mondo ci è estraneo se ci si deve stare senza amore, senza un’apertura infinita dell’uno verso l’altro, senza una unione di sopra a tante differenze e tanto soffrire. Questo è il varco attuale della storia". Poi sono venute altre guerre, tanto sangue versato, dalla Cambogia al Vietnam, dalla ex-Jugoslavia al Ruanda, dall’Iraq all’ Afghanistan….. non ci basta ancora?
Non esiste una via alla pace, dice Gandhi, la pace è la via. E la nonviolenza il nostro orizzonte.
15 agosto 2013
tratto da http://maovalpiana.wordpress.com/2013/08/15/non-solo-f-35/?blogsub=confirming#subscribe-blog
mercoledì 14 agosto 2013
PER UNA SCUOLA SMILITARIZZATA: CAMPAGNA DI PAX CHRISTI
Pax Christi lancia una campagna contro i corsi delle Forze armate negli istituti: «L’istruzione ripudia la guerra» Ormai da diversi anni le scuole italiane, soprattutto quelle superiori (ma anche elementari e medie non rimangono indenni), sono diventate terra di conquista da parte delle forze armate a caccia di nuove leve per l’esercito professionale e campo di semina della cultura militari sta, in palese violazione dell ‘articolo 11 della Costituzione (L'Italia ripudia la guerra») e delle Linee guida del ministro dell ‘Istruzione che invece parlano di «educazione alla pace» e di «nonviolenza». La scuola italiana, attraverso molteplici iniziative inserite nei percorsi formativi, apre spesso le porte ad attività presentate come orientamento scolastico e gestite direttamente dalle forze annate.
Le tappe dell’avanzata dei militari nelle scuole sono numerose. A livello nazionale – prima esistevano «solo» numerosi accordi territoriali fra uffici scolastici periferici, enti locali e distretti militari - ha cominciato il centrosinistra nel 2006, con il programma «La pace si fa a scuola» promosso dalla coppia di alfieri Fioroni (ministro dell’Istruzione) e Parisi (Difesa), che prevedeva la realizzazione di un forum online per mettere in contatto gli studenti con i militari italiani in «missione di pace» in Libano.
Poi, nella Lombardia formigoniana, è arrivato il programma «Allenati per la vita», brevi corsi di formazione, benedetti dai ministri dell ‘Istruzione Gelmini e della Difesa La Russa, per insegnare la vita militare agli studenti delle superiori: docenti gli stessi militari, materie come armi e tiro, sopravvivenza in ambienti ostili, difesa nucleare, chimica e batteriologica, esame finale una gara tra «pattuglie di studenti». Sempre Gelmini nel 2009 firma un protocollo d’intesa con Finmeccanica, perché le lezioni vengano tenute direttamente dai tecnici della principale industria armi era italiana. Fino ali ‘invenzione, ancora di La Russa, della mini-naja estiva per i giovani di 18-25 anni: tre settimane di esercitazioni e, in omaggio, la divisa e gli accessori per la guerra simulata.
Aderendo alla campagna “Scuole smilitarizzate”, promossa da Pax Christi, l’istituto si impegna a:
1. Rafforzare il suo impegno nell’ educazione alla pace e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti;
2. Sottolineare e valorizzare l’educazione alla pace tra le finalità educative dei POF (Piani dell’Offerta Formativa), nelle discipline educative e didattiche e nella programmazione;
3. Proporre uno spazio di confronto tra docenti per evidenziare l’incidenza dell’educazione alla pace nella formazione degli studenti;
4. Prevedere un intervento educativo per gli studenti, al fine di rendere più esplicita la scelta di non educare alla violenza e alla guerra;
5. Escludere dalla propria offerta formativa le attività proposte dalle Forze Armate, essendo in contrasto con gli orientamenti fondamentali educativi e didattici della scuola;
6. Non esporre manifesti pubblicitari delle FFAA né accogliere iniziative finalizzate a propagandare l’arruolamento e a far sperimentare la vita militare;
7. Non organizzare visite che comportino l’accesso degli alunni a caserme, poligoni di tiro, portaerei e ogni altra struttura riferibile all’attività di guerra, anche nei casi in cui questa attività venga presentata con l’ambigua espressione di “missione di pace”;
8. Non accogliere progetti in partenariato con strutture militari o aziende coinvolte nella produzione di materiali bellici;
9. Prevedere la possibilità di arricchire la biblioteca di nuovi strumenti didattici per l’educazione alla pace e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti;
10. Affiggere all’ingresso dell’Istituto il logo della campagna, affinché sia pubblicamente manifesta la scelta di lavorare in una scuola che educa alla nonviolenza e non alla guerra.
Le tappe dell’avanzata dei militari nelle scuole sono numerose. A livello nazionale – prima esistevano «solo» numerosi accordi territoriali fra uffici scolastici periferici, enti locali e distretti militari - ha cominciato il centrosinistra nel 2006, con il programma «La pace si fa a scuola» promosso dalla coppia di alfieri Fioroni (ministro dell’Istruzione) e Parisi (Difesa), che prevedeva la realizzazione di un forum online per mettere in contatto gli studenti con i militari italiani in «missione di pace» in Libano.
Poi, nella Lombardia formigoniana, è arrivato il programma «Allenati per la vita», brevi corsi di formazione, benedetti dai ministri dell ‘Istruzione Gelmini e della Difesa La Russa, per insegnare la vita militare agli studenti delle superiori: docenti gli stessi militari, materie come armi e tiro, sopravvivenza in ambienti ostili, difesa nucleare, chimica e batteriologica, esame finale una gara tra «pattuglie di studenti». Sempre Gelmini nel 2009 firma un protocollo d’intesa con Finmeccanica, perché le lezioni vengano tenute direttamente dai tecnici della principale industria armi era italiana. Fino ali ‘invenzione, ancora di La Russa, della mini-naja estiva per i giovani di 18-25 anni: tre settimane di esercitazioni e, in omaggio, la divisa e gli accessori per la guerra simulata.
Aderendo alla campagna “Scuole smilitarizzate”, promossa da Pax Christi, l’istituto si impegna a:
1. Rafforzare il suo impegno nell’ educazione alla pace e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti;
2. Sottolineare e valorizzare l’educazione alla pace tra le finalità educative dei POF (Piani dell’Offerta Formativa), nelle discipline educative e didattiche e nella programmazione;
3. Proporre uno spazio di confronto tra docenti per evidenziare l’incidenza dell’educazione alla pace nella formazione degli studenti;
4. Prevedere un intervento educativo per gli studenti, al fine di rendere più esplicita la scelta di non educare alla violenza e alla guerra;
5. Escludere dalla propria offerta formativa le attività proposte dalle Forze Armate, essendo in contrasto con gli orientamenti fondamentali educativi e didattici della scuola;
6. Non esporre manifesti pubblicitari delle FFAA né accogliere iniziative finalizzate a propagandare l’arruolamento e a far sperimentare la vita militare;
7. Non organizzare visite che comportino l’accesso degli alunni a caserme, poligoni di tiro, portaerei e ogni altra struttura riferibile all’attività di guerra, anche nei casi in cui questa attività venga presentata con l’ambigua espressione di “missione di pace”;
8. Non accogliere progetti in partenariato con strutture militari o aziende coinvolte nella produzione di materiali bellici;
9. Prevedere la possibilità di arricchire la biblioteca di nuovi strumenti didattici per l’educazione alla pace e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti;
10. Affiggere all’ingresso dell’Istituto il logo della campagna, affinché sia pubblicamente manifesta la scelta di lavorare in una scuola che educa alla nonviolenza e non alla guerra.
Per informazioni:
www.paxchristi.it-scuolesmilitarizzate@gmail.com
martedì 13 agosto 2013
COMUNICATO STAMPA: INTEGRAZIONE E PLURALISMO RELIGIOSO
AGENZIA NEV – NOTIZIE EVANGELICHE
SERVIZIO STAMPA
DELLA FEDERAZIONE DELLE CHIESE EVANGELICHE IN ITALIA
tel. 06.4825120/06.483768, fax 06.4828728 - nev@fcei.it
COMUNICATO STAMPA
INTEGRAZIONE E PLURALISMO RELIGIOSO
In occasione del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi il prossimo 26 agosto nel tempio valdese di Torre Pellice (TO) un evento pubblico con la ministra per l'integrazione Cécile Kyenge
"Santa ignoranza. Gli italiani, il pluralismo delle fedi, l'analfabetismo religioso": questo il titolo della serata alla quale interverranno anche il moderatore della Tavola valdese Eugenio Bernardini, il politologo Paolo Naso, i giornalisti Aldo Maria Valli e Gabriella Caramore e Agnese Cini, fondatrice dell'associazione "Biblia". Modererà la serata Gian Mario Gillio, direttore del mensile interreligioso "Confronti"
Roma, 12 agosto 2013 (NEV-CS43) - "Santa ignoranza. Gli italiani, il pluralismo delle fedi, l'analfabetismo religioso": sarà questo il tema della serata pubblica di lunedì 26 agosto organizzata nell'ambito del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi (25-30 agosto). Per l'occasione, alle 20.45 nel tempio valdese di Torre Pellice, è attesa Cécile Kyenge, ministra per l'integrazione con delega, tra l'altro, per il dialogo interreligioso. Politiche di integrazione e pluralismo religioso in Italia, ma anche "analfabetismo religioso" degli italiani: di questo ed altro si parlerà nel corso della serata durante la quale verrà presentata una ricerca Gfk-Eurisko commissionata dalla Tavola valdese sulle conoscenze biblico-religiose degli italiani, i cui risultati non sembrano essere molto confortanti: "Il quadro potrebbe definirsi di semianalfabetismo in fatto di religione, un dato ancora più preoccupante se si pensa che la stragrande maggioranza degli italiani si dichiara cristiano", anticipa il politologo Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), che illustrerà alcuni risultati della ricerca nel corso della serata.
"Ho accolto con grande piacere l'invito della Tavola valdese - dichiara la ministra Kyenge - riconoscendo il suo grande impegno sia per l'accoglienza degli immigrati che per la costruzione di importanti percorsi di integrazione all'interno di chiese sempre più multiculturali. Avendo ricevuto una delega per il dialogo interreligioso, inoltre, mi fa piacere incontrare i partecipanti al Sinodo di una delle più antiche e importanti comunità di fede del nostro paese".
"E' per noi un onore poter accogliere la ministra Kyenge - dichiara per parte sua il pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese - non solo per quello che sta facendo per i diritti degli immigrati e per una costruttiva integrazione interculturale, ma anche per quello che rappresenta: una donna che sta compiendo il suo dovere con competenza e spirito istituzionale, reagendo con fermezza e dignità alle volgari provocazione razziste di cui è fatta oggetto. La nostra chiesa, che ogni giorno vive la ricchezza dello scambio interculturale con migliaia di fratelli e di sorelle immigrati inseriti nelle nostre comunità, è pronta ad accompagnare la ministra nel suo impegno per i diritti degli immigrati e per quel pluralismo culturale e religioso che ancora non ha adeguato riconoscimento pubblico".
Oltre alla ministra, al moderatore Bernardini e a Paolo Naso interverranno Aldo Maria Valli, giornalista del TG1; Gabriella Caramore, conduttrice del programma "Uomini e Profeti" di RadioRai3; Agnese Cini, fondatrice dell'associazione Biblia. A introdurre e coordinare i vari interventi sarà Gian Mario Gillio, direttore del mensile Confronti; sono previsti anche intermezzi musicali eseguiti dal Gruppo degli Architorti diretto dal maestro Marco Robino, che eseguirà alcuni pezzi insieme alla Corale valdese di Torre Pellice per l'occasione diretta da Claudia Coalova.
sabato 10 agosto 2013
INTERVISTA A ENZO BIANCHI (DA LA REPUBBLICA)
“Ho passato la vita alla ricerca di Dio oggi sento il peso di non avere
figli”
intervista
a Enzo Bianchi a cura di Antonio Gnoli
in
“la Repubblica” del 28 luglio 2013
Forse
cinquant’anni fa Enzo Bianchi non avrebbe immaginato che la Comunità di Bose,
da lui
fondata,
sarebbe diventata un importante centro della spiritualità, sul quale convergono
religiosi e
laici
da tutta Europa. E non è che qui si respiri la severa aria teologale che incute
timore e toglie il
respiro.
Quel vecchio detto: solo il bene alla lunga è degno di considerazione qui è
declinato con
naturalezza
e semplicità. Sono le armi con cui mi accoglie il Priore, in questo luogo che
conta una
settantina
di monaci, impegnati nelle più diverse attività.
Bianchi
ha una vita intensa. Scandita, oltre che dal lavoro in comunità, dagli incontri
esterni:
generalmente
sono conferenze con molto seguito. Ha da poco compiuto settant’anni che Einaudi
ha
festeggiato
con una raccolta di scritti in suo onore (La sapienza del cuore). E
nell’osservare
quest’uomo
dalla costituzione robusta e dallo sguardo franco mi chiedo quanto di tutto
quello che
vedo
realizzato sia dipeso dal suo carisma. Sediamo a una tavola imbandita con
semplicità e dovrei
raccontare
a questo punto l’appassionata competenza che il Priore esibisce in fatto di
cucina. Quella
che
predilige è monferrina, perché lì sono le sue origini: «Mia nonna era una cuoca
francese, venne
in
Italia e sposò mio nonno, un panettiere. In casa c’è sempre stato il culto per
la cucina». E per un
po’
la conversazione si insinua tra i ricordi di pietanze della sua terra: «Amo il
mio Monferrato con
le
sue colline e le sue viti», dice. E nel dirlo, si avverte un senso di pienezza
e di malinconia.
Quando
giunse qui a Bose?
«Nel
1965, deciso a dedicarmi alla vita monastica».
Una
scelta ardua.
«Direi
imperiosa. Fino ad allora avevo militato nella sinistra democristiana. Poi,
nell’estate del
1965,
andai a trovare l’Abbé Pierre che viveva alla periferia di Rouen. In quelle
settimane che
rimasi
con lui ho appreso che carità e solidarietà non sono semplici gesti esteriori».
Cosa
la colpì di quell’uomo?
«Intanto
il fatto che si circondasse di un’umanità composta da fuoriusciti della Legione
straniera, ex
carcerati,
alcolisti pentiti. Per un po’ di tempo ho vissuto con questa gente. Raccoglievamo
stracci e
ferro
e con il ricavato si mandava avanti questa comunità meravigliosa e strampalata.
Ricordo che il
primo
giorno che arrivai mi ritirai con la mia Bibbia a pregare. Lui mi chiamò e mi
disse: non stare
da
solo, tu vivi con gli altri, prenditi cura di loro, ma senza esibire la parola
religiosa».
Perché
quel divieto?
«Niente
ai suoi occhi doveva essere ostentato. Feci molta fatica ad accettare.
Lavoravamo sulla riva
della
Senna e vivevamo dentro a dei container. Lì ho capito che mostrare umanità è
stare
nell’umano,
anche quello che ti appare il più compromesso. Quell’esperienza cambiò le linee
del
cristianesimo
che avevo in testa».
Torna
in Italia e fonda la sua comunità. Immagino non sarà stata una cosa semplice.
«Non
lo fu per niente. Trovai nell’autunno del 1965, questa cascina abbandonata.
L’affittai e la
rimisi
un po’ a posto. Non c’era luce elettrica, né acqua corrente né fogne. Lavoravo
un piccolo
orto.
E vivevo di qualche traduzione dal francese».
Mi
scusi, il progetto qual era?
«Mi
ispiravo alle regole monacali di Basilio e immaginavo di creare una comunità
che ne seguisse
lo
stile di vita. Ma per più di due anni nessuno bussò. Solo sul finire
dell’estate del 1968, quando
ormai
disperato pensavo che nessuno sarebbe mai arrivato, due ragazzi e una ragazza
mi chiesero di
poter
venirci a vivere».
Lei
era poco più che ventenne. Come reagirono in famiglia alla sua scelta?
«In
casa pensavano fossi un matto. Mio padre sentenziò che ogni famiglia è afflitta
da un deficiente
e
che io indiscutibilmente lo ero. Ci fu rottura».
E
con sua madre?
«Mia
madre era morta che avevo otto anni. Era una donna molto credente. Prima di
morire strappò
a
mio padre una promessa: di farmi studiare, evitando così il lavoro che faceva
lui, e di lasciarmi
libero
nei confronti della fede. Nonostante fosse un ateo ha rispettato quella
richiesta materna».
Cosa
faceva suo padre?
«Era
stagnino; per cinque anni non abbiamo avuto rapporti. Poi, faticosamente,
riprendemmo a
parlarci.
Ma la cosa che mi ha fatto più impressione è che prima di morire mi chiamò. Lui
che non
era
credente, mi disse: la strada giusta l’hai percorsa tu».
Quando
ha scoperto la fede?
«Da
sempre. A 11 anni mi proposi di entrare in seminario. Mio padre provò in tutti
i modi a
dissuadermi.
Non ci riuscì. Andai. Ma resistetti solo cinque giorni e poi sono fuggito».
Cosa
non aveva funzionato?
«Era
un mondo di regole che non riuscivo ad accettare. Piangevo sempre. Mi mancava
il senso di
libertà».
Anche
la fede entrò in crisi?
«No,
al contrario, si rafforzò. La fede richiede la libertà della decisione ».
Ma
cos’era Dio per un ragazzo di 11 anni?
«Una
presenza invisibile cui poter dare del tu. Crescendo la figura di Dio viene
spogliata. Pensiamo
di
conoscerla meglio, in realtà la conosciamo sempre meno».
Non
crede che la presenza di Dio non sia sufficiente e ogni volta che lo si è
assolutizzato
l’uomo
abbia fallito?
«Sì,
Dio non basta. Provo fastidio per la frase di Teresa d’Avila: “Dio solo basta”.
No. Il nostro non
è
un Dio totalitario, ci lascia tante altre realtà: negli affetti e negli amori.
Inoltre non è mai un nostro
possesso.
La sua presenza è elusiva».
Ma
se Dio non basta , il credente non ha fallito?
«La
mia convinzione profonda è che Dio non sia un’entità esterna alla quale mi
rivolgo. È dentro di
me
e negli altri. Non lo cerco in cielo. L’unica possibilità che ho di trovarlo è
nelle relazioni con gli
altri».
Anche
se con gli altri si può fallire e farsi del male?
«Lo
scacco è insito nella natura umana. Ma Dio mi dà la possibilità di vedere più
in profondità».
E
cosa trova?
«Non
è un trovare qualcosa è un avvicinarsi alla verità».
Si
trova, intanto, un’idea di comunità, che non ha molto da spartire con l’idea di
religione.
«Avverto
un certo rigetto di fronte al trionfalismo della religione ».
Mette
in discussione l’operato della Chiesa?
«La
Chiesa è una necessità per la prosecuzione del messaggio evangelico. Però essa
resta
strumentale,
non è il fine. Il fine è il regno di Dio. I monaci l’hanno ben presente».
Ed
è il motivo per cui si è fatto monaco e non prete?
«Sì.
La Chiesa può fare benissimo senza di noi. Ha bisogno di strutture gerarchiche,
non dei
monaci.
Non a caso siamo ovunque. Perché oltre che cristiano siamo un fenomeno umano.
Il
monachesimo
non vuole confondersi con l’istituzione della chiesa; ma non vuole neanche
diventare
un’ipotesi
settaria. Il nostro desiderio di marginalità ci impedisce di essere
intolleranti. Ma non di
cercare
una verità condivisa nel profondo».
Che
cosa è per lei la verità?
«Ciò
che la fede degli altri può testimoniare»
La
teologia non la seguirebbe su questo.
«Sono
convinto che la verità non la possediamo. Essa ci precede. Siamo tutti
mendicanti di verità:
credenti
e non».
Ma
chi non ha certezze è penalizzato?
«Sono
penalizzati solo coloro che non credono in nulla: i nichilisti. Per tutti gli
altri c’è la fiducia in
qualcosa
che chiamerei il bene comune. La crisi morale e culturale che l’Occidente vive
dipende dal
fatto
che non crede più nel bene comune. Oggi tutti cercano la felicità. Ma essa è un
fatto
individuale:
la mia felicità può essere l’infelicità per gli altri. Il credente quando dice
“Dio” deve
pensare
al bene comune».
Bene
comune sono l’acqua, l’aria, la terra, la difesa della vita. Non
necessariamente occorre
Dio
per tutto ciò.
«Penso
al bene comune come al Dio che ci umanizza».
Non
pensa che stiamo andando verso il disumano?
«Se
si guarda agli ultimi decenni, in particolare all'Italia, vedo la regressione.
La perdita di fiducia
nella
polis e nel bene comune. Certo, il deserto sta avanzando ma l'uomo ha le
energie per
ostacolarlo»
Concretamente
come?
«Ogni
giorno ascolto tante persone: il giusto e il delinquente. A noi monaci dicono
tutto. E non è
facile,
le assicuro, misurarsi con la follia o la cattiveria di una persona. Certe
notti vado a dormire
esausto
e mi chiedo come ricominciare l’indomani a sentire queste storie. Però, nel
faccia a faccia
con
chi si ascolta, dalle parole spesso scagliate con violenza e rabbia, c’è la
volontà di vedere il
bene».
Quanto
nel suo ruolo di praticante del bene alligna il privilegio?
«Ci
si sentirebbe privilegiati se non ci fossero momenti in cui viene meno il noi
stessi: o perché i
pesi
da portare sono troppo gravosi, o perché si è feriti dagli altri, o quando si
ha la coscienza della
propria
inadeguatezza o dell’essere spaventati. Chi sono e perché vengono a dire a me
certe cose?
La
tentazione che ho, a volte, è la nientità, fino all'ateismo».
E
quando si insinua il dubbio radicale?
«Lo
combatto con il silenzio. Sto molto da solo, anche intere settimane, nel mio
eremo».
Le
ha pesato il celibato?
«Quando
si è giovani pesa, soprattutto sotto forma di astensione sessuale. Ma dopo i
cinquant’anni
pesa
di più l’idea di non avere figli. Avere sì tanti affetti ma non averne uno in
particolare. Ci sono
certe
sere che vai a dormire chiedendoti: per chi mi alzerò domani? Sono
interrogativi che ci fanno
sentire
non dei privilegiati ma poveri uomini come tutti gli altri».
Cosa
vedono gli altri in lei? Il suo carisma o cosa?
«All’inizio
c’è stata la mia figura. Ma oggi la qualità della comunità è di essere molto
umana. Ho
sempre
detto: il cristianesimo o è umano o non è cristianesimo».
La
comunità protegge. Ma fuori la vita è spesso terribile.
«Non
viviamo di culto come i preti. Non siamo pagati perché facciamo opera
pastorale. Lavoriamo
nella
falegnameria, nel cibo, nella produzione delle icone, nei libri. Alcuni
fratelli si impegnano
fuori
come insegnanti, infermieri, medici. Si alzano alle cinque per andare in
ospedale. E poi
tornano
nel pomeriggio per provvedere ai compiti e alle mansioni interne».
La
sua fede combatte la fragilità?
«So
bene cosa sia la fragilità umana. E non le nascondo che nonostante la mia fede
ho paura della
morte.
Non mi sono rappacificato con essa. Certo, spero che Gesù Cristo mi prenda tra
le sue
braccia.
Ma resta la paura e a volte anche il dubbio su cosa ci attende dopo la morte.
Sono convinto
che
ci sarà un giudizio di Dio, di misericordia ma sarà un giudizio, perché la vita
sarebbe una
stupidaggine
se avessimo tutti un uguale esito».
E
l'idea del merito?
«So
di essere stato al mondo, mi capisca bene, non dalla parte delle vittime. E a
volte mi chiedo se
non
sia stato dalla parte dei carnefici. Non nel senso che abbia voluto fare il
male. Ma aver goduto
una
vita nella stima e nella fiducia degli altri, non essere mai stato perseguitato
per le mie idee, non
aver
mai avuto un rapporto forte con il dolore, mi fa pensare che non abbia brillato
per particolari
meriti».
Non
siamo noi ad attribuirceli. Dunque?
«Dunque,
è preferibile esercitarsi all’arte del lasciare la presa, continuando a
ritenere cara la vita, ad
amarla,
mentre la si lascia nelle mani di altri».
mercoledì 7 agosto 2013
MALTA. PROVVEDIMENTO RAZZISTA.
Quello che è successo a Malta (respingimento di barconi di migranti) è un fatto gravissimo, che va al di là di ogni commento. Il governo maltese dovrebbe essere sanzionato dall'Unione Europea.
Ma sicuramente, come già ha fatto il quotidiano della lega nord, verrà preso ad esempio. Bella schifezza!
martedì 6 agosto 2013
ABOLIAMO IL REATO DI CLANDESTINITA' (e perché non abrogare anche la bossi fini?)
ABOLIAMO IL REATO DI CLANDESTINITÀ
di Francesco Anfossi
Le parole del Papa a Lampedusa hanno messo a nudo l'assurdità di una legge che offende la dignità umana. E' ora di cancellarla. Perché l'immigrazione non è un'emergenza ma è "affare di tutti". Il Governo trovi il coraggio di affrontare la questione. Se non ora, quando? Dite la vostra nei commenti.
e firmate (aggiungo io) alla pagina http://www.famigliacristiana.it/speciali/aboliamo-il-reato-di-clandestinita/default.aspx
e, già che ci siamo, perchè non abrogare anche la bossi-fini?
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